Capitolo 39

Nuovi ordinamenti della chiesa e dell'Ospizio - D. Bosco e il SS. Sacramento - Le Chiese - La musica sacra. Le solennità - Il servizio all'altare - La Santa Messa La preparazione ed il ringraziamento - Le sacre cerimonie - La Comunione e la visita in chiesa - Unione con Dio.

Capitolo 39

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

Benedetta la Chiesa di S. Francesco di Sales, nel regolamento dell'Oratorio festivo D. Bosco precisò alcune incombenze di varii uffiziali, dalle quali emergono le usanze di que' tempi. Si celebrava una sola messa e prima di questa gli alunni interni recitavano e cantavano il Mattutino dell'Ufficio della Beata Vergine. D. Bosco così prescriveva “I Sagrestani mentre s'incominciano le lodi della Beata Vergine, o al più tardi quando si intona l'inno, invitano il Sacerdote a vestirsi per celebrare la Santa Messa. - Il Monitore ogni giorno festivo, terminate le lodi della Beata Vergine reciterà a voce chiara ed alternata le solite preghiere; indi continuerà leggendo le preghiere che accompagnano la S. Messa. Dopo la messa gli atti di fede, speranza e carità. Dopo la predica reciterà cinque Pater e cinque Ave per i benefattori dall'Oratorio ecc., un altro Pater ed Ave a S. Luigi e finirà con intonare Lodato sempre sia ecc. Nelle feste di maggior solennità al Sanctus leggerà la preparazione  alla S. Comunione e quindi il ringraziamento”. (Art., 2, 3, 4 del primo Regolamento).

“Gli invigilatori saranno quattro. Uno prenderà ad invigilare la parte vicina all'altare della Beata Vergine: l'altro quella verso l'altare di S. Luigi, gli altri due il rimanente della chiesa nella metà verso la porta grande”.

Per ciò che riguarda i Catechismi: “Nel coro i promossi per sempre alla Comunione e che hanno compiuti i quindici anni. Alla cappella della Madonna e di S. Luigi gli altri che furono promossi per sempre alla Comunione, ma inferiori ai quindici anni. Le altre classi saranno divise per scienza e per età fino al più piccoli”.

“L'archivista riceve l'incarico di registrare particolarmente nel catalogo gli oggetti destinati o donati all'altare della Beata Vergine e di S. Luigi”.

Varie mutazioni in simili circostanze aveva anche subite la casa Pinardi. L'antica cappella-tettoia fu ridotta ad uso di dormitorio, scuole e sala di studio. In questa D. Bosco raccoglieva gli studenti, e siccome Deus scientiarum Dominus, volle fin d'allora che prima di incominciare i loro compiti continuassero a recitare il Veni Sancte Spiritus coll'Ave Maria e l'invocazione alla Vergine SS. Sedes sapientiae, ora pro nobis. Nell'ultimo quarto d'ora prima di cena si leggeva pubblicamente qualche libro di fatti edificanti, costumanza che durò molti anni. Don Bosco finchè potè  andava coi giovani nello studio comune per scrivere e meditare i suoi scritti.

Ma per lui, che aveva così profondamente radicato nel cuore l'abito della fede, la nuova chiesa divenne soprattutto il centro delle sue affezioni. Domandò ed ottenne subito di conservare continuamente il SS, Sacramento, e non si può dire con quale ardore egli ne desse notizia agli alunni. Da quel punto quando aveva qualche po' di respiro, si portava ad adorare il Divin Salvatore, ed allora pareva più un serafino che un uomo. Ed è perciò che quanto spettava al culto divino, era proprio l'anelito della sua anima. Come aveva egli fatto, costituito prefetto di sagrestia nel Seminario di Chieri, così ora si mostrava sommamente sollecito nell'esigere proprietà ed ordine nei vasi sacri e nelle sacre paramenta, e mostravasi attentissimo affinchè mai nè  di giorno nè  di notte si spegnesse la lampada davanti al SS. Sacramento. Era suo piacere torre i ragnateli, spolverare l'altare, scopare la chiesa, lavare la predella.

