Capitolo 34

Scoppio della polveriera - Eroismo del Sergente Sacchi - Il cappello di D. Bosco - Visibile protezione di Maria Fatti diversi - Una colomba - Una trave infuocata - Il giovanetto Gabriele Fassio - Il Pater ed Ave a San Luigi -Guasti nell'Oratorio - Valdocco, luogo di rifugio - Sovvenzioni - Un'immagine commemorativa - D. Bosco e la Piccola Casa della Divina Provvidenza.

Capitolo 34

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

L'anno 1852 una terribile sventura, come fulmine a ciel sereno, piombava sopra la città di Torino, la quale poco mancò che non divenisse un cumulo di rovine e la tomba de' suoi abitanti.

In mezzo al Borgo Dora, presso al cimitero di S. Pietro in Vincoli, sorgevano una fabbrica e tre magazzini da polvere. Talora vi stavano raccolti più migliaia di chilogrammi di polvere da mina e da caccia; e quindi il detto Borgo e la città intiera avevano nel loro seno un pericolo formidabile.

Or bene, erano le undici e tre quarti antimeridiane del 26 aprile, quando per causa della imperfezione di una macchina si eccita una scintilla in un laboratorio. In men che non si dice, il fuoco si appicca a due granitoi laterali, passa ai frulloni, indi alla polvere distesa all'aperto. L'incendio di quest'ultima mette il fuoco prima ad un piccolo magazzino di polvere da caccia, e poscia ad un altro di polvere da mina, che, a breve istante l'uno dell'altro, scoppiano con un rombo tremendo, udito a quindici miglia all'intorno, facendo traballare la città, sgangherando usci e, porte, e non lasciando alle finestre chiuse un vetro intatto. La grossa fabbrica di polvere salta in aria, le case vicine si rovesciano, due file di annosi gelsi sono troncati a mezzo come tenere pianticelle; pietre, chiodi, spranghe di ferro, travi infuocate volano per aria, e piombano sui palazzi, nelle vie e nelle piazze, come proiettili d'immensa bomba, minacciando strage e morte; a 400 metri di distanza cadono sassi di 10, 15 e 20 miriagrammi l'uno; gli uomini addetti alla polveriera, o colpiti a morte, o bruciati, o sepolti, schiacciati sotto le macerie, sono ventuno; i feriti trentacinque. Intanto una densa nuvola di fumo come un funereo manto si stende sopra tutta Torino, le toglie la vista del sole e la riempie di terrore; pare giunto il finimondo. Chi grida, chi piange, chi fugge senza saper dove, perchè dai più s'ignora da principio il luogo e la causa del disastro. Corsane a poco a poco la voce, molti dall'interno della città volgono i passi verso la polveriera; ma giunti nelle sue vicinanze ne vengono trascinati indietro dalla calca fuggitiva delle vicine contrade, che annunzia imminenti peggiori disastri. Varii per altro dei più coraggiosi insieme coi soldati e colle guardie nazionali, il sindaco Bellono colle civili autorità e la stessa reale Maestà di Vittorio Emanuele col Duca di Genova e coi Ministri, si portano sul luogo della desolazione; tra questi vi fu anche il nostro D. Bosco.

