Capitolo 36

Nuove accuse d'un segretario dei Molini contro i giovani dell'Oratorio - Il Municipio vieta le radunanze catechistiche nella Chiesa di S. Martino - La mano del Signore e il figlio del Segretario - D. Bosco e la sua fortezza - L'Oratorio ambulante - Spirito di profezia - Impressioni di tino splendido sogno - Speranze e disillusione.

Capitolo 36

da Memorie Biografiche

del 25 ottobre 2006

 In Torino nuove croci aspettavano D. Bosco. Il Municipio non aveva ancora risposto al memoriale dei mugnai, nè presa alcuna deliberazione. Si viveva nell'ansietà; quando pose il colmo ai dispiaceri una lettera mandata ai Sindaci da un Segretario dei Molini. Costui, raccogliendo nel suo scritto le false voci che correvano sulla bocca degli avversari, ed esagerandole a sua posta, diceva essere impossibile che le famiglie addette a quegli uffici potessero attendere ancora ai loro doveri e vivere tranquille. Accennava al pericolo che in quelle scapigliate ricreazioni qualcheduno potesse cadere nel largo e profondo canale dove le acque corrono alle ruote dei molini. Giunse perfino ad asserire che quella raccolta di giovani era un semenzaio d'immoralità. Allora i Sindaci, sebbene persuasi dell'infedeltà della relazione, cedendo alla maggioranza del Consiglio, spiccarono un ordine, cortese nella forma ed indirizzato al Teol. Borel, in forza del quale D. Bosco doveva lasciare libero quel luogo e trasportare altrove il suo Oratorio.

 

 

Città di Torino - Primo Dicastero - Servizio generale - N. 407

 

Torino, li 18 novembre 1845

 

Ill. e Molto Rev. Signore,

 

Informata la Ragioneria degli inconvenienti occorsi per parte dei fanciulli che recansi, giusta l'autorità datane alla S. V. Ill. e M. R., alla Cappella della città presso i molini di Dora per essere catechizzati, ha deliberato che debba cessare col 1 del prossimo gennaio la concessione fatta alla. S. V. dell'uso di detta cappella.

Ci spiace che gli accaduti inconvenienti abbiano dato motivo a tal deliberazione della Ragioneria, alla quale ci lusinghiamo che ella sarà per uniformarsi, ed abbiamo il pregio di dichiararci con distinta considerazione

Della S. V. Ill. e Al. Rev.

 

Devot.mi e Obbl.mi

I Sindaci

di Serravalle - Bosco di Ruffino

 

 

D. Bosco annunziò ai giovani la deliberazione del Municipio. Rincrescimento generale, sospiri inutili. Qualcuno dei più grandi si dolse con D. Bosco di quell'ingiuria; ma egli prontamente gli rispose: - Non importa: la Provvidenza divina s'incaricherà di prendere a suo tempo la difesa degli innocenti. - E così fu. Non tutti gli avversari godettero, della loro vittoria. Il Segretario, autore della famosa lettera, scrisse per l'ultima volta. Vergato quello scritto contro l'Oratorio, egli fu colto da un violento tremolio alla destra mano, dovette lasciare il suo ufficio, e in capo a tre anni discendere nella tomba. Un suo figliuoletto però, derelitto in mezzo ad una strada, venne poscia ricoverato da D. Bosco nell'ospizio che dopo alcun tempo apriva in Valdocco. Charitas benigna est. La carità è benefica e accoglie tutti ugualmente.

D. Bosco vedeva in quel momento la sua opera, tanto vantaggiosa alla moralità dei giovani popolani e alla tranquillità cittadina, specialmente nei giorni festivi, non solo non apprezzata, ma respinta. La quiete privata non voleva disagiarsi in nulla per la quiete pubblica. Egli però paziente, ma fermo nel suo proposito, vinceva una pretensione eccessiva con una docilità eroica. Era impensierito, ma non era abbattuto. Che questa sua fortezza d'animo fosse un dono speciale ricevuto dallo Spirito Santo ne è prova aver egli compito tante opere buone in tempi difficilissimi, sempre fra aspre contraddizioni, con prontezza, intrepidezza e senza ostentazione. Soffrendo godeva e tutto offeriva a Dio, sicchè le cose più ardue e ripugnanti alla natura stimavale facili e soavi. Ed era forse un passatempo trovarsi in mezzo a tanti fanciulli, rozzi, male educati, chiassosi, non tutti riconoscenti, talora perfin villani negli atti di loro gratitudine? Era forse una deliziosa occupazione istruirli con gran stento per la mente ottusa degli uni e per la caparbietà, e svogliatezza di altri? E pure li trattava con tanto affetto e riguardo, come non avrebbe fatto il migliore de' padri! Sì! D. Bosco sarebbe stato lieto per i suoi giovani di affrontare e tollerare ogni tormento ed eziandio far sacrifizio della vita per la salute delle loro anime.

