Francesco Bosco modello dei padri di famiglia - Stato lagrimevole della Chiesa Cattolica e dei Parroci in Piemonte - Matrimonio di Francesco con Margherita Occhiena - Nascita di Giovanni Bosco - Morte del padre di Giovanni.
del 29 settembre 2006
 
Distante da Capriglio un'ora e mezzo di cammino, al Nordovest, nascosto tra ridenti colline, ai piedi di una di queste, riparato dai venti di settentrione, siede
 
Castelnuovo d'Asti. È cinto a levante dalle piccole borgate di Pino e di Mondonio; a mezzodì lo adornano feracissimi prati e campi; una collinetta lo divide a ponente da Moriondo e Lovanzito, terricciuole che gli stanno a poca distanza; e gli fanno corona preziosi vigneti. Conta cinque frazioni o villate: Morialdo, Ranello, Bardella, Nevissano e Schierone. Le case sono costrutte in gran parte sul dosso del colle, nel cui mezzo si innalza la chiesa parrocchiale. È lontano venticinque chilometri da Torino, alla cui Archidiocesi appartiene, e trentacinque da Asti. Capoluogo di mandamento per sette comuni, contava in quei tempi tremila abitanti, gente industriosa ed applicata al commercio che andava ad esercitare in varie città d'Europa. Le cave di gesso, che esistono nel suo territorio, davano al paese un notevole profitto. È assai piacevole il clima; vi si respira un'aria saluberrima, e nell'estate un continuo e fresco zeffiro tempera i troppo cocenti calori. Il popolo, sotto un cielo bello e splendido, è di umore lieto ed aperto, di buona indole e assai cortese coi forestieri, i quali sono trattati con quella sincera ospitalità che generalmente si ammira in tutti i paesi dell'Astigiano.
 
Quasi a metà via tra Capriglio e Castelnuovo, sulla proda di un bosco, vi era un cascinale, composto di alcune case, detto i Becchi, del borgo Morialdo. Di una di queste casette, che, se non aveva l'aspetto di povertà assoluta, non dimostrava però di essere luogo di agiatezze, era proprietario un certo Francesco Bosco, nato il 4 febbraio 1784. La sua scarsa fortuna consisteva in alcuni piccoli poderi circostanti la casa, che esso stesso lavorava per vivere. Tuttavia, siccome questi non producevano abbastanza per sopperire a tutti i bisogni della sua famiglia, aveva preso a coltivare eziandio, come massaro, le terre attigue, appartenenti allora ad un certo Biglione, nelle quali aveva pur fissata la sua abitazione. Aveva seco la moglie, un figliuoletto di nome Antonio, nato il 3 febbraio 1803, e la vecchia madre, che trattava con tutti i riguardi imposti da una tenera pietà figliale. Era uomo di ottima indole, eccellente cristiano e fornito di un gran buon senso per l'istruzione religiosa, che si procurava col frequentare i catechismi e le prediche nella chiesa parrocchiale. La vera sapienza viene da Dio e insegna all'uomo a non perdersi in vani desiderii e a rimettersi pienamente ai voleri dell'amabilissima Provvidenza divina. Perciò “dolce è la vita dell'operaio contento di sua sorte, e in essa egli troverà un tesoro (Ecclesiastico XL, 18)”.
 
Tutto intento nei suoi lavori, quando meno aspettavaselo, cadeva inferma la sua compagna, che, assistita dal Vicario foraneo D. Giuseppe Boscasso, quello stesso che era stato imprigionato e chiuso nella cittadella d'Alessandria nel 1800, munita de’ Sacramenti della Penitenza e dell'Estrema Unzione, spirava nell'ultimo giorno di febbraio del 1811.
 
