Capitolo 38

Ritorno di D. Bosco in Torino - Un giovane morente all'ospedale rinviene all'avvicinarsi di D. Bosco e si confessa - L'orazione attiva - D. Bosco desidera aver preti per i carcerati - Una falce al Chierico Ruffino - Siamo solo al principio dei mali: vessazioni al clero negli Stati annessi - Il Cardinale Corsi prigioniero in Torino e suo colloquio con D. Bosco - Un alunno ha bisogno di prepararsi alla morte - Lettera di Pio IX a D. Bosco - Letture Cattoliche.

Capitolo 38

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

 Don Bosco era atteso in Torino da molta gente come appare dalle lettere conservate, e tra questa dall'illustre letterato Padre M. Conobbio dei Barnabiti di Moncalieri, il quale scrivendogli si firmava: Affezionatissimo figlio. Desiderava un favore che molto importavagli e che non gli fu negato.

Mentre era a Bergamo una grave disgrazia accadde a due giovani che, già stati allievi dell'Oratorio, da qualche tempo ne erano usciti per apprendere l'arte del muratore. Un giorno si sfasciò la volta terminata di fresco di una casa in costruzione e i due giovani predetti rimasero sepolti in mezzo a quei rottami. Uno fu estratto fuori cadavere; l'altro colla testa rotta, privo di sensi e di parola fu trasportato all'ospedale Cottolengo. Quivi continuò in quella dolorosa mutezza e nulla dimostrava intendere di quanto lo si interrogava.

Il giorno 14 maggio andò D. Bosco in detto ospedale: era già una settimana che il giovinetto giaceva in una di quelle corsie e in quello stato; ma appena D. Bosco entrò nella sala, l'infermo rinvenuto in quell'istante, lo vide che era ancora lontano e facendo uno sforzo, gridò ad alta voce, chiamandolo: - D. Bosco? D. Bosco? - Tutti i circostanti rimasero stupiti. Un Cappuccino che era in quella infermeria, raccontò che il giovane dal momento della caduta fino a quel punto non aveva ancor proferita parola.

D. Bosco gli si avvicinò e il giovane volle subito confessarsi. Lo ascoltò, l'assolse, gli disse parole che fecero ritornar sereno il suo volto e quindi percorse l'infermeria visitando altri ammalati. Intanto il giovane aveva perduto di bel nuovo la parola e mentre D. Bosco, finito il suo giro, era giunto di nuovo presso di lui, il poveretto spirava. Come un altro S. Filippo, Dio aveva condotto Don Bosco ed era giunto nel giorno e nell'istante unico, opportuno per salvare l'anima di un suo caro figliuolo. Questo fatto ce lo riferì Reano Giuseppe.

D. Bosco nei suoi passi era guidato dal Signore, perchè uomo di preghiera continua, quantunque non avesse nessuna di quelle esteriorità e pratiche che generalmente si vedono negli altri Santi. Era la sua quell'orazione attiva, la quale consiste nello stare continuamente alla presenza di Dio, col fine, non solo di servirlo, ma godendo e rallegrandosi tra le proprie occupazioni, nel vedere attuarsi in ciò che si sta facendo la volontà del Signore.

Ha scritto S. Francesco di Sales: “ Vi è una certa maniera di pregare, molto facile, molto utile, che si fa coll'assuefare l'anima nostra alla presenza di Dio, ma in maniera che questa produca in noi una unione intima, nuda, semplice e perfetta. Oh che preziosa orazione è questa! ”

D. Bosco dunque, in casa e fuori di casa, colle parole e coi fatti promoveva la gloria del Signore con tale spirito e con grande semplicità.

Non dei soli ospedali ma ancora delle carceri egli continuava a prendersi cura. Il 18 maggio dopo cena molti chierici si fermarono attorno a lui in refettorio. Si parlò di più cose tra le quali del bisogno di buoni e coraggiosi sacerdoti pei poveri carcerati. Riflettendo D. Bosco a questi infelici, bisognosi della parola di Dio per essere svincolati dalla obbrobriosa schiavitù del vizio, rimase alquanto pensoso. Ad un tratto egli prese tra le sue la mano del Chierico Ruffino, guardandolo in viso come per riconoscerlo: poi, appuntellati i gomiti sulla tavola, posò la fronte sulla mano del chierico e così stette per alcuni minuti. Quindi alzando il capo gli disse: - Fa coraggio: hai bisogno di preparare un braccio forte, per maneggiare con destrezza una falce. - Indicava la mietitura nel campo evangelico.

