La guerra dell'indipendenza - Malvagi scrittori - Il buon senso di un contadino - Insulti ai preti - D. Bosco in mezzo ai Barabba - Sua prudenza e carità nel sopportare le ingiurie e far del bene agli offensori - Giovinastri indotti a confessarsi - Un difensore inaspettato.
del 10 novembre 2006
 Il mese di giugno incominciava con un grave insulto alla Chiesa. Mons. Galvano Vescovo di Nizza aveva negata la sepoltura ecclesiastica ad un emigrato morto impenitente, e un popolaccio di circa seicento persone, coi soliti schiamazzi strappava lo stemma dal suo palazzo e lo trascinava nel fango. Perciò Angelo Brofferio nella camera dei deputati urlava una diatriba violentissima contro i Vescovi.
Ma la guerra dell'indipendenza intanto volgeva a male. L'11 di giugno Vicenza, difesa da solo 10.000 italiani, assalita da Radetzki con 30.000 uomini, fulminata da 110 cannoni, dopo due giorni di resistenza disperata si arrendeva al nemico. Parve che in buon punto fosse tentata una ribellione in Boemia, e se fosse riuscita, avrebbe dato un tracollo all'impero Austriaco; ma Praga insorta il 12, dopo quattro giorni di fieri combattimenti dovette assoggettarsi. E l'esercito Austriaco in Italia, non ostante una tenace difesa, il 13 era padrone di Treviso, il 25 di Palmanuova; i Pontifici che avevano presa gran parte a tutti quegli scontri, abbandonata anche Padova, si ritirarono oltre Po, e si ridussero a Roma. Così tutta la terra ferma veneta ritornava sotto il giogo straniero.
Questi avvenimenti però non attiravano tutti i pensieri del Governo di Torino. Il 16 giugno il ministro Pareto scriveva al Pontefice come i tempi volessero assolutamente la cessazione di tutti i privilegi ancora esistenti del foro ecclesiastico e di quei favori che furono nei tempi passati accordati al clero. Il 17 giugno il Ministro Sclopis scriveva ai Vescovi accusando una parte degli ecclesiastici di cagionare scontentezza e diffidenza nel popolo, col manifestarsi avversi al presente ordine di cose, e minacciando i rigori della legge. Ma ben diversa era la causa di tale rimpianto. Le vittorie degli Austriaci avevano fatto succedere lo scoramento all'entusiasmo dei primi giorni; si aggiungevano i danni delle famiglie, il timore di mali più gravi, i sospetti, le gelosie, le ambizioni non soddisfatte, le agitazioni settarie e repubblicane. Mazzini, venuto a Milano, infiammava i suoi seguaci, sicchè suscitarono tumulti. Non avendo però forze bastanti per dominare, aspettavano con viva ansietà soccorsi dalla Francia rivoluzionaria. Infatti dopo lunghi torbidi il 23 giugno i socialisti in Parigi presero le armi per impadronirsi del Governo. Le guardie nazionali e le truppe si schierarono in difesa. Per quattro giorni in tutta la città durò una battaglia crudele e sanguinosa. Mons. Affre, vittima della sua carità, cadeva mortalmente ferito in mezzo alle barricate; i socialisti vennero sconfitti: e così furono interrotti i disegni delle sette in Italia.
A tutti questi malanni il 16 giugno se ne era aggiunto in Torino un altro gravissimo. Veniva fuori la 'Gazzetta del Popolo' opera di Bottero, Borello e Govean. Questo giornale, piccolo di mole, ebbe parte grandissima nell'eccitare e promuovere l'odio alla Chiesa, sicchè forse più di ogni altro recò danno alla religione ed al sacerdozio. Al che, oltre al saper solleticare tutte le passioni popolari, conferì assai lo stile semplice ed elementare con cui fu scritto, e il dare gran copia di notizie commerciali: questo gli apriva facile l'entrata nei pubblici uffizi, quello lo faceva andare tra le mani di moltissimi del popolo; e non solo della capitale, ma delle altre città, fino ai più piccoli villaggi del Piemonte.
Quando ne furono stampati i primi numeri, accadde un fatto che dimostrava il buon senso di un popolano, e col racconto del quale D. Bosco talora rendeva pi√π amena la sua conversazione cogli amici.
