Si ripiglia la costruzione della seconda parte dell'Ospizio Fiducia in Dio e nella Madonna - In cerca di soccorsi - Largizione dell'Opera Pia di S. Paolo - Vicinanza pericolosa di chi non si confessa - Lettera di Rattazzi con un'offerta - Debiti col panattiere - Interessi coi Rosminiani - Il Mese dì Maggio nell'Oratorio - Fervore di Savio Domenico e sua logora sanità - La festa dello Statuto - I giovanetti cantori a Susa.
del 28 novembre 2006
      In vista dell'accrescersi delle miserie e delle domande, D. Bosco aveva presa, come già abbiamo detto, la risoluzione d'innalzare quel tratto di doppia fabbrica, che si estende al presente dal portone di mezzo sino alla chiesa di S. Francesco di Sales. Fece pertanto chiamare un certo sig. Giovenale Delponte, che faceva da ingegnere e da impresario, e gli domandò se avesse danaro per le prime spese.
     - No, rispose quegli.
     - E nemmeno io, soggiunse D. Bosco.
     - E come facciamo?
         Cominciamo egualmente, conchiuse D. Bosco, e prima che sia tempo di pagare gli operai, il Signore qualche soldo ci manderà.
Era questa la solita frase che D. Bosco ripetè ai costruttori ogni volta incominciava una delle tante sue fabbriche. - È  necessario questo nuovo edifizio; io non ho danari; ma intanto incominciamo e facciamo presto. Si era calcolato che per quei lavori fossero necessarie 40.000 lire, e Villa Giovanni udì più volte D. Bosco esclamare: - D. Bosco è povero, ma tutto possiamo in Dio; la Provvidenza farà tutto; non facciamo peccati e poi quel Dio che provvede agli uccelli dell'aria provvederà pure a noi. - Diceva eziandio: - Come è mai consolante quel Padre nostro che recitiamo mattina e sera; come fa piacere il pensare che abbiamo in cielo un padre che pensa a noi.
   Nè la sua speranza falliva o solamente diminuiva quando mancavano i mezzi per compire le sue opere, oppure quando trovava difficoltà od anche opposizioni eziandio da persone benevole. Egli sperava contro ogni speranza, tanto era sicuro della sua divina missione. Anche in mezzo alle disgrazie conservava la sua tranquillità. Aveva per sè la promessa della Vergine Santissima. Scrisse e ci narrò D. Rua:
   “ D. Bosco fu dotato in alto grado del dono della profezia. Le predizioni di cose future libere e contingenti, e pienamente avverate, sono così varie e numerose da far supporre che il dono profetico gli fosse come abituale. Egli ci parlava sovente di sogni relativi al suo Oratorio e alla sua Società. Fra gli altri ricordo questo. Eravamo verso il 1856. Ci disse una volta: - Mi trovai sognando in una piazza, dove vidi una ruota che pareva la così detta ruota della fortuna, e che io intesi rappresentare l'Oratorio. Teneva il manubrio un personaggio che mi chiamò a sè e dissemi: - Fa attenzione! - Ed in così dire diede un giro alla ruota. Io sentii un piccolo rumore, che non si estendeva gran fatto più in là della mia persona. Il personaggio mi chiese: - -- Hai visto? - Hai sentito?
     - Si ho visto a dare un giro alla ruota e sentito un piccolo rumore.
     - Sai che cosa significa un giro?
     - Non saprei.
     - Sono dieci anni del tuo Oratorio.
     ” Così ripetè ancora per quattro volte il suo movimento del manubrio e le sue domande.
   ” Ma ad ogni giro il rumore cresceva: sicchè nel secondo giro parevami che si fosse inteso in Torino e in tutto il Piemonte, nel terzo nell'Italia, nel quarto nell'Europa, arrivando quel rumore nel quinto giro a farsi sentire per tutto il mondo. E quel personaggio aggiunse finalmente: - Questa sarà la sorte dell'Oratorio.
   ” Ora considerando i vari stati dell'opera di D. Bosco la vedo nel primo decennio limitata alla sola città di Torino, nel secondo estesa alle varie province del Piemonte, nel terzo dilatarsi la sua fama e la sua influenza nelle varie parti dell'Italia, nel quarto estendersi in varie parti dell'Europa, e finalmente nel quinto essere conosciuta e ricercata in tutte le parti del mondo ”.
   Con questa sicurezza, ecco D. Bosco occupato a scrivere lettere ai benefattori. Ne riportiamo una per saggio, indirizzata al Conte Pio Galleani d'Agliano.
 
