Benedizione della Chiesa di S. Francesco di Sales - Prima Messa - Le funzioni della sera - Ringraziamenti Musica e poesia - Il giornale “La Patria”.
del 27 novembre 2006
 Ultimati i lavori necessari e preparati gli oggetti occorrenti per benedire ed inaugurare al divin culto il sacro edifizio; fu scelto il 20 di giugno, terza domenica dopo Pentecoste, festa solenne in Torino ad onore di Maria Santissima sotto il dolce titolo della Consolata. Troppo lungo sarebbe il descrivere i particolari di quella giornata memoranda, giacchè per l'Oratorio fu una giornata più unica che rara. Un arco di colossale altezza erasi elevato all'entrata del cortile, portando scritte in cima con lettere cubitali queste parole:
 
In caratteri dorati
scriveremo in tutti i lati:
viva eterno questo di'.
 
Fin dall'alba, da ogni parte dei prati e campi circostanti si udivano le turbe di giovani che venivano all'Oratorio cantare i seguenti versi scritti da D. Bosco:
 
Pria il sole dall'occaso
Fia che torni al suo oriente,
Ogni fiume alla sorgente
Prima indietro tornerà,
Che dal cuor ci si cancelli
Questo dì che tra i più belli
Fra di noi sempre sarà.
 