Nel momento del primo scoppio trovavasi egli nella sala dell'esposizione degli oggetti dell'anzidetta lotteria. Al fragore, che aveva scosso tutti gli edifizi, egli era disceso nella pubblica via, per sapere che fosse avvenuto. In quell'istante si fa sentire il secondo scroscio, ed un momento dopo un sacco di avena dall'alto gli cade accanto, poco mancando che lo schiacciasse. Non tardò ad argomentare che aveva preso fuoco la polveriera, distante dall'Oratorio poco più di 500 metri. Si dirige tosto a casa, nel timore che fosse accaduto qualche sinistro; ma la trova vuota, chè tutti sani e salvi erano fuggiti nei vicini campi e prati. Allora, senza mettere tempo in mezzo, e senza badare al pericolo, egli vola sul luogo del disastro, a fine di recare a qualche infelice il soccorso del sacro ministero. Per via s'imbatte nella madre, che tenta d'intrattenerlo, ma indarno. Sopraggiunge Carlo Tomatis, e D. Bosco gli ordina: - Torna indietro, va' in cerca delle monache che sono fuggite qua e là per le piazze e per le vie dai loro monasteri e conducile tutte in Piazza Paesana. Là vi è un omnibus che le trasporterà a Moncalieri dalla Marchesa Barolo. - Tomatis corse ed eseguì il comando ricevuto, non sapendo intendere come D. Bosco senza preavviso conoscesse le disposizioni prese in quel frangente dalla Marchesa. D. Bosco intanto arrivato sul luogo, potè  a stento farsi strada tra le immense ruine. Quale straziante spettacolo! Pezzi di cadaveri, gambe e braccia sparsi qua e colà! Voci dolenti che ancora uscivano dalle fumanti macerie! E, quello che era più spaventoso, l'imminenza di un terzo scoppio, che avrebbe fatto macello di tutti i vicini, e dei più lontani ancora. Imperocchè i due magazzini, che avevano preso fuoco e menata sì orrenda strage e rovina, non contenevano che pochi miriagrammi di polvere; ma a pochi metri da quelli un terzo ancor se ne trovava col tetto divelto, con gli edifizi circostanti tutti in fiamme riempienti l'aria di scintille, e che di polvere ne conteneva ben quarantamila chilogrammi! Era un terribile vulcano, che, se prendeva fuoco, forse non solo il Borgo Dora, ma buona parte di Torino sarebbe crollata da capo a fondo; e tal pericolo era imminente. Or chi salverà Torino? La salverà Maria per mezzo di un suo divoto, il cui nome è ben giusto che da noi sia pure tramandato alla più tarda posterità.

E questi il sergente foriere Paolo Sacchi da Voghera, capo degli operai addetti alla fabbrica, scampato come per miracolo dall'orribile strage. Per ben due volte dalla violenza degli scoppi egli è stramazzato a terra siccome morto; si alza nondimeno, invocando Maria SS., e colle membra peste, colla faccia, colla testa e colle mani abbrustolite, mettendo sangue persino dalle orecchie rintronate e sconvolte, in mezzo ad una confusione indescrivibile, tra il macello de' suoi operai, tra i pianti e le grida di disperazione, egli mostra una perspicacia e spiega tale un coraggio, che è superiore ad ogni encomio. Vinti i ripetuti sbalordimenti che gli avevano cagionato gli orrendi scrosci, egli si avvede che è ancor salvo il terzo magazzino, ma che il fuoco già si è appiccato ad una coperta che vi si trovava. A questo pericolo di vicina morte egli non fugge, no, ma sentendosi spinto come da una forza superiore, corre, entra anelante, rimuove la coperta a tempo, la strascina fuori e rimane sul luogo impavido chiamando aiuto. Dal suo eroismo animati accorrono ben tosto alcuni cittadini; si aggiungono indi soldati e pompieri, e si stabilisce un pronto servizio; gli uni attendono a spegnere il fuoco, che si manifesta qua e là; gli altri trasportano dal gran magazzino gli 800 barili di polvere, che vi conteneva. Anche il Conte Cays era là, consigliando, aiutando, trasportando feriti. Il Sacchi intanto si affrettava a coprire i barili colle coperte di lana impregnate d'acqua. Questi lavori, nella generale trepidazione degli animi, durarono sino alle ore quattro pom. e furono compiuti felicemente. Così in quel giorno di angoscia Torino andò salva per l'intervento di Maria, e per l'eroismo di un uomo,, che in quell'orribile frangente a Lei si rivolse per consiglio e conforto, e che fino a che sopravvisse tu avresti veduto ogni sabato prostrato dinanzi all'altare della Vergine Consolatrice a sciogliere un voto di ringraziamento, per averlo non solamente salvato, ma reso salvatore de' suoi fratelli. Quest'uomo semplice ed onesto, che tra mezzo a singolarissime vicende della sua vita giovanile, sembra essere stato riserbato e preparato da Dio alla nobile missione di salvare Torino, ricevette nei primi giorni da tutti gli ordini della cittadinanza lusinghiere dimostrazioni di stima e di onore; ma non tardò ad essere pure abbeverato del fiele della ingratitudine. Presso a taluni egli ebbe il torto di aver attribuito pubblicamente il proprio eroismo alla Vergine benedetta. Egli infatti ripeteva: - No, io non sono il salvatore di Torino. Chi l'ha salvata è la Vergine Consolatrice. - Per questo fu subito oggetto di sarcasmi, di dileggio e di calunnie per parte di coloro, cui il nome di Dio e dell'Augusta sua Madre suona male all'orecchio. I giornali illustrati lo trattarono da ipocrita e baciapile. Ebbe per altro dal Governo la medaglia d'oro, conferitagli in piazza d'arme; dalla Guardia Nazionale una corona d'argento; e dal Consiglio Comunale gli onori di Cittadinanza Torinese, una via che porta il suo nome, ed un'annua pensione vitalizia di L. 1200. Ma nè  lodi, nè  beffe, nè  onorificenze, nè  insulti fecero cambiar sentimento a Paolo Sacchi, non alterarono in lui la sua profonda divozione verso la Madonna, e tale si mantenne fino al 24 maggio 1884, festa di Maria Ausiliatrice, ultimo giorno di sua vita. Col grado di capitano erasi recato tutti i giorni con altro capitano nativo di S. Giorgio Canavese suo amico, ad adorare per lunghe ore nella Chiesa delle Sacramentine. Avendo l'Arcivescovo Gastaldi proibito a chi indossava veste secolaresca di servire nelle sacre funzioni, egli, col suo compagno, per vestire l'abito talare si fecero radere i baffi. Per vecchi militari era non lieve sacrificio.

