Giovani raccomandali dalle Autorità civili - Sistema di D. Bosco in queste accettazioni - Domanda di un imprestito alle Casse dello Stato - D. Bosco e Rattazzi - Fortezza di D. Bosco nel sostenere apertamente i diritti della verità - Nuove leggi scolastiche - La protezione della Madonna - Voli annuali.
del 28 novembre 2006
Ogni anno si moltiplicavano le domande a D. Bosco perchè ricoverasse poveri giovanetti nell'Ospizio di S. Francesco di Sales. Oltre quelli che venivano raccomandati o dai parenti o dai parrochi, molti si raccomandavano di per se stessi. Quasi tutte le domeniche tra i giovani che frequentavano o si recavano per la prima volta all'Oratorio festivo, D. Bosco ne scorgeva di quelli i quali si trovavano in tale abbandono, che se non venivano presto ritirati si sarebbero messi infallantemente nella via del male. Nella stessa condizione scorgevansi molti dei fanciulli che si portavano negli Oratorii di San Luigi a Portanuova, e dell'Angelo Custode in Vanchiglia; e or l'uno or l'altro de' due Direttori gliene consegnavano di quelli, che erano veramente degni della più alta compassione.
Altri non di rado gli erano raccomandati dalle Autorità civili, dagli stessi ministri del Re e specialmente da quello dell'Interno; ed egli, finchè aveva un bugigattolo, o ripostiglio, non rispondeva mai di no e l'occupava con un letto; anzi nell'estate del 1855 qualcuno aveva dormito nientemeno che in un piano del campanile. Di quest'anno si conservano le seguenti domande.
 
Gran Magistero dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
 
Torino, 7 febbraio 1856.
 
Mentre mi riservo di esaminare se sarà possibile di accrescere l'annua sovvenzione che l'Ordine Mauriziano elargisce alla pia Opera da V. S. Ill.ma e Molto Rev.da fondata e diretta, ben conoscendo i sensi di vera filantropia, ond'Ella è animata e le incessanti cure con cui si adopera a sostegno e vantaggio dei giovani abbandonati ch'Ella raccoglie, debbo pregarla di voler veder modo d'annoverare fra i suoi beneficati certo Vindrola Lorenzo d'anni dodici, il di cui padre Vindrola Antonio, già commesso serviente presso gli Ufficii di quest'Ordine, si rese defunto nell'Ospedale Maggiore Mauriziano addì 28 gennaio scorso, lasciando oltre il Lorenzo un altro figlio d'anni 21, di professione facchino, il quale colle sue fatiche provvede stentatamente a se stesso, e non potrebbe al certo essere di verun aiuto al proprio fratello apprendizzo calzolaio, il quale trovasi così orfano e totalmente abbandonato in età di soli 12 anni. Sembrandomi affatto eccezionale e degno di compassione lo stato di questo sventurato giovanetto, io credo debito mio d'interessare vivamente l'animo benefico di V. S. Ill.ma e Molto Rev.da, onde voglia ammetterlo nell'Istituto ch'Ella dirige, ove, come gli altri ricoverati, sia provvisto del necessario ed incamminato nell'attuale od in altra professione, che gli fornisca un giorno i mezzi di campare onoratamente la vita.
   Nella lusinga che Ella sarà per raccogliere favorevolmente questa mia raccomandazione, Le sarò tenuto di un cenno di risposta, onde possa far avvertire questo giovane che si presenti a V. S. Ill.ma e Molto Rev.da; ed intanto Le confermo i sensi della mia distinta considerazione.
 
Il primo Segretario di S. M.
CIBRARIO.
 
MINISTERO DELL'INTERNO
Gabinetto particolare.
Torino, 25 settembre 1856.
 
Ill.mo e Preg.mo Signore,
 
  Non volendo che al povero giovane Romano Chiri manchi per avventura il beneficio dell'educazione di codesto benemerito istituto, che io stesso proposi, per difetto dei necessario corredo di cui dovrebbe il medesimo essere provvisto, penso di concorrere in parte io, e trasmetto perciò qui compiegato a V. S. un biglietto di banca di lire 100 con preghiera di volere Ella stessa provvedere al giovane quel tanto di corredo che meglio potrà.
  Colgo questa occasione per professarle i sensi della mia distinta stima e considerazione
Della S. V. Ill.ma e Rev.ma
Dev.mo Servitore
U. Rattazzi.
 