Egli dunque co' suoi trecento giovani, passato un mese, sarebbe rimasto in mezzo alla strada senza un tetto sotto il quale ripararli dalla pioggia, dalla neve e dai venti gelati. Intanto per uno o due giorni festivi si profittò ancora della mora concessagli dal Municipio radunando i giovani nella chiesa di S. Martino, ma più non permise che si trastullassero in quel luogo. Il dopo pranzo, fatto il catechismo, conduceva le sue schiere al di là del ponte Mosca e presso la riva della Dora li faceva scendere in uno di quei campi incolti che si estendevano a sinistra di chi entra in Torino. Quivi dava a ciascuno un grosso pane e abbondante porzione di frutta o di carne salata, e distribuiti i vari giuochi, bocce, piastrelle, stampelle e corde per i salti, incominciavasi la ricreazione che durava fino a notte. Egli intanto assistevali seduto sopra un rialto, mentre talora recitava il breviario.

Durante quelle settimane cercò un altro sito dove rifugiarsi, ma non gli venne fatto di trovarlo. Una grande curiosità aveva condotti molti cittadini a S. Pietro in Vincoli e a S. Martino dei Molassi per udire i tristi casi del Cappellano, della fantesca e del segretario. Una specie di terrore erasi insinuato negli animi, sicchè eziandio certe persone buone e ricche respingevano il pensiero di accogliere in qualche loro terreno D. Bosco e il suo Oratorio. “Nello stesso tempo si capiva, lasciò scritto D. Bosco, che opporsi a ciò che noi facevamo era un opporsi alla volontà del Signore. Non già che mandasse direttamente per vendicarci così terribili castighi, ma permetteva simili disgrazie per indicare come non volesse che nessuno osteggiasse il nostro Oratorio.” Però non andò molto che avvennero altri fatti, i quali diedero a conoscere come il Signore benedicesse tutti coloro che porgevano la mano a promuovere e sostenere  quell'opera sì benefica; e moltissime persone di Torino e d'altrove più volte confessarono che la loro sorte e quella di loro famiglia aveva preso a migliorare, dal momento in cui esse si erano fatte a beneficare i poveri giovanetti di D. Bosco.

Ma in quei giorni si aspettava invano un raggio di speranza. D. Bosco pertanto tenne consiglio con D. Cafasso, col Teol. Borel e D. Pacchiotti. Charitas non agit perperam. La carità non opera temerariamente. A qual partito appigliarsi? Era impossibile ritornare al Rifugio. Continuare a tener radunanze fino al 1° gennaio nella chiesa di San Martino non era conveniente, causa l'animosità dei mugnai imbaldanzita per le decisioni del Municipio. Non era questione di sospendere i catechismi. Ma dove andare? Dopo aver pregato, decisero di continuare l'impresa a qualunque costo. La chiesa di San Martino avrebbe servito di riparo nella sola ora dell'istruzione religiosa in caso d'intemperie; la piazza dei Molini sarebbe luogo di convegno e punto di partenza; e l'Oratorio diverrebbe come ambulante.

Si era ai primi di dicembre e per alcune feste incominciò a farsi così. Al mattino i giovani accorrevano alla piazza dei Molini, ove D. Bosco li attendeva, muniti ciascuno di provianda per tutto il giorno. Ad una certa ora il buon Capitano li disponeva in ordine raccomandando loro il silenzio, almeno dentro alla città. Dato il segno di mettersi in cammino, egli, digiuno e malaticcio, ponevasi alla loro testa e conduceva l'allegra brigata qualche chilometro da Torino, quando a Sassi, quando alla Madonna del Pilone, alla Madonna di campagna, al Monte dei Cappuccini a Pozzo di Strada, alla Crocetta, e altrove. Giunti alla meta già prima designata, D. Bosco domandava al parroco del luogo o ai religiosi del convento un permesso che non fu mai rifiutato. Tutti entravano in chiesa, e siccome D. Bosco desiderava sopratutto che si confessassero, eziandio in quelle strettezze di tempo, pregava qualche buon sacerdote a prestarsi con lui nell'ascoltarne un certo numero.