E al dolore privato succedeva in questo stesso anno il dolore pubblico. L'11 novembre moriva improvvisamente il Vicario D. Boscasso nell'età di 74 anni, ed era seppellito nella chiesa così detta del Castello. Per Francesco, che era uomo tutto di chiesa, fu questa un'altra grande perdita. Nei paesi di campagna il parroco è naturalmente il padre, l'amico, il confidente, il consolatore de’ suoi parrocchiani. Egli conosce non solo ogni famiglia, ma i singoli membri di essa; e questi ogni volta che l'incontrano è col sorriso della gioia che lo salutano. I giovanetti furono da lui battezzati ed ammessi alla prima Comunione; una gran parte dei padri e delle madri innanzi a lui si promisero eterna fedeltà ed amore; i vecchi ai consigli della sua prudenza si appoggiano nel governare i loro dipendenti, e non di rado anche per reggere bene la cosa pubblica. Non vi è casa, nella quale non sia entrato per asciugare gli ultimi sudori dei morenti, innalzando i loro cuori colla speranza di un'altra vita felicissima, che non avrà più termine, temperando nello stesso tempo le angoscie dei superstiti. La nascita, la vita, la morte e la sepoltura di ogni individuo, come pure le gioie, i dolori e le miserie van sempre unite al ricordo del buon Pastore. Egli possiede i segreti di tutti e il suo divino ministero lo colloca sopra di tutti. La morte di un parroco è sentita come la perdita del capo di famiglia, e tronca relazioni, confidenze, affari gelosissimi in modo talora irreparabile.
 
Per la tristezza dei tempi, i cristiani pi√π fervorosi pensavano chi mai sarebbe succeduto al defunto Vicario. Era stato promulgato il nuovo Codice, del quale Napoleone, che avealo
 
compilato, diceva essere un'arma potente contro la Chiesa. Dappertutto in Italia sorgevano e si dilatavano le loggie massoniche, favorite in ogni modo dal Governo imperiale. Dispersi erano i religiosi, chiusi i conventi, ai quali accorrevano con tanta fiducia i fedeli; confiscati e venduti i beni ecclesiastici. Il malcostume andava crescendo nelle popolazioni, e non si scorgeva quasi più nessuna vocazione ecclesiastica. La libertà dei culti dava all'errore gli stessi diritti inalienabili della verità: abolite erano le immunità ecclesiastiche; prescritto nei Seminarii l'insegnamento delle massime gallicane, lesive dei sacri diritti del Pontefice Romano; leggi speciali e severissime si emanavano contro quei membri del clero, che avessero disapprovato qualche atto del Governo; i Vescovi considerati come servi dell'Imperatore e sottratte alla loro vigilanza le scuole, perchè la mente dei giovanetti venisse informata secondo i politici intendimenti e le religiose aberrazioni di chi reggeva lo Stato. Pio VII si teneva prigioniero a Savona.
 
Oltre queste difficoltà di ordine generale, vi erano quelle inerenti all'ufficio di parroco, che richiedeva una grande prudenza e zelo apostolico. Doveva diffondere e spiegare un catechismo fatto compilare da Napoleone per tutte le Diocesi dell'Impero; catechismo pieno di inesattezze, di massime ereticali, di astute aggiunte, di non poche ommissioni, ed il quale indirettamente attribuiva al Sovrano l'autorità eziandio nelle cose di religione. Il parroco non poteva predicare direttamente o indirettamente contro gli altri culti autorizzati nello Stato. Eragli vietato dare la benedizione nuziale a chi non aveva prima contratto matrimonio davanti all'ufficiale civile. I membri della fabbriceria dovevano essere approvati dal Governo. Il Vescovo aveva bensì diritto di nominare e istituire il parroco; ma non poteva dare l'istituzione canonica, prima che questa nomina, tenuta segreta, non fosse presentata alla approvazione imperiale per mezzo del ministro dei culti. E il parroco nominato non poteva andare in funzione, senza aver prestato il prescritto giuramento nelle mani del Prefetto.
 
