Due Gesuiti incarcerati - D. Bosco e un giovanetto raccomandalo dal Ministro Farini - Arrivo nell'Oratorio dei fiscali - Primo incontro con D. Bosco e questione sul mandato per la visita domiciliare - Le guardie; resistenza giustificata; minacce; beneficenza e malevolenza - Effervescenza nei giovani - Parole di D. Bosco - Angustie di D. Alasonatti - Scene buffe e serie tra le guardie e gli alunni - La sciarpa questurale e il Decreto di perquisizione - Burla sconveniente fatta riparare - Indagini sulla persona - Il cestone delle carte stracciate e l'avvocato - Un telegramma dimenticato - Revisione delle lettere - Episodii - Le note dei debiti - Il Breve Pontificio - In biblioteca.
del 30 novembre 2006
 Era il 26 maggio, vigilia della grande solennità di Pentecoste. La sera prima la Polizia aveva fatta una visita fiscale nella casa abitata da due Gesuiti, il P. Protasi e il P. Sapetti, che era ammalato; ed ambidue consegnati alle guardie, si videro rinchiusi per un giorno e due notti in una carcere sotterranea del palazzo Madama.
D. Bosco dopo il suo pranzo frugale, verso le due pomeridiane, saliva le scale per ritirarsi in camera, quando sull'entrata nei portici gli si presenta una povera madre che accompagnava un suo figliuolo, con lettera del Ministro dell'Interno, così concepita.
 
Ministero dell'Interno. - Div. S. - N. 1345
 
Torino, addì 21 maggio 1860.
 
Il Sig. Teologo Leonardo Murialdo notificò allo scrivente che il giovane Tommaso Pellegrino venne accolto nell'Ospizio di S. Francesco di Sales in Valdocco.
Nel mentre il sottoscritto esprime al Sac. Don Giovanni Bosco, Rettore dell'Ospizio anzidetto, i suoi ringraziamenti per l'accoglienza fatta all'invito direttogli, in relazione, alla sua lettera del 27 aprile p. p. lo previene d'aver disposto, acciocchè venga corrisposto all'Ospizio suddetto un sussidio di lire 100 sui fondi di questo Ministero, che potrà riscuotere dalla Tesoriera provinciale di questa città.
D'ordine del Ministro
C. Salino.
 
Mentre egli, avendo al fianco il Ch. Cagliero, stava leggendo quel foglio, giungono tre uomini signorilmente vestiti, uno dei quali interrompendolo gli dice:
- Abbiamo bisogno di parlare con D. Bosco.
- Eccomi, egli rispose; abbiano solo pazienza un momento. Deliberato quanto riguarda a questo ragazzo, sarò ai loro comandi.
- Non possiamo attendere, ripetè colui asciuttamente.
- In che li posso dunque servire, se hanno tanta premura ?
- Dobbiamo parlare in confidenza.
- Ebbene, vengano qui presso nella camera del Prefetto.
- Non nella camera del Prefetto, ma nella camera di lei.
- Ora non posso andare.
- Ed ella vi deve andare: è cosa indispensabile. - Ma chi siete voi e che volete da me? - Noi siamo qui per una visita domiciliare.
Allora D. Bosco capì chiaramente quello che in principio, aveva solo traveduto; e l'altro continuò: - Sì, o signore; abbiamo ordine di perquisire il suo Oratorio in ogni angolo, in ogni ripostiglio, e far rapporto al Governo di quanto, si può trovare di compromettente per la sicurezza dello Stato. Siamo incresciosi di venire a darle disturbo, ma una volontà superiore alla nostra ci impone di fare questo passo disgustoso.
- Ed essi credono che D. Bosco s'impacci di politica?
- Noi non crediamo nulla, ma dobbiamo obbedire. Favorisca di accompagnarci.
- Io? Ma chi sono essi? prese allora a dire D. Bosco con piglio risoluto.
- Come! Non mi conosce? Lei ha voglia di scherzare. Sono pi√π anni che ci trattiamo e che corrono relazioni fra noi due.
- No, o Signore, io non la conosco, e non conosco nessuno di questi Signori.
- Ebbene! replicò risentito colui che pareva il Capo: - Io sono l'avvocato Grasso, Delegato di pubblica sicurezza, e questi due sono l'avvocato Tua e l'avvocato Grasselli; e rappresentiamo il fisco.