Entrato egli una volta nel caffè del signor Fiorio ed essendo a conversare con un garzoncello che aveva intenzione di ricevere nell'oratorio, apparve nella sala una bella figura di montanaro. Per cappello teneva in capo un pelliccione e aveva un paio di calzoni che gli arrivavano fino al ginocchio, con due tasche che parevano due sacchi. Costui sedette e domandò una scodella di caffè. Come fu servito, colle dita nere pel tabacco, che ad ogni istante annasava, prese lo zucchero mettendolo nella tazza. Lo colse in quell'atto una dozzina di buontemponi studenti e damerini, e dopo averlo contemplato un istante, si guardarono l'un l'altro ghignando. Quindi gli si avvicinarono: - Galantuomo, gli dissero, avete letta oggi la “Gazzetta del Popolo”?
 - Oh! io, vedano, non so leggere; però se essa contiene qualche cosa di bello, me la diano pure; lo la porterò a mio figlio che è una vera arca di scienza: egli a quest'ora è già capace a fare i salami, e contemporaneamente a leggere e scrivere.
 - Ha egli le patenti da avvocato questo vostro gioiello di figlio? - Esclamò ridendo uno della brigata. Queste parole furono seguite da una salva di evviva e da sonori scrosci di risa. Allora quel galantuomo puntò i pugni serrati sulle anche: - E perchè, disse, ridete così? Il mio parroco quando predica suole esclamare sovente: - Orum, orum, orum.
Le risa questa volta furono assai più prolungate. - E cosa vuol dire questo vostro parroco con delle parole così sublimi? - saltò su a dire uno.
 - Io, vedete, so nulla di latino, e perciò il parroco me le ha spiegate; e mi ha detto che significano come il riso abbondi nella bocca degli stolti.
I damerini intesero allora che quel contadino non era tanto tanghero come essi credevano, e proseguirono facendo l'elogio della Gazzetta, narrando gli ultimi aneddoti da essa riferiti e specialmente ciò che riguardava i preti; mentre sottecchi guardando D. Bosco, gli facevano intendere che quel frizzo era per lui.
 - Possibile! esclamava quel buon uomo. Sì che me la contate bella!
 - Ma come, non sapete queste cose?
 - No, proprio in mia coscienza: e non m'interessano.
 - La Gazzetta dice che il regno dei preti è finito.
 - E ora comandavano noi, non è vero?
 - Certo. E dei preti se ne dicono delle belle da questo giornale. Sembra impossibile che i preti siano capaci di certe nefandità.
 - Ed essi ci credono a queste cose?
 - Certo! Dal punto che le narra la Gazzetta e tutti lo dicono… e voi?
 - Io?... E quel brav'uomo dopo aver pensato alquanto, senza scomporsi, con la sua ruvida semplicità: - Miei cari, disse in buon dialetto piemontese; bisogna che essi sappiano come i asu a pettu pi fort dii mûi; il raglio dell'asino è più fragoroso di quello dei muli, e gli ignoranti danno ragione a chi grida più forte.
Più oltre D. Bosco non udì, poichè a questo aforismo non potè comprimere le risa, e seguito dal suo nuovo alunno uscì dal caffè, lasciando che quell'uomo senza istruzione continuasse a dare lezioni agli scaldapanche delle scuole.
Ma l'opera ferocemente demolitrice della “Gazzetta del Popolo” e di un altro empio giornale, “L'Opinione”, in un colle bestemmie e menzogne di un certo apostata e ciurmadore che si faceva chiamare Bianchi-Giovani, e di cento e cento altri, incominciavano a produrre i più funesti effetti. Si insinuava nella gente l'errore che non vi fosse alcuna distinzione tra cattolici ed eretici, che tutte le religioni fossero egualmente buone e gradite a Dio, come se bianco e nero, dolce ed amaro, luce e tenebre, verità ed errore, lode e vitupero fosse una medesima cosa. Confondendo la libertà colla licenza, fomentavano le malnate passioni e dicevano lecito quel che non era. Avevano preso a spacciare favole contro la Chiesa Cattolica, inventare e pubblicare storielle infamanti, contro i Vescovi, i Sacerdoti e i Religiosi, nulla risparmiando per metterli in discredito e in uggia presso il popolo. Per queste ed altre cause, che troppo lungo sarebbe l'enumerare, successe che in capo a poco tempo una buona parte della plebe fosse così pervertita nelle idee e sì male impressionata, che un Ministro di Dio non era più sicuro per le vie della stessa civilissima Torino.