Ma ritorniamo a Francesco Bosco. Egli era gravemente imbarazzato, non potendo, per l'urgenza de’ suoi lavori, assistere la madre e vegliare sull'unico suo figlio, che omai toccava i nove anni. Si risolse perciò a passare a seconde nozze. Recatosi sovente al paese di Capriglio, aveva conosciute le rare e casalinghe virtù di Margherita Occhiena.
 
Margherita non dimostrava nessuna propensione a prendere marito. Sempre occupata nei lavori domestici e di campagna, sempre ritirata e lontana da ogni sollazzo, rifuggiva dal trovarsi fra quelle allegre compagnie, alle quali prendevano parte nei giorni di festa eziandio le oneste persone. Omai contava 24 anni. Suo desiderio era di rimanere sempre così in casa, per assistere suo padre e sua madre nella vecchiaia. Il Signore però l'aveva destinata allo stato coniugale. “Una buona donna è una buona sorte; ella toccherà a chi teme Iddio, e sarà data all'uomo per le sue buone opere; sia egli ricco o sia povero, avrà il cuore contento e la faccia lieta in ogni tempo. La donna forte è la consolazione del marito, e gli fa passare in pace gli anni di sua vita (Ecclesiastico XXVI, 3 - 4, 2)”. Francesco la chiese per moglie. Margherita, prima di dare il suo consenso, fece qualche difficoltà, manifestando la ripugnanza che provava nel dover lasciare la casa paterna. Il padre però approvava e consigliava quell’unione. Benchè fosse di età alquanto avanzata, dichiarava di sentirsi robusto in modo da non aver bisogno di alcuna assistenza. Una vigorosa sanità era il retaggio invidiato della sua famiglia. Esso infatti visse fino all'età di 99 anni e otto mesi; e suo fratello Michele, più giovane, moriva vicino a compiere i 90. D'altra parte rimanevangli in casa altri figli ed altre figlie, specialmente una di nome Marianna, la quale proponevasi di prender cura della sua persona. Margherita, sempre pronta ad obbedire, sì rimise alla volontà del padre. Benchè non portasse agiatezze, quel partito era conveniente. “Egli è un gran capitale la pietà con il contentarsi di poco e vale più un pocolino col timor del Signore, che i grandi tesori, i quali non saziano (I Tim. VI, 6 - Prov. XV, 16)”. Il Sacramento del matrimonio è grande in Cristo e nella Chiesa, ha detto S. Paolo, ed essendo Sacramento dei Vivi, si deve ricevere in grazia di Dio. Guai a chi incomincia il nuovo suo stato con un sacrilegio. È questa la cagione di tante sventure sulle famiglie, perchè il Sacramento ricevuto indegnamente è per esse come un peccato originale. Il sacrilegio porta la maledizione di Dio. Invece chi lo riceve santamente, ricordando che quest'unione figura l'unione divina di Gesù Cristo colla sua Chiesa, ottiene l'abbondanza della grazia e molte benedizioni eziandio temporali: benedizioni nel sostenere agevolmente il peso degli obblighi contratti innanzi a Dio, benedizioni nella pace della casa, benedizioni nell'aver il necessario per campar la vita e sovratutto benedizioni nei propri figliuoli.
 
A quei tempi, come pure ai nostri, in simili circostanze si facevano nei villaggi fragorose dimostrazioni di allegrezza, corteggi, conviti, spari, musiche; ma, prima di ogni altra cosa, non si mancava di fare una buona Confessione e una santa Comunione, e quindi, ricevuta la benedizione dal parroco, si dava e si riceveva l'anello ai piedi dell'altare e nel tempo del Santo Sacrificio. Così fecero Francesco e Margherita e, dopo essere andati al Municipio, celebrarono le loro nozze nella parrocchia di Capriglio il 6 giugno 1812. Da quel punto furono esatti osservatori del gran precetto di S. Paolo: “Ognuno di voi ami la propria moglie come se stesso: la moglie poi rispetti il suo marito (Efes. V, 33)”.
 
