Patimenti di D. Bosco nel dare udienze - Sua risposta a chi lo consigliava di congedare i visitatori indiscreti - Raccomanda ai suoi coadiutori un gran rispetto alle persone nel dare udienze; un vero impegno di non mandar via nessuno malcontento, se fosse possibile; spirito di sacrifizio; prudenza - Lezione pratica - D. Bosco pronto a conferire ovunque vada con chiunque voglia parlargli - Come facesse per accaparrarsi le simpatie di tutti - Disbrigo dell'epistolario Risposte di D. Bosco a lettere ingiuriose.
del 30 novembre 2006
 Le udienze erano per D. Bosco una croce tormentosa e meritoria. Il più delle volte sottostava a grave disagio fisico, perchè, cagionevole di salute, debole di stomaco, soggetto a gravi infiammazioni, doveva continuamente vociferare. Dopo alcun tempo sentivasi come mancare il respiro e bruciare la lingua. Talora era così stanco, che non poteva più far sentire il suono della sua voce. Altre volte, pel lungo pensare nello sciogliere quesiti di grave importanza, venivagli a dolere talmente il capo, che metteva compassione in chi l'osservava; e non di meno proseguiva in cosi penosa occupazione. Il Padre Giuseppe Oreglia della Compagnia di Gesù affermava, che se D. Bosco non avesse fatta altra penitenza in vita sua, questa sarebbegli bastata per dichiarare eroica la sua virtù.
Infatti la vita di D. Bosco fa un continuo dare udienza e per le vie di Torino e ne' suoi viaggi e ne' varii paesi nei quali si recava. Consigliato a liberarsi da una cosi grave fatica, rispondeva sempre: - Non conviene!... Non me ne sento il coraggio!... Son povera gente!... Molti vengono anche da lontano; hanno anch'essi i loro affari!... E poi debbo compiere la mia missione. - E soggiungeva: - Poveretti! Hanno pene da confidarmi... aspettano in anticamera da tanto tempo... mi fanno compassione, e bisogna bene appagarli... e poi... e poi... si finisce con fare un po' di bene.
Anche in queste circostanze sapeva scherzare: - Ma non ci sarà un mezzo, interpellavalo qualche suo prete, per diminuirle lo strapazzo di tante udienze che sono veramente inutili?
Egli rispondeva: - Oh sì, che ci sarebbe un mezzo per liberarmi da tanta gente!
 - E quale?
 - Per esempio, se io mi fingessi mezzo pazzo od ebete: allora la gente cesserebbe subito dal venire; farebbe correre la voce: - Povero D. Bosco! non ha più la testa a posto: non intende più niente; non sa più quello che si dica. - Ma questo ripiego sarebbe disapprovevole e dannoso alla Pia Società, perchè noi abbiamo bisogno di tutti; quindi conviene lasciare aperta la strada alla Divina Provvidenza.
Per tal modo non rifiutava nessuno, qualunque ora del giorno fosse venuto, e ancorchè suonato mezzogiorno non scendeva se non dopo aver dato soddisfazione a tutti. Finito il pranzo, alcuni già domandavano di parlargli. - E lasciatemi andare, ei diceva ai suoi chierici che cercavano di trattenerlo; soffro un peso enorme nel vedere quella gente aspettare!
I chierici un giorno lo esortarono a farsi un orario per dare udienze; e a non ascoltare sempre ed in qualsivoglia momento coloro che si presentavano, poichè, insistevano, continuando a questo modo si sarebbe rovinato. Egli rispondeva: - Eh! Il Signore ci ha messi in questo mondo per gli altri.
Perciò raccomandando a' suoi dipendenti, costituiti in autorità, la vita di continuo sacrifizio pel bene del prossimo, esortavali a non trascurare, venuta l'occasione, questo mezzo delle udienze per esercitare la carità con qualsiasi classe di persone. Raccomandava che per tutti avessero un gran rispetto, e, come usava dire S. Vincenzo de' Paoli, in ogni stato faceva veder loro Gesù Cristo. Nel Papa e nei Vescovi Gesù Pontefice, nei preti Gesù Sacerdote, nei Re Gesù Sovrano, nei gentiluomini Gesù della nobilissima stirpe di David, nei magistrati Gesù Giudice, nei commercianti Gesù il buon Samaritano. E additavalo operaio negli artigiani, povero nei mendici, infermo negli ammalati. E così nelle parabole il padre di famiglia, lo sposo, il vignaiuolo, il proprietario, ecc.