Benedisse la chiesa, secondo il rito, il Curato della parrocchia di Borgo Dora, il M. R. Teol. Don Agostino Gattino, il quale vi celebrò poscia la prima Messa e tenne un dotto discorso ad una grande moltitudine di giovanetti e di altri intervenuti della città.
Ma il più bello della festa si fu alla sera. Non ostante la sua capacità, la nuova chiesa fu letteralmente ripiena. Vi predicò il nostro D. Bosco, e tra le altre cose si ricorda che egli fece rilevare il mirabile mutamento che fatto aveva quel sito: da luogo di ricreazione, convertito in luogo di orazione; da luogo di schiamazzi, in luogo di lode e di ringraziamento al Signore; da luogo di baldoria ed anche di peccato, in luogo di amor di Dio e di santa allegrezza. Passò quindi ad esortare i giovani, che onorassero d'allora in poi quel luogo benedetto col divoto loro contegno, coll'intervento alle religiose funzioni e colla frequenza ai Santi Sacramenti. Infine fatto riflettere che le chiese materiali sono una figura delle anime, chiamate tempi dello Spirito Santo, spronò tutti a conservarle sempre pulite, cioè senza peccato, onde il Signore si compiacesse di porvi sua gradita dimora nel tempo presente, e degni li rendesse di entrare dopo morte nel gran tempio della sua eternità beata.
Una schiera della Guardia Nazionale venne pure ad assistere, sì per conservare il buon ordine, che a stento potè  mantenere tanta era la calca, sì per onorare la festa e fare la salva colla sparata, che nel momento della benedizione del SS. Sacramento riuscì di un effetto mirabile. Con essa tentava di gareggiare la Guardia dell'Oratorio co' suoi fucili di legno senza canne. Questo e più altre particolarità imposero alla festa una tinta così caratteristica da restarne consolate le anime pie e tratti in ammirazione gli stessi uomini di mondo.
In quella sera medesima erano intervenuti all'Oratorio i promotori e le promotrici della lotteria, vari membri del Clero e del Patriziato Torinese, e molte altre persone che avevano preso viva parte per la costruzione della nuova chiesa Quindi dopo le sacre funzioni Don Bosco tutti li raccolse in luogo appositamente preparato, che fu quello dell'antica cappella, ove nobili benefattori avevano provveduto l'occorrente per servizio di caffè e rinfreschi, e volse loro in comune una parola di ringraziamento. Toccò per sommi capi quello che si era fatto; segnalò la sollecitudine degli uni e la carità degli altri, per la buona riuscita della pia impresa, e con somma compiacenza mostrò come gli sforzi di tutti erano stati in quel mattino felicemente coronati colla benedizione del sacro edifizio. Disse che avrebbe desiderato di poter ricompensare ognuno e dei sacrifizi fatti e delle pene sofferte; ma che non potendo ciò fare di per sè , avrebbe pregato e fatto pregare i giovani dell'Oratorio il pietoso Iddio, che ne li rimunerasse coll'abbondanza delle sue benedizioni nella vita presente, e con una più splendida corona nella vita futura.
Alla cordiale allocuzione di Don Bosco tenne dietro un bel mottetto, musicato dal celebre maestro Giuseppe Bianchi di grata memoria, ed eseguito da un coro di giovanetti dell'Oratorio. Si rammenta che un giovanetto, per nome Secondo Pettiva, in sui 15 anni, fece in quel canto una parte da solo con una voce sì bella, che toccò le fibre di tutti i cuori e riscosse altissimi applausi.
In quell'occasione il nostro Don Bosco, ricolmo il cuore di una gioia indicibile, parve ritrarre la figura del profeta Davide, che nel trasporto dell'arca del Signore, misto al suo popolo, fu udito a cantare e suonare devotamente. A nome di lui, de' suoi coadiutori e dei figli dell'Oratorio fu da un giovanetto letta l'ode scritta per la circostanza, ai detti signori, che l'ascoltarono con visibile compiacimento. Alla sera bei fuochi d'artificio fatti e diretti dal Teol. Chiaves nel campo in faccia alla porta dell'Oratorio posero termine alla fausta giornata.
La prefata solennità, e pel buon ordine con cui si svolse, e pel nobile scopo a cui mirava, fu riguardata di tale importanza, che persino un giornale politico di quei giorni, intitolato La Patria, credette di farne argomento di un suo articolo, che giudichiamo opportuno inserire in queste pagine, sì per completare le notizie di quel dì memorando, sì per far meglio rilevare con qual criterio fin d'allora gli uomini politici giudicavano l'opera dell'Oratorio in riguardo al benessere della civile società.
“Riputiamo nostra somma ventura, così La Patria, il venire augurando la carriera letteraria del nostro giornale col far parola di una di quelle opere, che sciolgono presso di noi l'arduo problema di essere comuni e di essere sempre interessanti, vogliam dire di un'opera di beneficenza. Nostra somma ventura, diciamo, di potere in mezzo a questa società, di cui cerchiamo giornalmente i difetti, di cui siamo tenuti a fare di quando in quando la critica, lasciare per un istante la penna mal temperata della politica, per un argomento, che incontrò sempre presso il popolo nostro sì generale simpatia.
