Capitolo 35

L'Italia intima la guerra all'Austria: Custoza - L'onomastico di D. Bosco - D. Bosco manifesta l'intenzione di fondare un istituto di suore - Sua lettera ai giovani di Lanzo per ringraziarli dei loro auguri. - Una commedia latina - Parole paterne al suo segretario -Lettera ad una generosa benefattrice - Morte di un alunno e grave infermità di un altro - Ultimi giorni di Ernesto Saccardi e lettera di Don Bosco alla madre - I fanciulli e Gesù Bambino -Lettera di Don Bosco al ch. Francesco Cerruti.

Capitolo 35

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

Il 19 giugno Re Vittorio Emanuele aveva intimato la guerra all'Austria. L'esercito italiano forte di 219.000 uomini e 456 cannoni fu diviso in due corpi. Uno era sotto gli ordini immediati del Re, che aveva per capo di Stato Maggiore il generale La Marmora e doveva operare sul Mincio; l'altro sotto il generale Cialdini doveva avanzarsi sul basso Po presso Ferrara. Un terzo corpo di 30.000 volontari sotto Garibaldi aveva ordine di tentare un'invasione nel Trentino. Alle mosse dell'esercito dovevano andar congiunte le operazioni della flotta composta di 36 vascelli, fra i quali 12 corazzati. Gli Austriaci avevano in Italia 180.000, omini e nell'Adriatico una flotta di 27 navi, di cui 7 corazzate.

Il Re partiva da Firenze il 21 alla volta del quartiere generale di Cremona. I battaglioni comandati da La Marmora la mattina del 23 passavano il Mincio, e il giorno 24 erano assaliti a Custoza, nel centro del quadrilatero, da tutto il nerbo delle forze dell'Arciduca Alberto. La battaglia durò tutto il giorno e fu perduta dagli Italiani, quantunque strenuamente combattessero. Dovettero quindi rimanere qualche tempo nell'inazione per riordinarsi.

La sconfortante notizia giungeva a Torino nella notte del 25 giugno, quando si era già celebrata nell'Oratorio la festa dell'onomastico di D. Bosco. L'accademia musico-letteraria si tenne il 23 a sera. V'erano accorsi i Direttori di Mirabello e di Lanzo e ciascuno aveva condotto un alunno come rappresentante della loro comunità. La sera del 24 l'accademia non si ripetè, come si fece uno o due anni dopo e poi sempre, e D. Bosco si era ritirato in camera. Aveva già in mente un nuovo progetto, quello cioè di fondare un istituto femminile destinato all'istruzione delle fanciulle e a coadiuvare i Salesiani nella loro missione: ed aperse il suo pensiero al Direttore del Collegio di Lanzo, il quale subito scrisse ciò che aveva udito. Ecco il racconto.

“ Era calato il sole del giorno di S. Giovanni Battista: bellissima splendeva in cielo la luna, un fresco venticello rinfrescava gli estivi calori. Io salii in camera di D. Bosco e rimasi solo con lui per circa due ore. Dal cortile saliva il mormorio dei giovani che passeggiavano allegramente. Su tutte le finestre dell'Oratorio e le ringhiere dei poggiuoli, erano accese cento e cento fiammelle dentro bicchieri colorati. In mezzo del cortile stava la banda musicale, la quale di quando in quando eseguiva le più soavi sinfonie. D. Bosco ed io ci avvicinammo alla finestra e ci appoggiammo uno in faccia all'altro nel vano di questa. Lo spettacolo era incantevole: una gioia ineffabile riempiva il cuore. Dal cortile non potevamo essere veduti perchè noi eravamo nell'ombra; io però di quando in quando agitava fuori della finestra il mio fazzoletto bianco e i giovani vedendolo prorompevano in un entusiastico grido di Viva D. Bosco!

Don Bosco sorrideva. Siamo stati lungo tempo senza proferire parola assorti nei nostri pensieri, quando io esclamai:

” - Ah D. Bosco, che bella sera! Ricorda i sogni antichi? Ecco i giovani, ecco i preti ed i chierici che la Madonna le aveva promessi!

” - Quanto è buono il Signore, mi rispose D. Bosco.

” - E sono circa vent'anni e il pane non è mai mancato a nessuno! Tutto si fece e senza aver niente! Che cosa è l'uomo in quest'opere? Se l'impresa fosse umana, cinquanta volte avremmo fatto fallimento!

