Capitolo 29

Predizioni, intuizione di coscienze, guarigioni, caso di bilocazione.

Capitolo 29

da Memorie Biografiche

del 07 dicembre 2006

Non sono molti i Santi Fondatori, nella cui vita i doni straordinari abbondino come in quella di Don Bosco, massime negli ultimi suoi anni, quando in lui il soprannaturale si manifestava con sempre maggior frequenza. Alle cose già narrate secondo l'occasione in questo volume, alcune poche ce ne rimangono, le quali esporremo qui nell'ultimo capo.

Quante volte il Beato Don Bosco svelò il futuro, predicendo morte o lunga vita o altri eventi in nessun modo previdibili per umana congettura! Tre predizioni della data di morte cadono con molta probabilità nell'anno 1880. Il signor Tommaso Buffa, Ispettore delle Ferrovie e ottimo padre di famiglia, un figlio del quale, fattosi Salesiano, morì chierico in concetto di santità, discorreva un giorno con Don Bosco degli anni di vita che loro potevano ancor restare, e gli disse: - Io me n'andrò prima di lei. - Don Bosco gli rispose: - No, lei faccia conto di dover morire otto anni dopo la mia morte. - Infatti mancò ai vivi nel 1806, lasciando fra le sue carte un biglietto, nel quale i figli del defunto lessero del colloquio e della profezia .

Il padre Giovanni Maria Gazza, Filippino torinese, a Soli 24 anni di età giaceva infermo di una malattia assai grave. La famiglia desiderò che Don Bosco andasse a benedirlo. Andò egli ben volentieri a compiere quell'opera di carità; ma benedetto che l'ebbe e dettegli soavi parole di conforto, nel licenziarsi dai parenti di lui annunziò senza ambagi che il loro caro sarebbe morto ai 27 di novembre. La sorella che era fra i presenti e aveva udito, attestò a Don Filippo Rinaldi la profezia e il suo pieno avveramento .

Un'altra predizione egualmente funerea, ma espressa in termini che lì per lì nascondevano il vero, è quella che egli fece alla baronessa Jocteau. Questa signora, che aveva messo un figlio nel collegio di Valsalice al tempo della direzione di Don Francesia, ne condusse al Beato un secondo più piccolo, perchè lo benedicesse. Il poverino era malaticcio e rattrappito da far pietà. La madre supplicava in ginocchio il Servo di Dio, che, cosa davvero molto insolita per lui, lo prese, lo sollevò, se lo fece sedere sopra un ginocchio e disse con aspetto amorevole: - Oh sì, sì, lo benedirò ben volentieri. Prima però rivolse al fanciulletto alcune parole di vita eterna e del paradiso, e quindi amorevolmente gli soggiunse: - L'anno tale, nel giorno e all'ora tale tu starai meglio. Infine lo benedisse. La madre venne via piangendo di consolazione ma in quel tal giorno e in quella tal ora precisa, il figlio morì. La Baronessa, delusa così nelle sue speranze, restò molto male, a segno che per un tempo non venne più a visitare Don Bosco. Potè poi il canonico Anfossi, che soleva narrare il fatto, ravviarle alquanto le idee. Essendosi ella sfogata con lui, quegli bellamente le spiegò che il meglio di Don Bosco era il paradiso e le fece vedere come la sicurezza che il suo figlio per le preghiere di Don Bosco fosse in braccio a Dio, le dovesse tornare di grande conforto. Allora la Baronessa, come se le cadesse dagli occhi una benda, comprese e ringraziò il Signore.