- Avete qualche scritto come la legge prescrive?
- No!
- E chi vi autorizza a farmi questa visita domiciliare?
- Le autorità non hanno bisogno di essere autorizzate.
- Scusatemi signori. Io credo che voi siate galantuomini, ma potrei anche ingannarmi. Fino a tanto che non mi farete vedere il vostro mandato, coi limiti del medesimo, io non sono tenuto a ricevervi nè in camera mia, nè in altro luogo di questa casa… E saprò difendermi.
- Come! Oserebbe ribellarsi all'autorità?
- Io sono un suddito fedele; io rispetto l'autorità e la faccio rispettare dagli altri; ma non voglio soprusi.
- Qui non vi sono soprusi. Vuole adunque costringerci ad usare la forza?
- Voi vi guarderete bene di usare la forza in casa mia. Lo Statuto garantisce l'inviolabilità del domicilio ai pacifici cittadini, ed ogni violenza che mi venisse usata, l'avrei come una violazione di domicilio e ne darei querela.
Il Delegato e gli altri due si guardarono in faccia. Non avevano portato seco il mandato, perchè credevano che bastasse la loro presenza per intimidire un povero prete, ed a costringerlo ad ogni loro volontà. Forse anche a bello studio per istruzioni ricevute avevano lasciato il mandato nell'ufficio del Questore. - Dunque replicarono quei signori, D. Bosco non crede alle nostre parole?
- Non dico di non credere, dico solamente che se vogliono entrare in casa mia debbono presentarmi il mandato.
Mentre avveniva questo diverbio tra D. Bosco e que' Signori, si sparsero pel cortile e per le scale 18 guardie di pubblica sicurezza, parte in uniforme e parte travestite; ed un corpo delle medesime stava in sentinella, fuori dell'Oratorio, impedendo l'entrata agli estranei. Pareva che la questura avesse scambiata una povera casa di orfanelli in una fortezza di Austriaci da prendersi d'assalto. Il Delegato Grasso, impaziente per quel lungo colloquio, forse per intimorire D. Bosco, fece avvicinare alcune di dette guardie, e poi con una voce alta e severa, ripigliò:
- Ci conduce adunque in sua camera?
- Io non posso condurvi e non vi condurrò sino a tanto che non mi facciate vedere chi vi  manda e con quale autorità e per quale ragione. E guardatevi bene dal venire ad opere di fatto, perchè in tal caso io griderei - ai ladri! ai ladri! - per tutto l'Oratorio, farei suonare a stormo, chiamare i miei cari giovani ed i vicini in aiuto, e considerandovi come aggressori e violatori del domicilio altrui, vi forzerei ad allontanarvi di qui con vostro danno. È vero che voi potreste tentare di condurmi in prigione, ma in questo caso commettereste un'azione biasimevole in faccia a Dio e in faccia agli uomini.
Egli aveva parlato mantenendo sempre la sua calma e la eguaglianza di spirito. Come ebbe finito una guardia gli si appressò per mettergli le mani addosso, ma avendo Tua e Grasselli osservato finalmente essere giusta la domanda di D. Bosco, il Delegato fattosi più ragionevole ne la impedì, soggiungendo: - Per quanto è possibile facciamo le cose senza guai. - Disse quindi ad un collega: - Vada a prendere il Decreto, che abbiamo dimenticato nell'ufficio del Questore. - Partì subito quell'avvocato, ma ci volle una buona mezz'ora prima che fosse di ritorno.
In quel lasso di tempo D. Bosco terminò il colloquio col ragazzo raccomandato e colla madre, che non si era mossa di là, rimasti ambedue sbalorditi a quella inaspettata discussione di cui ignoravano la portata. Dal canto suo D. Bosco non sapeva combinare quella raccomandazione del Ministro, quantunque preveduta, con un ordine di perquisizione e minaccia d'arresto da parte del Governo. Era quello un atto d'ipocrisia? Era un tranello? Oppure il decreto veniva emanato da Autorità subalterne e all'insaputa del Ministro dell'Interno? Ad ogni modo D. Bosco, trattate colla madre alcune condizioni di accettazione, non esitò un istante ad accogliere definitivamente il povero figlio tra suoi allievi dicendogli: - Figlio mio, starai qui con me, mangiando il pane di D. Bosco.