” - Non dici tutto; osserva come va rapidamente crescendo la nostra Pia Società in numero di individui e di opere! Tutti i giorni diciamo: basta, fermiamoci! e una mano misteriosa ci spinge sempre avanti.

” E così dicendo egli aveva la faccia rivolta verso la cupola sorgente e, ricordando gli antichi sogni, fissava gli sguardi su quella, che involta nei bianchi raggi della luna gli sembrava una visione celeste. Lo sguardo e l'aspetto di D. Bosco avevano in quell'istante un non so che d'ispirato. Ricademmo nel nostro silenzio in preda a mille emozioni.

” Finalmente io presi a parlare per la seconda volta:

” - Dica D. Bosco; non le sembra che manchi ancora qualche cosa per completare l'opera sua?

” - Che vuoi dire con queste parole?

” Io rimasi un momento esitante e poi ripigliai:

” - E per le fanciulle non farà niente? Non le sembra che se avessimo anche un istituto di suore affigliato alla nostra Pia Società, fondato da Lei, questo sarebbe il coronamento dell'opera? Il Signore aveva anche le pie donne che lo seguivano et ministrabant ei. Quanti lavori potrebbero fare le suore a vantaggio dei nostri poveri alunni. E poi non potrebbero fare per le fanciulle ciò che noi facciamo per i giovanetti?

” Io aveva esitato a manifestare il mio pensiero, perché temeva che Don Bosco fosse contrario. Egli pensò alquanto e con mia meraviglia rispose:

” - Sì, anche questo sarà fatto; avremo le suore, ma non subito però; un po' più tardi ”. - Esse infatti vennero regolarmente istituite nel 1872.

Il giorno dopo D. Bosco scriveva ai giovanetti di Lanzo.

 

Ai miei cari figliuoli di Lanzo.

 

Non potete immaginarvi, o figli carissimi, quanta allegrezza mi abbia arrecata la visita del sig. Direttore D. Lemoyne col vostro incaricato Chiariglione, mio buon amico.

Questa allegrezza crebbe ancora di più quando ho potuto leggere le belle ed affettuose composizioni che dalle varie classi, dai varii individui, assistenti, maestri e prefetto mi furono inviate. Le ho voluto leggere tutte senza mai sospenderle nè interromperle se non da qualche frequente lagrima di commozione. Voleste poi aggiungere ancora una offerta in danaro per la nuova chiesa e ciò pose colmo al mio piacere ed alla vostra bontà.

Miei cari figli, abbiate tutta la mia gratitudine. Mi avete, è vero, detto parecchie cose che non si possono applicare a me, ma tuttavia io le ricevo come cari segni di benevolenza del vostro bel cuore.

Oh siate sempre benedetti dal Signore! D. Lemoyne vi dirà molte cose da parte mia; esso è il vostro direttore, amatelo e siategli ubbidienti e confidenti come a me stesso. Egli lavora di buon animo per voi, nè altro desidera che il vostro bene. Oh quante cose egli mi raccontò di voi!

Gradite adunque che vi dica: “ Evviva il sig. Direttore D. Lemoyne, evviva a tutti gli altri superiori del Collegio, evviva, applausi prolungati a tutti i miei cari figli di Lanzo ”.

Spero di rivedervi presto e ci parleremo di cose molto importanti.

Intanto pregate per me ed io non mancherò di raccomandarvi al Signore nella S. Messa.

La grazia di N. S. G. C. sia sempre con voi e la Santa Vergine ci aiuti tutti a camminare per la via del Cielo. Amen.

Vi sono con pienezza di affezione,

Torino, 25 giugno 1866,

amico aff.mo nel Signore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

La soprascritta diceva:

 

Agli amatissimi giovani del Collegio Convitto di Lanzo, il loro amico Sac. Bosco Giovanni.

Di quei giorni nell'Oratorio si stava preparando una rappresentazione in lingua latina. Il biglietto d'invito, scritto da D. Francesia, che da molti anni presiedeva al teatro ed esercitava gli attori, era stato spedito il 23 giugno.

 

IOANNES BOSCO SACERDOS

Lectori salutem.

Pueri mei musis mansuetioribus

Operam qui navant, latinam fabulam

Propediem, septima et vigesima junii dabunt.

Hora secunda, postmeridiano tempore.

Est comoediae agendae A l e a r i a nomen

Et eius auctor clarissimus Palumbus,

Maxime qui sales plautinos callet.

Et iam res nova sane nobis praesagit

Multos doctiores spectatores fore,

Quos inter gaudeo te adnumerarier.

