Udienze - Morto D. Cafasso cresce a dismisura l'affluenza a D. Bosco d'ogni classe di persone - Stima che si ha dei suoi consigli - La stanza di D. Bosco - Modi coi quali egli accoglie e intrattiene i visitatori - piacevolezza della sua conversazione - Sua franchezza caritatevole co' sacerdoti - Sua prudenza nel trattare di affari - Giustezza delle sue decisioni anche contrarie alle viste umane - Come si regolasse colle persone ciarliere od ignoranti: con quelle che domandavano soccorsi: coi nemici: coi bisognosi di consolazione: cogli insolenti e superbi - Non può soffrire chi bestemmia - Sua cortesia nel congedare i visitatori - Ammirazione per lui di quelli che lo avvicinano.
del 01 dicembre 2006
Procedemmo nelle nostre Memorie biografiche del Venerabile Servo di Dio, siamo sbalorditi nell'osser­vare la sua eroica e continua attività intellettuale e fisica. Abbiamo già parlato di molte sue virtù e fatiche, ma della sua carità nel dare udienze, finora ci siamo contentati appena di fare qualche cenno. Incominciarono queste fin dal principio, cioè nel - 1846, e crebbero poco a poco, sicchè D. Bosco nel 1857 o 1858 poteva ancora uscir di casa al mattino verso le 10 e mezzo o le undici. Ma nel 1860 divennero cosi affollate, che fu costretto a rimanere in camera tutta la mattina dalle 9 fino quasi alla una pomeridiana; e tale fu il suo costume finchè venne il giorno della sua ultima infermità.
Alla morte di D. Cafasso, egli, quale crede del suo spirito, era divenuto uno dei principali fattori di quella unione soda e compatta di aristocrazia e borghesia, che attenendosi senz'altro ai dettami della Chiesa e ai buoni principii, tanto influì sul resto della cittadinanza. Si può dire che quanto vi era in Torino di buono, di scelto, di emergente nelle varie e singole classi sociali, tutto metteva capo a D. Bosco per comune consenso e attraimento degli animi; ed egli, divenutone come il capitano, sapeva tutti infiammare e dirigere ovunque fosse del bene da farsi.
Mons. Cagliero racconta ciò che tutti noi abbiamo osservato. “ Durante la mia lunga dimora nell'Oratorio vidi sempre un concorso d'innumerevoli persone, che venivano a visitarlo, tratte dalla persuasione che avevano delle sue rare virtù, dei suoi lumi straordinarii e della sua santità. Venivano a chiedergli il soccorso delle sue preghiere, a ricevere una benedizione, ad esporre la miseria di giovanetti, ad ottenere qualche raccomandazione, a combinare intorno a buone opere da compiere, a trovare il mezzo per rimediare a qualche male, a portargli offerte per la sua istituzione, e non di raro anche solo per vederlo e parlargli.
” E queste persone non erano solo del volgo: erano magistrati, autorità dello Stato e Ministri; erano dotti ecclesiastici, Rettori di Seminarii, Vescovi, Arcivescovi, Cardinali dall'Italia, dall'estero. I principi e i plebei, i ricchi ed i poveri, gli amici e gli estranei, i dotti e gli ignoranti, i buoni e i cattivi, tutti cercavano in lui un consigliere, un consolatore un padre, un amico. Parroci e semplici sacerdoti accorrevano a lui per aver norme nella direzione delle anime; e anche tanti alunni del Convitto di S. Francesco d'Assisi, finito il loro corso di morale, solevano recarsi da D. Bosco, prima di andare ai luoghi ove erano destinati, per sollecitare la sua benedizione ”.
I Superiori di ordini religiosi, i Direttori di monasteri,  frati, suore di ogni specie e colore venivano a consultarlo. D. Giacomo Bosco suo compagno in Seminario, e che fu per ben trent'anni e più padre spirituale delle suore di S. Giuseppe, molto stimato in Diocesi per le sue virtù sacerdotali, lo aveva in conto di gran santo. Molte volte fu udito a dire alle sue religiose, le quali lo richiedevano di un consiglio: - Vadano da D. Bosco, il santo; quello saprà indirizzarle; io sono solamente un bosc d' pouciou! - Colle quali parole piemontesi, l'umile sacerdote voleva indicare una specie di legno di niun conto, che trovasi nelle siepi detto nespolo.