In quanto al nostro D. Bosco, egli ebbe la consolazione di impartire ancora l'assoluzione ad un povero operaio, che, estratto di sotto alle rovine, mutilato di una coscia e straziato in tutto il corpo, dava gli ultimi aneliti. Se poi non gli fu permesso di prestare la mano nel difficile lavoro materiale, fece nondimeno un buon servizio il suo cappello. Nel cuor del pericolo si aveva urgente bisogno di portare acqua, per impedire che il fuoco si appiccasse alle coperte, stese sopra i barili di polvere. Non avendo alcun recipiente, il Sacchi diè  di piglio al cappello di D. Bosco, e di quello si servì alla meglio, finchè non giunsero le secchie e le pompe. “Ultimamente ancora, scrisse D. Bonetti Giovanni, nel 1877 il prode foriere mi parlava di questo episodio con sua e mia grande soddisfazione”

Invero fu ed è generale la persuasione che ad una speciale protezione del Cielo sia dovuta la salvezza di Torino da ulteriori disastri. I primi a provare gli effetti del celeste intervento furono i ricoverati della Piccola Casa della Divina Provvidenza, detta il Cottolengo. Il pio Istituto sorgeva a poca distanza dalla polveriera, ed alcuni suoi edifizi non ne erano discosti che da ottanta a cento metri. Quindi nella terribile esplosione rovinano tetti, pareti e soffitti; mobili, guardarobe e cassettoni vanno a soqquadro; attrezzi di ogni genere sono gettati qua e colà con orrendo fracasso; sono schiantati usci e porte dai loro cardini; piovono poi da ogni parte travi, pezzi di legno e di ferro, pietre, mattoni e rottami di ogni fatta. Or bene, in mezzo a tanto rovinío, in mezzo ad una grandine di micidiali proiettili, in mezzo a tanti pericoli della vita, non una delle mille e trecento persone dell'Istituto ne fu colpita. Eranvi dei malati, eranvi dei ciechi, degli storpi, dei folli, dei bimbi, e niuno ne riportò neppure la menoma contusione o scalfittura. Molti si videro come passare sotto gli occhi la morte; si videro a balenare sul capo la sua terribile falce; ma non ne furono tocchi. Sopra il letto ove giaceva l'infermo, staccavasi e rovinava gran tratto di soffitto, ma cadeva ai piedi od ai fianchi; altrove pericolava il muro, ma nel suo pendío stava come sospeso per aria, e dava tempo a rimuoverne il letto col suo malato; nelle camere dei bambini si rovesciava il tetto, cadevano moltissime tegole, ma neppur una sui letticciuoli e sopra le culle degli innocenti. L'infermeria delle figlie sceme od ebeti conteneva oltre venti letti, e da circa tre anni non era mai accaduto che fosse sgombra di malate, sopratutto prima del mezzogiorno. In quel mattino, quasi presentissero ciò che stava per avvenire, si erano alzate tutte, e raccolte nella stanza vicina. Intanto succede lo scoppio e lancia sopra quella infermeria un lungo e grosso troncone di trave, che sfonda il tetto e penetra in mezzo della camera, trascinando con sè  la maggior parte del soffitto, e schiacciando persino i letti di ferro; ma i letti erano vuoti.

