Capitolo 40

Ritorno all'oratorio male abbandonato - Pacificazione ed esaltazione - Nuova scelta di giovani coadiutori - Studenti generosi - Il primo chierico nell'oratorio - Manovre militari - L'orto della mamma - Col cibo materiale il pane spirituale - Meraviglie di una comunione generale.

Capitolo 40

da Memorie Biografiche

del 10 novembre 2006

 Coloro che erano stati cagione di tanti dispiaceri a D. Bosco, avevano continuato per qualche tempo, colle loro arti seduttrici, a trattenere lontani dalle chiesuole di Valdocco e di Porta Nuova quegli incauti che li avevano seguiti.

Ma un bel giuoco non vuol durar molto. Quasi tutti i giovani a poco a poco ritornavano a frequentare l'oratorio, sia per l'affetto che portavano a D. Bosco, sia perchè, dato giù quel primo bollore, si accorgevano di aver da fare con dei parabolani, i quali così operavano per rappresaglia e non per affetto che ad essi portassero; sia perchè quei bravi signori si stancarono di faticarsi nelle passeggiate e di spendere il fatto loro per amor dell'Italia.

Alcune decine continuarono ancora per qualche mese a tener dietro ai capobanda, i quali finirono poi con abbandonare loro stessi gli ultimi loro seguaci.

Ma D. Bosco, benchè vedesse volentieri il ritorno di quelli che così sconsigliatamente lo avevano abbandonato, impose loro che volendo rientrare nell'Oratorio si presentassero prima uno per uno a lui medesimo per udirne una parola. La cosa riuscì meglio di quello che si sarebbe aspettato; poichè i sobillatori per alcun tempo non si lasciarono più vedere e così cessarono i motivi di dissensione, e la maggior parte dei giovani sedotti ritornarono, domandando scusa e promettendo ubbidienza e disciplina. Alcuni però dei più grandi non vollero assoggettarsi, e i loro traviamenti li condussero pur troppo ad una mala fine.

Ma che scopo avevano quei signori nell'eccitare la ribellione? Pare che fosse di tirare a sè tutti od in parte i giovani degli oratori, prenderne essi la direzione e guidarli secondo le loto viste. Si ha pure motivo a credere, che in questo disgustoso affare operasse di sottomano qualche furbo demagogo. Comunque sia, stante il nome e l'abilità dei caporioni, quelle mene avrebbero potuto tornare fatali all'oratorio. Se ciò non fu, lo si deve a Dio ed alla Vergine Immacolata, che per mezzo di D. Bosco sempre lo protesse e difese contro le nemiche insidie.

E D. Bosco non conservò nessun rancore contro questi perturbatori. Alcuni più non comparvero; altri, venuti a lui, furono accolti con tutto l'affetto di un'antica amicizia e rimessi negli uffizi che prima occupavano nell'Oratorio di San Luigi. Fatta eccezione delle pazze idee politiche, nelle quali più non si mostravano fanatici, erano sacerdoti di ottimi costumi.

Iddio però, che permette l'umiliazione dei suoi servi, non manca di esaltarli in tempo opportuno, confondendo i loro oppositori. Il principale fattore dei perdonati disordini si trovò in tali circostanze, da essere costretto ad implorare l'appoggio di D. Bosco. Essendo andato per qualche tempo a Vercelli, ebbe divieto da quell'Arcivescovo di celebrar messa e di predicare, se prima non presentava un attestato di buona condotta, rilasciato da D. Bosco. A quel sacerdote pesava grandemente di dover ricorrere a colui che egli aveva tanto angustiato e combattuto. Per questo motivo prima supplicò che fossero accettate le carte della Curia di Torino; e le presentò, ma furono respinte. Domandò di poter chiedere per lettera quella testimonianza, ma Mons. Alessandro d'Angennes gli impose di andare in persona a supplicare D. Bosco di questo favore. Vedendo inflessibile quell'autorità ecclesiastica, andò. D. Bosco lo accolse con grande amorevolezza, volentieri scrisse la richiesta dichiarazione, notando come quel Teologo avesse faticato molto con lui per la religione e per le anime.

