Capitolo 35

'Il cristiano guidato secondo lo spirito di S. Vincenzo de Paoli' - L'infallibilità del Papa - D. Bosco imitatore di S. Vincenzo - La virtù della dolcezza - Confronto della vita di D. Bosco con quella di S. Vincenzo - Un dono alla Piccola Casa della Divina Provvidenza - Mezzi per la stampa di questo libro.

Capitolo 35

da Memorie Biografiche

del 10 novembre 2006

 In mezzo al tumulto delle agitazioni politiche non distratto dall'attendere alle sue provvidenziali intraprese, tutto dato al ministero della parola, in guisa da essere circa 3000 tra discorsi, prediche, conferenze, sermoncini, catechismi, che faceva ogni anno in casa e fuori di casa, D. Bosco anelava sempre a nuovi lavori. Egli non era come quei molti che sembrano virtuosi, e lo sono infatti, ma però inclinati ad una vita dolce e dilettevole; la sua era una virtù gagliarda e laboriosa fino all'eroismo. Andati i giovani al riposo, recitato il breviario, sedeva a tavolino e alla pallida fiammella di una povera lucerna, passava gran parte delle notti scrivendo. Egli professava una speciale devozione a S. Vincenzo de Paoli, il quale, come lui, da fanciullo, aveva per molti anni guardati gli armenti; e poi studente, chierico, e sacerdote, era stato istitutore di giovanetti. Così in questo anno componeva un nuovo libro, nel quale compendiava la vita del grande apostolo della carità. Gli dava per titolo: “Il Cristiano guidato alla virtù e alla civiltà secondo lo spirito di S. Vincenzo de Paoli” - Opera che può servire a consacrare il mese di luglio in onore del medesimo Santo.

Ecco come egli dava ragione del suo lavoro:

“ Al lettore - Lo scopo di quest'operetta è di proporre a tutti i fedeli un modello di vita cristiana nelle azioni, nelle virtù e nelle parole di S. Vincenzo de Paoli.

 ”Esso porta per titolo: “Il Cristiano guidato alla virtù e alla civiltà secondo lo spirito di S. Vincenzo de Paoli”, perchè questo Santo avendo quasi percorso tutte le condizioni basse ed elevate della umana società, non fu virtù che in questi diversi stati non abbia fatto risplendere. Si aggiungono quelle parole alla civiltà, perchè egli trattò colla più elevata e più ingentilita classe d'uomini, e con tutti seppe praticare quelle massime e quei tratti che a cittadino cristiano, secondo la civiltà e prudenza del Vangelo, si addicono.

 ”Secondo lo spirito di S. Vincenzo de Paoli”, perchè quanto si esporrà nel decorso di queste considerazioni è letteralmente ricavato dalla vita di lui e dall'opera intitolata: “Lo spirito di S. Vincenzo de Paoli”, inserendovi solo alcuni detti della sacra Scrittura sopra cui si fondano tali massime.

 ”Si comincia col dare un cenno sulla vita del Santo, e questo formerà come l'indice di quei concetti che verranno con maggior corredo di circostanze sviluppati.

 ”Intanto quel Dio che suscitò un Vincenzo qual fiaccola luminosa a portare la luce della verità fra popoli barbari ed ingentiliti, quel Dio che volle togliere dalla plebe un uomo abbietto per collocarlo sopra il trono dei suoi principi, affinchè colle sue eroiche virtù facesse cangiare di aspetto la Francia e l'Europa insieme; quel Dio faccia che la stessa carità, lo stesso zelo si riaccenda negli ecclesiastici, affinché indefessi si adoperi per la salute delle anime; si riaccenda eziandio nei popoli a segno, che illuminati dalle virtù del Santo, eccitati e mossi dal buon esempio dei sacri ministri corrano a gran passi per quella strada, che alla vera felicità l'uomo conduce: al Paradiso ”.