Ed ora una predizione di lunga vita. Nel monastero delle Sacramentine di Bassano del Grappa morì ai 20 di giugno 1931 la monaca Madre Maria Ausiliatrice di San Giuseppe, la quale, benchè fosse di complessione gracile, era stata ammessa al noviziato di Torino nel 1880, unicamente perchè Don Bosco, consultato dalla giovane, le aveva detto che avrebbe potuto reggere all'osservanza monastica. Il medesimo Don Bosco le aveva dato una medaglia recante da un lato l'effigie di Maria Ausiliatrice e dall'altro quella di San Giuseppe; onde parve ben singolare che le Superiore, ignare di ciò, le imponessero proprio quel nome monastico. Ma v'ha di più. Il Beato le aveva anche fatto questa predizione: - Passeran molti anni, e un'Abbadessa e alcune religiose del Veneto si riuniranno con le Sacramentine; allora lei sarà mandata colà, vi sarà eletta superiora, e quello sarà il luogo della sua santificazione per andare poi in paradiso all'età che avrò anch'io alla mia morte. - La religiosa difatti fu mandata nel 1901 a fondare il monastero di Bassano del Grappa nel Veneto, senza che mai avesse svelato ad alcuno la profezia di Don Bosco. Quindi nel 1916 fu ivi eletta e dopo anche rieletta superiora. Edificata per molti anni quella comunità, cadde gravemente inferma; si rimise tuttavia tanto da poter sperare che avrebbe festeggiato il suo giubileo d'oro di professione religiosa. Se non che, avendo chiesto a che età fosse morto Don Bosco, restò sopra pensiero: tutto si era avverato fino a quel punto il predettole: non poteva dunque mancare l'avveramento anche dell'ultima parte. Infatti passò a miglior vita nell'anno settantaduesimo, come Don Bosco .

Con un'altra Suora vi fu profezia e scrutazione del cuore. Suor Brambilla, Figlia della Carità, vestito l'abito religioso il 4 settembre 1880 in Torino, fu destinata all'orfanotrofio femminile di Sassari. Partì per la Sardegna in compagnia di due consorelle anziane. In una memoria da lei dettata e a noi trasmessa, narrò così la partenza: “ Partimmo l'II settembre 1880. Preso posto nello scompartimento del treno assegnatoci, non misi il mio bagaglio (che portava il mio nome) in alto, come fecero le mie compagne, ma lo aggiustai sotto il sedile, in modo che non si vedesse. Pochi minuti dopo salirono sul treno un signore e un sacerdote, e presero posto proprio dirimpetto a noi. Si percorse un bel tratto in silenzio, ma giunti alla prima fermata - Asti - tanti signori si avvicinarono allo sportello aperto e tutti lietamente salutarono il buon sacerdote, dicendogli: Cereia, Don Bosc, e gli porgevano la mano, ripetendo il saluto. Fatta ardita, fissai allora il santo prete e capii che era proprio il Don Bosco che tanto bene faceva ai giovanetti, e che quei signori erano stati certo suoi alunni. Grande fu la mia gioia nel vederlo, perchè già mi ero fissa in capo l'idea ch'egli fosse un Santo. Però in vista del grande ascendente che egli aveva sui giovani, me l'era immaginato alto della persona, tarchiato, di aspetto imponente... mentre era un prete per nulla straordinario, e rilevai pure (tutto tra me e me) che le sue orecchie erano alquanto grandi ”.

     Ripreso il viaggio, improvvisamente Don Bosco si volse al compagno e gli disse: - Una volta mi saltò il ticchio di farmi fotografare; ma quando il fotografo mi, consegnò le sei piccole copie, ne osservai una e meravigliato esclamai: Oh! credevo di essere... - E qui ripetè per filo e per segno quanto era passato per la mente della suora, compresa la grandezza delle orecchie. La poverina arrossì. Egli, forse per distrarla, le domandò sorridente: - Suorina, dove va?

- In Sardegna.

- E in Sardegna che cosa farà?

- Sono destinata a un orfanotrofio femminile.

- Ma se invece dovesse occuparsi di ragazzini? Oh!

- Non le piacerebbe?

- No.

- Eppure con i birichini sì può far tanto bene.

Una delle suore interruppe il dialogo, dicendo: - Don Bosco, mandi laggi√π i suoi preti. Ne avrebbero davvero del bene da fare!