Però i più consolanti e che dimostrano la visibile protezione di Maria sono i fatti inesplicabili, che riguardano le sue immagini. In tutte le stanze tu vedevi le guardarobe, gli armadi, gli usci medesimi strappati dal muro e rovesciati a terra per la violenza dello scoppio; ma appeso alla parete miravi sempre ancora il quadro della Vergine. Nell'infermeria detta di Santa Teresa, all'altezza di due metri, stavasi una statua di Maria dentro una campana di vetro; cadono entrambi sul pavimento, ma e campana e statua restano perfettamente intatte. Nel lungo dormitorio degli orfani tutte le finestre prospicienti la polveriera erano chiuse a mattoni. Succede il disastro: le singole murature si rovesciano, ad eccezione di due a cui erano pendenti due quadri di Maria. In un corridoio sotterraneo, che unisce una parte della casa coll'altra, all'altezza di oltre a tre metri, posava in apposita nicchia una statua in legno dell'augusta Regina del Cielo. Nell'istante dello scoppio, mentre tutto il muto all'intorno precipita a terra, la statua sembra che ne sia come lentamente discesa anzichè precipitata, poichè si trovò ritta sopra la sua base e attorniata dalle macerie. Pareva che fosse, come viva, discesa per confortare più da vicino coloro che, cercando scampo, transitavano per quell'andito gridando pietà. Nel privato Oratorio detto il Santuario, già molto caro al venerabile Cottolengo, stavano appesi al muro circa 300 quadri di varie dimensioni, col rispettivo vetro o cristallo, rappresentanti i santuari più celebri e miracolosi, che sorgono nel mondo ad onore della Madre di Gesù. Esso era situato dirimpetto alla polveriera, esposto quindi al primo impeto della violenta bufera e senza riparo. Or bene, scoppia da vicino il tremendo vulcano; nella camera dietro al Santuario, protetto dal muro, precipitano a terra grosse e pesanti guardarobe, rovina una parte del soffitto, si sfracella l'uscio, e la spranga di ferro che lo chiude s'attortiglia come corda o molle candela; e i quadri? I quadri del Santuario restano al loro posto coi rispettivi vetri intatti. Nella Chiesa della Comunità e nella Cappella del SS. Rosario stavasi la statua di Maria, chiusa nella sua nicchia. Alla distanza di sei metri si fende il grande arcone, che sostiene la cupola della Chiesa; l'organo che stava entro lo sfondo di una tribuna viene rovesciato a terra e portato in là d'alcuni passi; spalancasi il telaio coi larghi cristalli che chiudono la nicchia; ma la statua di Maria come Padrona e Regina si rimane immobile colla sua corona in capo, ed appena permette che le cada dall'orecchio uno de' suoi pendenti.

Sennonchè con un linguaggio ancor più eloquente dimostrò la potentissima Vergine la visibile sua protezione in quel giorno; ed è coi due fatti seguenti.