Egli, così povero, vagheggiava e poi innalzava chiese di una magnificenza sorprendente, e in queste, come fin d'ora ne' suoi Oratorii, esigeva tutto il decoro possibile e la massima nettezza anche nella sagrestia. Era sommamente premuroso nell'ornarle e del devoto contegno dei giovanetti. Insisteva perchè fossero esatti nel fare il segno della santa Croce e le genuflessioni. Non poteva tollerare che si mancasse della dovuta riverenza al luogo sacro e ai santi misteri, e raccomandava a tutti che riflettessero bene chi era Colui che abitava in quel tabernacolo. Provava gran pena quando vedeva o sapeva qualcuno starvi con poca divozione; e senza rispetto umano avvisava il negligente, fosse anche un estraneo. Si faceva scrupolo nell'eseguire tutti gli ordini che erano emanati dal Superiore Ecclesiastico Diocesano riguardo alle cose del culto. Nelle grandi solennità impediva che si chiamassero in aiuto musici esterni di teatro o di poca pietà, per la ragione che non stavano composti e perdevano il rispetto alla presenza reale di Gesù Cristo. Egli salutava tutte le chiese alle quali passava davanti, anche nei luoghi dove ne incontrava una ad ogni passo, ed essendo infermo fu visto farsi sovente il segno della croce e volgersi verso la chiesa in atto di adorazione. Ai Sacerdoti raccomandava che andassero a recitare il breviario davanti al SS. Sacramento. Lo affliggeva il pensiero che Gesù fosse poco onorato in molte regioni della terra, e impegnava persone caritatevoli e pie a provvedere suppellettili e vasi sacri alle chiese povere e alle cappelle delle lontane missioni e a concorrere per la loro costruzione e conservazione.

Non ci ricordiamo d'averlo mai visto seduto in chiesa, eccettuato in tempo di predica. Nulla vedevasi di affettato nel suo atteggiamento. Genuflesso, immobile in tutte le parti del corpo, ritto sempre sulla persona, le mani congiunte appoggiate all'inginocchiatoio od al petto; la testa leggermente inclinata, lo sguardo fisso, il volto sorridente. Niun rumore che si facesse all'intorno bastava a distornarnelo. Chi gli stava vicino non poteva fare a meno di pregar bene anche lui. Sul suo viso riverberavasi la fede e la carità per la presenza del Divin Salvatore.

Lo studio della musica nell'Oratorio era in servigio della Chiesa, e talvolta D. Bosco stesso insegnava una laude quantunque avesse tanti altri a cui commettere tale ufficio. Per animare questo insegnamento, risolvevasi di ottenere da Pio IX particolari indulgenze per i maestri e per gli scolari, e mostrava speciale contentezza quando i giovani eseguivano bene il canto gregoriano.

Dava egli infatti la massima importanza a tutte le solennità religiose. La Messa della notte del Santo Natale non tralasciò mai di celebrarla egli stesso fino agli ultimi anni di sua vita, ed eccitava in tutti la più viva devozione colla gioia che traspariva dal suo volto. Eziandio nella settimana santa al mattino compiva tutte le funzioni prescritte e alla sera gli uffici delle tenebre e con tale raccoglimento che gli astanti ne restavano commossi. Ma prima spiegava con grande compiacenza a' suoi giovani tutte quelle ammirabili cerimonie.

Ce ne parlava Villa Giovanni che udillo nel 1855. Le benedizioni delle candele, della gola, delle ceneri e dei rami d'olivo e, delle palme non erano mai ommesse. Aveva stabilito che ogni anno nell'Oratorio vi fosse per tre giorni l'esposizione delle Quarantore, e che un drappello di artigiani e di studenti con sacerdoti e chierici si alternassero continuamente per l'adorazione. La chiesa allora era aperta anche al pubblico ed ci vi si recava facendo come gli altri la sua ora. Finchè le forze glielo permisero si recava alla processione generale del SS. Sacramento della Metropolitana co' suoi giovani, i quali mandava eziandio alla parrocchia ed anche ad altre chiese nei giorni stabiliti per la stessa processione per renderla più decorosa.

Ma se D. Bosco in molte di queste funzioni riserbava per sè  nell'Oratorio l'ufficio maggiore, non rifuggiva dal compiere gli uffici minori. Avendo invitato un Canonico a dare la benedizione, egli fece da turiferario. Passando vicino a qualche chiesa e sentendo il campanello che indicava mancare un serviente, egli tosto entrava e preso il messale invitava il prete a recarsi all'altare, Più volte trovandosi in Istituti di educazione, egli stesso compiè  l'ufficio di accolito.

Essendo però delicatissimo in ogni suo tratto non avrebbe mai invitato ad un ministero infimo chi eragli superiore, benchè conoscesse in lui ali stessi suoi sentimenti. Tuttavia sapeva industriarsi senza mancare al rispetto dovuto.