- Per ora, rispose egli, scotendo un pochino il capo, non sembra che la Sardegna sia per noi. Vedremo!...

Intanto giunsero a Sampierdarena. Don Bosco scese, salutò col suo cereia i compagni di viaggio e volgendosi alla suorina, le disse: -Suor Brambilla, lavori tanto per i ragazzetti.

Arrivate le suore a Livorno, trovarono presso le loro consorelle una lettera per esse. La destinataria vi riceveva l'incarico di comunicare a Suor Brambilla che non più all'orfanotrofio femminile, ma all'Ospizio maschile doveva andare. Comprese poi sul posto il perchè del consiglio datole da Don Bosco nel salutarla. Era una casa poverissima con cinquanta ragazzetti orfani da curare e istruire; di cinque suore addette al loro servizio due in sei mesi erano andate a ricevere il premio dei loro sacrifizi. Essa quindi dovette dividere quel cumulo di lavoro con le superstiti e cinquanta anni dopo a gloria del novello Beato ci raccontava a voce e per iscritto il prezioso incontro.

Di una profezia fatta da Don Bosco nel 1880 si risvegliò il ricordo nel 1932 tra i confratelli di Marsiglia. Circondavano un tempo l'oratorio di San Leone case e terreni altrui, che nessuno prevedeva se e quando sarebbero mai diventati tutti proprietà dei Salesiani o meglio della Società Beaujour: nessuno, all'infuori di Don Bosco. Dirimpetto all'angolo nord-est della casa numero 60 in Rue des Princes, cioè ben lontano dall'edifizio primitivo, gettava tranquillamente la sua acqua una bella fontana. Un giorno Don Bosco, passando per di là col direttore Don Bologna e col coadiutore Nasi, si fermò qualche istante a guardare quella fontana e poi disse: - Col tempo l'oratorio giungerà fin, qui a questa fontana. - I due ridissero ad altri il vaticinio; ma poi di anni ne passarono tanti, che più nessuno ormai vi pensava. Per via di successivi acquisti dal 1891 al 1923 gl'immobili anzidetti vennero in possesso dell'oratorio, senza che però s'arrivasse alla vaticinata fontana. Finalmente il 24 maggio 1932 ecco che quel limite fu raggiunto. Don Bologna e Nasi erano morti da un bel po'; ma vivevano altri che da essi avevano udita la cosa, e primo fra tutti il coadiutore Carlo Fleuret, il quale si ricordò molto bene d'aver inteso dal suo confratello Nasi le parole proferite da Don Bosco in quella memoranda occasione.

Del dono di leggere nei cuori, omesse testimonianze di genere comune, riferiremo lui fatto solo più caratteristico. Nel 1880 un giovane, tolto da un certo collegio Garibaldi, dove s'impartiva un'educazione niente cristiana, e messo contro stia voglia nell'Oratorio, andò a confessarsi da Don Bosco, ma con sì mala disposizione, elle era risoluto di non manifestare le cose più essenziali. Il Beato senza lasciargli nemmeno aprir bocca gli sciorinò là uno dopo l'altro tutti i peccati da lui commessi. Del che atterrito il giovane fuggì via senz'aspettare l'assoluzione, per la quale tornò in seguito, com'ebbe riacquistata la calma e formato il proposito di far le cose a dovere. Ben presto egli cambiò vita, sicchè pochi anni dopo fu accettato novizio a San Benigno, dove raccontò minutamente il fatto al grande moralista Don Luigi Piscetta. Da questo interrogato se si trattasse veramente di cose occulte e se prima non le avesse palesate mai ad alcuno, rispose che erano peccati commessi da solo a solo, lontano dall'Oratorio e non mai detti ad anima viva.