Margherita, entrata nella sua novella casa di Morialdo, tenne subito il piccolo Antonio per suo, e questi così ebbe una madre che sostituiva l'estinta, e non una matrigna, come molte volte suole accadere ai poveri orfanelli. Il giovanetto però, benchè così accarezzato, pare che per ragioni d'interesse non vedesse bene il secondo matrimonio del padre.
 
Intanto di questi stessi giorni, l'11 giugno, una carrozza partita da Savona attraversava a gran carriera i piani d'Alessandria; era in essa rinchiuso quasi agonizzante Pio VII, da tre anni prigioniero di Napoleone. Accompagnato da un commissario imperiale, attraversava incognito le colline dell'Astigiano, toccava Stupinigi, ed entrando in Francia pel Moncenisio, giungeva a Fontainebleau, ove angoscie amarissime aveagli preparato il suo persecutore. Passando il santo Pontefice, benediceva certamente i piemontesi, sapendo quanto a lui fossero affezionati. E quando Margherita ebbe notizia del suo passaggio, non avrà chiesto a Dio che questa benedizione le fosse di sostegno nel suo nuovo stato?
 
Margherita era felice, perchè “la mente tranquilla è come un perenne convito (Prov. XV, 15)”. La vecchia madre di Francesco, che portava il suo stesso nome, aveala accolta con festa indicibile e avea riposto in lei tutta la sua affezione e la sua confidenza. Margherita contraccambiava la suocera con amore ed obbedienza figliale. Questi due cuori fin dai primi giorni si erano perfettamente intesi. Avevano le stesse inclinazioni e di lavoro e di economia e di carità, lo stesso sistema nel regolare le faccende domestiche, gli stessi principii nell'educare la famiglia. La madre di Francesco, sotto vesti contadinesche, era una vera matrona per nobiltà di sentimenti, fermezza di volontà, e slancio nell'amare e fare il bene.
 
Il Signore benedisse l'unione di Francesco e di Margherita, e gli 8 aprile 1813 vennero rallegrati per la nascita del primogenito, al quale fu imposto nel santo Battesimo il nome di Giuseppe dal nuovo Vicario D. Giuseppe Sismondo, che aveva preso possesso della parrocchia negli ultimi giorni di agosto 1812.
 
La gioia però non era senza lacrime ed apprensioni per lo stato miserando della patria. Le chiese erano squallide e spogliate di ogni ornamento prezioso e di opere d'arte. Mute nei giorni di festa le sacre torri delle loro confortanti armonie, perchè a migliaia le campane erano state fuse per fabbricare cannoni. I preti invecchiati, impoveriti e sorvegliati dalla polizia. L'esattore inesorabile nel riscuotere le imposte. Le madri si scioglievano in lacrime per la partenza dei lori figli destinati al servizio militare. Dal 1805 in poi continue avevano imperversate le guerre, benchè lontane. Moltissimi giovani italiani erano caduti combattendo contro la Germania; 20.000 in Ispagna, 15.000 nella ritirata di Russia. In quest'anno tutto il nord dell'Europa erasi collegato coll'Inghilterra contro Napoleone, e tutti i giovanetti sui diciotto anni furono costretti a prendere le armi e andare in Francia per essere macellati in difesa di quel despota, che un giorno li aveva definiti carne da cannone! E nelle chiese il popolo doveva sentir cantare: Domine, salvum fac Imperatorem nostrum Napoleonem! Le preghiere dei buoni continuarono intanto a salire al trono di Dio chiedendo perdono, e Dio misericordioso spezzò il flagello, che percuoteva le nazioni. Il 1815 portò pace e riposo all'Europa. Napoleone rilegato per tutto il restante di sua vita in mezzo all'Oceano, nell'isola di S. Elena, riconobbe, novello Nabucodonosor, che solo Iddio dà e toglie le corone imperiali e reali.
 