Non ci intratterremo a provare come D. Bosco con questo libro abbia raggiunto il suo scopo; ci limiteremo piuttosto ad alcune poche ed importanti riflessioni. Anzi tutto, come fin d'allora professasse ed insegnasse la sua ferma credenza nel l'infallibilità del Romano Pontefice, e ciò ventidue anni prima che nel Concilio Ecumenico Vaticano si definisse dogma di fede questa solenne verità; come dimostrasse il suo perfetto accordo con S. Vincenzo de Paoli, il quale per frenare l'agitazione giansenistica e le sue arti diaboliche, induceva i Vescovi di Francia a ricorrere, non ad un Concilio generale, essendo il male troppo pressante, ma sebbene direttamente al Papa: e Innocenzo X nel 1653 come Dottore universale condannava senza ammettere appello gli errori e le perfidie di tali eretici. E più di tutto come D. Bosco nel 1848 sostenesse le divine prerogative del Pontefice, insultate orribilmente dai settari, dicendo egli ai fedeli: “ Approvate quanto il Papa approva; e condannate quelle cose che il Papa condanna. Ogni fedele cristiano si adoperi per amare, rispettare le disposizioni dei superiori Ecclesiastici, e guardiamoci dall'essere di quelli che, avendo spesa la loro vita in tutt'altro studio che in materia ecclesiastica, si fanno lecito di censurare detti o fatti dell'autorità della Chiesa, bestemmiando così quelle cose che la loro ignoranza non capisce. Guardatevi, dice il Signore, guardatevi dall'intaccar i sacri ministri con fatti o con parole: Nolite tangere Christos meos: perchè quanto sì fa o si dice contro di loro, lo è parimenti contro di me stesso: Qui vos spernit, me spernit ”. Da una seconda osservazione emerge che non solo Don Bosco volle tratteggiare la vita di S. Vincenzo, ma ne studiò ad una ad una le virtù teologiche e cardinali e per regola di sua condotta ne scrisse quasi un memoriale. Ed infatti, con quelle differenze che esigevano il suo secolo, i nuovi e diversi bisogni e la sua special vocazione, egli talmente ricopiò in sè questo Santo, che, percorrendo molte pagine del libro, un lettore che abbia conosciuto D. Bosco sentesi inclinato a sostituire col suo nome quello di S. Vincenzo; tanto la somiglianza è perfetta. Identici gli oggetti della più tenera devozione, eguale lo zelo per la gloria di Dio e il pieno abbandono nella divina Provvidenza; lo stesso amore per gli ordini e le congregazioni religiose, la stessa carità verso i miserelli e nell'istruire i prigionieri, nel servire gli affetti da malattia contagiosa, nell'adoperarsi alla conversione degli eretici.

Ma quivi a recare qualche prova dei nostro asserto, notiamo come avendo D. Bosco sortito da natura, al pari di S. Vincenzo, un'indole biliosa, di spiriti vivaci e inclinati alla collera, lo imitasse nella dolcezza per cattivarsi i cuori degli uomini; e da lui come per riflesso ritraesse la soave affabilità di S. Francesco di Sales, sicchè lo spirito di Don Bosco si possa definire essere quello di S. Francesco, ma trasfuso dal cuore di S. Vincenzo. D. Bosco infatti scriveva le norme date dal suo caro modello per l'acquisto di tale virtù: - Congregazioni pauperum affabilem te facito.... Il Santo fondava la sua dolcezza sopra due principi: l'uno era la parola e l'esempio del Salvatore, e l'altro la conoscenza dell'umana debolezza. In quanto al primo principio, diceva, la dolcezza e l'umiltà essere due sorelle, che si uniscono molto bene insieme; Gesù Cristo aveva insegnato ad unirle quando ha detto: - Imparate da me che sono dolce ed umile di cuore; e queste parole sono state sostenute dai suoi esempi. Perciò il Salvatore ha voluto avere per discepoli uomini grossolani e soggetti a vari difetti, per insegnare a coloro che sono in dignità la maniera con cui devono trattare quelli di cui hanno la direzione... Quanto al secondo principio, S. Vincenzo, diceva che è proprio dell'uomo il fallire, come è proprio dei rovi avere spine pungenti; che il giusto stesso cade sette volte, cioè molte volte; che lo spirito al pari dei corpo ha le sue malattie; che essendo sovente un uomo da se stesso un grande esercizio di pazienza, non è cosa strana che egli eserciti quella degli altri; la vera giustizia conosce la compassione e non conosce la collera le parole che ci feriscono sono sovente piuttosto impeti della natura che indisposizioni del cuore; i più saggi non sono esenti dalle passioni; e queste passioni strappano loro qualche volta certe espressioni, delle quali si pentono un momento dopo; in qualunque luogo uno sia, deve sempre soffrire; ma che potendosi nello stesso tempo meritare, è molto utile fare provvigione di dolcezza, poichè senza questa virtù si soffre, però senza merito e anche con pericolo della eterna salvezza.