Sig. Conte benemerito, carissimo nel Signore,
 
Ho molti lavori a compiere che mi paiono necessari per la gloria di Dio e per la salute delle anime e mi mancano i mattoni per terminarli. Se mai nella sua carità potesse venire in mio soccorso con un po' di calce o con alcuni mattoni, l'assicuro che sarebbe proprio un dare albergo al pellegrino, perciocchè questo tratto di fabbrica è destinato a ricoverare i più poveri ed abbandonati.
  Pieno di gratitudine auguro copiose benedizioni del cielo sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia dicendomi colla massima venerazione
Di V. S. Benemerita e Carissima
 
Obbl.mo servitore
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
Erasi eziandio rivolto alla Direzione delle Opere Pie di S. Paolo e ne riceveva la seguente risposta:
 
Torino, addì 19 marzo 1856.
 
Molto Rev. Signore,
 
Questa Direzione assegnò sui fondi delle Opere Pie da essa amministrate la somma di lire cento cinquanta a favore dell'Istituto dei giovani abbandonati, alla cui amministrazione la S. V. degnamente presiede.
  Duole al sottoscritto che i fondi da cui deve essere prelevato un tale assegnamento non abbiano acconsentito di estenderlo a somma maggiore, ed essendosi già provveduto per la spedizione del relativo mandato, si affretta il medesimo a dargliene avviso, onde voglia procurarsene la riscossione da questa Tesoreria.
Ha frattanto l'onore di dichiararsi con distinta considerazione
 
Devot.mo Servitore
Per il Presidente della Direzione
L. Capello di s. Franco.
 
Nel mese di marzo 1856 si diede adunque principio ai lavori; si diroccò la vecchia casuccia Pinardi, che ancora restava in piedi come reliquia delle nostre primiere grandezze, e si cominciò il nuovo fabbricato, che compieva il già concepito disegno. Nelle ore di ricreazione i giovani prestavano ancor essi la mano e a rovesciar muri e a portare mattoni, per guadagnar tempo e risparmiar spese. Fra gli altri muratori lavoravano i fratelli Carlo e Giosuè Buzzetti, primi allievi di D. Bosco, che da quel tempo più non abbandonarono il suo servizio. Dotati di una intelligenza e fedeltà a tutta prova, eglino progredirono siffattamente nell'arte edilizia, che si meritarono poi una ben meritata fama tra i primi impresari di Torino. Siccome urgeva di avere il locale a disposizione pel prossimo autunno, così le opere si accelerarono al punto, che alla fine di luglio la nuova fabbrica non solo era coperta, ma, fatte le volte dei quattro piani, lasciava speranza di essere tra poco abitata.
Mentre fervevano questi lavori, D. Bosco, uscito dall'Oratorio, vide un giorno sulla stradicciuola una condotta di muli fermi; quindi arrestò il passo. 1 mulattieri gli dissero: - Non tema; si fidi, venga avanti; sono animali pacifici. - E D. Bosco rispose con grazia. - Mia madre mi diceva sempre: - Giovannino, non fidarti mai di chi non va a confessarsi. - I mulattieri lo guardarono con un sorriso malizioso, dando a conoscere come avessero inteso essere loro indirizzato questo frizzo. Altra volta andando egli bel bello pel corso ora Regina Margherita, e camminando, senza avvedersene, troppo vicino ad un grosso cavallo attaccato ad un carro, il conducente gli disse di guardarsi da quella bestia perchè avrebbe potuto toccargli un calcio. D. Bosco gli rispose: - L'ho sempre detto che bisogna guardarsi da chi non va a far Pasqua. -Si può ben asserire ogni frase di D. Bosco essere stata un eccitamento alla confessione.
  Intanto fin da principio il Ministro Rattazzi, ad una richiesta di D. Bosco, ebbe la bontà di assegnargli tosto lire mille, per affrontare le prime spese della nuova fabbrica. In data del 9 maggio del 1856 dal Ministero dell'Interno in Torino egli scriveva così:
Il Ministro sottoscritto mentre commenda il divisamento del Sacerdote signor D. Bosco, Direttore dell'Oratorio maschile in Valdocco, di far ampliare l'attuale fabbricato, onde estendere ad un maggior numero il ricovero dei poveri figli abbandonati, gli partecipa che per coadiuvarlo nella rispettiva spesa ha determinato di accordargli una sovvenzione di lire mille sui fondi del Bilancio di questo Ministero. Spiacente chi scrive che le ristrettezze in cui versa l'erario non acconsentano ad una maggiore elargizione, lo previene intanto che detta somma gli sarà corrisposta per la concorrente di lire cinquecento dal Cassiere di questo Ministero, e che gli saranno le restanti lire cinquecento pagate dal Tesoriere della Provincia di questa capitale.
 