Pel Piemonte fu un anno di tripudii celesti. Tutte le leggi oppressive della Chiesa vennero abrogate. Pio VII, andato a Savona, alla presenza del Re Carlo Emanuele I, risalito sul trono dei suoi padri il 20 maggio dell'anno precedente, circondato dai Vescovi, in mezzo al concorso d'innumerabile gente, incoronava la Madonna della Misericordia per Genova, Novi, Voghera, Moncalieri, giungeva all'improvviso in Torino. Era il suo settimo viaggio nei paesi subalpini. Non è possibile descrivere il trionfo d'amore, col quale fu accolto dalla Real Casa di Savoia e dal popolo festante, nè la solennità colla quale la Santa Sindone fu presentata all'immensa moltitudine genuflessa, dalle loggie del palazzo Madama, prima dalla parte di ponente e poi di levante. Il Papa nel mezzo e i Vescovi ai lati sorreggevano la Reliquia più insigne che sia sulla terra, dopo quella della Croce, mentre le campane della città suonavano a festa ed il cannone annunziava ai lontani il faustissimo avvenimento. Il Papa lasciava Torino il 22 maggio, dopo aver visitato il Santuario della Consolata.
 
In questo stesso anno adunque, in cui si compirono sì fausti avvenimenti, pochi mesi dopo che il Sommo Pontefice aveva istituita la festa di Maria SS. Ausiliatrice dei Cristiani, alla sera del 16 agosto, nell'ottava consacrata a Maria Assunta in cielo, nasceva il secondogenito di Margherita Bosco. Fu battezzato solennemente nella chiesa parrocchiale del santo apostolo Andrea, all'indomani a sera, il 17, da D. Giuseppe Festa, essendo padrini Melchiorre Occhiena e Maddalena Bosco, vedova del fu Secondo; e gli furono imposti i nomi di Giovanni Melchiorre.
 
Nei momenti di pericolo, di turbolenze, allorchè la società corre estremo rischio e traballa sulle sue basi, la Provvidenza suscita uomini che diventano gli strumenti della sua misericordia, i sostegni e difensori della sua Chiesa, gli operai della ristorazione sociale Sembrava stabilita la pace nel mondo, ma non era duratura. Le società segrete continuavano il loro lavorío sotterraneo, minando i troni e gli altari, e di quando in quando scoppi di rivoluzione ne palesavano l'audacia, finchè, permettendolo Iddio, non rinnovarono apertamente la guerra, prima a castigo dei loro complici piccoli e grandi e poi per il trionfo e l'esaltazione del suo nome.
 
Giovanni Bosco vagiva nella cuna ai Becchi, mentre a Castelnuovo il giovanetto Giovanni Giuseppe Cafasso, di quattro anni, per la sua bontà e contegno in chiesa veniva di già appellato da' suoi compagni il santino. Questi due bambini diventeranno uomini; e precisamente nel tempo in cui più furiosa ricomincerà la lotta tra il bene e il male, essi saranno al loto posto, ciascuno adempiendo la propria provvidenziale missione.
 
Una pace soave, che non venne mai turbata neppure per un istante, regnava nella famiglia Bosco. “La donna giudiziosa e amante del silenzio, col suo animo bene composto, è cosa senza paraggio. Come eterni sono i fondamenti gettati sopra salda pietra, così i comandamenti di Dio sul cuore di santa donna (Ecclesiastico XXVI, 18, 24)”. Margherita, amante dell'ordine e del silenzio, molto accorta, prudente, badava alla parsimonia; mentre il buon Francesco, quasi unicamente col suo sudore lavorando i campi, procacciava sostentamento alla madre settuagenaria travagliata da varii acciacchi, a' suoi tre fanciulli ed a due servitori di campagna. Ad ambedue nulla più stava a cuore che conservare a Dio quei cari tesori che da Lui avevano ricevuti, e perciò vigilavano perchè nulla potesse offuscare la loro innocenza.
 