Nell'atrio d'ingresso del pio Istituto del Cottolengo, presso alle due porte che mettono nella via pubblica, vi stava, come sta pure oggidì, affisso ad un sottile tavolato di legno, un quadro di un metro d'altezza, in cui è effigiata da mano maestra la Vergine Consolatrice. Il quadro era, come ora, custodito da una lastra di vetro, circondato da fiori, da cuori d'argento e da altri vaghi ornamenti. Innanzi a quella immagine veneranda suolsi, da chi entra e da chi esce, recitare l'Ave Maria. L'atrio nella parte interna che introduce nel cortile sottostante trovavasi in faccia alla polveriera e senza alcun riparo tra mezzo. Quindi nello scoppio dei due magazzini tale ne fu la scossa prodotta, che si apersero con violenza persino le porte chiuse dell'Istituto; più diecimila lastre di vetro delle sue finestre furono mandate in minuzzoli insieme coi telai, sgangherati e travolti e fatti in pezzi; anzi in tutta la via Doragrossa ed in altre della città distanti oltre un chilometro non si vedeva più alle finestre un vetro intatto; furono lanciati nel mentovato atrio a nembi a nembi i proiettili di ogni genere: mattoni, sassi, ferro e legno, alte e pesanti guardarobe, che sorgono colà presso, sono rovesciate in un attimo; nella parte opposta, cioè dietro al quadro, l'uscio fortissimo di noce che mette sulla contrada, chiuso con grosso catenaccio di ferro, spalancasi in due parti spezzando il catenaccio medesimo; si rompe e sfracella l'angolo stesso del muro contro il quale stava appoggiato il quadro della Vergine; e questo? Mirabile a dirsi! Questo solo rimane immobile con tutti i suoi fregi e col suo vetro intiero! La bella immagine di Maria in amabile aspetto pareva che dicesse agli atterriti suoi figli: Ego sum, nolite timere: Sono qua io, vostra Madre; non vogliate temere, sarò vostro scudo, sarò vostra difesa. Un signore, che poche ore dopo dall'interno della città entrava in quell'atrio, al vedere ancora intatto il vetro dinanzi alla immagine di Maria, mentre nelle case neppur uno se ne vedeva e nelle vie si camminava sui vetri, si sentì scorrere un misterioso brivido per tutta la vita, e pieno il cuore d'immensa gioia pianse di consolazione come un fanciullo. A dire tutto, questo intreccio di fatti, per quanto siasi studiato di spiegarlo colle leggi della fisica, niuno vi potè  riuscire, e quindi fu ed è uopo scorgervi la mano di Dio onnipotente e la protezione della divina Madre, che mostrava con ciò di vegliare sulle sorti di Torino.

Ma un fatto che risplendette sopra ogni altro, e che fa toccar con mano il patrocinio di Maria Santissima in quel giorno di spavento, è quello che qui esporremo colle parole stesse del non mai abbastanza compianto Mons. Luigi Anglesio, in quel tempo già da dieci anni Superiore del portentoso Istituto del Cottolengo.

“Fra tutti i caseggiati (così egli scrive) che facevano come ala fiancheggiando da due parti la polveriera, il più vicino di tutti, ed alla distanza appena di 80 metri, era un umile casolare detto di Nazaret, di due piani, compreso il terreno. Conteneva al piano terreno oltre una ventina di scemi o cretini, nel piano superiore una trentina di poveri ragazzi cronici ed infermi dai quattro ai nove anni; siccome il solaio, così tutti i travi del tetto venivano a poggiare sopra un pilastro posto in mezzo della vasta camerata: sopra questo pilastro e il tetto erasi alzata un'altra colonna di terra cotta, appunto una di quelle che avevano servito ad uso di stufe; sopra questa colonna ergevasi una statua della Vergine Immacolata, alta oltre un metro, vuota nell'interno, di semplice scagliuola, con intorno al capo un'ampia corona di dodici stelle: avresti detto che stava proprio là per fare la sentinella e scudo alla Piccola Casa, anzi quasi per dar legge alla natura, al flagello e determinargli le vie, i confini. Scoppiano infatti i due magazzini della polvere a quella sì breve distanza e con quella lunga e dolorosa serie di conseguenze che sopra si sono accennate; una continuata tempesta di proiettili d'ogni genere e peso viene lanciata insieme all'indescrivibile bufera per ogni verso all'intorno e contro il caseggiato di Nazaret: la colonna porta l'impronta dei proiettili da cui viene percossa, ma la statua della Vergine, appena di un pollice smossa dalla sua base, sta illesa ed intatta con in capo la sua corona: e mentre prima era rivolta verso l'atrio della casa, ora si vede la sua faccia guardare la polveriera. Come adunque non riconoscerla, non salutarla e ringraziarla quale fedele custode ed amorosa difenditrice? Infatti il tetto sottostante venne tutto sconquassato ed in parte rovesciato sopra il soffitto, e questo, spezzate le travi, precipitò insieme alle tegole nella stanza ove stavansi raccolti i bimbi tutti, gli uni giacenti nel loro lettuccio o cuna, gli altri o seduti sui loro seggiolini od in piedi, avresti pensato chè forse nessuno o ben pochi avrebbero potuto scampare da tante rovine; e così infatti si persuadevano e temevano queglino tutti, che avevano visto o sentito la cosa; accorsero perciò sul luogo onde prestar soccorso a quelle innocenti creaturine in aiuto delle suore infermiere; ma, grazie alla vigile Madre, che dall'alto li contemplava, neppure uno sfuggì alle amorose sue cure; di quei ragazzini i più snelli, al primo scoppio, si gettarono fuori dell'uscio, gli altri tutti non presti alla fuga o giacenti nei loro lettucci per un modo o per l'altro, non si sa come, furono tutti protetti, trovati illesi ed incolumi. Tra essi uno si trovò che lo scoppio aveva rovesciato per terra insieme alla cuna, ma questa capovolta sul bimbo servì a coprirlo e difenderlo dalle tegole e dai rottami che lo avrebbero incolto. Era poi una scena al tutto commoventissima in mezzo a quelle grida e quei gemiti sentire quelle creaturine esclamare: Perdonateci, Maria SS., perdonateci, saremo poi bravi, saremo poi bravi” Fin qui la penna di Mons. Anglesio.