Il giorno dopo disse ai Chierici parlando degli avvenimenti pubblici: - Io credo che noi siamo solamente al principio dei mali. - Eppure questi già apparivano gravissimi. Si era data ai protestanti la più ampia libertà di aprir templi, scuole e di bestemmiare a loro talento. Si permetteva la diffusione di libelli infami e sudice rappresentazioni teatrali contro la Religione ed al Sommo Pontefice. In tutte le province annesse doveva eseguirsi la legge del 1855 contro gli ordini religiosi, ai quali intanto si vietava di accogliere novizi. Guai al clero se in qualunque maniera avesse manifestate opinioni contrarie al nuovo ordine di cose, o sostenuti i diritti della Chiesa, pubblicate bolle o altre provvisioni Pontificie. Furono comminate pene gravissime e molti sacerdoti, posti sotto processo, vennero condannati chi al carcere chi alla deportazione. I Vescovi si opponevano all'invadente immoralità ed irreligione, e per le loro giuste lamentanze, alcuni erano stati posti in prigione, altri relegati violentemente in certe loro ville.

Il Cardinal Corsi Arcivescovo di Pisa aveva protestato contro le vessazioni che il Governo faceva soffrire al clero; e per ordine di Cavour un capitano dei carabinieri lo condusse a Torino, ove giunse il 21 maggio alle 10 di sera. Alla stazione fu consegnato all'Abate Vacchetta, il quale in carrozza lo portò alla casa dei Lazzaristi, dai quali fu accolto con grande venerazione e ospitato con ogni maniera di cordiali riguardi.

Il 22 l'Abate Vacchetta lo accompagnava nell'ufficio del Ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni B. Cassinis il quale attendevalo per fargli una viva riprensione. Il Cardinale in tutto il tempo della sua prigionia, che durò circa due mesi, non si lasciò sfuggire una sola parola da cui potesse dirsi offesa qualsivoglia persona; negli interrogatorii rispose come il Divin Salvatore a' suoi giudici, cioè quasi sempre tacendo. Aveva detto all'Abate carabiniere: - Io non mi difenderò, non accuserò alcuno, ma nemmeno chiederò grazia. Di ciò che ho fatto devo rendere conto solo a Dio, al quale renderanno pure conto i vostri ministri. Essi potranno fare quel che vogliono del mio corpo, ma il mio spirito non lo turberanno.

Allo stesso Abate Vacchetta che gli dava licenza di andare in Torino e nei dintorni, ove gli fosse stato di gradimento, rispose: - Sono prigioniero e mi regolerà come tale! - E sempre tranquillo ed allegro non si portò mai in nessun luogo, se non cedendo alle intimazioni della forza. Egli riceveva coloro che andavano a visitarlo coll'affabilità di un padre amoroso. D. Bosco si recò presso di lui la sera dopo il suo arrivo ed ebbe con Sua Eminenza un colloquio di due ore. Il Cardinale gli narrò tutta la storia della sua cattura, e come giunto vicino a Torino recitasse col Segretario il Te Deum, per ringraziar Dio di averlo fatto degno di patir qualche cosa pel suo nome e per la sua fede.

D. Bosco fu incantato di quella fortezza d'animo e si congedò dopo aver ottenuta da lui promessa che sarebbe venuto all'Oratorio per dare la benedizione.

Il 24 maggio, si legge nella cronaca, D. Bosco disse in pubblico alla sera: - Un giovane della casa ha bisogno di prepararsi alla morte! - Questi annunzi, dati anche in modo così generico, producevano effetti salutari e inducevano gli alunni a fare pronostici per indovinare a chi D. Bosco alludesse.

E infatti il chierico Ruffino scrisse in data del 25 maggio:

Abbiamo Gilardi colla febbre, Perona all'ospedale del Cottolengo, Bocca a quello dei Cavalieri con Bolei: Enria, Ravizza hanno un po' di dolore al capo: Botto la fronte gonfia. Che sia uno di costoro? In questi stessi giorni il Santo Padre Pio IX spediva un suo autografo a D. Bosco in ringraziamento della lettera, dell'indirizzo e della colletta spedita a Roma dai giovani degli Oratorii.