Intanto D. Bosco si era occupato a rimediare alle pesanti conseguenze delle sopraddette diserzioni, tanto più il che suo miglior personale che gli restava lo aveva impiegato nel sorreggere l'Oratorio di S. Luigi molto malmenato. Però quello di S. Francesco ne rimaneva sprovveduto. D. Bosco ci narrava: “ Già prima, ma specialmente in questa necessità, dovetti imparare il modo di trovare aiutanti. Fra gli stessi giovanetti scelsi alcuni e ne collocai uno qua, l'altro là in mezzo alla turba, e si andava avanti alla meglio. Appena potei avere un chierichetto, questi mi sembrò un'individualità di grande importanza e quanto ebbi subito a dargli da fare! Mi ricordo di Savio Ascanio che appena fu chierico gli affidai subito il canto del vespro, una parte dell'assistenza e dei catechismi, e la direzione di varie altre cose. Io così incominciava ad essere un pochino sollevato: con qualche tranquillità mi disponeva alla predica, e mentre un altro intonava le litanie, mi vestiva degli abiti sacri per la benedizione senza preoccuparmi dei giovani. È vero che eziandio con questi piccoli aiuti al cader della sera io era più morto che vivo, ma intanto senza tali cooperatori mi sarebbe stato

impossibile continuare. Mio grande studio si fu lo sceglierli poco alla volta, di mano in mano che ne trovava di quelli che avevano l'attitudine necessaria. Nello stesso tempo adoperava tutti i mezzi per conseguire eziandio un mio scopo particolare, cioè di riconoscere se alcuni avessero propensione alla vita comune per riceverli meco in casa. E poi questi miei giovani coadiutori non li abbandonava a se stessi, ma li dirigeva, dando loro nello stesso tempo tutta quella confidenza che era possibile. Incominciai a condurne alcuni a passare la giornata in campagna presso qualche mio amico, altri a villeggiare a Castelnuovo: or l'uno or l'altro invitava a pranzo con me, o loro permetteva che venissero alla sera in Valdocco, a leggere, a scrivere, a chiacchierare, a far ricreazione. Mi ingegnava a questo modo anche per porgere loro l'antidoto alle velenose opinioni dei giorno, acciocchè non prestassero orecchio, come altri avevano fatto prima, alle dicerie dei sobillatori. Non posso negare che da principio abbia stentato molto a formarli quali io li voleva, ma poi i migliori vennero a porgermi veri aiuti, anche nelle occasioni più gravi ”.

Sul principio però che D. Bosco aveva fatto questa scelta, era andato a visitare nei loro paesi certi studenti, catechisti da più anni, che passavano in pace le loro vacanze. Aveva bisogno di qualcheduno che desse esempio di attività alle sue nuove reclute. Infatti in sul finir del settembre si recava a predicare a Corio, ospitato dalla famiglia Cresto sua benefattrice; e di qui proseguiva a Rocca di Corio, dove invitato il giovane Picca Francesco, lo conduceva a Torino. Questi suoi amici avevano aderito al suo desiderio, specialmente pel tempo della sua gita a Castelnuovo.

Ma chi più di ogni altro lo coadiuvò e consolò fu il primo suo chierico e compatriota, Savio Ascanio, allora in età di anni 17.

Questi, ancor fanciullo, aveva udito dal Vicario D. Cinzano parlar di D. Bosco come di un sacerdote intraprendente e zelante. A lui era stato presentato dal padre mentre dimorava al Rifugio perchè lo esaminasse sugli studi di lingua latina. Da quel punto sentissi così preso verso quel santo prete, che, indossata la veste chiericale nella Pia Casa del Veri. Cottolengo, essendo chiuso il Seminario di Torino, domandò ed ottenne dalla Curia Arcivescovile di non andare al Seminario di Chieri, pel fine di aiutare D. Bosco nel suo Oratorio. Fu questi il suo primo chierico. “ Dal punto che vi entrai nel 1848, ci narrava, mi sentii preso da tanta affezione per D. Bosco, che in lui riposi tutta la mia confidenza e lo amava come se fosse mio padre. Stetti con lui quattro anni come chierico, ed anche quando uscii dall'Oratorio nulla perdetti dell'antica affezione e sentiva un'attrattiva potente che qual forte calamita, a lui mi attraeva. Ebbi con lui fino alla sua morte una certa quale intimità, e mi incaricava di predicare anche alle suore, confessare i giovani, fare scuola di morale ai preti e ai chierici del suo oratorio ”. Egli, dottissimo nella teologia morale nella quale era molto abile per la pratica nel confessare, fu Direttore del Rifugio, Vicerettore dei Seminario in Torino, Rettore del Seminario Arcivescovile del Regio Parco di Torino e professore per molti anni di Teologia, morale nel Convitto Ecclesiastico. Ciò dimostra che, stando egli in Valdocco, sin dal principio non aveva trascurati gli studi sacri, poichè D. Bosco sapeva inculcarne l'importanza a coloro che abitavano con lui.

Il chierico Savio Ascanio prese subito parte a quanto si faceva da D. Bosco per attirare i giovani all'oratorio e incominciò ad aiutarlo in tutto quel che poteva. Don Bosco lo incaricava più volte di perlustrare i viali e i prati di Valdocco, perchè facesse ricerca di quei giovani che gli stavano tanto a cuore e glieli conducesse. Era eziandio mandato per fare il catechismo all'Oratorio di S. Luigi e sorvegliarne l'andamento. Arduo era il compito affidato a questo buon chierico; ma affinchè non si lasciasse sopraffare dalle difficoltà che incontrava, D. Bosco gli ripeteva quelle parole, solito a dire ai suoi coadiutori, per infonder loro la propria fortezza: Esto vir: niente ti turbi!