MINISTERO DELL'INTERNO.
 
Torino addì 3 novembre 1856.
 
Il Capo Usciere Gioachino Fissore resesi testè defunto lasciando nell'indigenza la vedova col peso della prole in tenera età fra cui un ragazzo di anni 9. Non potendo la vecchia ed indisposta genitrice provvedere all'educazione e mantenimento del medesimo, il Ministro sottoscritto, conscio della filantropia ed interessamento che il Rev.do D. Bosco Direttore del Pio Istituto maschile in Valdocco prende per li ragazzi abbandonati od altrimenti privi di mezzi, gli raccomanda il ragazzo Fissore e lusingandosi che possa il medesimo essere ricoverato nel Pio Istituto, gli soggiunge che gli sarà presentato dalla propria madre latrice della presente.
 
Il Ministro
U. Rattazzi.
 
Da queste lettere traspare anche il prudente modo di procedere adottato da D. Bosco nell'accettazione di certi giovani. Molti parenti, non solo di Torino, ma di altre parti dello Stato, per ottenere più facilmente il ricovero nell'Oratorio dei loro figliuoli, ricorrevano alla autorità civili e queste alla loro volta li raccomandavano a D. Bosco. Egli rispondeva subito con lettera rispettosa e cortese; e se aveva posto disponibile e se credeva opportuna tale accettazione, faceva notare come nulla volesse negare a tali intercessori e come grande fosse la sua fortuna di poter loro rendere servizio. Nello stesso tempo li pregava di far sapere al padre, alla madre, o ad altri protettori di quei fanciulli, che si presentassero al Superiore dell'Oratorio per accordarsi sul tempo e sui modi dell'ammissione. Venuti i parenti, D. Bosco mentre li accoglieva con grande carità, proponeva loro i patti, i quali consistevano nell'invitarli a cercare se potessero ottenere qualche sussidio dai loro congiunti, dagli amici o dai benefattori, acciocchè concorressero anch'essi in quell'opera di beneficenza.
  Regolavasi in questa maniera, perchè le persone raccomandate dalle Autorità, si presentano sempre agli Istituti, come aventi diritti, gloriandosi della raccomandazione ottenuta; e stimavano quindi di non avere contratta obbligazione alcuna verso l'Oratorio. Perciò D. Bosco con tale proposta faceva loro sentire che dipendevano da lui solamente le sorti dei figli e non da altri; che egli solo poteva concedere o negare il favore: e allora si abbassavano le arie, e si desisteva dalle pretensioni. Quindi quella buona gente incominciava a supplicare; e D. Bosco talora prendeva tempo a rispondere, ora faceva proposta del pagamento di una somma annuale molto esigua, ora si contentava che i giovani non altro recassero che il proprio corredo; il più sovente faceva la grazia di accettarli gratuitamente; ma voleva che si riconoscesse a chi fossero debitori del benefizio. D. Bosco poi inculcava a' suoi collaboratori, di seguire sempre in simili casi tale regola, assicurandoli essere la vera per rimanere padroni in casa propria.
  Queste raccomandazioni di persone influenti nella cosa pubblica D. Bosco sapeva anche con fine ingegno provocarle in qualche circostanza, per trarne il vantaggio dell'Oratorio. Quando certi parenti, senza alcun mediatore, gli presentavano i figli, che essi non potevano mantenere ed educare, talora interrogavali per conoscere la loro condizione sociale e le loro attinenze; e poi consigliavali ad indirizzare a nome proprio una supplica a qualche illustre personaggio che egli stesso indicavagli per certi suoi fini, p. e. ad un Ministro, ad un Senatore, ad un Deputato del suo circondario, all'Intendente della Provincia, o al Sindaco del proprio paese, per essere raccomandati a qualche Opera Pia e nominatamente a quella di D. Bosco. Coloro che ricevevano tali suppliche cogli attestati richiesti, le mandavano all'Oratorio, accompagnate da una lettera d'ufficio che le appoggiava; e D. Bosco apriva allora carteggio con questi signori. Sovente era una corrispondenza epistolare complicata, poichè tali dispacci, da un Municipio o da altri protettori si rivolgevano all'Intendente della Provincia e da questi a quello della Capitale, un Ministro le trasmetteva al Sindaco o all'Intendente e via via passavano così per varii ufficii e dicasteri prima di giungere a destinazione. Con quest'arte di prudenza D. Bosco faceva sempre meglio conoscere nelle sfere ufficiali l'esistenza e l'importanza del suo Istituto. Chi proponeva per l'accettazione un giovane veniva in certo modo a rendere omaggio di lode e di fiducia all'Oratorio, corrispondente ad una tacita approvazione per quanto D. Bosco operava a vantaggio della gioventù; le alte dignità dello Stato, trovando D. Bosco accondiscendente alle loro richieste, si mostravano a lui benevole in molte circostanze. D. Bosco accettando quel raccomandato, rendeva in certo modo garanti dell'adempimento dei patti stabiliti coloro che raccomandavano, e a tempo debito sapeva chiedere loro o al governo sussidii, aiuto e la cessazione delle molestie settarie.
  Senonchè le accettazioni di giovani richiedevano più capace edifizio in Valdocco. Perciò D. Bosco, sul principio del 1856, aveva chiesto alle Casse dello Stato una somma ad imprestito per finire la costruzione del suo nuovo fabbricato, rimasto incompleto nel 1853. Strana ed ardita in quei tempi era tale richiesta, ma pure egli indicava alle Autorità civili un modo facile col quale sovvenire a certi bisogni urgenti delle popolazioni. E infatti, senza discapito delle finanze dello Stato, venti e più anni dopo si videro stabiliti per leggi imprestiti ai comuni poveri per l'erezione di edifizi scolastici, ed anche ai privati per riparare alle rovine dei terremoti, a condizione che si pagassero certe esigue annualità colle quali in certo numero di anni venivano ad estinguersi i debiti.
D. Bosco però domandava il mille per ottenere il dieci ed ecco la risposta che gli venne fatta.
 