Essi godevano presso la popolazione del paese grandissima stima di onestà intemerata e di vita veramente cristiana, e la fama dopo tanti anni la ricorda ancora. E questa è la migliore eredità che possa toccare ai figliuolì, “perchè la gloria dell'uomo sta nella buona riputazione dei padre suo (Ecclesiastico III, 13)”.
 
Ma ogni gaudio su questa terra ha il suo termine. Dio misericordioso visitò quella casa con una grave sciagura. Francesco, pieno di robustezza, sul fiore dell'età, animatissimo per dare educazione cristiana alla figliuolanza, un giorno ritornato a casa tutto molle di sudore, incautamente andò nella sotterranea e fredda cantina. Per la traspirazione soppressa, in sulla sera si manifestò una violenta febbre, foriera di non leggiera polmonite. Tornò inutile ogni cura, e in pochi giorni si trovò all'estremo della vita. Munito di tutti i conforti della Religione, esortava la desolata sua moglie a riporre tutta la sua confidenza in Dio; e negli ultimi istanti chiamatala a sè: - Vedi, le disse, la bella grazia che mi fa il Signore. Egli mi chiama a sè oggi venerdì, giorno che ricorda la morte del nostro divin Redentore, e proprio nella stessa ora in cui Egli morì sulla croce, e mentre io mi trovo nella sua stessa età di vita mortale. - Quindi dopo averla pregata a non volersi affliggere troppo per la sua morte, ed a rassegnarsi intieramente alla volontà di Dio, soggiungeva: - Ti raccomando  caldamente i nostri figli, ma in modo speciale abbi cura di Giovannino.
 
Francesco cessava di vivere nella buona età di 34 anni non ancora compiuti, l'11maggio 1817, in una stanza della masseria Biglione. Il giorno seguente il suo cadavere era portato al cimitero tra il compianto e le preghiere di tutta la borgata. E dalle labbra di mamma Margherita che Don Michele Rua ed altri appresero ciò che abbiamo scritto di Francesco.
 
Di questo giorno di lutto faceva sovente parola D. Giovanni Bosco a' suoi piccoli amici, gli alunni dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, inculcando loro il rispetto, l'obbedienza, l'amore ai propri genitori. Nei primi tempi, quando non erano così svariate le sue molteplici occupazioni, e la sanità lo favoriva, in sulla sera, nell'ora della ricreazione, egli compariva nel cortile, e all'istante centinaia di giovanetti correvano a lui che sedutosi li intratteneva con fatti edificanti. Sovente prendeva a narrare aneddoti della sua giovinezza. Allora da più d'uno gli si movea l'interrogazione: - Ci racconti quando morì il suo povero papà. - D. Bosco allora: “Io non toccava ancora i due anni quando mi morì il padre, e non mi sovvengo più della sua fisionomia. Non so che ne sia stato di me in quella luttuosa occorrenza; soltanto mi ricordo, ed è il primo fatto della vita di cui tengo memoria, che mia madre mi disse: - Eccoti senza padre! - Tutti uscivano dalla camera del defunto ed io voleva assolutamente rimanere. Mia madre, che aveva tolto un recipiente, nel quale stavano delle uova nella crusca: - Vieni, Giovanni, vieni meco - ripeteva dolorosamente. - Se non viene papà, non ci voglio venire anch’io - risposi. – Povero figlio, ripigliò mia madre, vieni meco; tu non hai più padre! - Ciò detto ruppe in forte pianto, mi prese per mano e mi trasse altrove, mentre io piangeva perch'ella piangeva; giacchè in quell'età non poteva certamente comprendere quanto grande infortunio fosse la perdita del padre. Però mi ricordai sempre di quelle parole: - Eccoti senza padre! - Parimenti mi sovvengo di quello che si fece in casa in quell'occasione con mio fratello Antonio, che smaniava pel dolore. Dopo quel giorno fino all'età di quattro ovvero cinque anni non mi sovvengo più di cosa alcuna. Da quest'età in poi mi ricordo di tutto ciò che faceva”.
 
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