In questi tempi D. Bosco corse eziandio vari pericoli, ma con l'aiuto della Madonna riuscì a liberarsene, e con vantaggio di coloro che lo avevano insultato. Per più anni fu un continuo svolgersi di fatti analoghi a quelli che siamo per narrare.
Un giorno egli passava vicino a Porta Nuova, e in fondo, alla via che metteva nei campi vide un crocchio di venti giovanastri che avevano facce tutt'altro che da chiesa. Costoro, scoperto il prete che si avanzava, incominciarono a pronunciare sotto voce motti di scherno, ed alcuni ad urlare: - Dagli al prete, dagli al prete!
D. Bosco avrebbe voluto ritornare indietro; ma non essendo più in tempo e d'altra parte non credendo conveniente mostrarsi timoroso, continuò ad avanzarsi a lento passo. Quando fu vicino, il crocchio si aperse; egli dovette passare nel bel mezzo, mentre tutti gli occhi dei farabutti erano fissi su di lui con espressione beffarda. Non si era ancora discostato di due passi, quando uno gridò: - Perchè lasciar passare questo prete?
 - Non è padrone di andare per la sua strada? Rispose una voce ironica. Sapete forse chi possa essere costui? Potrebbe farci imprigionare tutti quanti!
 - Un prete far imprigionar noi! replicò il primo. Che cosa è mai un prete? Nient'altro che un corvo, una cornacchia e tanto basta; e a squarciagola gridava: - Qua, qua, qua!
 - Ma perchè, continuò il secondo interlocutore, volete far del male a chi in nessun modo vi ha offeso?
 - Hai ragione! saltò su a dire un terzo; dunque voglio che ripariamo l'insulto che abbiamo fatto a questo prete: voglio che tutti insieme andiamo all'osteria e che gli paghiamo una pinta di Barolo.
 - Non tocca a te gridava un quarto; voglio avere io questo onore e darò una bella merenda a tutti.
 - Ma che merenda! saltava a dire un ultimo. Zitti tutti voi; vi farò contenti io: ha da essere una partita di prima classe
E urlavano in pieno coro: - Tocca a me, tocca a me! quasi contendendosi ciascuno l'onore di pagare la cena al prete; e sembrava che volessero addirittura venire a risse per questo. D. Bosco andando lentamente udiva tutto il dialogo, che evidentemente era uno scherno continuato; ma ad un tratto si arrestò e voltosi, ritornò sopra i suoi passi.
I giovanotti fecero silenzio e D. Bosco: - Ascoltatemi, disse loro: vedo che siete negli imbarazzi per decidere chi pagherà; scioglierò io la questione. Venite con me: pagherò io da bere a tutti.
Lunghi, fragorosi scoppiarono gli evviva al prete. Don Bosco rispose: - Evviva a voi! Ma prima vorrei un piacere da voi, continuò D. Bosco.
 - Sì, sì, siamo pronti!
 - Vorrei che qualche Domenica andaste là in fondo al corso Valdocco, dove si è aperto un Oratorio.
 - Là dove mi hanno detto che alla domenica si radunano tanti giovani per giocare e per divertirsi?
 - Precisamente.
 - Da D. Bosco? - Esclamarono alquanti.
 - Proprio da D. Bosco.
 - Chi è D. Bosco? - si chiedeva a vicenda la maggior parte. - Ma! rispondevano alcuni; non lo so! Altri soggiungevano. - Non ci sono mai stato.
 - Dunque andrete? - rispose D. Bosco.
 - Sì, sì: ma ora ci paghi da bere. - E tutti si avviavano alla bettola più vicina. Questa era in mezzo ai prati, lontana dalle abitazioni, e in quell'ora, deserta di avventori. D. Bosco fece portare tante bottiglie quante erano necessarie perchè tutti potessero rimaner soddisfatti: si toccarono i bicchieri, egli stesso bevette qualche sorso. Dopo un'allegria rumorosa, incomposta, come suole simile gente, D. Bosco voleva congedarsi.
