Un sogno: La pastorella; uno strano gregge; tre stazioni di un viaggio faticosi; arrivo alla meta. - L'Oratorio trasferito presso il Rifugio - Un'irruzione di fanciulli in Valdocco - Scene lepide e strettezze di locale - Due stanze dell'Ospedaletto ridotte a cappella - Prima chiesa in onore di S. Francesco di Sales - La festa dell'8 dicembre.
del 24 ottobre 2006
 Un fatto mirabile ricreava in quei giorni Don Bosco, indicandogli gli avvenimenti futuri. Narriamolo colle sue stesse parole copiate dal manoscritto delle sue memorie: “La seconda Domenica di ottobre di quell'anno (1844) doveva partecipare a' miei giovanetti, che l'Oratorio sarebbe stato trasferito in Valdocco. Ma l'incertezza del luogo, dei mezzi, delle persone mi lasciavano veramente sopra pensiero. La sera precedente andai a letto col cuore inquieto. In quella notte feci un nuovo sogno, che pare un'appendice di quello fatto la prima volta ai Becchi quando aveva circa nove anni. Io giudico bene di esporlo letteralmente.
” Sognai di vedermi in mezzo ad una moltitudine di lupi, di capre e capretti, di agnelli, pecore, montoni, cani ed uccelli. Tutti insieme facevano un rumore, uno schiamazzo, o meglio un diavolio da incutere spavento ai più coraggiosi. Lo voleva fuggire, quando una Signora, assai ben messa a foggia di pastorella, mi fe' cenno di seguire ed accompagnare quel gregge strano, mentre Ella precedeva. Andammo vagabondi per vari siti: facemmo tre stazioni o fermate: ad ogni fermata molti di quegli animali si cangiavano in agnelli, il cui numero andavasi ognor più ingrossando. Dopo avere molto camminato, mi trovai in un prato, dove quegli animali saltellavano e mangiavano insieme, senza che gli uni tentassero di mordere gli altri.
” Oppresso dalla stanchezza, voleva sedermi accanto ad una strada vicina, ma la pastorella mi invitò a continuare il cammino. Fatto ancora breve tratto di via, mi sono trovato in un vasto cortile con porticato attorno, alla cui estremità eravi una Chiesa. Qui mi accorsi che quattro quinti di quegli animali erano diventati agnelli. Il loro numero poi divenne grandissimo. In quel momento sopraggiunsero parecchi pastorelli per custodirli: ma essi fermavansi poco, e tosto partivano. Allora succedette una meraviglia. Molti agnelli cangiavansi in pastorelli, che aumentandosi, prendevano cura degli altri. Crescendo i pastorelli in gran numero, si divisero, e andavano altrove per raccogliere altri strani animali e guidarli in altri ovili.
” Io voleva andarmene, perchè mi sembrava tempo di recarmi a celebrare la S. Messa, ma la pastorella mi invitò a guardare al mezzodì. Guardando, vidi un campo, in cui era stata seminata meliga, patate, cavoli, barbabietole, lattughe e molti altri erbaggi. - Guarda un'altra volta, mi disse. E guardai di nuovo, e vidi una stupenda ed alta Chiesa. Un'orchestra, una musica istrumentale e vocale mi invitavano a cantar messa. Nell'interno di quella Chiesa era una fascia bianca, in cui a caratteri cubitali stava scritto: HIC DOMUS MEA, INDE GLORIA MEA. Continuando nel sogno, volli domandare alla pastora dove mi trovassi; che cosa voleva indicare con quel camminare, colle fermate, con quella casa, Chiesa, e poi altra Chiesa. - Tu comprenderai ogni cosa, mi rispose, quando cogli occhi tuoi materiali vedrai di fatto quanto ora vedi cogli occhi della mente. - Ma parendomi di essere svegliato, dissi: - Io vedo chiaro, e vedo cogli occhi materiali; so dove vado e quello che faccio. - In quel momento suonò la campana dell'Ave Maria nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi, ed io mi svegliai.