MINISTERO DELL'INTERNO
Divisione 3 N. 283.
Torino, addì 14 del 1856.
 
 
Lodevolissimo si è il divisamento dell'ottimo Reverendo Sacerdote Giov. Bosco esposto nel memoriale unito a sua lettera delli 8 andante, quello cioè di ampliare l'attuale fabbricato onde poter estendere ad un maggior numero il ricovero dei poveri figli abbandonati e pericolanti, aperto con tanto vantaggio e filantropico impulso nel quartiere di Valdocco di questa Capitale e vedrebbesi ben con piacere che potesse essere mandato ad effetto per il sommo utile che risulterebbe a quella classe di giovani; ma non ostante ogni suo buon volere il sottoscritto non sarebbe in grado di accordargli la chiesta anticipazione di fondi per le suddette spese di fabbricazione, a fronte dell'attuale condizione in cui versano le finanze dello Stato.
   Lo scrivente si augura ed anzi confida che il benemerito Rev.do Sac. Bosco potrà gradatamente trovare i mezzi necessarii al suo intento dalla carità privata e per coadiuvarlo intanto pei bisogni ordinarii, il sottoscritto si è determinato di accordargli una sovvenzione di lire 300 sui fondi del Bilancio di questo Ministero, spiacente che la ristrettezza dei medesimi non consentano una maggiore largizione.
   Si è provveduto per la spedizione del mandato, il quale sarà pagato dalla Tesoreria dell'Interno.
 
il Ministro
U. RATTAZZI.
 