Ma no: gridavano tutti ad una voce. Noi vogliamo accompagnarla al sicuro fino a casa sua. - E si avviavano. Giunti in Valdocco, vicino all'oratorio. - Ecco, diceva uno, questa è la casa di un certo prete che è molto buono, e che vuol bene ai Barabba, e li protegge. È un vero galantuomo! - Sì sì - replicava un altro - è la casa di D. Bosco. - Oh! io - diceva un terzo - sono già venuto qui e mi sono confessato; una volta sono stato al Catechismo e mi sono divertito. Non vidi però D. Bosco perchè in quel giorno era a predicare fuori di Torino. - I giovani vedendo che D. Bosco si avvicinava sempre più a quella casa, oggetto dei loro discorsi: - Ma ella, lo interrogarono, sta dunque nella medesima casa di D. Bosco?
 - Proprio questa è la mia casa! E indovinate chi sono io! - Al sorriso di D. Bosco essi incominciavano ad intendere.
 - Lei è forse D. Bosco?
 - D. Bosco, D. Bosco? - Replicavano tutti gli altri.
Sì, continuava allora il buon prete. Non facciamo più enigmi. Vedete, miei cari; D. Bosco sono io. Sono il vero vostro amico!
Allora quei giovanotti si effondevano in scuse pregandolo a voler perdonare le ingiurie e gli scherni.
D. Bosco rispose di non sapere in qual modo potessero averlo offeso, e continuava: - Giacchè vedo che siete così buoni, vorrei che mi faceste una promessa. - Tutti protestarono di essere pronti a fare quanto egli avesse voluto. Ebbene, Domenica ventura, di quanti ora siete qui, nessuno manchi di venirsi a confessare da D. Bosco, e sarete contenti.
 - Uhm, a confessarci! Diceva uno. - Sono sei anni che non mi sono più confessato, replicava l'altro. E quindi in vario coro proseguivano: - Dalla prima comunione non ho più visto chiesa. - Io non so che cosa dire al Confessore. - Io non mi sono mai confessato.
 - Ebbene, venite, concludeva D. Bosco. Vi aspetto immancabilmente, e tutti, non è vero?
 - Va bene: va bene! E datasi la buona notte si dividevano.
D. Bosco aveva fatto un simile invito, persuaso che sarebbe stato accettato, ma che nessuno avrebbe mantenuta la parola. Eppure, la Domenica seguente si presentarono sedici di quei giovanotti, si confessarono, mutarono anche vita, e mantennero lunga amicizia con D. Bosco. Soli quattro erano mancati.
Altra volta accadde che D. Bosco s'inoltrasse soletto in una piazza attigua ad una via delle più popolate di Torino e s'imbattesse in una ciurma di trenta o quaranta mascalzoni che bestemmiavano e tenevano turpi discorsi. Alcuni di questi, visto il prete, cominciarono a dire: - Ecco là un prete, ecco là un prete! - e poi scambiatesi alcune parole fra di loro, gli vengono incontro cercando di attorniarlo. D. Bosco disse fra sè: - Volete farmela, ma io sono più furbo di voi! - Infatti se li lasciò avvicinare e subito li salutò; chiamò loro come stavano di salute, e dove erano incamminati: ciò disse come se fossero suoi amici già conosciuti da lungo tempo. Quegli screanzati diedero risposte insulse, derisorie, mentre il disprezzo trapelava dalle loro fattezze e dalle occhiate insolenti. D. Bosco dissimulando l'ingiuria, continuò narrando ad essi donde venisse e dove andasse; se non che uno di quei tristi gli gettò in faccia un: - Birbante di prete! - Qui uno sghignazzamento universale.
 - Adagio, riprese egli: forse nessuno di voi sa che cosa voglia significare la parola birbante, perchè altrimenti non la direste; di' un po' tu, ed accennava ad uno; sai che cosa vuol dire birbante? La conosci l'etimologia, la derivazione di questa parola?
Quei giovanastri si guardano l'un l'altro in viso. D. Bosco proseguì: - Vedete, per conoscere che cosa vuol dire birbante bisognerebbe sapere il greco e il latino, perchè è parola greca...
Quegli sfacciati incominciarono allora a toccarsi dei gomito l'un l'altro e si dicevano a vicenda stringendo i pugni: - Comincia tu: comincia tu!
D. Bosco vedendo che le cose si facevano gravi, e che non compariva alcuna guardia, pensò ad uno stratagemma: - Su, miei cari, volete che facciamo una cosa? Io sto volentieri coi giovani. C'è qui questa bottega da caffè... entriamo... Metto solo due condizioni. Io sono prete e non va bene che un prete in un caffè comandi da bere, perciò comanderete voi; s'intende, del vino migliore; barbera d'Asti: questa è la prima condizione. La seconda è che voglio pagare io.