Quindi celebrava la santa Messa e poi faceva una breve spiegazione del Vangelo. Il divoto contegno dei giovani edificava i parrocchiani del luogo, e gli stessi religiosi se quello era un convento. Una delle attrattive più forti per i giovani erano i sermoni di D. Bosco. Un giorno spiegava la causa di questo incanto a D. Luigi Guanella: - Se vuol piacere e far del bene, predicando ai fanciulli bisogna portare esempi, parabole, similitudini; ma ciò che importa di più si è che le narrazioni vengano bene sviluppate e molto particolareggiato: scendere alle piccole circostanze. Allora i giovani prendono interesse per una parte e per l'altra alle azioni diverse o contrarie dei personaggi descritti, si appassionano per gli eventi dolorosi o lieti dai quali è colpita la loro fantasia e attendono con ansia come vada a finire il racconto.

Alla sera radunatisi di bel nuovo nella chiesa o in qualche attiguo cortile dopo un poco di catechismo, un canto ed un racconto a forma di predica, D. Bosco li conduceva in giro a far passeggiate su per le colline poco distanti, lungo una via più o meno libera, o in qualche altro sito dove potessero divertirsi senza danno loro ed altrui. Queste passeggiate non erano senza dispendio. L'aria pura ed il moto destando l'appetito nei giovani, talora non pochi di essi avevano consumato anche prima della colazione ciò che recavano seco di cibarie, e avendo poi fame, bisognava che D. Bosco li rifornisse di pane.

Quando il sole cominciava a cadere dietro le Alpi, si dava il segnale, e si ritornava in città, dove ciascuno rientrava nella propria casa a raccontare quanto aveva fatto e detto il buon Direttore. D. Bosco prima di giungere al Rifugio passando innanzi a qualche chiesa era solito ad entrarvi con due o tre giovani dei più grandi per adorare o per ricevere la benedizione del SS. Sacramento. E Dio era con lui!

Finalmente la chiesa di S. Martino fu abbandonata del tutto, la quarta Domenica di Avvento 22 dicembre. D. Bosco, dopo aver fatta recitare ai giovani radunati una preghiera, come saluto di congedo al Santo Titolare, nell'uscire aveva esclamato alzando gli occhi al cielo: - Domini est terra et plenitudo eius. - E rivolto ai giovani, diceva loro con una espressione di voce piena di viva fiducia: - Pazienza! La Beata Vergine ci aiuterà! Andiamo in cerca di un altro locale.

 - E dove lo troveremo? gli soggiunsero quelli che aveva più vicini.

 - Colui che prepara il nido agli uccelli e il ricovero alle fiere nelle caverne dei boschi, no, non ci dimenticherà.

Il giorno di Natale i giovani si versarono come un'ondata presso di D. Bosco al Rifugio. Che fare? La stanza, già stretta di per sè, era ingombra di soprappiù da un gran mucchio di attrezzi per la ricreazione e d'oggetti di chiesa, che qui erano stati riportati dai Molini o tolti dalla cappella provvisoria, dell'Ospedaletto. D. Bosco, attorniato da una moltitudine di fanciulli pronti a seguirlo ovunque andasse, non aveva un palmo di terreno per intrattenerli, che in qualche modo potesse dire suo. La stagione si era fatta molto rigida. Nessuno poteva immaginarsi, e neppure D. Bosco stesso, dove finalmente avrebbe trovato un ricovero. Frattanto si recarono tutti in una chiesa vicina ad ascoltare le tre Messe; ma fu una festa ben diversa da quella dell'anno antecedente, e questo pensiero infondeva nei cuori un'insolita mestizia.

Tuttavia D. Bosco, sebbene fosse angustiato, per timore che i giovani si stancassero di venire alle festive adunanze, celava la sua pena, si mostrava con essi di buon umore e li andava confortando ed animando alla perseveranza; e rallegravali col raccontar loro mille meraviglie intorno al futuro Oratorio, che per allora esisteva soltanto nella sua mente e nei decreti del Signore. - Non temete, miei cari figliuoli, diceva loro; è già preparato un bell'edifizio per voi; presto ne andremo al possesso: avremo una bella chiesa, una grande casa, spaziosi cortili, ed un numero sterminato di giovani verranno a ricrearsi, a pregare ed a lavorare. - Gran cosa! I giovani gli credevano! Pareva che questa critica sua posizione dovesse mandare in fumo ogni pensiero d'Oratorio e disperdere coloro che lo frequentavano. Invece il loro numero cresceva sempre. Si ripetevano a vicenda la profezia di D. Bosco, e il Signor Villa Giuseppe nel 1856 sentivasi raccontare da molti di questi, divenuti oramai uomini positivi, e le promesse profetiche e il loro avveramento che egli stesso, vedeva.