” Questo sogno mi occupò quasi tutta la notte; molte altre particolarità l'accompagnarono. Allora ne compresi poco il significato, perchè, diffidando di me, poca fede ci prestava, ma capii le cose di mano in mano avevano il loro effetto. Anzi più tardi questo, congiuntamente ad altro sogno, mi servì di programma nelle mie deliberazioni presso al Rifugio”.
Adunque la seconda Domenica di ottobre 1844, sacra alla Maternità di Maria SS, D. Bosco partecipò alla turba dei suoi alunni il trasferimento dell'Oratorio presso al Rifugio, sua nuova dimora. Al primo annunzio, i giovani ne provarono qualche turbamento; ma quando, per acquietarli, egli disse loro che li condurrebbe ad un altro S. Francesco più grande, più bello, più comodo, e che in quelle parti avrebbero potuto cantare, correre, saltare e ricrearsi a loro bell'agio, furono ricolmi di gioia, ed ognuno attendeva impaziente la successiva Domenica per vedere la novità che la giovanile fantasia gli andava rappresentando. Furono pure avvertiti che per motivi speciali non vi si portassero al mattino, ma dopo il mezzogiorno.
Ed ecco pertanto la terza domenica di ottobre, giorno destinato dalla Chiesa ad onorare la Purità di Maria Vergine, poco dopo il meriggio, una turba di giovanetti di varia età e condizione correre giù in Valdocco in cerca di D. Bosco e dell'Oratorio novello. - Dov'è Don Bosco? Dov'è l'Oratorio? D. Bosco, D. Bosco, - andavano con gran voce chiamando. Era una irruzione di fanciulli. A queste voci e a queste grida di quella moltitudine di giovanetti, gli abitanti delle vicine case trassero fuori ben tosto quasi spaventati; temevano infatti che si fossero colà riversati con qualche mala intenzione. Siccome in quel vicinato non si era ancora udito parlare nè di D. Bosco, nè di Oratorio, così la gente indispettita rispondeva: - Che D. Bosco, che Oratorio? via di qua, ragazzacci. - I giovani, credendosi burlati, alzavano maggiormente la voce e le pretese. Gli altri, giudicandosi insultati, opponevano minacce e percosse. Le cose cominciavano a prendere un serio aspetto, quando D. Bosco, udendo gli schiamazzi, si accorse che erano i suoi giovani amici, che andavano in traccia di lui e del nuovo Oratorio. Li udiva ripetere: - Eppure ha detto che venissimo qui! chi sa quale sarà la sua porta? - E un giovane sopraggiunto con voce stentorea indicava la porta gridando: - D. Bosco è qui, seguitemi. - In quell'istante D. Bosco uscì di casa. Al suo primo comparire si levò da tutti un grido unanime: - Oh!.... D. Bosco, D. Bosco.... Dov'è l'Oratorio? siamo venuti all'Oratorio. - Intanto correvano tutti in folla a lui d'intorno, e così cessò ogni alterco. A questo mutamento di scena la gente cangiò la collera in meraviglia, e faceva tanto di occhi, interrogando chi fosse quel prete, chi quei giovani, e via dicendo. Alla domanda dove fosse l'Oratorio, il buono ed abile Direttore rispose che il vero Oratorio non era ancora ultimato, che intanto venissero in camera sua, la quale essendo abbastanza spaziosa, avrebbe servito. Tutta quella turba si lanciò allora su per la scala, gareggiando ciascuno a chi giungeva pel primo nella stanza di D. Bosco. E qui chi sedeva sul letto, chi sul tavolino, chi per terra e chi sul davanzale della finestra. Per quella Domenica le cose andarono abbastanza bene, quantunque in quel sito non potessero aver per la ricreazione lo sfogo che si erano immaginato; tuttavia ne furono soddisfatti. Per altra parte, in mancanza del resto, D. Bosco colla sua bontà, colle sue dolci maniere, colle sue facezie e graziose lepidezze bastava per tutto. Là veniva ripetuta un poco di dottrina cristiana, insegnata qualche preghiera, raccontato un esempio edificante e cantata qualche lode alla Vergine: tutto insomma come si era fino allora praticato in S. Francesco d'Assisi.