Questa lettera dimostra come Rattazzi continuasse a pigliar vivo interessamento per D. Bosco e l'opera sua.. Soleva dire che il Governo era obbligato a proteggere tale istituzione, perchè cooperava efficacemente a scemare gli inquilini delle prigioni e a formare savi cittadini.
Tutte le carte, di qualunque negozio trattassero, che Rattazzi mandava a D. Bosco, firmavale di proprio pugno e il suo nome era scritto in calce della raccomandazione per giovani da ricoverarsi. Alle domande poi di sussidii, pregiavasi di fare egli stesso la risposta, non valendosi in tale circostanza dell'opera dei segretarii.
   Incoraggiava D. Bosco a proseguire nella sua nobile impresa, e ogni qual volta saliva al Ministero degnavasi fargli sapere che nulla avrebbe a temere da lui; e mantenne la sua parola. Amavalo di sincero affetto, adoperava in suo favore l'influenza che godeva nelle alte regioni dello Stato, e aveva per lui così grande riverenza, che nelle conversazioni chiamavalo un grande uomo. Varie volte venne a visitarlo nell'Oratorio e talora lo chiamava al palazzo del Ministero, per raccomandargli a voce qualche giovanetto abbandonato, per suggerirgli come liberarsi da qualche persecuzione ed anche per altri affari.
   D. Bosco però, benchè sentisse viva la riconoscenza stava in guardia per non restargli obbligato in modo che ne scapitasse la libertà delle sue azioni. Infatti, essendogli stata offerta da lui una cospicua somma a condizione che facesse riconoscere dal Governo il suo Istituto come Opera Pia, D. Bosco espose sue ragioni per non accettarlo, e il Ministro non insistette.
   Quando recavasi all'udienza, Rattazzi usavagli speciale cortesia.
   Le sale di anticamera erano zeppe di persone titolate, di segretarii di varii ministeri, di capi d'ufficio, e di altri signori che occupavano cariche importantissime. D. Bosco doveva essere introdotto per l'ultimo, essendo l'ultimo scritto sulla nota che presentavasi al Ministro. Rattazzi però, letta la nota, senz'altro ordinava: - L'Abate Bosco! Entri. - E con meraviglia di tutti veniva fuori dal gabinetto l'usciere dicendo ad alta voce: - L'Abate Bosco è chiamato dal Ministro! - E Rattazzi diceva a D. Bosco appena entrato: - Lei non ha tempo da perdere!
   Qualcuno giudicò che D. Bosco si avvicinasse troppo a Rattazzi e ad altri personaggi che erano nel campo opposto alla Chiesa, e che fosse con questi in attinenze più strette di quello che convenisse. E D. Bosco non era così tardo d'ingegno da non prevedere certe dicerie; ma, poichè si trattava della gloria di Dio, di fare il bene e di impedire quel male che si poteva, e la sua condotta dimostrava la rettitudine de' suoi principii e delle sue intenzioni, non se ne commoveva punto. Egli infatti era tutto di un carattere cattolico nel dire la verità. Fedele alla Chiesa, senza restrizioni nè riserve, la sua fede era la fede di Pietro, e a nessuno e in nessun luogo occultava le sue ferme, le sue incrollabili credenze. Il rispetto umano non lo vinse mai, e se fu sempre mansueto e indulgente colle persone, quanto ai principii e alla dottrina non transigeva. Giammai fece o simulò di fare, per qualche vile pretesto, causa comune co' nemici di Dio; ed è per questa fortezza, che gli stessi uomini più funesti per la causa della religione, lo trattarono con atti di stima.
   Il Ministro Rattazzi, ci narrò Mons. Cagliero, approfittando della confidenza che aveva con D. Bosco, un giorno dopo l'udienza che avevagli accordata al Ministero, gli domandò, se a causa di quanto aveva, dovuto fare come Ministro dello Stato contro la Chiesa, ne avesse egli proprio incorso le censure. D. Bosco, a quella non preveduta domanda, credette bene non rispondergli subito e chiese tre giorni di tempo, dicendo: - In cose gravi desidero pensare e meditarci sopra un poco. - Dopo tre giorni D. Bosco si recò di bel nuovo dal Ministro, credendo che avesse dimenticato un tale quesito; ma Rattazzi appena lo scorse, dissegli: - Ebbene! Sono scomunicato? - E D. Bosco prontamente: - Eccellenza! Ho studiata la questione ed ho fatto di tutto per poterle annunziare che non aveva incorse le censure, ma con mio dispiacere non ho potuto salvarlo. Non ho trovato alcun autore di Teologia che lo scusi. - Questa schiettezza e libertà di D. Bosco piacquero a Rattazzi, il quale soggiunse: Bravo, D. Bosco! Era certo che lei non mi avrebbe ingannato, ed è perciò che ho voluto saperlo da lei. Finora nessuno volle essere schietto, col dirmelo. Sono contento della sua franchezza e le ripeto ciò che le ho già detto; si rivolga pure a me ogni qualvolta ha bisogno di qualche aiuto pe' suoi fanciulli.