E’ un fatto eziandio ben degno di nota come di queste peregrinazioni di D. Bosco punto di partenza, di arrivo e di stanza fosse sempre Valdocco, come se potente calamita qui lo attraesse. Una cara fantasia gli aveva aperto in sogno un altro magnifico spettacolo. Ei lo raccontò brevemente e a pochi suoi fidi nel 1884. Ma ciò che in esso vi ha di più splendido gli sfuggì di bocca a più riprese e a lunghi intervalli nello spazio di circa venti anni, contemplando commosso e quasi estatico la chiesa di Maria SS. Ausiliatrice. Lo scrivente che gli era al fianco non lasciò cadere le sue parole, notandole volta per volta, e poi riunitele ne risultò la scena qui descritta.

Gli era parso di trovarsi sul margine a settentrione dei Rondò o Circolo Valdocco, e spingendo lo sguardo dalla parte della Dora, fra gli altissimi alberi che in quel tempo allineati ornavano il corso ora detto Regina Margherita, vide in giù, alla distanza di circa settanta metri vicino alla via Cottolengo, in un campo seminato di patate, meliga, fagioli e cavoli, tre bellissimi giovani, splendenti di luce. Stavano fermi in piedi in quello spazio che nel sogno precedente gli era stato indicato come teatro del glorioso martirio dei tre soldati della legione Tebea. Questi lo invitarono a discendere e a venire con loro. D. Bosco si affrettò, e come li ebbe raggiunti, fu da essi accompagnato con grande amorevolezza verso l'estremità di quel terreno nel quale ora s'innalza maestosa la Chiesa di Maria Ausiliatrice. D. Bosco percorso un breve tratto passando di meraviglia in meraviglia, fu innanzi ad una Matrona magnificamente vestita di indicibile avvenenza, maestà e splendore, presso alla quale distinse un senato di vegliardi in aspetto di principi. A lei come a Regina facevano nobilissimo corteggio innumerevoli personaggi ornati di una grazia e ricchezza abbagliante. Intorno intorno si stendevano altre schiere fin dove si poteva spingere lo sguardo. Quella Signora, che era comparsa ove adesso è collocato l'altar maggiore della Chiesa grande, invitò D. Bosco ad avvicinarsi. Come le fu dappresso, gli manifestò quei tre giovani che lo avevano a lei condotto, essere i martiri Solutore, Avventore ed Ottavio; e con ciò sembrava indicargli come di quel luogo sarebbero stati gli speciali patroni.

Quindi con un incantevole sorriso sulle labbra, e con affettuose parole lo incoraggiò a non abbandonare i suoi giovani, ma di proseguire con sempre maggior ardore nell'opera intrapresa; gli disse che incontrerebbe ostacoli gravissimi, ma che questi sarebbero tutti vinti ed abbattuti dalla confidenza che egli avrebbe posta nella Madre di Dio e nel suo Divin Figlio.

In fine gli mostrò poco distante una casa, che realmente esisteva, e che poi egli seppe essere proprietà di un certo signor Pinardi; e una chiesuola, precisamente nel sito dove ora è la chiesa di S. Francesco di Sales col fabbricato annesso. Alzando quindi la destra esclamò con voce ineffabilmente armoniosa: HAEC EST DOMUS MEA: INDE GLORIA MEA.

Al suono di queste parole, D. Bosco rimase talmente commosso, che si riscosse, e la figura della Vergine SS., che tale era la Matrona, e tutta la visione, lentamente svanì come nebbia al levare del sole. Egli intanto, confidando nella bontà e misericordia divina, ai piedi della Vergine aveva rinnovata la consacrazione di tutto se stesso alla grande opera alla quale era chiamato.

In sul mattino seguente, tutto in festa pel sogno, si affrettò ad andare a visitar quella casa che dalla Vergine eragli stata indicata. Nell'uscire dalla sua stanza disse al Teol. Borel: - Vado a vedere una casa adatta al nostro Oratorio. - Ma quale non fu la sua dolorosa sorpresa, quando, giunto in quel sito, invece di una casa con una chiesa, trovò un'abitazione di gente di mala vita! Ritornato al Rifugio e, interrogato con premura dal Teol. Borel, senza dare alcuna spiegazione, gli rispose, che quella casa sulla quale aveva fatti i suoi disegni non serviva all'uopo.

 

 

 

 

 

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