Indicava loro di farsi un grande studio nel non rimandare mai alcuno malcontento. Soleva dare con altri avvisi, anche il seguente al suo segretario: - Procura di fare quanto puoi per contentare la gente, come fa Don Bosco. - Il segretario pertanto si mise di proposito a seguire quel consiglio; ma, passati alcuni giorni, si presentò a D. Bosco dicendo essergli impossibile di poter accontentare tutti; e lo pregò che gli suggerisse il modo.
Don Bosco, dopo qualche istante di riflessione, gli rispose:
    - Tutti?       Impossibile! Senti: stamane venne da me una signora per esporre i suoi affari, ma pretendeva, con vive insistenze, che scendessi in chiesa per trattarli in confessio­nale. - Ma veda, le risposi io; non ho tempo; e poi queste cose non appartengono al confessionale.
 - La signora però scattava, dicendo: - San Francesco di Sales non faceva così co' suoi penitenti.
 - Ed io: - Se S. Francesco si fosse incontrato con lei in questa circostanza, le avrebbe dato la mia stessa risposta. E quella buona signora non volle persuadersi e partì rannuvolata. Tuttavia, in queste occasioni la calma, senza alcuna acrimonia, toglie o diminuisce di molto un'impressione
disgustosa. Ma per ottenere quest'effetto è necessaria un'abitudine di preparazione: cioè preghiera, matura riflessione, amabilità di modi, congiunta ad una grande pazienza e amore della verità.
Nello stesso tempo soggiungeva: - Siate prudenti; ma non dimentichiamo che la nostra prudenza deve consistere nel mettere sempre in salvo la fede, la coscienza, l'anima nostra.
Del resto, chierici, preti e alunni ricevevano una lezione pratica del come si deve dare un'udienza che riesca fruttuosa, quando essi stessi entrando in sua camera a parlargli, ammiravano il modo col quale si diportava.
Nel trattare colle persone ne conosceva a prima vista il naturale, le propensioni, i difetti e le belle qualità; e sapeva nel parlare regolarsi in modo che tutti ne rimanevano appagati. Chiesto del come si avesse a fare per introdursi, come egli faceva, nel cuore degli uomini e guadagnarsi la loro stima, egli suggeriva questo mezzo: - Interrogare molto e portare il discorso sullo stato, sull'arte o professione dell'individuo con cui si parla. Al contadino chiedere notizia delle campagne, ad un soldato della vita militare, ad un medico de' suoi infermi, ad un negoziante delle fiere e dei mercati, ad un padre della sua famiglia, ad un fanciullo della scuola e dei giuochi. Consumato nella grande arte di accomodarsi a tutti i caratteri e di eguagliarsi a tutte le capacità, teneva perfino conversazione coi bambini, e direi quasi balbettava con essi, mentre nelle discussioni poco importanti, lasciava che l'uomo di mediocre levatura si credesse alla sua portata nella scienza e nel maneggio dei grandi affari.
A pari passo colle udienze andava il disbrigo dell'epistolario. Ma per leggere i fasci di lettere, che gli giungevano ad ogni ora, egli per non essere disturbato, nel dopo pranzo si ritirava o nel Convitto o in un caffè vicino al Santuario della Consolata. Di qui non si moveva finchè non avesse postillato quei fogli. Ritornato a casa, per circa vent'anni era costretto a passare metà delle notti a scrivere le risposte. Un simile lavoro esigeva sovente una grande attenzione, per i consigli che doveva dare, o le questioni da sciogliersi. Ma era sempre ispirato a grande prudenza il modo che usava nel rispondere a domande, che per iscritto gli facevano persone sconosciute. Se dalle loro esposizioni non poteva farsi un concetto ben determinato del soggetto, o l'argomento era troppo delicato, egli rispondeva loro che si rivolgessero al proprio parroco, o al direttore di spirito, oppure ad altro ecclesiastico o secolare istruito ed esperto in tali materie, e se ne stessero al loro giudizio.
Ma le lettere non meno che le udienze gli porgevano occasione di esercitare la pazienza e l'umiltà. Era solito a dire che alle lettere irose od offensive, una risposta dolce, con attestazione di stima scritta immediatamente, dà sempre una sicura vittoria e muta i nemici in amici. Responsio mollis frangit iram: così nei Proverbi. Egli ne aveva fatto cento volte la prova.