Al chierico Savio si aggiunse Brosio Giuseppe, che recò a D. Bosco un altro soccorso di non lieve utilità. Questi, di ritorno a casa sua dalla guerra, coi battaglioni dei così detti bersaglieri nei quali aveva militato, continuò a frequentare le adunanze festive con fedeltà edificante, portando sempre a D. Bosco un grandissimo affetto. Venendo all'oratorio vestiva sempre la divisa militare, e perciò i giovani lo chiamavano il bersagliere . Pratico dunque di manovre e di battaglie, parecchi compagni lo pregarono che volesse esercitarveli; ed egli, col consenso di D. Bosco, accondiscese di buon grado e formò un piccolo reggimento dei giovani più vivaci e destri.

Si domandarono eziandio e si ottennero dal Governo circa duecento fucili senza canna, si provvidero bastoni da esercizio; il bersagliere portò la sua trombetta, e dopo alcun tempo l'oratorio disponeva di una brigata sì bene istruita da saper rivaleggiare almeno colla Guardia Nazionale. I giovani ne andavano come perduti, e chi dava il proprio nome per esservi inscritto, e chi si deliziava nel vedere le manovre, le mosse e le battaglie. In tutte le grandi solennità la oratoriana milizia prestava servizio pel buon ordine nelle funzioni di Chiesa e nell'interno della Casa, e talora eseguiva delle evoluzioni così maestrevolmente, che servivano di lieto spettacolo, riscuotendone altissimi applausi. Or questi esercizi e quelli di ginnastica, insegnati col metodo adottato nel regio esercito, servivano non poco a far ritornare all'Oratorio parecchi di quei giovani che, amanti di novità, se ne erano allontanati, e ne fermarono altri che, avidi di giuochi e di trastulli consentanei all'indole dei tempi, volevano andarne in cerca disertando dalle sacre funzioni. Il giornale “L'Armonia” parlò talora di questa milizia.

Ma una volta il piccolo esercito recò involontariamente un vivo dispiacere ad una persona, che dopo D. Bosco era a tutti carissima, voglio dire alla mamma Margherita. Da buona massaia, si era ella formato in fondo al cortile un orticello, il quale, da lei industriosamente seminato e coltivato colla più grande sollecitudine, le somministrava insalata, aglio, cipolle, piselli, fagioli, carote, rape e millanta specie di verdura, non escluse la menta e la salvia; anche in un piccolo prato cresceva l'erba per i suoi conigli. Orbene, era un giorno di gran festa, e il bersagliere cogli squilli della tromba raccolse la sua schiera e divisala in due parti, volle divertire i numerosi spettatori con una finta battaglia. Pertanto distribuì gli ordini opportuni, fissò quale delle due schiere dovesse alla fine retrocedere fingendosi vinta. Soprattutto poi, a difesa del caro orticello, raccomandava ai vincitori che arrivatine alla siepe, vi si fermassero. Impartito il comando, si dà il segnale della mischia. Le due squadre alzano un forte grido di urrà, e l'una da una parte del cortile, e l'altra dall'opposto lato cominciano le loro mosse, puntandosi contro il fucile di legno. Al grido solenne, alle ben ordinate cariche e scariche dell'arme, al lento avanzarsi e retrocedere, alle esatte evoluzioni ora a destra ora a sinistra per sorprendersi a vicenda, ei ti pareva di trovarti ad una vera battaglia. Mancava solo il tuonare dei cannoni, lo scoppiettio dei fucili e il cadere dei morti e dei feriti. Gli astanti si divoravano lo spettacolo con tanto d'occhi, battevano le mani, gridavano bene, bravi. Questi applausi accesero siffattamente gli spiriti bellicosi dei combattenti, che ad un certo punto la parte vincitrice, incalzando la vinta, non osservò più la consegna, e si spinse tant'oltre, che la pugna fu portata nell'orto della mamma. La siepe è rovesciata e divelta; chi cade, chi sorge: in breve ogni cosa fu calpestata e guasta. Il bersagliere gridava, suonava la tromba; ma le risa e i battimani della gente non lasciavano udire più nulla. Quando i due drappelli si riordinarono non rimanevano dell'orto che poche vestigia. A tale vista la buona Margherita, credendo forse che quell'assalto fosse stato a bella posta combinato per rendere più bello lo spettacolo, si volse al figlio e con parole di giusto risentimento disse: - Varda, varda, Gioanin, lo ca l'a fait 'l Bêrsagliè: a la guastame tut l'ort; vale a dire: Guarda, guarda, Giovanni, quello che ha fatto il bersagliere: mi ha guastato tutto l'orto. E D. Bosco coi sorriso sulle labbra la rassicurò dicendo: Mare, cosa vueli feie? A son giouvô: Madre, che cosa volete farci? Sono giovani. - Al generale poi, che si ritirava taciturno e tutto mortificato per quella disavventura e più per il dispiacere recato a mamma Margherita, egli fece animo con graziose parole, e, tratto fuori un cartoccio di caramelle, glielo diede, affinchè lo distribuisse ai suoi soldati o vincitori o vinti.