Appartengono pure a questo tempo due casi di guarigione, che hanno dello straordinario. Il signor Giovanni Bisio, negoziante di Torino, era conosciutissimo nell'oratorio, perchè di ritorno dal servizio militare nel 1864 vi aveva passato sette anni dopo il 1864 e figura fra i testi citati nei processi apostolici. Egli nel 1895 depose che quindici anni innanzi, avendo la moglie inferma di grave affezione cardiaca e spe­dita dai medici, le aveva espresso il desiderio che ricevesse una benedizione da Don Bosco. Essa ne fu ben contenta. Don Bosco la vide, le fece coraggio e l'assicurò che non sarebbe morta. Infatti campò ancora circa tre lustri con istupore dei sanitari che l'avevano curata.

     Un'altra benedizione di Don Bosco arrestò un'atrofia parziale nel coadiutore Luigi Tabasso, quando questi era ancora giovane artigiano. Entrato ragazzo nell'Oratorio di Torino, vi appariva sempre infermiccio: la causa stava in ciò, che la sua persona cresceva solo dalla parte destra e non anche dalla sinistra, onde da questo lato il braccio, la mano, la gamba rimanevano più piccoli e più corti, e la stessa inferiorità si ravvisava nel resto del corpo. Per effetto di tale anormalità pativa un'oppressione al cuore, che gli toglieva il respiro; altri spasimi gli causavano sofferenze nel volto. Parecchi valenti medici torinesi Studiarono il fenomeno. Il dottor Concato, professore universitario, trat­tenne il giovane all'Ospedale durante il giugno del 1880, facendolo oggetto di osservazioni dinanzi a' suoi allievi. La diagnosi del male non presentava difficoltà: ma a trovarvi rimedio la scienza non riusciva. Sottentrò allora la fede. Una domenica il povero sofferente andò a trovare Don Bosco nella sua camera, gli narrò il suo triste stato e gli chiese la benedizione. Il Beato, fattolo inginocchiare e recitata con lui una preghiera, lo benedisse, ed ecco che nell'alzarsi parve al giovane di sentirsi levare improvvisamente un peso dal cuore, e alla guancia sinistra non provava più alcuna dolo­rosa sensazione. In pochi giorni le forze aumentarono e il braccio sinistro gli crebbe come l'altro: nella faccia gli restò una fossetta come se gli si fosse estratto un osso, e la lingua si mantenne più sottile e un po' torta a sinistra. Ogni ma­lessere però se n'era andato, Don Bosco, appena visto l'ef­fetto della benedizione, gli aveva proibito di parlare della cosa, raccomandandogli invece di ringraziare la Beata Ver­gine. Due anni da poi il medesimo, fattosi male alla gamba destra, pregò Don Bosco di rinnovargli la benedizione, sperandone il medesimo beneficio. Lo benedisse il Beato, ponendo per altro la condizione che il guarire gli fosse utile alla salvezza dell'anima; se no, il male gli durasse. E il male lo accompagnò fino al termine de' suoi giorni .

Il signor Agostino Calcagno di Arenzano fu uno dei primi Cooperatori Salesiani, e che Cooperatore! Ogni volta che sapeva d'una conferenza di Don Bosco in Torino o in qualsiasi città della sua Liguria, vi si recava, portando seco offerte da lui raccolte, e conducendo persone inferme. Nel 1881, andato alla conferenza tenuta durante la novena di Maria Ausiliatrice, consegnò al Servo di Dio cinque offerte. Il Beato le mise in fila sul tavolo senza saperne menomamente la provenienza e poi indicando col dito, disse: Queste tre otterranno la grazia e queste due no. - Non era peranco terminata la novena, che le tre persone inferme guarirono, e una di esse vive tuttora mentre scriviamo (1933) ed ha raggiunto la bella età di novant'anni; le altre due morirono .