   Talora egli diceva scherzando a D. Bosco: - Preghi per me, che se debbo andare all'inferno, non vada troppo al fondo. -Questo è segno che D. Bosco, aveagli fatta udire qualche parola di vita eterna, che era solito di intromettere in modo diretto o indiretto in ogni suo discorso.
   Un giorno, entrando da Rattazzi, gli fece osservare: -Eccellenza, il suo gabinetto sembra un confessionale circondato dai penitenti in tempo di Pasqua, tanta è la moltitudine che attende nell'anticamera.
   Il Ministro gli rispose: - Con questa differenza, mio caro D. Bosco: che chi parte dal confessore parte contento, colla pace nel cuore, benedicendo il padre spirituale; mentre invece chi parte dal Ministro, che non ha potuto contentarlo accondiscendendo alle sue domande, si allontana da lui pieno di malvolere e maledicendolo!
   Quest'uomo aveva ancor nel cuore un resto di fede, ma pur troppo che cercava di farne tacere la voce. D. Cerreti Francesco un giorno parlando di lui con D. Bosco, gli diceva: -Dunque quando Rattazzi parlava con lei era un ipocrita?
     - No, gli rispose D. Bosco. Era ipocrita quando parlava nella camera legislativa! Egli obbediva alla setta. In lui con deplorevoli qualità andavano congiunti nobili pregi, che in altra epoca o vivendo in altra atmosfera e senza i patti che lo legavano, avrebbero fatto di lui un uomo grande, invece d'un uomo funesto.
   Così fu di altri che appartenevano al suo partito e facevano causa comune per scemare sempre più l'azione della Chiesa anche nelle scuole.
   Nel principio del 1856 Lanza Giovanni Ministro dell'Istruzione Pubblica presentava in Senato un disegno di legge col quale stabilivasi che tutti i Seminarii e i Collegi Vescovili dovessero dipendere dal Ministero. Il Parlamento approvava e i Vescovi protestarono.
   Mentre questa legge ed altre, o già emanate, o che si andavano preparando, mettevano in grandi angustie gli Istituti ecclesiastici, D. Bosco aveva incominciato ad aprire le scuole interne dell'Oratorio. Meditando la vastità de' suoi disegni per l'istruzione e l'educazione della gioventù, prevedeva le grandi procelle che sarebbonsi sollevate contro di lui; ma procedeva sicuro dicendo più volte a' suoi discepoli: - Non dubitate! Passerà la burrasca, tornerà il bel tempo, e fortunati quelli che non piglieranno scandalo da me. È  una promessa che io ebbi da tale che non s'inganna. L'Oratorio non è cosa mia; anzi se fosse mia, vorrei che il Signore la disfacesse subito.
Ed è perciò che volle mettere il suo primo maestro regolare di lingua latina sotto una speciale protezione di Maria SS. Quindi il Ch. Francesia Giovanni nel 1856, senza alcun esteriore apparato, come aveva fatto l'anno antecedente il Ch. Rua, si legava per un anno a Dio con voti, in servizio dell'Opera di D. Bosco. Egli aveva scritto in latino una memoria di quella prima felice consecrazione e poi la data che era per lui tanto importante. Un giorno D. Bosco lo sorprese mentre ei rileggeva quella pag ina e - Bravo! gli disse; questo ricordo mi fa gran piacere. - Ma quando lesse la data colle calende e cogli idi, gli osservò: - Tu ti sbagli, ti sbagli certamente; quel giorno doveva essere sacro alla Madonna, e da questa carta non appare. - Infatti il Ch. Francesia, verificando trovò che invece di un quinto kalendas si doveva scrivere quarto e coincideva con una bella festa della Madre di Dio. Allora D. Bosco riprese: - Nulla, intendi, nulla si deve fare nell'Oratorio, fuorchè nel santo nome di Maria!!
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