Or le accennate maraviglie, e sopratutto quella della debole colonna, parve un fatto così singolare e fuor dell'ordine di natura, che persino gli ebrei, tratti dalla curiosità a vederla, dissero quello essere un vero miracolo. Il giorno appresso un uomo di mala vita aggiravasi in quei dintorni e prorompeva in bestemmie contro Dio per causa di quel disastro; ma giunto in faccia a quella delicata statua, e vistala colà immobile con la sua leggiera corona in capo, ammutolì: la fissò per lunga pezza, e poi uscì in queste testuali parole: Qui ci debb'essere qualche diavolo! Naturalmente ciò non può stare. Noi compatiamo a quel miserabile e diciamo invece: Il diavolo avrebbe frantumato non solo le immagini della Vergine, ma rovesciato dal suo trono celestiale la Vergine stessa, se dato gli fosse. Quindi è fuor di dubbio, che quella fragile statua in quel sito, attorniata da tante rovine, fu un segno visibile della invisibile presenza di Maria, che da Madre amorosa vegliava sopra i figli suoi, vegliava sopra Torino, salvandola da un totale eccidio.

Nè  la Vergine Santissima si limitò a mostrare che vegliava sopra Torino coi fatti maravigliosi sopra accennati, poichè in varii altri luoghi pii, esposti ancor essi a gravi pericoli, diede ella prova non dubbia di sua materna sollecitudine. Nel Monastero delle Maddalene, distante dalla polveriera circa 400 metri, nell'Ospedaletto di Santa Filomena e nell'attiguo Conservatorio, tre Istituti della Marchesa Barolo, erano ricoverate ben 500 tra suore e giovanette, o sane od inferme, ed ancor esse dalla prima all'ultima andarono esenti da ogni disgrazia. Nel muro dell'Ospedaletto a mezzanotte si vedevano i segni profondi degli scagliati proiettili: nel Monastero delle Maddalene cadde tra gli altri un macigno del peso di ben 10 miriagr., e vi si mostra ancora oggidì un armadio pieno di pietre, di spranghe di ferro contorte e simili oggetti, grandinati nel cortile, sopra del loro edifizio e penetrati persino nelle camere e nei corridoi; ma niuna delle cento e più persone ne fu menomamente tocca. Anzi nella infermeria si trovavano due suore malate, che da molto tempo più non si alzavano di letto. Quel mattino verso le 11 dimandano di levarsi ed uscire a prendere un po' d'aria nel giardino, e la superiora contro il suo solito lo concede. Or bene, appena uscitene, un trave enorme viene lanciato sopra il tetto dell'infermeria, lo sfonda e vi penetra dentro con tale impeto, che schiaccia i letti delle due malate. Mentre poi le Maddalene con loro immenso dolore stanno per rompere la clausura ed uscire in cerca di un più sicuro riparo, vedono librarsi a volo una candida colomba e andarsi a posare sulla sommità della croce posta sul tetto del loro sacro asilo. Ritengono quello per felice pronostico, e dicono: Se la colomba prenderà il volo di là, ne usciremo anche noi; se no, vi rimarremo. L'uccello ebbe la costanza di fermarsi in quel sito sino alle 4 di sera, quando un messo del Governo andava ad avvertire che il pericolo di nuovi scoppi era scomparso.