Un caso di bilocazione che avremmo dovuto narrare nel volume precedente, fu messo allora da parte, perchè la documentazione non ci pareva adeguata all'importanza del fatto. Una signora, scrivendo a Don Rua nel 1891 e riferendosi a cosa, di cui altra volta gli aveva scritto, ne faceva un'esposizione molto sommaria, com'è costume quando si tratta solo di richiamare all'altrui memoria avvenimenti già conosciuti in tutti i loro particolari. Oggi anche buon numero di quei particolari ci sono esposti da persona ben informata, cioè dalla figlia maggiore di detta signora. Avendo noi avuto la fortuna di scoprire dopo molte ricerche dov'essa viveva, si è potuto da lei ottenere una particolareggiata relazione, che completa abbastanza la lettera della madre. Accertata omai la santità dell'Uomo, non crediamo di dover passare sotto silenzio un prodigio, che nella vita dei Santi non è nuovo e che, come vedremo a suo tempo sulla scorta di documenti  irrefragabili, non è unico nella vita stessa del nostro Beato.

Il 14 ottobre 1878 Don Bosco era certamente a Torino. Quel giorno nella casa della signora Adele Clèment a Saint-Rambert d'Albon, dipartimento della Dróme, entrò un prete sconosciuto, che parlava francese nè volle mai dire il proprio nome, ma alle reiterate insistenze rispose: - Di qui ad alcuni anni il mio nome sarà stampato nei libri e quei libri vi capiteranno tra mano. Allora saprete chi sono io.

L'aveva condotto in casa il marito della signora, negoziante di olio e carbone. Se ne tornava egli da Chanas, paesello distante mezzo chilometro da Saint-Rambert, dove aveva carrettato un carico della sua merce, quando di botto, vide un prete che camminava a grande stento. Avutone compassione, gli si avvicinò e gli disse: - Signor curato, lei mi ha l'aria di essere molto stanco.

- Oh, sì, brav'uomo, gli rispose il prete; ho fatto un lungo viaggio.

- Signor curato, io le offrirei ben volentieri di accomodarsi qui sopra, se il veicolo non fosse com'è; ma su d'una carretta simile non oso.

- Oh, voi mi fate un gran piacere. Io accetto: non ne posso proprio pi√π.

Ciò detto, aiutato da colui, montò. Dimostrava un'età fra i trenta e i quarant'anni, e aveva una bella presenza. Una particolarità, alla quale lì per lì quell'uomo non aveva badato, ma di cui si rese ben conto in seguito, si fu che, quantunque il prete seduto sul fondo della carretta sporgesse in alto dalle bande con tutta la testa e col suo bravo tricorno, pure nessuno, anche passando vicino, aveva fatto il menomo segno di accorgersene.

Giunti alla casa, il signor Clément gli diede la mano e l'aiutò a discendere; poi corse dalla moglie per avvertirla che aveva condotto un prete stanchissimo e bisognoso di ristoro. La signora, donna caritatevole e pia, andò subito a offrirgli di pranzare con loro. Egli accettò e durante la refezione ascoltò amorevolmente il racconto delle sue disgrazie, la più dolorosa delle quali era quella di un figlio diventatole per un malore improvviso cieco, sordo e muto. La poverina non sapeva darsi pace; aveva pregato tutti i Santi, ma nulla veniva a lenire la sua pena. Il prete le disse:

- Pregate, buona signora, e sarete esaudita.

- Vuol dire, signor curato?... Vada a vederlo!

Il marito durante il pasto gli versava da bere tavola accanto alla bottiglia del vino c'era un boccale di cotto, come costumavasi allora, per l'acqua, bianco e cerchiato d'argento. Il prete disse: - Conservate questo boccale per mio ricordo. - Così fecero, come attesta la figlia, allora piccina, la quale soggiunge: “ Mio padre, l'anno prima di morire, mi disse: - Questo boccale non deve restare nelle mani de' tuoi fratelli. Io lo darò a te e tu lo serberai. É una reliquia di quel santo prete ”.

Verso la fine del desinare il signor Clément uscì per abbeverar i cavalli, dovendo tosto ripartire. In quel mentre il prete si alzò da sedere e disse alla padrona: - Buona signora, una voce mi chiama, e bisogna che io parta.

- Aspetti, signor curato, gli rispose la donna. Il mio marito ritorna subito e la condurrà in vettura a vedere mio figlio.