Accadde verso l'anno 1863 che un nobilissimo signore, da lui conosciuto non altrimenti che per fama, gli scrivesse una lettera per un affare di certa importanza. D. Bosco avendo in quel momento una complicatissima corrispondenza da sbrigare e non trattandosi di cosa di confidenza, incaricò un suo prete di fare quella risposta. Quel signore, che aveva una gran stima di sè e dei riguardi che gli si dovevano, al ricevere quel foglio, fu sdegnato oltre ogni dire e, presala penna, riscrisse con mille insolenze: - D. Bosco non dover ignorare chi fosse colui che aveagli scritto onorandolo di un suo autografo. Egli saper benissimo chi era D. Bosco ...; per conseguenza non riconoscendo la distanza pel grado sociale esistente tra sè e lui, D. Bosco aver commesso un'indegnità col non degnarsi di rispondere di proprio pugno. Egli aver scritto più volte al Re, al Papa, e ad altri potentissimi
personaggi e da tutti aver ricevute risposte autografe e non per mezzo di segretarii. E D. Bosco temeva forse di umiliarsi facendo egli stesso la risposta? Si crede di essere più del Re, più del Papa? Sarebbe stato suo dovere recargli una risposta in persona... - E così andava avanti di questo passo.
D. Bosco non si commosse punto nel leggere una lettera così villana e di suo proprio pugno rispose: - Che lo ringraziava del suo grazioso foglio. Averlo conosciuto prima come uomo istruito e di gran levatura, ma non aver creduto mai che possedesse così maestrevolmente l'arte di scherzare come appariva da quella lettera. Ringraziarlo della famigliarità colla quale aveagli scritto, che gli rivelava un amico sincero. Quindi essere desso troppo onorato di quell'amicizia e non voler lasciare sfuggire quell'occasione per raffermarla maggiormente. Perciò non potendo in quel momento scrivere più a lungo, si riserbava di venire a pranzo da lui un tal giorno, alla tal ora, per discorrere con tutta tranquillità del noto affare.
Quel signore, essendogli passato quel momento di furia, non potè a meno che riconoscere lo sproposito che aveva fatto e vergognarsene. D. Bosco andò a pranzo da lui che attendevalo in cima alle scale. Sul principio era alquanto imbarazzato, ma dopo pochi minuti divenne aperto e lieto, poichè D. Bosco sembrava che realmente avesse presa quella lettera come una cordiale e fine facezia per provocare la sua venuta. Si pranzò, si rise: Don Bosco colla sua amabilità fu ben presto padrone del cuore del suo ospite, il quale da quel punto divenne amico e sostenitore dell'Oratorio.
Un parroco della Diocesi di Saluzzo, dopo una lunga corrispondenza con D. Bosco, irritato per non essere favorito in un suo progetto, riscrisse una lettera di sette pagine con termini di fuoco che sembravano studiati per offendere. Don Bosco gli rispose: che gli rincresceva di averlo disgustato così gravemente: che egli aveva esposte alcune idee e progetti, credendo non fossero contrarii a' suoi desiderii; che però ritrattava qualunque frase avesse potuto spiacergli; che si rimetteva tutto nelle sue mani e gli chiedeva scusa se in qualche modo, senza intenzione, l'avesse offeso. - Quel parroco all'inaspettata risposta venne a sensi più miti. Chiese perdono per lettera; pregò Don Bosco a stracciare quel foglio malaugurato; lo supplicò a volersene dimenticare come se non fosse stato scritto; si proferse in tutto e per tutto a prestare quei servigi di cui D. Bosco avrebbe potuto avere bisogno. E mantenne la sua parola generosamente.
Un altro distinto ecclesiastico aveva scritta una lettera a D. Bosco che, essendo fuori di Torino, non aveva potuto riceverla. Quegli non vedendo giungere risposta s'inviperì credendo che D. Bosco non volesse degnarsi di tener con lui corrispondenza. Perciò irritato sbraitava in pubblico essere D. Bosco un superbo, un orgoglioso; e aggiungeva: - Se tale è il Superiore della nuova Congregazione, quale razza di gente dovranno essere i Salesiani! - E muoveva contro di essi varie accuse, dicendo che aspettava da D. Bosco una discolpa, avendogli egli scritto di buon inchiostro. D. Bosco avvisato di queste dicerie mandò una lettera a quel signore, dicendogli che non attendesse una sua giustificazione contro le imputazioni da lui fattegli, perchè egli si dichiarava colpevole di quanto era stato accusato e di colpe ancora maggiori; solo lo pregava, essendo ogni uomo in pericolo continuo di morire da un momento all'altro, di volergli accordare il desiderato suo prezioso perdono, acciocchè per parte sua potesse presentarsi tranquillamente al tribunale di Dio. A questa lettera quell'ecclesiastico restò confuso, scrisse esprimendo un gran pentimento per le sue sgarbate e calunniose invettive e concluse asserendo, non restargli altra cosa da fare fuorchè venire a Torino e gettarsi ai piedi di D. Bosco e chiedergli perdono.
Avea perciò piena ragione D. Bosco nel ripetere che così nello scrivere come nel parlare è sempre perdente chi con ingiurie risponde alle ingiurie, perchè sermo durus suscitat furorem.
 
 
Versione app: 3.26.4 (097816f)