Villa Giovanni testificò: “ Tanto era il numero delle persone, le quali venivano quotidianamente da lui, che noi giovani eravamo edificati da tanta sua carità e spirito di sacrifizio ”.
Verso le 8 ½  D. Bosco dalla Chiesa saliva in camera. L'antica sua stanza serviva d'anticamera; e da questa si passava in una seconda di eguale grandezza con una finestra a mezzogiorno, l'altra a levante, un povero letticciuolo in un angolo e povere suppellettili.
Il segretario prendeva le debite annotazioni, affinchè si osservasse la precedenza d'entrata e un visitatore non usurpasse il luogo di un altro.
D. Bosco, sempre franco e leale, benchè non adulasse mai alcuno, nè cercasse per sè le lodi degli uomini, accoglieva ogni visitatore con gran rispetto, come se tutti fossero grandi signori, ed egli avesse bisogno di tutti: non faceva distinzione tra un ricco che avevagli portata una generosa offerta od una povera vedova o una contadinella che gli porgeva pochi soldi, frutto di sacrifizii. Nelle sue parole poi vi era una grande umiltà, accompagnata da modi così, dolci e soavi, che lo rendevano prezioso al cospetto degli angeli e degli uomini. Egli s'interessava di quanto gli veniva esposto e pareva che non avesse in quel momento altro pensiero. Ascoltava con molta attenzione senza mai interrompere; se qualcuno gli troncava il discorso, egli si fermava all'istante. Finchè l'altro non avesse cessato di parlare stava silenzioso; e solo quando aveva finito egli tosto riprendeva il filo del proprio discorso con una presenza di spirito ammirabile.
“ In quella stanza, scrisse l'avv. Carlo Bianchetti, vi aleggiava una pace di paradiso. Dire non saprei se noi fossimo fiori, le cui corolle si aprissero a ricevere la consolazione, oppure si chiudessero per non lasciar sfuggire l'alito celestiale, che istantaneo discendeva nel calice dell'anima. Sedeva egli innanzi ad un modesto cancello con cassetti e piccoli tiratoi. Fasci di lettere e carte stavano affastellati innanzi a lui, e talora ad accrescere il cumolo entrava il postino. Di tutto questo però D. Bosco non davasi gran pensiero. Metteva là le carte; egli era d'avviso che anche le piccole cose si debbono fare adagio e bene e che per ciò non occorrono distrazioni. D. Bosco pareva l'uomo che nulla o ben poco avesse da fare.
” Trattava con ognuno come se in quel mattino non avesse avuto altri da udire e da contentare. Egli, con S. Francesco di Sales, teneva per massima che la fretta suol guastare tutte le opere; e non era mai il primo a finire il colloquio; non dimostrava mai voglia di abbreviarlo; anzi talora volendosene andare il suo interlocutore, temendo di essere importuno, D. Bosco lo invitava amorevolmente a starsene ancora un poco. Talvolta il cortese visitatore osservava che molti erano in anticamera che attendevano per entrare. - Abbiano pazienza, rispondeva D. Bosco: io sono come quel barbiere il quale alla gente che sopravviene dice: - Attenda, attenda! È presto fatto! Un piccolo momento! - Ma poi fa il suo dovere colla massima comodità, come se nessuno aspettasse. Caspita, soggiungeva egli, chi paga ha diritto di essere servito e sarebbe bella che il parrucchiere, per fare troppo presto la barba, la facesse male; e peggio se nella fretta trinciasse a destra e a sinistra. - La semplicità in lui andava congiunta ad un alto sentimento del dovere e protraeva la conversazione finchè l'argomento non fosse, convenientemente esaurito.