“Un giorno nel 1851 circa, racconta il M. R. D. Giacomo Bellia, mi trovava con D. Cafasso e D. Bosco in via Doragrossa, ed era la festa della conversione di S. Paolo. Ad un tratto D. Bosco si batte la fronte colla mano e dice: Oh povero me; ho dimenticato di mandare quattro chierici a fare da accoliti per la benedizione del Santissimo al Deposito dell'Opera di S. Paolo. - Siamo ancora in tempo, osservò D. Cafasso. E perchè non possiamo andar noi? Se non siamo in quattro siamo in tre; meglio che nessuno. - Detto, fatto. Eravamo vicini, tornammo indietro ed arrivammo nel punto che il prete procedeva all'altare col turiferario. Presa allora ciascuno di noi una torcia, entrammo con gravità in presbiterio. D. Cafasso rimase alla destra, D. Bosco alla sinistra ed io in mezzo ed assistemmo così alla benedizione. Dopo questa il pio Giacomelli, direttore dell'Istituto, non finiva di ringraziare D. Cafasso della sua degnazione; ma questi gli rispose che era sempre una gran ventura l'esercitare anche l'infimo dei ministeri nella casa di Dio. - Quale lezione a certi chierici schifiltosi”. Fin qui D. Bellia.

Da tanto spirito di fede per questi ministeri inferiori, si può argomentare l'ardore del nostro buon Padre negli uffici maggiori. Nel celebrare la santa Messa era così composto, concentrato, divoto, esatto che dava ai fedeli la più grande edificazione. Pronunciava le orazioni e le altre parti della S. Messa che debbonsi proferire ad alta voce, con gran chiarezza perchè fossero intese da quanti assistevano, e con molta unzione. Non impiegava mai nè  più di mezz'ora e non meno della terza parte dell'ora, secondo le norme date da Benedetto XIV; e ciò rammentava a' suoi sacerdoti. La distribuzione delle sacre specie amava che si facesse piuttosto dopo la comunione del sacerdote che prima o dopo la Messa, per secondare lo spirito della Chiesa e uniformarsi all'usanza dei primi secoli del Cristianesimo; ed egli provava un gusto specialissimo nell'amministrare la S. Comunione e lo si udiva pronunciare le parole con grande fervore di spirito. Non lasciava mai di celebrare se non realmente per gravissima necessità. Dovendo intraprendere viaggi di buon mattino, anticipava la messa abbreviando il suo riposo, o la diceva con suo grande incomodo giunto a destinazione benchè l'ora fosse molto tarda. Di quando in quando il suo volto era inondato di lagrime. Talvolta pareva interrotto, non sappiamo se da rapimenti o da altri fervori straordinarii. Accadde pure che dopo l'elevazione apparisse così rapito da sembrare che vedesse Gesù Cristo coi propri occhi. Non di rado consecrando, il suo volto cambiava colore e prendeva tale espressione da far dire che pareva un santo. Tuttavia, senza alcuna affettazione, sempre calmo e naturale nei movimenti della persona, non lasciava travedere, specie nelle chiese pubbliche, nulla di straordinario. I fedeli però, in Torino e ovunque andasse, in gran numero si facevano una premura e provavano un gran piacere di accorrere, sapendone l'ora, per vederlo celebrare e avere il soccorso delle sue preghiere. Le persone poi favorite dell'altare privato, si riguardavano fortunate quando potevano averlo a celebrare la messa in casa loro.

E sempre parlava dell'importanza del santo Sacrifizio. A' suoi per regola e a tutti gli altri per consiglio, suggeriva di assistervi ogni giorno, ricordando quelle parole di S. Agostino, che cioè non sarebbe perito di mala morte chi ascolta divotamente e con assiduità la santa Messa. A quelli che desideravano ottener grazie e ricorrevano a lui, raccomandava di farla celebrare, udirla, e parteciparvi colla frequente comunione. Diceva eziandio che il Signore esaudisce in modo speciale le preghiere fatte bene in tempo dell'elevazione dell'ostia santa.

Nel tempo stesso era esattissimo nel prendere subito memoria delle offerte per messe e nell'adempiere a quell'obbligo di giustizia. Ma trovandosi anni dopo sovente circondato da molte persone che per questo fine gli offrivano l'elemosina, nel dubbio che qualcuna potesse essere dimenticata si abituò a far celebrare ogni giorno una messa per compenso di quelle delle quali forse non si fosse ricordato.