 

 

Diletto figlio, salute ed apostolica Benedizione,

 

Tornaron a Noi gradite e la tua lettera in data 13 del prossimo mese di aprile e l'altra che Ci inviasti scritta da cotesti tuoi giovani allievi. Imperocchè da quelle lettere abbiamo potuto conoscere quale e quanto grande sia in te e nei medesimi giovani la fedeltà, l'amore e l'ossequio figliale verso di Noi e verso questa Cattedra di Pietro e quanto acerbo il dolore ed il lutto per gli iniquissimi e sacrileghi attentati contro il civile principato Nostro e di quest'Apostolica Sede, commessi da quegli uomini che, fierissima guerra portando alla Chiesa Cattolica ed alla medesima Sede, non esitano a conculcare ogni diritto divino ed umano.

In verità questi nobili sentimenti tuoi e dei medesimi giovani, degni certamente di ogni lode, furono a Noi causa di non leggero conforto tra le grandissime amarezze, da cui siamo oppressi. Ed ardentemente desideriamo che tu continui coi medesimi giovani ad innalzare senza intermissione fervidissime preghiere a Dio ricco in misericordia, affinchè allontani tante e così gravi calamità dalla sua Santa Chiesa e l'adorni ed esalti con nuovi e più splendidi trionfi in ogni parte del mondo e Noi aiuti e consoli in ogni nostra tribolazione. E mentre a te ed ai medesimi giovani rendiamo le debite grazie per il dono a Noi inviato, di tutto cuore e colla più grande benevolenza impartiamo a Te ed ai detti giovani l'apostolica Benedizione auspice di ogni celeste favore e particolare testimonio del Nostro Paterno affetto.

Dato a Roma presso S. Pietro addì 2 1 maggio 1860.

Del nostro Pontificato anno decimoquarto.

Pio Papa IX.

 

 

Nell'Oratorio si pregava e si lavorava per la Chiesa.

La Lettura Cattolica preparata pel giugno, aveva per titolo: Alessio o il giovane artista, coll'aggiunta di alcuni fatti edificanti. È la storia di un pittore, eccellente cattolico, amantissimo de' suoi genitori nella quale si verifica la promessa del IV comandamento: “ Onora il padre e la madre e vivrai lungamente sopra la terra ”.

I fatti edificanti sono: 1. Due grazie segnalate di Maria Santissima, delle quali la prima una conversione dal Protestantesimo.

2. “ La propria fede non si vende ” cioè la rinunzia fatta da una povera famiglia di una pingue eredità, piuttosto chè farsi Protestante.

3. Un contadino Cinese per quaranta anni fa ogni sorta di privazioni ed economizza 2000 scudi per edificare una chiesa nel suo villaggio.

4. Un episodio del 1795 cioè l'eroismo di alcune suore che vanno alla morte piuttosto che prestare il giuramento scismatico.

Pel mese di luglio si stava componendo l'Opuscolo; Della fedele osservanza dei comandamenti della Chiesa, con esempi adatti a ciascun precetto. Sul frontispizio si legge: Si Ecclesiam non auderit sit tibi sicut ethnicus et publicanus. (Matth. XVIII, 17). In queste pagine si nota lo spirito dì insubordinazione che regna nei popoli, si dimostra come la Chiesa abbia da Dio autorità di fare leggi, s'inculca l'amore e l'obbedienza che a Lei è dovuta dai Cristiani.

Di questi opuscoli così stampava L'Armonia il 20 giugno nel N. 143.

I nostri lettori conoscono quanto siano benemerite dell'istruzione e dell'educazione del popolo le Letture Cattoliche dell'ottimo sacerdote D. Bosco. Non possiamo rendere conto di tutti i libretti che ogni mese si vanno pubblicando in questa eccellente collezione. Diremo solo in generale che tanto per la varietà delle materie, quanto per lo stile piano, perfetto, ameno, in cui sono generalmente dettate queste opericciuole, esse sono il pascolo più appropriato ai presenti bisogni del popolo. Meglio che le nostre parole varrà la seguente raccomandazione fatta dal venerabile Vescovo di Biella in una recente sua pastorale “ Non possiamo, dice, mai abbastanza raccomandare, come di nuovo raccomandiamo ai signori parroci, clero, e persone benestanti, l'associazione delle Letture Cattoliche. Queste per la tenuità del prezzo, per l'amenità degli scritti, per lo scopo che si tengono prefisso, non possono a meno che incontrare l'aggradimento dei più e apportare un ottimo successo al buon ordine ed alla pubblica moralità”.

 

 

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