” La sua conversazione era piacevolissima. Intrecciava volentieri la barzelletta ed il fatterello. E l'arguzia giungeva sempre a proposito; e, perchè producesse il suo effetto, soleva dire che quei fatterelli erano occorsi a lui o che li aveva appresi da D. Cafasso, oppure dal Teologo Guala o dal Teologo Borel o da questi o da quegli. Il fatterello e l'esempio era bensì il modo di cui servivasi per fare impressione più viva e profonda, ma ciò che più importava si era che calzavano a pennello. Sapeva trattare con grazia, sicchè nessuno potè mai redarguirlo di essere stato meno che delicato e prudente. - Persino i cavadenti, diceva, devono usare belle maniere; in caso diverso povera clientela! - Vi era in Don Bosco una caratteristica rispettosa, bonaria, affettuosa, la quale però non impediva che egli sapesse cavare il dente, o pescasse qualche pesce grosso. - Pescatori, ladri e tiraborse, diceva spesso celiando, sono una cosa sola; ma tutto passa e può passare quando si tratta delle anime. -
” E come riusciva in queste pesche miracolose! Non è agevole immaginare la forza delle sue espressioni, che egli sapeva applicare con accorgimento eccezionale e con intuito meraviglioso. Era Iddio che parlava per lui? Era l'esperienza che gli suggeriva un buon pensiero per ciascuno? Il vero si è che sgranando lemme lemme, una parola dopo l'altra, sciorinava lì un pensiero da santo Padre, detto alla buona, ma ponderatamente e senza ostentazione. Era un motto sulla necessità di buone confessioni, sulla divozione a Maria Santissima, sul paradiso, e cosi pieno d'amor di Dio, che parecchi dissero essere loro accaduto come avvenne ai visitatori di santi; cioè che nel partirsi da lui ognuno si sentiva
migliore, fosse figlio del popolo, o persona costituita in dignità; secolare od anche ecclesiastico ”.
A questo ceto infatti di persone soleva indirizzare qualche parola, che riguardava lo spirito sacerdotale e la santificazione delle anime, o la pratica della meditazione, della lettura spirituale tutti i giorni, della visita giornaliera al SS. Sacramento, dell'assiduità al confessionale, dello zelo sul pulpito. “ Queste interrogazioni, attestò il Teol. Reviglio, le faceva specialmente ai Parroci e agli altri sacerdoti da lui avviati alla carriera ecclesiastica; come posso dichiarare di aver egli fatto verso di me stesso, dandomi egli in pari tempo norme onde io disimpegnassi santamente il mio ministero ”.
Sovente invitava un ecclesiastico a promuovere il decoro della casa di Dio, la difesa della religione, la diffusione della buona stampa, le vocazioni ecclesiastiche e religiose, il progresso delle missioni tra i popoli infedeli, l'erezione di nuove chiese.
 - Lei che ha molto ingegno e scienza, diceva a taluno, mi aiuti adunque a preparare un opuscolo su questa o quell'altra materia.
Ad un prete ricco, influente e generoso ripeteva: - Mi aiuti a salvare anime! - Non chiedeva però elemosine, ma disponeva gli animi a favorire i suoi giovanetti, accennando alle loro necessità.
E a qualche altro sacerdote: - Ho bisogno di un predicatore o di un confessore per i giovani degli Oratorii! Calcolo su di lei; mi aiuti!
All'occasione non mancava di fare un rimprovero. Venne un giorno a trovarlo da lontano paese un religioso, il quale temendo forse o l'incomodo, o le burle di qualcuno, aveva deposto il suo abito ed erasi vestito da borghese. In tal guisa a lui si presentò salutandolo, cortesemente. D. Bosco lo riconobbe, ma finse di non sapere chi fosse. L'altro meravigliato e con modo insistente provava come bene si conoscessero. D. Bosco finalmente gli rispose: - Ma possibile! Ella con questo abito? Vada, vada per i suoi affari che io non ho tempo da perdere con lei.
 - Ma senta! lo temeva di espormi ad insulti; siamo in tempi in cui i religiosi sono così poco rispettati.
 - Mi lasci in pace; ho altra gente che mi attende. Se vuole che io le dia udienza vada a prendere le sue divise. - Allora quegli vedendo D, Bosco così risoluto, gli domandò perdono, promettendogli che non avrebbe mai più fatto una tale mancanza collo smettere l'abito religioso. Ed allora ebbe udienza.
Le sue udienze però non erano semplici conversazioni. Richiesto su qualche affare, non rispondeva immediatamente, ma prima interrogava sulle varie circostanze dell'argomento propostogli. Quindi egli era solito alzare gli occhi al Cielo, come chi va cercando da Dio i lumi necessarii. Più volte egli continuava a discorrere di cose meno importanti, mentre colla sua mente esaminava in tutti i suoi lati la questione, e poi, ritornando al punto principale, dava l'avviso che più sembravagli acconcio alla gloria di Dio e al bene delle anime.
Talvolta però trattandosi di dubbi i più intricati, non fidavasi interamente di sè e riservavasi a dare la risposta dopo qualche giorno, raccomandando a chi ne era interessato di aiutarlo colla preghiera. Nel frattempo consultava autori, oppure ricorreva a uomini competenti nella materia; indirizzava anche i suoi visitatori all'uno o all'altro di questi, e non di rado all'esimio moralista il Teol. Bertagna, perchè a quei sapienti esponessero i loro dubbi. Ma il suo parere difficilmente veniva riformato.