“ La dolcezza, aggiungeva il Santo, ha tre principali atti. Il primo di questi atti reprime i movimenti della collera e gli impeti di quel fuoco che turba l'anima, sale al volto e ne cangia il colore. Un uomo dolce non lascia di sentire la prima emozione, perchè i movimenti della natura prevengono quei della grazia; ma sta fermo perchè la passione non trionfi, e se suo malgrado comparisce in lui qualche alterazione nel suo esteriore, si rimette ben presto e rientra nel suo stato naturale. Se è costretto a riprendere e a castigare, segue la via del dovere e non mai quella dell'impeto: in ciò imita il figlio di Dio, che chiamò S. Pietro Satana, rimproverò i giudei d'essere ipocriti, rovesciò le tavole dei negoziatori nel tempio; ma tutto ciò fece con una perfetta tranquillità, mentre un uomo senza dolcezza in simili circostanze avrebbe fatto per collera.

 ”Il secondo atto della dolcezza consiste in una grande affabilità, in quella serenità di volto che rassicura chiunque si avvicina. Certe persone con aria ridente ed amabile contentano tutti, e dal primo istante sembrano offrirvi il loro cuore e chiedere il vostro; altre all'opposto si presentano con aspetto riservato, e il loro viso arido e accigliato spaventa e sconcerta. Un sacerdote, un missionario che non ha maniere insinuanti le quali cattivino i cuori, non farà mai frutto e sarà come una terra secca, altro non producendo se non cardi selvatici.

 ”Finalmente il terzo atto della dolcezza consiste nello sbandire dal proprio spirito le riflessioni che seguono pur troppo le pene che ci vennero cagionate o i cattivi servigii che ci furono resi. Bisogna allora assuefarsi a distogliere il proprio pensiero dall'offesa, a scusare quegli da cui proviene, a dire a se stesso che egli ha operato con precipitazione, e che un primo movimento l'ha trasportato, soprattutto non bisogna aprir bocca per rispondere a coloro che altro non cercano se non d'inasprirci. Si devono egualmente trattare con dolcezza coloro che hanno meno riguardi per noi, e se giungessero ad oltraggiarci sino a darci uno schiaffo, bisogna offrire a Dio e soffrire per amor suo questo ingiurioso trattamento; si devono ancora trattenere gl'impeti della collera e preferire ad ogni altro linguaggio quello della dolcezza, perchè una parola di dolcezza può convertire un ostinato, quando all'opposto una parola aspra è capace di desolare un'anima....

“ La dolcezza, la quale alletta sempre, aveva presso il sant'uomo un non so che di schietto, di spiritoso e di saggio ch'era difficile a resistervi ”. Fin qui D. Bosco.

E noi diciamo: Lette queste regole, esaminata tutta intera la vita del nostro buon padre, non appare egli un vivo e parlante ritratto di S. Vincenzo de' Paoli?

Ma vi ha ancora di più. Tracciando come un indice dei nostri futuri racconti si vedrà che il raffronto fra questi due uomini del Signore diventa sempre più sorprendente quanto più si esaminano le loro gesta.

D. Bosco, come S. Vincenzo de Paoli, si reca a Roma per ossequiare il Pontefice, per venerare la tomba del Principe degli Apostoli, per visitare i celebri santuari della capitale dell'orbe cattolico. Come S. Vincenzo, predica non solo nelle città, ma in un grandissimo numero di villaggi. Come lui, è sollecito per la formazione di un clero zelante, supplisce alla mancanza di seminari, e sviluppa in modo meraviglioso le vocazioni allo stato ecclesiastico e religioso; come Vincenzo, concede udienza a persone senza numero di ogni specie e di ogni condizione che a lui ricorrono per avere consigli; e scrive tante lettere che sole richiederebbero la vita intera di un uomo. Come lui, tratta con diversi sovrani e coi grandi del secolo e si fa ammirare pel suo contegno e per la sua franchezza colla quale non tace la verità.