E nel nostro Oratorio che cosa avvenne di particolare? Un trave infuocato, lungo da 6 a 7 metri, cadde a pochi passi dalla casetta di D. Bosco, che, stante la cattiva costruzione, avrebbe rovesciata ed abbruciata ad un tempo, se la mano di Dio non l'avesse trattenuto dal piombarvi sopra. La nuova chiesa, ancor fresca e stata poco prima disarmata e colla volta non ancora interamente coperta colle tegole, avrebbe potuto o crollare o fendersi; ma la Divina Provvidenza dispose che, sebbene presso ad essere benedetta, tuttavia non avesse ancora nè  porte, nè  finestre a posto. Quindi essendo per ogni lato aperta, l'urto non la scosse con tanto impeto e non le fece alcun danno. Quella che ne soffrì non poco fu l'abitazione, la quale si ebbe spaccature spaventose. Non occorre il dire che dei vetri non ne rimase pur uno: le finestre chiuse furono aperte con tanta violenza che, sbattute nel muro, parecchie ne andarono a pezzi. Un uscio della cappella, dalla parte di mezzanotte, e perchè gonfio dall'umidità dell'inverno, e perchè irrugginitane la serratura, da parecchi mesi più non si poteva aprire; ma lo scoppio tolse al sagrestano ogni fastidio, chè non solo lo aperse, ma lo schiantò dai cardini, gettandolo in mezzo alla cappella. Il simile accadde in una cameretta a pianterreno, alla quale si dava il nome di cantina. Anche qui l'uscio fu strappato dal muro, e per alcuni giorni i giovani avrebbero potuto entrarvi liberamente a bere il vino alla mamma; peccato che non ce n'era.

Ma un altro fatto che ha dello straordinario ed anche del sovrumano fu quello che siamo per dire. Tra i giovani ricoverati uno ve n'era di circa 13 anni, per nome Gabriele Fassio, fanciullo di aurei costumi e di esimia pietà; faceva il ferraio. D. Bosco aveva predetto che morrebbe presto e ne aveva una grande stima e spesso lo proponeva a modello. Talora esclamava: Oh quanto è buono! Or bene, questo giovanetto, un anno prima dello scoppio fatale, cadde malato e fu ridotto agli estremi. Aveva già ricevuto i conforti di nostra santa Religione, quando un giorno, come indettato dall'alto, ei si pose a ripetere: Guai a Torino, guai a Torino. - Alcuni compagni che gli stavano ai fianchi gli domandarono: - E perchè guai? Perchè è minacciata da un grave disastro. - E quale? Un orribile terremoto. - Quando sarà? Un altr'anno. Oh! guai a Torino il 26 aprile. - Che cosa dobbiam fare? - Pregare san Luigi che protegga l'Oratorio e quelli che vi abitano.

Poco dopo egli santamente moriva all'Ospedale del Cottolengo. Stante le sue rare virtù e l'accento, diremmo, inspirato, col quale pronunziava il suo guai, i giovanetti della Casa ne riportarono profonda impressione e ne accolsero rispettosamente il consiglio. Fu allora che a loro richiesta si aggiunse mattino e sera nelle comuni preghiere un Pater, Ave e Gloria a san Luigi, colla invocazione: Ab omni malo libera nos, Domine; pratica che nelle nostre Case vige tuttora. L'Armonia accennò a questo fatto e un empio giornale argomentò che fossero i preti coloro che avean dato fuoco alle polveri: scellerata insinuazione, che in certi casi poteva accendere sanguinarie passioni di vendetta.

Il danno materiale cagionato dallo scoppio della polveriera fu immenso; molti fabbricati all'intorno ne soffersero tanto che per ripararli fu d'uopo demolirli. In vista di che fu stabilita dal Governo una apposita Commissione incaricata di esaminare le case più danneggiate e di erogare una sovvenzione ai proprietarii più poveri, onde ristorarle secondo il bisogno. La Commissione portossi eziandio all'Ospizio di Don Bosco, e vistone il guasto operato, elargì lire 300. Anche dalla camera dei Deputati gliene vennero altre 200.

Di un fatto ancora non dobbiamo tacere.