Talora per questioni che riguardavano anche le leggi civili, mandava D. Rua ad interrogare dotti avvocati, eziandio ecclesiastici. Questi, testimonio continuo di quanto faceva D. Bosco, ci assicurò per iscritto. “ Con tal sistema D. Bosco riuscì a distrigare gli affari più complicati, ed io non potrei numerare la quantità di persone, che mi dissero di essere state consolate, sollevate nelle loro afflizioni, soccorse nelle loro difficoltà ed imbarazzi dall'esimia prudenza di lui.
” Sovente però senza ambagi e subito parlava come persona che manifestasse i voleri divini. I suoi consigli sebbene sembrassero talora contrarii alle viste umane, tuttavia accolti e praticati riuscivano a mettere in pace le coscienze, terminavano disgustosi litigi, portavano la concordia nelle famiglie, indirizzavano sopra la retta via persone incerte della loro vocazione. Al contrario ne ho veduti altri che non volendo accogliere le sue decisioni, ebbero a soffrirne in seguito gravi conseguenze. Essi stessi mi confessarono di avere errato, e che la cosa sarebbe riuscita in quella vece felicemente, se avessero fatto come appunto aveva loro suggerito D. Bosco. Tuttavia la massima parte della gente, sicura di ascoltare da lui una parola sincera, riceveva le sue decisioni come oracoli ”.
Venne all'Oratorio una signora affatto sconosciuta per parlare a D. Bosco: stette sull'uscio di sua camera circa due ore e più, aspettandolo. Quando potè parlargli gli narrò le sue pene ed i suoi sgomenti, domandando se poteva stare tranquilla innanzi a Dio. D. Bosco le rispose che andasse pure e senza nulla temere. Quella signora però non sembrava soddisfatta, ma D. Bosco le soggiunse: - Vuole fare la volontà di Dio o la sua propria?
La signora rispose: - Mille volte la volontà di Dio!
 - Ebbene faccia come le ho detto e stia tranquilla.
Essa allora lo ringraziò e partendo diceva: - Ora sono contenta - Fatti simili a questo ne avvenivano tutti i giorni.
Ma non tutte le visite erano importanti e spiccie, tuttavia D. Bosco non si lagnava mai del fastidio che non di rado gli recavano molte persone, ignoranti, ciarliere, ineducate e talora eccessivamente insistenti, che di nulla si mostravano appagate; e non rimandava mai alcuno da sè per noioso ed importuno che fosse. Fu udito ripetere quattro o cinque volte
la stessa cosa a chi non la comprendeva, e dirgliela l'ultima volta con tanta tranquillità come la prima. Similmente trattava quelli che andavano a disturbarlo senza motivo, o per chiedere la sua opinione intorno a cose di nessun valore e stravaganti. Ora una madre gli parlava delle sciocche valentie di un suo bambino, un infermo ripetevagli la narrazione circostanziata della sua malattia, un convenuto in giudizio narravagli le particolarità di una sua lite. E D. Bosco non solo ascoltava, ma interrogava, chiedeva spiegazioni, dando ansa a chi desiderava prolungare il suo ragionamento. Così mostrava interessarsi a quanto gli dicevano, come se fosse cosa sua e trovava sempre una parola di lode e di stima per ogni persona. Sapeva però bellamente volgere i discorsi inutili e frivoli in altri riguardanti l'anima e così si serviva della loro importunità per ricavarne gran bene. I suoi consigli portavano sempre buoni frutti; ogni parola era una sentenza che rimaneva impressa, nel che riusciva spontaneo e grazioso. Si può dire che avesse l'arte di convertire in oro di amor di Dio tutto quello che egli diceva e che udiva dagli altri. Basti il fatto seguente.
Vennero due uomini a domandargli che loro desse alcuni numeri per giocare al lotto, persuasi che li avrebbe dati buoni. Egli con varii ragionamenti cercò distrarli, ma essi impazientiti, perchè si andava per le lunghe, lo interruppero:
 - Ma non è questo che vogliamo! Vogliamo che ci dica quali numeri dobbiamo giuocare per vincere.
Allora egli: - Mettete questi tre numeri: il 5, il 10, il 14.
Contenti lo ringraziarono e volevano tosto partire, ma D. Bosco disse loro: - Aspettate che vi dia la spiegazione.