Il Ministro
Urbano Rattazzi.
 
D. Bosco però, non ostante questi soccorsi, si trovava in grande disagio, per i debiti che andavano crescendo e per la paga settimanale ai muratori che non potevasi differire. Perciò non era in grado di essere puntuale nel soddisfare i provveditori di commestibili. Ciò risulta da lettere da lui scritte ad un certo numero di signori torinesi suoi conoscenti.
 
Benemerito Signore,
 
Le caritatevoli espressioni, con cui V. S. Ill.ma dimostrò di gradire quanto si fa in questo Oratorio di S. Francesco di Sales mi dan coraggio di ricorrere a Lei in questo mio particolare bisogno.
  Ho ancora la nota del panattiere del mese di marzo da pagare e non so dove prendere il denaro; se mai Ella può aiutarmi, è proprio un dar da mangiare ai poveri affamati. La nota è di franchi 900, ma io dimando solo un sussidio, e qualsiasi somma che nella sua carità stimasse di offerire, fosse anche della minima entità, io la riceverò colla massima gratitudine.
  Persuaso che vorrà perdonare questa mia libertà, non potendo altrimenti dimostrare la mia gratitudine, Le auguro ogni bene dal cielo, mentre con pienezza di stima mi dico
Di V. S. Benemerita
Da casa, 7 maggio 1856.
 
Obbl.mo Servitore.
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
Egli doveva eziandio ogni anno versare all'Abate Rosmini gli interessi delle 20.000 lire che avevagli imprestate al 4%, per la compra di casa Pinardi, e sistemare altri conti, dei quali alcuni riguardavano il campo comprato per la tipografia. La nota di questi egli mandava a Stresa, inclusa in una lettera al sig. D. Carlo Gilardi.
 
Carissimo Sig. D. Carlo,
 
Si ha un bell'aspettare, ma il tempo pasquale è per finire, e bisogna aggiustare i conti.
  L'anno scorso Ella rifece il conto e mi trovò crediti che io ignorava; chi sa che accada ora lo stesso? Ci sono già state alcune domande pel sito, ma le offerte sono piccole: il massimo fu franchi 200 la tavola. Il Rev. Sig. D. Pagani passò qua a vederlo; gli piacque la posizione, e disse che presentemente non è tempo di vendere, se non avvi richiesta alquanto vantaggiosa, la qual cosa si spera questa primavera.
  Mia madre, i miei chierici e molti dei nostri birichini, che si ricordano ancora di Lei, la salutano di cuore, ed io raccomandandomi alle divote di Lei preghiere mi offro in quel che posso
Torino, 9 maggio 1856.
 