Dopo i due scoppii sopradescritti e all'annunzio di un terzo più terribile che pareva imminente, molti abitanti delle case più o meno vicine e parecchi degli stessi malati, che a mala pena potevano reggersi in piedi, eransi portati in un campo presso all'Oratorio, quasi in faccia alla chiesa in costruzione. Colà facevano ottimi riflessi sulla potenza, sulla giustizia e sulla misericordia di Dio; colà chi domandava perdono, chi prometteva di migliorare sua vita, chi si raccomandava ai santi del cielo. Tutti poi esternavano la più grande fiducia nel valido patrocinio di Maria Vergine; quindi ricordavano le antiche sue misericordie sopra Torino, quindi la invocavano in quel terribile caso, quindi recitavano il santo Rosario e facevano risuonare l'aria di sue lodi. Or è  bello il riflettere che quel campo fu poscia convertito nel Santuario di Maria Ausiliatrice, a cui continuano a portarsi ed anche solo a rivolgersi gli afflitti e i tribolati di tutte parti, per riceverne aiuto e conforto, e ne sono esauditi.

In quel mentre D. Bosco ritornato dal luogo del disastro accoglieva in sua casa, confortandole, schiere di giovani di altri istituti che pieni di terrore venivano a rifugiarsi presso di lui. Per ore ed ore si udiva il rumore dei carri che trasportavano altrove i barili di polvere. Tramontato il sole, D. Bosco chiamò a sè  i ricoverati, timorosi di qualche nuovo disastro in quella notte, e prima che andassero a riposo li esortò a star buoni, tranquilli e a confidare in Dio, apportando tali ragioni che pienamente li rassicurò.

L'immagine di Maria Immacolata colla scritta - Auxilium Christianorum, ora pro nobis, che allora teneva nella sua stanza e che noi custodiamo come un tesoro, ci dimostra il motivo della sua confidente sicurezza.

Infatti per memoria della grazia faceva stampare dalla litografia Doyen 5000 copie di una bella immagine che distribuiva poi ai giovani sul finir di giugno. Nello sfondo è figurata la città di Torino e la polveriera che esplode. In alto la Vergine Consolatrice seduta sulle nubi e fra gli angioli, il cui santuario si vede fra le case. Sul davanti giovanetti inginocchiati o in piedi, colle mani o giunte o spante, rivolti a Maria; e un sacerdote che loro la addita colla mano destra, mentre tiene la sinistra sulla spalla di un fanciullo, il quale come in estasi contempla la Madonna. Vi si leggono due iscrizioni

SOPRA L'IMMAGINE Nei pericoli e nei bisogni ricorrete a Maria.

SOTTO L'IMMAGINE I figli dell'Oratorio di S. Francesco di Sales a Maria Consolatrice:

 

'Noi dalle accese polveri

'Per tua mercè scampati

'Ai tuoi piedi, gran Vergine,

'Grazie rendiam prostrati'.

 

“La Commissione direttrice della Lotteria d'oggetti a benefizio della Chiesa che si sta fabbricando in Valdocco, per l'istruzione religiosa e morale de' giovani, nella seduta del sei corrente, riconoscendo come special favore del Cielo l'essersi conservate illese le mura del nuovo edifizio, quantunque assai vicine al luogo del disastro accaduto nel Borgo, Dora, e non sapendo meglio esprimere la sua gratitudine verso la Divina Provvidenza, se non col venire in aiuto di quel meraviglioso ospedale, che dalla medesima s'intitola, e che tanto danno ebbe a sentire nell'avvenuto infortunio, ha deliberato che la metà dell'aggio accordato dalle leggi sulla Lotteria di pubblica beneficenza debba d'ora in poi cedere a pro dell'Opera Cottolengo.

”Un duplice scopo si otterrà in tal modo da' generosi e benefici che vorranno ancora inviare qualche oggetto per arricchire la già copiosa raccolta o vorranno acquistare i biglietti che ancora sono disponibili: il bene della povera gioventù che potrà nella nuova Chiesa essere educata alla pietà ed alla virtù, ed il soccorso ad uno stabilimento che pe' suoi principii e per la sua conservazione è un miracolo, della Provvidenza.

”La pubblica esposizione continuerà tutti i giorni dalle 10 del mattino alle 6 di sera, nel solito locale via della Basilica, N. 3, piano I; sul principio di giugno avrà luogo la pubblica estrazione”.

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