Un grande imbroglio cominciò la domenica appresso; imperocchè ai primi allievi aggiungendosene parecchi del vicinato, non si sapeva più dove collocarli. Camera, corridoio, scala, tutto era ingombro di fanciulli. D. Bosco faceva il catechismo, o la spiegazione del Vangelo nella sua stanza, mentre il Teologo Borel, che si era offerto ad aiutarlo in tutto, spiegava le verità stesse a quelli che stavano pigiati sui gradini della scala. Era poi un lepido teatro il vedere come vi facevano la ricreazione. Uno accendeva il fuoco, l'altro lo spegneva; questi scopava la camera senza innaffiarla, quegli la spolverava; chi lavava i piatti e chi li rompeva. Molle, palette, secchia, brocca, catinella, sedie, libri, abiti, scarpe, insomma tutti gli oggetti visibili erano messi sossopra, mentre i più grandicelli ed assennati volevano ordinarli ed aggiustarli. Il nostro caro D. Bosco guardava e rideva raccomandando solo dì non rompere nè guastare nulla. Charitas patiens est. La carità è paziente, e per quanti anni egli esercitò in grado eroico la virtù della fortezza, vincendo se stesso collo stare continuamente in mezzo a ragazzi chiassosi ed ineducati. Così passarono sei giorni festivi. Al mattino, dopo che D. Bosco aveva ricevute le confessioni di alcuni, andavasi ad udire la santa Messa ora in una, ora in un'altra chiesa della città. Talvolta D. Bosco interrogava i giovani: - Dove dobbiamo andare stamane ad udire la messa? - Alla Consolata, al Monte, a Sassi, alla Crocetta, - gridavano in varii cori i fanciulli. E scendevano dalle stanze, e preso D. Bosco in mezzo, si avviavano alla chiesa da lui indicata e recitando il santo rosario passavano nel mezzo di Torino. Per lo più andavano al santuario della Consolata. Per la benedizione li conduceva alla sera nella cappella delle scuole di S.a Barbara, rette dai Fratelli delle Scuole Cristiane. Questi buoni religiosi diedero volentieri simile licenza a chi prestava loro già da qualche tempo un grande aiuto col predicare agli allievi e col confessarli.
Tuttavia si era grandemente impacciati per le pratiche di pietà. Parecchi antichi allievi ci ricordavano che al mattino di Ognissanti, essendo i giovani raccolti in quello strettoio e nelle sue non ampie adiacenze, tutti volevano confessarsi. Ma come fare? Erano due soli confessori ed essi erano circa duecento, stretti come le acciughe nel barile: - Non è più possibile andare avanti, disse allora il caro Teologo Borel: è necessario provvedere un locale più adattato.
D. Bosco allora si portò dall'Arcivescovo Fransoni, gli espose quanto col suo consenso si era già fatto, il bene che se n'era ottenuto, il maggiore che se ne poteva ottenere in appresso. Monsignore, benchè comprendesse l'importanza di quell'opera, tuttavia chiese: - Questi ragazzi non potrebbero recarsi alle loro rispettive parrocchie? - Nella sua prudenza conosceva che sarebbe potuto nascere qualche ostacolo la parte dei Curati. D. Bosco gli rispose: - Parecchi di questi sono stranieri e passano a Torino soltanto una parte dell'anno. Non sanno nemmeno a quale parrocchia appartengano. Molti sono male in arnese, parlano dialetti poco intelligibili, quindi capiscono poco, e poco altresì sono dagli altri compresi. Alcuni poi sono già grandicelli, e non osano associarsi in classe coi piccoli. Quegli stessi che sono della città, or per negligenza dei genitori, or perchè lusingati dai sollazzi, o attirati dai mali compagni, quasi mai o ben di rado si fanno vedere in chiese.