Verum si adsies, meus ni obficiet amor,

Tu nostrum cum aliis optime adprobaveris

Morem, quem sumsi abhinc aliquot iam annos,

In hac studiorum pueros ratione

Meos exercendi. Fac venias. Vale.

Domi, ex aedibus quae vulgo feruntur: Oratorio di S. Francesco di Sales -Valdocco.

 

Augustae Taurinorum, IX kal. Julii an. M. DCCC. LXVI.

 

D. Bosco volle assistere alla rappresentazione, non solo per contentare i suoi alunni, ma per rendere onore ai numerosi invitati. V’era con lui anche il giovane segretario che erasi scelto quest'anno, il ch. Berto Gioachino, il quale sui primordi del suo importantissimo ufficio dimostravasi alquanto timido ed affannato per timore di non corrispondere pienamente alla fiducia in lui riposta dal Superiore. D. Bosco lo rassicurò. Narra lo stesso Ch. Berto:

“ L’anno 1866 mentre accompagnava Don Bosco dalla sua camera al teatro, passando per la scaletta dello studio ed essendo da solo con lui, mi disse: - Guarda, tu hai troppo timore di Don Bosco; credi che io sia rigoroso e tanto esigente e perciò sembra che abbi timore di me. Non osi parlarmi liberamente.

Sei sempre in ansietà di non potermi contentare. Deponi pure ogni timore. Tu sai che D. Bosco ti vuol bene: perciò se ne fai delle piccole non ci bada e se ne fai delle grosse te le perdona ”.

Che bontà di padre!

Appena libero dalle esigenze impostegli da questi giorni di tanto trambusto, scriveva alla Contessa Callori.

 

Benemerita Signora Contessa,

 

Il giorno 22 di questo mese partiva da Mirabello per andare a Casale, ma giunto alla stazione ho trovate le corse sospese e dopo quindici ore di aspetto in Alessandria potei in fine giungere a Torino. Per questo motivo non ho potuto andare a riverire Lei e la sua famiglia come desiderava e parlarle dei nostri affari.

Ora le dirà che dopo dimani scade il mio debito verso il sig. Conte ed io debbo procurare di pagare il debito per acquistarmi credito. Quando Ella era in casa Collegno mi disse che in questa epoca avrebbe fatto una oblazione per la chiesa o per l'altare di S. Giuseppe, ma non fissò precisamente la somma. Abbia adunque la bontà di dirmi:

1° Se la sua carità comporta che faccia oblazioni in questo momento per noi e quali.

2° Dove dovrei indirizzare il danaro pel sig. Conte.

3° Se il sig. Conte per avventura ha pagamenti che possa fare con biglietti, oppure, siccome è cosa ragionevole, debbo cangiare i biglietti in Napoleoni secondo che ho ricevuto.

Appena la ferrovia faccia il suo corso regolare, andrò a farle una visita a Casale, oppure a Vignale, ed allora avrò il piacere di vedere Cesarino, che nel rispondere alla sua lettera aveva scambiato con Bimbo.

O Signora Contessa, ho bisogno dell'aiuto delle sue preghiere. Mi trovo con tante cose tra mano, che non saprei dove cominciare o dove finire. Grazie a Dio però lo stato morale della Casa va bene, ad eccezione di qualche spina che è inseparabile dalle vicende umane.

Dio benedica Lei, signora Contessa, e benedica tutta la sua famiglia; li conservi tutti nella grazia del Signore e nella pace del cuore.

Colla pi√π sentita gratitudine e con pienezza di stima ho l'onore di potermi professare

Di V. S. benemerita,

Torino, 29 giugno 1866,

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

Don Bosco accennava a qualche spina. Tale doveva essere stata anche la morte di un suo alunno dell'Oratorio avvenuta da pochi giorni e la gravissima malattia di un altro a Mirabello. D. Rua Michele notò nel necrologio:

Muore Borgna Luigi in età di 12 anni, nativo di Casotto. Fanciullo di costumi molto buoni, dava di sè ottime speranze. Sebbene da poco tempo fosse entrato nella casa, tuttavia già apparteneva alla Compagnia del SS. Sacramento ed era pure ascritto al Clero in cui spiccava per la sua particolare compostezza in tempo delle sacre funzioni.