Ma questo suo geloso impegno perchè i singoli fedeli non rimanessero privi di tante grazie celesti loro dovute, il suo costante fervore all'altare, devesi certamente attribuire a pensiero fisso continuamente nel grande atto che doveva compiere ogni mattino. E in primo luogo diremo che talora andava a pregare nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi davanti alla cappella nella quale aveva celebrata la prima Messa, rinnovando i proponimenti fatti in quel giorno solenne. Poi recava sempre con sè  il libretto delle cerimonie della Messa e spesso leggevalo per non dimenticarsi le rubriche anche minime. E su questo esemplare si formarono i suoi sacerdoti. Il buon marchese Scarampi disse a Mons. Cagliero: - Io vengo tanto volentieri a sentir messa nell'Oratorio perchè i preti giovani di D. Bosco dicono messa da vecchi: mentre vedo che in qualche altro luogo i preti vecchi dicono messa da giovani, cioè frettolosamente. E D. Bosco in tempo di esercizii spirituali li esortava a servirsi l'un l'altro la messa, per scoprire, avvisandosi fraternamente, quei difetti, di cui senza accorgersene, si fosse contratta l'abitudine. Egli stesso osservava e all'uopo li correggeva anche di cose piccolissime, e si raccomandava altresì che taluno avesse la carità di osservar lui pure e di correggerlo se lo scorgesse difettoso.

Al santo Sacrifizio premetteva la necessaria preparazione, facendone dopo il ringraziamento, eccettochè ne fosse impedito da qualche grave bisogno o spirituale o morale. In tal caso sacrificava il suo gusto spirituale alla carità del prossimo. Ma D. Savio Ascanio dicevasi intimamente convinto che D. Bosco trovandosi poi solo in camera od in chiesa lasciasse libero il suo cuore a sfogarsi con Dio. Egli sorvegliava che i sacerdoti della sua casa adempissero a questi doveri, e come preparazione remota osservava e faceva osservare un rigoroso silenzio nella chiesa e nelle stesse sagrestie, quale si osserva ancora presentemente. Se doveva trattare di cose di spirito, parlava con voce dimessa, disapprovando chi faceva il contrario. - Fin da quando eravamo in Seminario, affermava D. Giacomelli, ei mi spiegò il significato delle lettere S. T. che si vedono nei chiostri antichi, cioè: Silentium tene. - Inoltre egli aveva comandato che dopo le orazioni della sera fino al mattino dopo la messa, nessuno più parlasse. Parecchie volte ci avvenne d'incontrarci in lui al mattino, quando discendeva dalla camera per recarsi in chiesa. In quel momento egli accettava il saluto con un sorriso, lasciandosi baciare la mano, ma non proferiva parola, tanto era raccolto in sè  in preparazione della messa.

Questa voleva che fosse servita con grande esattezza e fu sempre sua passione insegnarne il modo ai giovanetti.

A Sassi nel 1902 alcuni vecchi raccontavano a D. Garino come avessero imparato da D. Bosco a servire la S. Messa allorchè infermiccio era stato ospite del loro parroco per qualche settimana. Stabilì quindi che ogni giovedì si insegnasse ai chierici a servire la Messa solenne e che ogni sera si facesse altrettanto ai giovanetti studenti ed artigiani affinchè imparassero a servir bene la messa privata e a pronunciare adagio e per intero le parole. Quando taluno servendo a lui la messa dava a divedere di non farlo esattamente, ritornato in sagrestia in bel modo ne lo avvisava ed incoraggiava ad imparar meglio, dicendogli gli sbagli che aveva commessi e promettevagli qualche bel regalo se si fosse corretto. Aveva però sempre modi cortesi e tutti suoi propri.

Un giovanetto servendo la S. Messa a D. Bosco mozzicava le parole. D. Bosco, ritornato in sagrestia e spogliati gli abiti sacri, gli disse sottovoce: - Ma tu hai sempre troppo appetito!

- Perchè ?

- Perchè mangi perfino le parole della Messa.

Il giovanetto non rispose e lungo il giorno si esercitò a pronunciar bene le parole che era solito a ingarbugliare. L'indomani fu chiamato di bel nuovo a servirgli messa.

Finita che fu: - Ebbene! disse a D. Bosco il giovane; e l'appetito?

- Diminuisce, diminuisce, rispose D. Bosco.

Un altro giorno, narrava D. Milanesio, D. Bosco avvisò il serviente di uno sbaglio da lui fatto nel servirgli la santa Messa. Il giovanetto, che era vivacissimo e franco, gli rispose: - Anche Lei ha fatto uno sbaglio! - E gli disse quale. Forse per inavvertenza, cosa rara però, aveva benedetta l'acqua da mettersi nel calice celebrando la messa dei defunti. D. Bosco gli rispose amorevolmente Che cosa vuoi? Siamo due sciapin, cioè guastamestieri. E questa sua risposta è prova di grande umiltà.