 - Eh! Non fa di bisogno, in questo, di nessuna spiegazione.
 - Eppure se non vi do la spiegazione non saprete giuocare.
 - Sentiamola adunque.
 - Eccola: il numero 5 sono i cinque comandamenti della Santa Chiesa: il numero 10 sono i dieci comandamenti di Dio; il numero 14 sono le quattordici opere di misericordia. Giuocate questi numeri e vi guadagnerete un tesoro infinito.
In altra occasione diede il 4 e il 2, spiegandoli coi quattro novissimi e coi due sacramenti Confessione e Comunione. Molte altre volte uscì in ischerzi somiglianti.
Da notarsi ancora che la massima parte delle persone venivano non per dare ma per ricevere, ed erano tali che Don Bosco non avrebbe potuto sperare nulla da loro. Ed egli quando poteva dava qualche­ soccorso. Narrano le cronache:
“ Un giorno D. Bosco essendo attorniato da alcuni chierici, ci raccontò questo fatto a lui stesso accaduto: - Venne a trovarmi un ardente democratico, il quale, trovandosi in gravi angustie, mi pregò di dargli una piccola somma di tre franchi almeno, per andarsi a comperare una camicia, essendo sucida quella che indossava e mi assicurò che sarebbe fra breve passato a rimunerarmi. Tastai la mia borsa ma era quasi vuota. Volsi gli occhi vicino al letto e vidi una camicia bella e pulita che era stata da Rossi preparata per me e che io per dimenticanza non mi ero cangiata i - Ecco, gli dissi: aurum et argentum non est mihi, quod autem habeo tibi do.
” Mi guardò con aria di stupore e mi disse: - Ma, e lei?
Non si crucci di questo, gli risposi: la Provvidenza che provvede a lei quest'oggi, saprà bene provvedere a me domani!
” A tale atto rimase così commosso che sciolto in lagrime, si gettò a miei piedi, esclamando: - Oh! quanto bene non può mai fare un prete!
” Dopo averci ciò raccontato, soggiunse: - Badate: quegli divenne poi un grande amico dei preti. È in questo modo che dobbiamo guadagnarci i cuori degli uomini.
Con quelli poi che aveangli recato del male, venendo essi a chiedere qualche aiuto, sempre era pronto a fare del bene, perchè delle offese che toccavano la sua persona non ne faceva caso e le obliava con sacrifizio ammirabile, come attestarono Mons. Cagliero e Mons. Bertagna. Anzi, se qualcuno troppo zelante vedendo entrare in anticamera una di tali persone, avesse creduto bene di avvertirnelo, ricordando le offese, egli aveva una santa destrezza nello sviare il discorso, dicendo del colpevole tutto il bene che egli conosceva.
Richiesto di cose che non poteva concedere uscivano dalla sua bocca risposte negative, ma piene di tanta carità e cortesia da capacitare il richiedente in guisa che molti dicevano: Pare che D. Bosco non sappia dire di no. - Ed assicuravano di preferire un no da D. Bosco che un sì da altri. E molti esclamavano: - Come tratta bene D. Bosco! - E ciascuno ne rimaneva soddisfatto e partiva pieno di ammirazione.
Non potendo egli suggerire un rimedio immediato a disgrazie, a sfortune, a persecuzioni, o discordie, consolava e leniva i dolori. Più volte D. Berto Gioachino l'udì ripetere: - il Signore è un buon padre e non permetterà mai che siamo afflitti sopra le nostre forze. - Se i dolenti ricordavano le opere buone che avevano fatte e loro sembrava che Dio le avesse dimenticate, D. Bosco esclamava: - Dio nulla dimentica. Pagherà poi tutto abbondantemente in paradiso. - Altre volte diceva a chi non era corrisposto nelle sue fatiche e premure dai famigliari e dipendenti: - Rammentatevi che il Signore paga non secundum fructum, sed secundum laborem. È  miglior pagatore di quello che lo siano gli uomini!
La sua pazienza nell'ascoltare le miserie del prossimo non aveva limite e perciò dava animo a tutti di ritornare a lui qualunque volta avessero bisogno di sollievo. Era questa una missione delle più importanti nella quale D. Bosco esercitava tutte le opere di misericordia spirituale, imperocchè insegnava agli ignoranti, ammoniva i peccatori, consolava gli afflitti, e pregava Dio e la Beata Vergine a benedire le anime e i corpi di coloro, che per mezzo suo ne invocavano l'aiuto ed il patrocinio.