Un altro giovanetto, che egli aveva condotto con sè da Firenze e consegnato al Direttore del Piccolo Seminario di Mirabello, si trovava in gravi condizioni di salute. Da due mesi una tosse ostinata non lo abbandonava. I Superiori gli prodigavano ogni cura, ma senza prò. Era questi Ernesto Saccardi da Brozzi (Firenze) di virtù così specchiata, che meritò gli venisse scritta la vita da D. Bonetti. I compagni lo chiamavano l'Angelo. Ricordando le antecedenti sue malattie e considerando la sua gracile complessione si incominciò a temere della sua vita. D'accordo col medico, D. Bonetti decise di mandarlo a Torino, per due ragioni: per fargli cangiare aria e perchè fosse visitato dai più celebri dottori di questa città. Comunicarono la decisione a Saccardi, e gli piacque. Egli desiderava molto di trovarsi vicino a D. Bosco, cui tanto amava e considerava qual padre dell'anima sua. Più volte aveva detto che la morte non gli avrebbe in alcun modo fatto paura, se in quel momento avesse potuto essere assistito da D. Bosco. Fu adunque accompagnato a Torino da un maestro incaricato di assisterlo durante il viaggio e consegnarlo nelle mani di D. Bosco che lo aspettava. Giungeva nell'Oratorio il 30 giugno. Furono chiamati i più rinomati dottori e la risposta del consulto fu tale da cagionare una profonda ferita al cuore di quanti amavano il buon giovane. Era ormai finita in cielo la sua corona; egli aveva saputo in breve tempo renderla assai bella e ricca; e gli angioli si disponevano a porgliela in capo. Tranquillo, anzi contento, assistito da D. Bosco moriva il 4 luglio.

Alcuni giorni dopo D. Bosco notificava alla desolata madre le circostanze della morte edificante del figlio.

Sebbene egli passasse molto tempo fuori di letto e facesse le sue divozioni in chiesa, tuttavia postosi a letto domandò di ricevere i SS. Sacramenti, e ne fu appagato. Una sera dopo essersi confessato mi disse di aver una pena, e me la espresse. - Io temo, disse, che la malattia vada in lungo, e che ella mi mandi a casa. Se ciò fosse, povero me! - Io lo consolai tosto dicendogli che, fosse stata lunga o breve la sua malattia, l'avrei sempre tenuto meco, nè gli avrei lasciato mancare alcuna cosa che gli avesse giovato o per l'anima o pel corpo. Pieno di contentezza soggiunse: - Dunque io sarò sempre con D. Bosco e figlio di D. Bosco. Sia Dio benedetto.

- Però, gli dissi, se Dio ti volesse con lui in Paradiso, io giudicherei di lasciarti andare, che ne dici?

- Oh sì, che vi andrei volentieri in Paradiso.

Debbo notare che il suo pi√π gran timore era di essere mandato a casa, e il solo parlargliene facevagli aumentare il male. - A mia casa, soleva dire, vi sono certi pericoli dell'anima, che io non potrei fuggire; pur troppo, pur troppo!...

Qui ommetto molte cose riguardo all'avanzarsi della malattia, al ricevere i SS. Sacramenti; nemmeno mi fermo a parlare di sua pazienza, della pietà, del fervore, cose tutte che potrebbero formare materia di un bel libretto. Dico solamente che un giorno avendogli detto se desiderava che invitassimo la madre sua a venirlo visitare: - No, rispose egli, perchè forse non mi potrebbe trovar vivo; e poi ella mi ama assai, e sarebbe per lei dolore troppo grande il vedermi morire. Io stesso ne patirei gravemente.

La sera precedente alla sua morte gli domandai se mi comandasse qualche cosa, e soggiunse: - Dica ai miei compagni che dimani sarò colla Madonna in Paradiso. - Stassera replicai, scriviamo una lettera al padre Giulio Metti; vuoi da lui qualche cosa? - Oh! padre Giulio, esclamò egli, caro padre Giulio, io vi ringrazio che mi abbiate salvata l'anima, mandandomi qua. Dio ve ne rimeriti.

Ai 4 di luglio, alle nove del mattino, io gli stava accanto per osservare l'andamento del male, e persistendo egli che di quel giorno voleva andare colla Madonna in Paradiso, gli chiesi chi lo assicurava di questo. - Me lo assicura Colei che ho scelto per mia madre; Ella non cangerà quanto mi disse. - Allora giudicai bene di chiedergli se avesse qualche commissione per sua madre. - Sì, rispose, dica a mia madre che io la ringrazio di quanto ha fatto per me; che le domando perdono dei dispiaceri che le ho dati. Cara madre, continuò egli, voi avete fatti grande sacrifizi per me; ma siatene certa, voi mi avete salvata l'anima, e questo vale per tutto. Voi perdete un figlio in terra, ma lo acquisterete in cielo. So che vi recherà un gran dolore la notizia della mia morte ma voi siete cristiana; fatene un sacrifizio al Signore in suffragio dell'anima mia.