Si guardarono in faccia. - Questo prete non è come gli altri! si dissero a vicenda ridendo; e poi: - Sì, sì, andiamo, andiamo, gridarono tutti ad una voce.
Entrati nel caffè bevettero, ma molto più chiaccherarono. Nessuno di quei giovanotti conosceva D. Bosco; tuttavia uno di loro venuto in sospetto, incominciò a dire ai più vicini: È forse D. Bosco? - Sì! - No! - E in ultimo ad alta voce: - Lei è D. Bosco?
 - Precisamente. D. Bosco sono io. Ma D. Bosco vi ha pagato da bere e ora vuole un favore da voi.
 - D. Bosco!... Domandi: lo faremo.
 - Che sabato sera veniate a confessarvi all'oratorio.
Tutti si guardarono in faccia e scoppiarono in risa: Noi a confessarci? Se sapesse che poste siamo, che buone lane... se ce le dovessimo contar tutte...
 - Siamo sì o no amici?
 - Sì, sì, amici.
 - Dunque...
 - Ebbene, sabato verremo, gridarono tutti.
 - Non basta, soggiunse D. Bosco, bisogna che ci sia qualcuno garante. Mettiamo responsabile quel giovanotto!
 - Sì, sì, accetto, rispose il capo banda, e le assicuro che verranno; se non vengono, li trascino tutti pel collo.
 - Per carità non far questo... ma io sto sulla vostra parola! A buon rivederci, dunque.
Al sabato e alla domenica vennero tutti e si confessarono molto meglio, di quello che D. Bosco avesse sperato da loro. Vari continuarono poi a frequentare l'Oratorio, ed otto furono accettati in casa. È vero che non poterono far vita lunga in un luogo dove la regola vincolava la loro libertà: qualcuno si fermò circa un anno; ma riuscirono tutti bene, e rientrati nel mondo, ora sono agiati negozianti; e, quel che più monta, si mantennero veri cristiani e buoni padri di famiglia.
Altra sera, al sabato, D. Bosco rientrava nell'oratorio, conducendo un bel numero di siffatta brava gioventù, per confessarla. Erano già tutti inginocchiati in sagrestia, quand'ecco uno incominciò a sghignazzare, gli altri a ridere e poi tutti a fuggire, lasciandolo solo con quegli che già aveva incominciata la sua accusa. D. Bosco credeva che non ritornassero più: sembrava quello un tentativo mai riuscito: quand'ecco la domenica seguente se li vide innanzi pronti a far bene. Bisognava istruirli, aiutarli a far l'esame, eccitarli al dolore, far loro eseguire la penitenza; ma la fatica era compensata largamente dal frutto.
In vari di questi casi D. Bosco arrecò anche un gran vantaggio alla civile società, collo scioglimento di parecchie cricche che avrebbero finito col divenire bande di malfattori.
Ma non sempre D. Bosco in questi incontri l' avrebbe passata così liscia senza un qualche inaspettato soccorso. Fra le altre volte un giorno si trovò coinvolto in una banda di scapestrati coi quali a nulla approdavano le parole affettuose o scherzevoli. Insulti, urli, tentativi di fargli cadere il cappello, facevano temere di peggio. D. Bosco, senza nulla rimettere della sua tranquillità, tentava invano di sbrogliarsi da quella stretta. Quand'ecco avanzarsi un giovane che apparteneva allo stesso borgo di quei rodomonti e del quale poco tempo prima D. Bosco si era accaparrata l'amicizia. Questi, messa la mano in saccoccia in atto di estrarre il coltello, gridò loro: - Scialop del boia! E non sapete voi che questo prete è D. Bosco? Se pronunciate ancora una sola parola contro di lui, io vi scanno! - E la minaccia proferita con espressioni così risolute fece abbassare le arie a quei maleducati, tanto più che restarono sorpresi nello scorgere che D. Bosco era protetto da uno dei loro. E D. Bosco mentre ringraziava l'uno, diceva sorridendo anche una graziosa parola agli altri.
Tali erano, e altre peggiori, le molestie cagionate ai sacerdoti dagli articoli dei malvagi giornali, mentre chi avrebbe dovuto, non si dava pensiero d'interderle.
 
 
 
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