Non ci volle di più perchè l'amorevole Pastore dicesse a D. Bosco: - Andate, e fate quanto giudicate bene. Io vi do tutte le facoltà che vi possono occorrere; benedico voi e la vostra opera, e non mancherò di aiutarvi in quanto potrò. Da quanto mi dite, vedo chiaro che vi è necessario un locale più ampio e adattato. Presentatevi alla signora Marchesa Barolo, alla quale io stesso scriverò; fors'ella potrà somministrarvelo opportuno e vicino allo stesso Rifugio.
D. Bosco andò a parlare alla Marchesa; e siccome fino all'agosto dell'anno successivo 1845 non si apriva l'Ospedaletto, così la caritatevole signora si contentò che a servizio dei giovanetti si riducessero a cappella due spaziose camere di quel fabbricato. Per recarvisi, si passava per la porta del detto Ospedale, e pel vialetto che separava l'opera Cottolengo dal prefato edifizio, andavasi insino all'attuale abitazione dei preti, e per la scala interna salivasi al terzo piano. Questo era destinato per le ricreazioni dei sacerdoti del Rifugio, quando essi avessero colà trasferita la loro abitazione al secondo piano.
Questo fu il sito prescelto dalla divina Provvidenza per la prima chiesa del nostro Oratorio. Il Superiore Ecclesiastico con decreto 6 dicembre concedeva a D. Bosco la facoltà di benedirla, di celebrarvi la santa Messa, impartirvi la benedizione col Venerabile, e farvi tridui e novene. Un semplice altare di legno in forma di mensa con gli arredi strettamente necessari, ma col tabernacolo indorato e un piccolo trono con due puttini in adorazione; un piviale, una pianeta a vari colori, uno stolone vecchio cogli altri indispensabili indumenti sacri; quattro vesti talari per i chierichetti improvvisati furono ben presto all'ordine. La Marchesa Barolo aveva donate settanta lire per la compra di venti candelieri, trenta per la tappezzeria, venti per le cotte.
L'inaugurazione si compiè in un giorno di sempre grata ricordanza, l'otto dicembre, sacro a Maria Immacolata, sotto il cui materno manto D. Bosco aveva collocato l'Oratorio e i suoi figli. In quella festa adunque D. Bosco benedisse la prima Cappella in onore di S. Francesco di Sales, celebrò la Messa e distribuì a parecchi giovani la santa Comunione.
Alcune circostanze resero assai memorabile questa sacra funzione. La prima fu la povertà della Cappella. Mancavano inginocchiatoi, banchi, sedie; e fu mestieri di contentarsi di alcune panche tentennanti di scranne sdrucite e di sedili che minacciavano capitomboli. Ma la divina Provvidenza non tardò a venire in soccorso, nè la carità delle buone persone mancò giammai. - Il tempo poi non poteva essere peggiore; ma non impedì che i giovinetti intervenissero in gran numero, tanto era l'amore che portavano all'Oratorio e a chi lo dirigeva. Alta era la neve in quel mattino, e cadeva tuttor fitta come sul dorso delle montagne, accompagnata da vento e turbini. Facendo quindi freddissimo, fu d'uopo portare in Cappella un grosso braciere; e si ricorda che passando con esso all'aperto, dagli spessi fiocchi, che sopra vi cadevano, producevasi un crepitare che molto dilettava. - Ma ciò che i giovani non dimenticarono mai furono le lagrime che videro scorrere dagli occhi di D. Bosco, mentre compieva quella sacra cerimonia. Egli piangeva di consolazione, perchè scorgeva in quel modo sempre meglio consolidarsi l'opera dell'Oratorio, e così gli si porgeva comodità di raccogliere un maggior numero di fanciulli, per essere cristianamente istruiti, ed allontanati dai pericoli della invadente immoralità ed irreligione.
 
 
 
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