- Una voce mi chiama, ripetè egli, e bisogna che io parta.

E partì.

La signora si precipitò dal marito, attaccarono in fretta e gli volarono dietro, sicuri di raggiungerlo presto; ma più non lo videro e credettero che fosse andato fuor di strada. Qual non fu invece il loro stupore, quando, arrivati dalla balia del piccolo, questa disse loro che era venuto un prete e aveva guarito il figlio! La balia abitava a Coinaud, villaggio distante tre chilometri da Saint-Rambert, e dai calcoli fatti risultò che il momento in cui il prete era entrato là coincideva con quello in cui era uscito da casa Clément.

Quella brava gente almanaccava da sette anni per indovinare chi fosse l'essere misterioso, quando una delle persone che avevano visto il prete a guarire il bimbo e ne ricordava benissimo la fisonomia, si recò dai coniugi Clèment con un libro che parlava di Don Bosco e ne portava il ritratto. - Ecco, disse, il prete che vi ha guarito il figlio! -Nessun dubbio, era desso, lo riconobbero all'istante entrambi.

Il 10 aprile 1888 la signora, guarita prodigiosamente da un'infermità per intercessione, com'ella credette, di Don Bosco, spedì una relazione del fatto a Don Rua; ma che sorte abbia avuto la sua lettera, noi non lo sappiamo. E non lo dovette sapere nemmeno la donna, perchè tornò a scrivergli il 13 aprile 1891, stimolata quasi da rimorso, come se non facesse abbastanza per render noto il portento al successore di Don Bosco. Gli diceva fra l'altro: “ Vivono ancora testimoni, che si possono interrogare: parecchi sono in grado di darle informazioni. Non ne chiegga però al curato di Saint-Rambert, perchè alla santità di Don Bosco egli non crede. Io fo di tutto per aiutare l'opera di Don Bosco, ma egli ha raccomandato di non introdurre qui opere straordinarie, e dice che son tutte chimere, e che di buone opere ne abbiamo già abbastanza in Francia... Se io dovessi raccontarle tutte le noie avute da questo prete di Saint-Rambert e i segni della miracolosa protezione accordatami da Dio e da Maria Ausiliatrice per intercessione di Don Bosco, dovrei scrivere un volume. Incarichi Lei un buon sacerdote che esamini il fatto e interroghi i testimoni. Sia, per esempio, il parroco di Breuil in quel di Bois-d'Oingt presso Lione o il parroco di Diemaze presso Vienne ”,

Questa lettera ebbe risposta? I nostri archivi tacciono. La figlia dei signori Clément, di cui ci pervenne una lunga lettera con la data del 18 aprile 1932, vive a Lione (136 avenue de Saxe), moglie del signor Durand. Sua madre morì nel 1914, suo padre nel 1925; il fratello del miracolo campò fino al 1928. Gli venne allora un tumore al cervello. I medici ne pronosticavano una morte straziante; invece si spense placidamente, cosa che fu ritenuta una nuova grazia del Beato Don Bosco .

   Mirabilis Deus in Sanctis suis! Ma da siffatte meraviglie divine i Santi pigliavano motivo per maggiormente umi­liarsi. Don Bosco era persuaso che se il Signore avesse tro­vato uno strumento più debole e più inetto di lui, quello e non lui avrebbe scelto per le sue opere. Quand'egli espri­meva questo concetto, e lo espresse più volte, coloro che lo ascoltavano gli leggevano nel volto e nell'accento la sin­cerità dell'anima. Non meno sincera apparve sul tramonto dei suoi giorni l'accorata compunzione, con cui disse: - Quanti prodigi ha operato il Signore in mezzo a noi! Ma quanti più ne avrebbe compiuti se Don Bosco avesse avuto più fede! - Onde scongiurava i suoi, che non commettessero giammai l'ingratitudine di attribuire anche in minima parte a se stessi anzichè a Dio il bene che la Provvidenza si degnerebbe fare per loro mezzo nel mondo.

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