Non tutti i suoi visitatori si presentavano a lui suppliche - voli o cortesi; ma taluni venivano per lagnarsi anche aspramente di qualche preteso torto ricevuto da lui o dai suoi e talvolta osavano insultarlo o minacciarlo. Senonchè D. Bosco li trattava con tanta mansuetudine che finivano sempre per andarsene non solo riconciliati, ma suoi amici.
Altri pieni di se stessi, facilmente irritabili, persuasi di meritarsi ogni riguardo, si degnavano di esporgli il loro progetto per lo scioglimento di qualche, negozio, chiedendo il suo parere. E D. Bosco non urtava mai nei loro sentimenti altezzosi, ma in bel modo esponeva la convenienza di un suo, espediente che suggeriva, rimettendosi però alla saggezza di chi lo aveva interrogato.
Talvolta per opinioni contrarie sull'equità di un principio o di un fatto, qualcuno rendevasi molesto colla sua insolenza e D. Bosco interrogato poi, perchè si fosse mostrato così lunganime con que' impronti, più volte egli rispose: Costoro bisogna trattarli da ammalati.
In un sol caso egli riusciva difficilmente a contenersi, quando cioè si trattava dell'onore di Dio. In fatti il 21 febbraio 1863, egli raccontava ai suoi alunni un fatto accadutogli due giorni prima. - Venne in mia camera un uomo, il, quale, non potendo ottenere quello che voleva, si mise a bestemmiare in modo che faceva orrore. Io che lo aveva sino allora tollerato, a tali bestemmie più non potei trattenermi. Mi avvicinai alla stufa, presi le molle e afferrato per le vestimenta il bestemmiatore: - Parta tosto di qui, gridai, altrimenti le do una lezione!
 - Mi scusi, riprese quell'uomo, se ho usato qualche modo incivile.
                      - Nessuna scusa: non voglio un demonio tale in camera mia. Questo non è il modo di trattare Iddio; - e urtandolo lo misi fuori. Quando io sento bestemmiare e specialmente quando si aggiunge al nome santo di Dio qualche epiteto indecoroso, oh! allora io mi lascio veramente smonta re, e se non fosse della grazia di Dio che mi trattiene, trascenderei a certi atti, dei quali forse mi dovrei poscia pentire.
Tolto questo unico e raro caso non permetteva che alcuno
partisse da lui sconsolato. Dopo che aveva data piena soddisfazione al suo interlocutore, secondo la sua cortese abitu­dine, lo accompagnava sino alla soglia. La sua affabilità e benignità traspariva così splendidamente dal suo contegno, che molti dopo avergli parlato anche solo per pochi istanti, oppure averlo solamente visto, confessavano che se avessero dovuto figurarsi la persona e la bontà del Divin Salvatore, si sarebbero, colla dovuta proporzione e riverenza, figurato il contegno di D. Bosco.
“ Una volta era venuto a visitarlo un ricchissimo negoziante senza fede, narrò D. Dalmazzo Francesco, ed unicamente per curiosità: lo vidi poi uscire tutto confuso e l'udii esclamare per tre o quattro volte di seguito: - Che uomo, che uomo è questo! - Ed interrogatolo io che cosa gli avesse detto D. Bosco, mi rispose che aveva udite tante belle cose, che dagli altri preti non si sentono; e che poi l'aveva congedato con queste parole: - Guardiamo che un giorno lei coi suoi denari ed io colla mia povertà ci possiamo trovare in paradiso.
Soggiunse Bisio Giovanni: “ Per dare un'idea di quello che sapeva dire e fare D. Bosco, ricordo che accompagnai da lui un ebreo sui cinquant'anni, che mi aveva esternato il desiderio di conoscerlo. Quello che sia passato tra loro io non lo so, ma quell'ebreo uscendo dall'Oratorio mi disse, che se in ogni città ci fosse stato un D. Bosco, tutto il mondo si sarebbe convertito. Seppi ancora dal parroco del mio paese che un Rabbino d'Alessandria gli disse: - Fui già due volte a trovare D. Bosco, e non ci vado più la terza volta, perchè mi troverei costretto a restare con lui! - Tanto erano efficaci le belle ed insinuanti parole che sapeva dire a quelli che lo avvicinavano. - Ciò spiega anche come i giovani gli fossero affezionati e come sapesse renderli buoni ”.
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