Dopo queste parole gli comandai di riposarsi alquanto, ed ubbidì, Poco dopo continuò: -Dica ancora a mia madre che io muoio contento senza la minima pena della morte. Oh madre amata, io vado al Cielo; fatevi coraggio; colà vi attendo, e pregherà sempre Iddio per voi. Salutate tutti i miei parenti, e dite loro che al punto della morte si raccoglie quello che si è seminato nel corso della vita.

Voleva dir altro, ma ne fu talmente commosso che io lo consigliai a tacere. -Ho ancora una cosa a dire, e vorrei poterla dire, mi perdoni. - Parla pure, io eseguirò qualunque tuo ordine. - È cosa dolorosa, soggiunse, mi pesa, ma gliela raccomando. Preghi mia madre che procuri di parlare con alcuni compagni che ella conosce, e dica loro che io muoio col rimorso di averli conosciuti. Facciano essi in modo di riparare il loro scandalo prima del punto della morte.

Molti altri detti e pii pensieri esternò in quegli ultimi momenti, che io spero di poterle poi esporre verbalmente.

Erano le II del mattino, ed egli con volto allegro e rassegnato pregava e baciava il crocifisso. Dopo alcuni momenti cessò di parlare, guardò gli astanti, fe' un sorriso, e l'anima sua volò al Signore.

Uno spettacolo avvenne dopo la sua morte. Il suo cadavere divenne così avvenente che sembrava proprio un angelo fatto col pennello; i suoi compagni si deliziavano nel rimirarlo. Trentasei ore dopo conservava le sue sembianze, ed entrando nella camera mortuaria ed avvicinandosi allo stesso cadavere, non sentivasi odore di nessuna sorta.

Durante la malattia e subito spirato sonosi fatte speciali preghiere pel defunto. La sepoltura fu maestosa e pia. I suoi compagni lo accompagnarono finchè il cadavere fu consegnato al deposito. Tutti i superiori di questa casa e dell'altro collegio, ove visse maggior tempo, vanno d'accordo nel dire che abbiamo perduto una perla preziosa.

Due cose pertanto la devono consolare in questa disgrazia: 1° Una morte la più preziosa che si possa desiderare agli occhi di Dio, e questo per una madre cristiana vale per tutto. 2° Non gli mancò nulla che potesse giovargli all'anima e al corpo. Quando spirava stavano intorno al suo letto più sacerdoti, più chierici, più compagni, che pregavano per lui.

Adoriamo pertanto i decreti della Divina Provvidenza, che certamente in ogni cosa ha i suoi fini. Noi dobbiamo dire che Iddio se lo volesse prendere, affinchè i pericoli del mondo non pervertissero la sua mente, non guastassero il suo cuore, nè ingannassero la sua anima già matura pel Cielo. Consoliamoci a vicenda nella speranza che presto lo rivedremo in una vita migliore.

 

Così scriveva D. Bosco.

La notizia di questa morte fu tosto spedita a Mirabello, e l'impressione dolorosa che ne ricevettero gli alunni fu temperata dall'asserzione di un avvenimento sorprendente, ripetutosi pi√π volte.

Predicando in quel piccolo Seminario il Teol. Antonio Belasio, D. Belmonte dall'orchestra e tutti gli altri che erano con lui notarono un vivo muoversi ed agitarsi dei ragazzi di prima e seconda elementare (circa trenta) nel tempo della benedizione, e anche prima, quando era esposto il SS. Sacramento. Erano gesti e voci mal represse di meraviglia. Dopo la funzione essi corsero in cortile affermando tutti di aver visto nell'Ostia Santa, bellissimo, il Bambino Ges√π.

Due sere successive accadde questo fatto singolare con sempre crescente stupore e gioia dei piccolini che soli videro quella meraviglia.

Il Teologo volle interrogarli ad uno ad uno, separatamente, e si stupì nell'udire che tutti facevano la stessa identica descrizione dei Bambino, sicchè rimase persuaso che fosse vera quell'apparizione.