Obbl.mo Servitore
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
 
Il campo adunque famoso pel sogno, del quale una terza parte ancora apparteneva a D. Bosco, per una causa o per l'altra rimaneva proprietà dei Rosminiani, e come si vide poi, era la Provvidenza divina che impediva quella vendita.
   Intanto il mese consecrato a Maria era segnalato nell'Oratorio per tre fatti memorabili. Il fervore dei giovani nell'onorare la Celeste Madre, la festa dello Statuto e la gita dei cantori a Susa.
   Molti alunni dell'Oratorio cercavano di emulare il giovanetto Savio Domenico, il quale coll'esempio e colle parole accendeva nel cuore dei compagni un vivo desiderio delle cose eterne. Don Bosco col pensiero di figli così buoni trovava un mirabile ristoro nel progredire per quell'ardua via che il Signore gli aveva comandato di percorrere. Di essi puossi affermare colle parole dell'Ecclesiastico al capo XXXIX: “ Buttate fiori simili al giglio, spirate odori, gettate amene frondi, e date cantici di laude, e benedite il Signore nelle opere sue ”.
   Sul finire dell'aprile Savio Domenico erasi presentato a D. Bosco chiedendogli come avrebbe potuto celebrare santamente il mese di Maria.
   - Lo celebrerai, gli rispose D. Bosco, coll'esatto adempimento de' tuoi doveri, raccontando ogni dì ai compagni un esempio in onor di Maria e procurando di regolarti in modo da poter fare in ciascun giorno la santa comunione.
     - Ciò procurerò di fare puntalmente: ma qual grazia dovrò dimandare?
     - Dimanderai alla santa Vergine che ti ottenga da Dio sanità e grazia per farti santo.
     - Sì! Che mi aiuti a farmi santo, che mi aiuti a fare una santa morte, e che negli ultimi momenti di vita mi assista e mi conduca al cielo.
   Di fatto egli dimostrò tale fervore nel decorso di quel mese, che sembrava un angelo vestito di umane spoglie. Se scriveva, parlava di Maria; se studiava, cantava, andava a scuola, tutto era per amore di Lei. In ricreazione procurava di aver ogni giorno pronto un esempio per raccontarlo ora a questi, ora a quegli altri compagni radunati.
   Per far riacquistare a questo caro e studiosissimo giovane una sanità che andava da qualche tempo continuamente deperendo, D. Bosco fece fare un consulto di medici. Tutti ammirarono la giovialità, la prontezza di spirito e l'assennatezza delle risposte di Domenico. Il dottor Francesco Vallauri, di felice memoria, che era uno dei benemeriti consulenti, pieno di ammirazione: - Che perla preziosa, disse, è mai questo giovanetto!
   D. Bosco gli domandò: - Qual è l'origine del suo malore?
     - La sua gracile complessione, la cognizione precoce, la continua tensione di spirito, sono come lime che gli rodono insensibilmente le forze vitali.
     - Qual rimedio potrebbe tornargli maggiormente utile?
     - Il rimedio più utile sarebbe lasciarlo andare al paradiso, per cui mi pare assai preparato. L'unica cosa che potrebbe protrargli la vita si è l'allontanarlo intieramente qualche tempo dallo studio, e trattenerlo in occupazioni materiali adatte alle sue forze.
   Il Dottor Vallauri aveva dato un esatto giudizio intorno a Savio Domenico. Infatti Iddio si era compiaciuto di favorire questo così pio giovanetto di quei doni celesti, di cui ci somministra esempi a dovizia la vita dei santi. Più volte, dopo la santa Comunione, o mentre stava pregando avanti al SS. Sacramento, egli veniva come rapito fuori dei sensi, e vi rimaneva più ore in aspetto come di estatico. “ Mi ricordo, attestò D. Bonetti Giovanni, dì un giorno che mancò dalla colazione, dalla scuola e dal medesimo pranzo; niuno sapeva dove fosse: nello studio non c'era, a letto nemmeno. Erano ormai le due pomeridiane, quando un compagno non vedendolo comparire ne fece motto a D. Bosco. Udito ciò, a D. Bosco nacque tosto il sospetto di quello che era realmente, che fosse cioè in chiesa, come già altre volte era accaduto. Senza fare parola ad alcuno, egli si porta nel luogo santo, va in coro e lo vede colà ritto e fermo come un sasso. Teneva egli un piede sull'altro, una mano appoggiata sul leggío dell'antifonario, l'altra sul petto, colla faccia rivolta verso il tabernacolo, e con uno sguardo così angelico, che sarebbe impossibile a descriversi. Lo chiama, e non risponde. Lo scuote, e allora il santo giovanetto gli volge lo sguardo e dice: --- Oh! è già finita la Messa? - Vedi, rispose D. Bosco, mostrandogli l'orologio; sono le due. - A questo riflesso Domenico si mostrò confuso, domandò umile scusa della trasgressione delle regole, e si mosse per recarsi alla scuola. Ma D. Bosco lo inviò a pranzo, e per liberarlo dalle domande inopportune, che forse gli avrebbero fatte i compagni, gli disse:
- Se taluno ti domanderà donde vieni, gli risponderai che vieni dall'eseguire un mio comando ”.
   Fortunati quei collegi ne' quali s'incontrano simili giovani; e Savio nell'Oratorio non fu il solo.
   Il secondo fatto memorabile è la festa dello Statuto. Narrò Villa Giovanni: “ In questa festa, perchè le centinaia di giovani esterni non andassero per le piazze e nei baracconi in città a prendere parte a divertimenti pericolosi, D. Bosco comprò gran quantità di salamotti, di pane e di piccole bottiglie di vino. Queste ed i salami appese nel cortile a lunghe corde, che così avevano aspetto quasi di ghirlande. Indescrivibile fu la gioia di tutti a quello spettacolo. Don Bosco, che nella domenica precedente avevali invitati ad essere puntuali alle sacre funzioni, ora soggiunse: - Un signore mi ha dato un po' di denaro, perchè comprassi candele ed olio con bicchierini colorati, acciocchè l'Oratorio fosse bellamente illuminato nella sera della festa dello Statuto. Ma io ebbi una felice idea. È  meglio contentare gli occhi accendendo lumicini o riempire la bocca de' miei giovani? E perciò io ho pensato di comperare tutte queste cose per voi. Ho fatto bene? - Un subbisso di applausi lo interruppe; egli poi seguitò: - Ora ognuno di voi estrarrà un numero da questa borsa, e, secondo le norme praticate altre volte, la sorte formerà di tutti i giovani tanti gruppi, ognuno composto di tre. Il primo di ogni terno prenderà il pane, il secondo un salame, il terzo una bottiglia di vino. - E così venne fatto con una operazione che intrattenne e divertì per lunga ora quella moltitudine. Quindi, divisi in gruppi di tre, lieti e contenti facemmo la merenda, alla quale parteciparono eziandio con gioia gli alunni interni ”.
   Finalmente anche occasione di allegrezza fu una passeggiata a Susa, della quale ci resta memoria in una lettera di D. Bosco al suo amico D. Rosaz, Canonico della Cattedrale di quella vecchia città.
 