Ricorderemo ancora che D. Bosco fu l'apostolo della comunione frequente e della visita quotidiana al SS. Sacramento. Non di rado predicando, nel descrivere l'eccesso di amore di Gesù per gli uomini, piangeva lui e faceva piangere gli altri per santa commozione. Anche in ricreazione parlando talora della SS. Eucaristia, il suo volto accendevasi di un santo ardore e diceva di spesso ai giovani: - Cari giovani, vogliamo essere allegri e contenti? Amiamo con tutto il cuore Gesù in Sacramenti - E alle sue parole i cuori sentivansi tutti compenetrati della verità della presenza reale di Gesù Cristo. Nessuno può descrivere la sua gioia quando nella chiesa potè  riuscire ad avere tutti i giorni un certo numero di comunicanti i quali si alternavano. Ai giovanetti ed agli adulti raccomandava di conservarsi in tale stato di coscienza da potersi accostare con il consiglio del confessore alla santa mensa anche tutti i giorni. Egli non esitava punto a dare questa licenza a chi era bastevolmente disposto. Quando però, discorreva della Comunione sacrilega, lo faceva con tali accenti, che i giovani si sentivano agghiacciare il sangue e concepivano un vero spavento di questo enorme peccato.

Avendogli D. Giacomelli fatto osservazione come egli fosse piuttosto propenso nel permettere con facilità la Comunione ai giovani, egli tosto gli rispose, che la Chiesa, come si legge negli Atti del Concilio di Trento, esorta che ogni qual volta si celebra la S. Messa, vi siano fedeli che si comunichino. E per raggiungere questo scopo egli istituiva associazioni e compagnie, invitava con più insistenza in occasione di tridui, di novene e di feste, stampava un bel numero di opuscoletti che spargeva tra il popolo, per poco o niun prezzo a più migliaia di esemplari, inculcandone a' suoi giovani la lettura. Per questo era instancabile nel confessare, impegnatissimo nel preparare i giovanetti alla prima Comunione, premuroso che questo grande atto avesse la massima importanza, eziandio talvolta con una speciale solennità.

Non è quindi a stupire se le comunioni dei giovanetti riuscivano di gradimento al Signore. Spesse volte D. Bosco, augurando la buona notte ai giovani li invitava a pregare e a fare l'indomani, quelli che potevano, con grande fede la Comunione, dicendo che aveva bisogno di grazie grandi per la Casa: e molte volte alla sera seguente si udiva adire che il Signore lo aveva esaudito. Il bene che egli ed i suoi facevano, le grazie concesse dalla Madonna e le elemosine dei benefattori, diceva essere effetto dell'intercessione e delle comunioni de' suoi alunni. Nulla attribuiva mai a suo merito. Quante volte l'abbiamo udito esclamare: Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam; e ripetere: La Divina Provvidenza ci ha inviato questo o quel soccorso.

Finalmente noi faremo osservare quanto, e dal già detto, risulta, fosse grande il suo spirito di unione con Dio, anche nella vita che si direbbe esteriore. Nell'esaminare la sua prodigiosa attività, occupatissima in opere innumerevoli dì carità e di religione, si sarebbe indotti a credere che fosse uomo tutto di calcolo e di azione, e che si contentasse delle preghiere obbligatorie. “Ma no; ci diceva il Prof. Maranzana, suo alunno; fu sempre da me osservato tanto raccolto in sè , coll'animo sì quieto e tranquillo, da sembrare di essere in continua contemplazione delle cose celesti: egli era su questa terra per operare il bene, ma il suo spirito era in altra vita”. E la sua vita era Gesù Cristo.

I segretarii lo videro sempre incominciare i suoi lavori colla elevazione più intensa della mente a Dio. Finchè potè  e le forze glielo permisero recitava coi giovani le orazioni della sera, ritto sulla persona ed inginocchiato sul nudo pavimento dei portici, e se scorgeva qualche ragazzo farsi il segno della croce meno regolarmente non tralasciava di avvertirnelo. Anche le minute preghiere che si solevano fare prima e dopo il cibo erano da lui recitate con grande compostezza. - Molte volte, scrisse D. Rua, lo sorpresi raccolto nella preghiera in quei brevi istanti, che bisognoso di respiro, trovavasi nella solitudine. Egli disse eziandio ad un confratello nel quale aveva grande confidenza: Alcune volte non posso attendere regolarmente alla lettura spirituale, ed allora prima di andare a letto inginocchiato per terra rileggo o almeno ricordo posatamente alcuni versetti dell'Imitazione di Gesù Cristo.

Insomma collo spirito e col cuore fisso in Ges√π Sacramentato viveva in continua preghiera.

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