Quell'orto per allora venne rimesso in ordine, ma non molto tempo dopo scomparve per lasciare pi√π largo spazio ai divertimenti dei giovani. Brosio Giuseppe frequentava l'oratorio del quale era l'anima fino oltre al 1860.

La sua tromba fu poi messa nella lotteria che si fece a Porta Nuova nel 1856 in favore degli oratori, e nel Catalogo dei doni sta scritto: Tromba, dono di un bersagliere.

A questi allettamenti D. Bosco aggiunse quello di fornire eziandio il vitto ad un certo numero dei giovani della città.

Venivano costoro nell'ora fissata per il pranzo degli interni a mangiare tutti insieme quello che aveva fatto preparare il buon prete, il quale si compiaceva di aver trovato una buona occasione di più per confortarli a far bene. Perchè poi tutti quelli che frequentavano l'oratorio, nessuno escluso, potessero godere qualche volta di tal vantaggio, combinò le cose in modo che quelli ammessi al pranzo, cedessero la Domenica seguente il posto ad altri, e così di seguito finchè il giro fosse compito e tutti i suoi protetti avessero passato la loro settimana di convitto presso di lui. Ciò portò un aumento considerevole di spesa per D. Bosco e di fatica per la sua buona genitrice, per lo spazio di circa un anno, cioè quanto ancora durarono le pubbliche agitazioni. Con questi ed altri mezzi, riconquistati i cuori, fu tolta la smania che da vari mesi conduceva molti ad allontanarsi dall'oratorio e quindi dalle pratiche di pietà.

Un fatto meraviglioso sopraggiunse a confermare nei buoni propositi i giovanetti.

Si celebrava nell'oratorio una delle feste più solenni, forse quella della Natività di Maria SS. Circa seicento cinquanta giovani erano stati confessati ed erano pronti a fare la santa Comunione. D. Bosco incominciò la santa Messa credendo che nel tabernacolo fosse piena di ostie consacrate la solita pisside. Questa invece era quasi vuota, e Buzzetti Giuseppe si era dimenticato di porre sull'altare un'altra pisside colle particole da consacrarsi, e si accorse della sua dimenticanza dopo l'elevazione. D. Bosco incominciando a distribuire la santa comunione provò angustia vedendo così poche ostie, e così numerosa la folla che circondava l'altare. Desolato di dover rimandare moltissimi senza il divino sacramento, alzò gli occhi al cielo e continuò senz'altro le comunioni. Ed ecco con sua grande meraviglia, e del povero Buzzetti che inginocchiato e confuso pensava al dispiacere che avrebbe cagionato a D. Bosco la sua dimenticanza, egli si vedeva crescere le ostie tra le mani, e così potè comunicare tutti i giovani colle particole intiere. Le poche primitive anche spezzate avrebbero appena bastato per un piccolissimo numero di comunicandi. Buzzetti, finita la funzione, fuori di sè raccontò ai compagni, dei quali alcuni si erano accorti del fatto, ciò che era accaduto, e in prova mostrava la pisside preparata in sagrestia. Molte volte poi nel corso della sua vita narrava ai suoi amici questo portento, pronto ad affermarlo con giuramento, e fra questi ci siamo trovati anche noi.

D. Bosco stesso confermò la verità di questo fatto il 18 ottobre 1863. Intrattenendosi privatamente con parecchi dei suoi chierici, fu interrogato intorno a ciò che narrava Buzzetti. D. Bosco si fece alquanto serio in volto e poi dopo un po' di tempo rispose: - Sì, vi erano poche particole nella pisside e ciò non ostante potei comunicare tutti coloro che si accostarono alla sacra mensa; e non furono pochi. Con tal miracolo nostro Signor Gesù Cristo volle dimostrare quanto gradisse le comunioni ben fatte e frequenti.

Richiesto di quali sentimenti fosse allora compreso il suo cuore, continuò: - Era commosso ma tranquillo. Pensava: È un miracolo più grande quello della consacrazione che quello della moltiplicazione. Ma di tutto sia benedetto il Signore. - E cambiò ragionamento.

 

 

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