 
                                      , 26 maggio 1856
 
Carissimo Signor
 
Fra pochi giorni avranno una visita dell'Organista di cui abbiamo parlato e credo che appagherà l'aspettazione. - Per ora non potrei, come desidero, accogliere il giovane calzolaio pel motivo del tratto di casa demolito per essere di nuovo ricostrutto. In quanto al giovane studente forse potrò occuparmi di più: compia il suo corso di grammatica latina; se in qualche congiuntura egli venisse a Torino si lasci vedere; nel decorsa poi delle vacanze coll'aiuto di Dio spero che lo aggiusteremo.
   Confessi pure liberamente in tempo dei divini uffizi, ogni qualvolta ne è richiesto oppure vi sono penitenti che attendono, al confessionale: tale è pure il parere del sig. D. Cafasso.
   Le suonatine le avrà per mano dei nostri birichini quando andranno a farlo sagrinare per la chiusa del mese di Maria.
   Spero di poter fra breve fare una gita a Susa; nella quale occasione ci parleremo di tutti i nostri affari.
   Saluti il Sig. Canonico Vicario Generale, il Sig. Canonico Gey e mi creda sempre con gratitudine e stima
Di V. S. Carissima
 
Aff.mo amico
Sac. Bosco Giov.
 
I giovani dell'Oratorio furono a Susa nella prima domenica di giugno. L'Armonia del giorno 8, dopo aver dichiarato essere impossibile fare una descrizione della solennità di quella chiusa del Mese di Maggio, che non sia di molto inferiore dal vero, proseguiva:
   “ Lasciando tutto il resto a migliore penna che non la mia, voglio parlarvi della bella e divota musica, che nelle funzioni di questa giornata venne cantata dai giovani allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, di quell'uomo apostolico che è D. Bosco. Nel che dovete osservare che se la musica in se stessa era eccellente, fu però a meraviglia eseguita, perchè quei bravi giovani col loro contegno, colla loro modestia, col loro divoto atteggiamento davano a divedere che sentivano in fonda del cuore ciò che esprimevano col suono della voce. E sapete pure quanto sia straordinario fenomeno un musico laico, che stia in chiesa con rispetto e con divozione. E quindi era una meraviglia ed un'edificazione il vedere quei giovani musici stare con tanto raccoglimento, e sentirli a cantare con tanto affetto. Io desidererei che questa parte dell'educazione della gioventù, così mirabilmente praticata dall'ottimo D. Bosco, fosse più conosciuta e praticata, e che potessimo sbandire dalla Chiesa le profanazioni della musica teatrale e dei musici peggiori della musica ”.
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