Se Vincenzo de Paoli fa rifiorire in molti monasteri la primitiva osservanza, D. Bosco cerca con un coraggio ispirato dalla fede di salvarne centinaia dalla legge della soppressione, alcuni riesce a preservare. Se Vincenzo istituì la Congregazione dei Lazzaristi e quella delle Figlie della Carità, Don Bosco fondò la Pia Società di S. Francesco di Sales e l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Se Vincenzo profuse tesori grandissimi per soccorrere i poverelli e di intiere province alleviare le estreme miserie, il povero D. Bosco trovò milioni per i tanti orfanelli raccolti nei suoi ospizi e ne' suoi oratori. Vincenzo stabilì confraternite ed assemblee di nobili dame perchè lo aiutassero nelle sue opere di carità, e D. Bosco per lo stesso fine organizzò i Cooperatori e le Cooperatrici salesiane. Vincenzo influì coi saggi consigli alla nomina di santi Vescovi da preporsi alle Chiese di Francia; per opera di D. Bosco più di cinquanta diocesi in Italia ebbero il loro Pastore di cui da lungo tempo erano destituite. Se Luigi XIII volle essere confortato nell'ora della sua morte da S. Vincenzo, il Granduca di Toscana Leopoldo Il fu assistito da D. Bosco nella sua agonia. Se Vincenzo fa l'Apostolo in Francia dell'Infallibilità del Pontefice, D. Bosco si recò espressamente a Roma per vincere i pregiudizi di certi prelati i quali sostenevano l'inopportunità della definizione dogmatica. Se Vincenzo anelando alla propagazione del Vangelo manda i suoi figli in Barberia, Scozia, Irlanda, Inghilterra, nel Madagascar e nelle Indie, D. Bosco spedisce i suoi Salesiani in Inghilterra, fra i selvaggi della Patagonia e di altre regioni dell'America. Ed ambedue per quarant'anni ebbero a sopportar le medesime dolorose malattie, cioè le febbri e la gonfiezza delle gambe,

È per questi rapporti così evidenti, che nei Congressi Cattolici, la Francia riconobbe D. Bosco e lo salutò pel nuovo Vincenzo de Paoli del secolo XIX e che le Conferenze sotto il patrocinio di questo Santo lo chiamarono ed aiutarono ad aprire gli ospizi di Sampierdarena, di Nizza Marittima, di Buenos Aires di Montevideo e di altre città.

D. Bosco finiva il suo volume con un quadro conciso, ma fedele di tutte le stupende e innumerevoli opere di santità compiute da S. Vincenzo, e con tali espressioni che manifestano la sua tenerissima devozione per lui; e in calce scriveva: Al glorioso S. Vincenzo de Paoli, l’autore a nome dei suoi devoti questo libro consacra.

   Nello scrivere quelle pagine l'intenzione secondaria, ma affettuosa di D. Bosco, era di prestare ossequio e servizio alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, siccome colla sua “Devozione alla Misericordia di Dio”, aveva cercato di procurare un gran bene al pio Istituto del Rifugio. Infatti all'Opera del Venerabile Cottolengo due volte accenna scrivendo della carità di S. Vincenzo verso il prossimo; e asserisce quella casa, posta sotto gli auspici di questo Santo e meravigliosa per le migliaia di poverelli e infermi di ogni specie che ricovera, esser nata sotto l'influsso del suo spirito. Quindi raccomanda al fedeli, nel frutto che propone da raccogliersi sul fine di ogni considerazione, di staccare il cuore dai beni della terra e farne buon uso; di soccorrere il prossimo travagliato dalla necessità; di obbedire a Gesù Cristo col dare al poveri quanto sopravanza al necessario sostentamento; di ridurre a meno qualche spesa domestica per poter maggiormente largheggiare in opere di carità.

Terminata l'opera bisognava stamparla; ma come gli era possibile mancando di mezzi? D. Bosco andò pertanto a visitare il Canonico Anglesio, successore del Venerabile Cottolengo, e presentandogli il suo manoscritto gli disse: - Ho bisogno che mi aiuti in questa stampa, prendendone un buon numero di copie.

Ben volentieri; ne prenderò 300 Copie.

 - Troppo poche; avrei bisogno che ne prendesse 3.000.

 - Oh, questo poi è troppo! E chi le paga? io non posso.

 - Le pago io!

 - A questa condizione ben volentieri accetto.

D. Bosco andò subito dalla contessa Del - Piazzo e propostole di comperare 3.000 copie di quel libro per l'Opera pia del Cottolengo, la buona signora gli diede subito il danaro.

Il libro fu stampato in Torino coi tipi di Paravia, e distribuito in tutte le famiglie religiose della piccola casa della Divina Provvidenza, e ancora oggigiorno è un libro ben accetto per la lettura spirituale. La prima edizione fu anonima. Il nome di D. Bosco fu stampato sulla seconda e sulla terza nell'anno 1876 e 1887. Nel noviziato dei Lazzaristi a Chieri questo libro era letto nel mese di Luglio per onorare il santo fondatore.

 

 

 

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