”Ma dove trovasi un animo generoso, come non troverebbe simpatia colui, che con lo zelo d'un filantropo, colla perseveranza di un apostolo, colla fede di un cristiano sacrifica i più belli anni di sua vita, supera numerosi ostacoli colla sola forza di una volontà tanto ferma quanto rassegnata, e giunge a compiere dopo molti anni di fatiche una di quelle imprese, che possono onorevolmente mettersi sua traccia delle istituzioni di un Epée, di un Assarotti, di un Cottolengo? Imperocchè , se noi vogliamo por mente ai piccoli principi, a cui s'informarono le opere di quei sommi, scorgeremo facilmente come quella di D. Bosco loro s'assomigli, e come pell'immensa portata del suo beneficio sia degna di stare a lato di quella dei sommi, che abbiamo testè  citato. Ma dopo aver parlato delle difficoltà incontrate, è nostro debito di non tacere gli aiuti, che in questi tempi calamitosi, in mezzo alle tempeste politiche, che raggrinzano la borsa del ricco e il cuore di tutti, vennero da ogni lato all'operoso coltivatore del campo di Dio. Nulla diremo di quelli uomini, che si unirono a Don Bosco e lo assecondarono col più illuminato zelo, ma ci piace rammentare le mille svariate forme, che assunse l'inesauribile carità cittadina per venire in soccorso a questa sant'opera; soccorso di ogni età, di ogni condizione, di ricchi e poveri, di grandi e piccoli; immenso socialismo solo attuabile e giusto, perchè eccitato da un santo ed ammirabile sentimento per cui ognuno pagò secondo le proprie forze, il pittore col suo quadro, il mercante cogli oggetti di mercatura, ma in cui la donna, sempre grande, sempre prima quando si tratta di carità, seppe spargere tutta la delicatezza della sua inesauribile bontà.
”Voi vedete infatti nell'esposizione di oggetti donati alla lotteria, per cui si soccorre efficacemente l'Oratorio, il sacrifizio dei divertimenti, quello delle passeggiate, quei di giocattoli consecrati a seconda dell'età a sollievo del povero; vedete questa carità multiforme ed indiretta, qual si conviene a quelli esseri sensibili e delicati, che compongono la più bella parte delle opere di beneficenza, patronandole e mantenendole per lasciare all'uomo, specie più rozza e meno intelligente, l'aiuto, diremo, brutale del denaro.
”Abbiamo detto brutale, perchè crediamo che colui, il quale fornisce il mezzo materiale di compiere un'opera, sta a colui che la inizia e la tira a conclusione, come il soldato che combatte sta al generale che comanda; ma, dicendo brutale, non vogliamo menomare per nulla la santità del suo uffizio. Infatti la missione che Don Bosco ha posto sotto l'invocazione di San Francesco di Sales è grande e degna di considerazione. Sottrarre la gioventù agli ozi domenicali, per mantenerla in una religiosa od onesta occupazione, è cosa tanto bella, che noi crediamo dover ricorrere alla semplice e perciò sublime penna del suo autore per accennarla.
”Egli si confessa di aver veduto “con profonda tristezza molti di coloro, che si sono dedicati per tempo all'esercizio delle arti e delle industrie cittadine, andare nei giorni di festa consumando nei giuochi e nelle intemperanze la sottile mercede guadagnata nel corso della settimana, e desioso di portare rimedio ad un male da cui sono a temere funestissime conseguenze, divisò di aprire una casa di domenicale adunanza, in cui potessero gli uni e gli altri aver tutto l'agio di soddisfare ai religiosi doveri e ricevere ad un tempo un'istruzione, un indirizzo, un consiglio per governare cristianamente ed onestamente la vita”.
”Ecco quale sia l'opera che Don Bosco viene con tanta semplicità annunziandoci, e che intraprendevasi ieri, consacrando l'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco. L'Oratorio è semplice e modesto, come si conviene a chi aspetta e deve alla pubblica generosità il suo decoro, ma le sue navate sono piene di fedeli e la fede è il più bell'ornamento della Casa di Dio. Questi fedeli traevano ieri in folla illuminati da quel sole, i cui raggi sembrano una benedizione a coloro, che si vestono di una gioia religiosa e tranquilla. Tutto concorreva a far vivere in eterno quel giorno nel cuore di ognuno, eterno in quelli che sono sottratti al vizio, e che devono la riconoscenza; eterno in quelli che patronarono l'opera e che ricevono questo tributo di gratitudine.
”La funzione religiosa riuscì solenne come si conviene in simili circostanze. Una persona che colle eminenti sue virtù, colle vaste sue cognizioni forma l'onore del Clero torinese, il Pastore del gregge di Borgo Dora leggeva un'ammirabile composizione, in cui veniva svolgendo i sani caratteri della Chiesa, come Casa di Dio e come Casa di preghiera. Confessiamo che al sentire quelle parole in cui, spogliando la logica dai pretenziosi concetti di un'eloquenza stirata, egli ci esponeva la santità della nostra fede, la superiorità della nostra religione sulle credenze degli altri popoli, ci credevamo trasportati a que' tempi in cui predicavasi ai popoli radunati sotto l'immenso tempio del cielo o nelle viscere della terra la parola di quel Dio, che morì per la nostra salute.
”Finita la funzione religiosa, tutti i promotori o membri della Commissione direttrice si ritirarono in una sala attigua, intrattenendosi sulle emozioni di sì bella giornata, e ben tosto venivano rallegrati da un'ode cantata da un coro di ragazzi, che l'eseguivano con molta perfezione. La Guardia Nazionale concorreva a dare maggior lustro alla festa, Onore a questa giovane istituzione, che merita tanta riconoscenza dallo Stato, e sa cogliere l'opportunità di confondersi col popolo nelle occasioni di comune allegria. L'Oratorio è dunque compiuto, la missione di Don Bosco è realizzata.
”Noi non vorremmo dirlo, perchè temiamo che la carità cittadina si rallenti a questo annunzio. Eppure non è da credere i grandi soccorsi di cui abbisogna questa nascente istituzione, in cui la città nostra spera rinvenire un grande aiuto e un grande esempio da imitare nelle altre parti del Regno. Se pertanto non abbiamo potuto tacere la gioia che abbiamo risentita all'annunzio della consacrazione dell'Oratorio, non vogliamo che le nostre stesse parole servano a raffreddare lo zelo dei cittadini, i quali potrebbero persuadersi che l'opera loro è compiuta.
”Don Bosco ha intrapresa una nobile opera e l'ha condotta con perseveranza ed intelligenza; la popolazione di Torino, che apprezza i vantaggi di un'istituzione il cui scopo è di sottrarre al vizio tanti giovani cuori che non hanno nè  l'esperienza, nè  l'educazione necessaria per sfuggirlo, non vorrà lasciar l'opera sua incompleta, e vorrà mantenersi nell'altezza di quella voce di carità, di cui va giustamente superba”.
 
 
 
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