D. Belmonte stesso ci fece questo racconto.

Qualcuno la credette un'allucinazione, perchè presso il piccolo trono del Santissimo vi erano due piramidi di fiori sporgenti, i quali nello spazio che racchiudevano potevano formare una tal quale figura di bambino. Noi non entriamo in disputa. Diciamo solo che se fu illusione, questa aveva fondamento in due grandi verità: che là sul trono era realmente vivo e vero N. S. Gesù Cristo, e che è egli che disse: Sinite parvulos venire ad me: Deliciae meae esse cum filiis hominum.

D. Bosco venne informato dell'avvenimento e ne faceva cenno in una sua lettera al ch. Francesco Cerruti, ormai vicino alle sacre ordinazioni, a cui studiavasi di formare il patrimonio ecclesiastico. A tutti i suoi preti, eziandio a quelli che erano usciti dall'Oratorio, l'avea procurato con non comune diligenza e vivi impegni: e in quest'anno continuava ad adoperarsi da più mesi presso il Re, l'Economato, l'Opera Pia di S. Paolo, e la Curia, in favore di quei suoi chierici che si preparavano a ricevere gli ordini maggiori. Ma le pratiche e il carteggio si moltiplicavano, e le difficoltà e le dilazioni non finivano mai.

Al Re scriveva:

 

Sacra Reale Maestà,

 

Tra i giovani accolti nella casa detta Oratorio di S. Francesco di Sales trovansi due chierici che per la loro condotta morale e per la speciale attitudine alle scienze, vennero destinati allo studio ed in breve compiuto il corso ginnasiale e liceale pervennero al 5° anno di Teologia che presentemente percorrono.

Essendo essi privi affatto di beni di fortuna, procurarono di corrispondere alla carità loro usata col più vivo zelo, col fare i catechismi, assistere i loro compagni, insegnare nelle scuole diurne e nelle serali. Ora avrebbero età, studio e le altre qualità necessarie per essere ammessi agli ordini sacri; ma loro manca il patrimonio ecclesiastico, nè hanno parenti che loro lo possano provvedere.

Per questo motivo il sottoscritto ricorre umilmente alla clemenza di V. S. M. supplicandola affinchè si degni di prenderli in benigna considerazione e loro accordare sovra la cassa dell'Economato la pensione ecclesiastica, almeno finchè non possano essere altrimenti provveduti. Questo atto insigne di beneficenza tornerebbe eziandio di grande aiuto a questa casa, al cui vantaggio essi impiegano tutte le loro fatiche.

Tutti unanimi ripongono piena fiducia nella bontà sovrana già molte volte esperimentata; e assicurandola che invocheranno ogni giorno le benedizioni del Cielo sovra l'augusta di lei persona e sopra tutta la reale famiglia, a nome di tutti colla più sentita gratitudine si protesta

Di V. S. R. M.

Torino, 1866,

                                       Obbl.mo e Umil.mo supplicante

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

 

Al ch. Prof. Cerruti scriveva:

 

Carissimo Cerruti,

 

C'è, non c'è, è promesso, sarà ottenuto, poi è sospeso, difficoltà et caetera: ed in fine dei conti ogni cosa va a lungo. - Dunque prendiamo una via sicura, a tua comodità fa' una gita a Torino, di qui tratteremo del tuo patrimonio e, se fa bisogno, andremo a Saluggia per appoggiare una parte sopra gli stabili che ti riguardano... Il resto ce lo diremo.

Se tu sei veramente allegro, procura di fare star bene tutti gli abitanti del piccolo Seminario. Saprai già la morte nel nostro caro Saccardi. Di’ pure ai compagni che lo invochino dal Cielo, chè certamente a quest'ora è in gloria col Signore, in compagnia di Rapetti, vera copia di Savio Domenico. Saluta D. Bonetti e D. Provera una cum caeteris hic habitantibus: perdona il latino; non badavo che scrivevo ad un professore.

Se il fatto del Bambino continua ne' medesimi termini, dì a Don Bonetti che tenga memoria d'ogni più piccola particolarità, specialmente col far scrivere il racconto separatamente da tutti quelli che l'hanno veduto, dopo se ne farà un estratto da questi documenti.

Cerruti, coraggio, dovremo combattere, ma non siamo soli, Dio è con noi, il premio ricompenserà ogni fatica sostenuta.

Dio ci benedica tutti e ci conservi per la via della salvezza eterna. Amen.

Torino, 7 luglio 1866.

Tuo aff.mo in G. C.

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

D. Francesco Cerruti, ordinato suddiacono il 20 settembre, saliva la prima volta all'altare il 22 dicembre 1866.

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