Egli fu lieto che la Divina Provvidenza gli porgesse occasione di rendere bene per male a coloro, i quali, invece di essergli riconoscenti di quanto ci faceva per diminuire il numero dei discoli e per dare alla società cittadini istruiti e probi, ne lo ripagavano con atti ostili, trattandolo quale un cospiratore e perturbatore dell'ordine pubblico.
Intanto i giovani suonate le ore due, eransi ritirati quali nelle scuole e quali ne' rispettivi laboratorii. Tuttavia alcuni rimasti, od usciti fuori, non tardarono ad accorgersi che qualche cosa di grosso eravi per l'aria: avrebbe bastato a persuaderneli la vista di tante guardie, che pareva attendessero al varco un ladro od un assassino. Quindi in un baleno si sparse per ogni dove la voce che volevano condurre D. Bosco in prigione; infatti alla porta se ne stava preparata la vettura. Questo grido gettò l'allarme e la costernazione in tutta la casa: i giovani non volevano più rimanere nelle scuole e nei laboratorii; e quali schiamazzando e quali piangendo domandavano di uscire per difendere il proprio padre o per andare in prigione con lui. La scena per alcuni istanti fu così commovente che i vecchi allievi ancora adesso ricordandola sentono spuntare sugli occhi le lagrime. I maestri e capi d'arte ebbero molto a penare a fine di rimettere la calma ed infondere la persuasione, che non eravi alcun pericolo per D. Bosco, e che qualora vi fosse stato, eglino stessi ne li avrebbero avvertiti e guidati alla difesa. Il Ch. Giovanni Cagliero dovette accorrere, esortando or gli uni ora gli altri a stare tranquilli e raccomandando a tutti in pari tempo di pregare.
Fu nondimeno concessa l'uscita ad alcuni de' più adulti, i quali si avvicinarono a D. Bosco, ed uno sottovoce gli domandò: -Permette che ci sbarazziamo di questa canaglia?
- No, rispose egli; anzi vi proibisco ogni parola, ogni tratto che possa offendere chicchessia. Non abbiate alcun timore; io aggiusterò tutto, e voi andate pure a compiere i vostri doveri, animando i vostri compagni a rimanere tranquilli.
Senza queste parole di prudenza e di pace, in quella sera sarebbe di certo succeduto un qualche disastro; giacchè tale effervescenza regnava in tutti i cuori dei giovani, che per difendere D. Bosco si sarebbero fatti mettere a pezzi.
Angustiatissimo mostravasi pure il sempre caro prefetto D. Vittorio Alasonatti, braccio destro di D. Bosco. Egli temeva la prigionia di Don Bosco non meno degli alunni e ne dava questa ragione. - Fra tante lettere che D. Bosco riceve in questi giorni, può darsi che qualcuna tratti di politica in senso contrario al Governo, e disapprovi l'annessione della Romagna. Un simile scritto, quantunque non vergato da lui, tuttavia in questa occasione basterebbe a dare pretesto a costoro di usargli violenza. Povero me, se mai avvenisse tale disgrazia! Che farei io in questa casa senza D. Bosco? Molto meglio sarebbe che incarcerassero me. - Così parlando il degno Sacerdote s'inteneriva sino alle lagrime, e si proponeva di andare egli in prigione invece di D. Bosco.
Le guardie intanto salite ai varii piani della casa si erano collocate a tutte le porte dei pianerottoli, a tutti gli angoli de' corridoi, a tutti gli usci degli agiamenti. Qui specialmente vigilavano perchè non fossero gettate nei pozzi neri le carte. Per conseguenza accaddero scene e dialoghi, irosi e ridicoli quando alcuno voleva entrare e la guardia pretendeva impedirlo. Altri poliziotti si avvicinavano ai crocchi che si erano formati in cortile e intanto tenevano d'occhio D. Bosco. I giovani poi che rientravano in casa avendo lavorato in città e quelli che dovevano uscire per commissioni, erano minutamente perquisiti, frugando nelle loro tasche e facendo perfin loro levare le scarpe.
Giunse finalmente il messo spedito a prendere il decreto; e allora il delegato, cintosi della sciarpa questurale e circondato da cinque poliziotti, disse con voce ruvida e solenne: - In nome della legge io intimo la perquisizione domiciliare al Sac. Giovanni Bosco. - Ciò detto davagli a leggere il famoso Decreto, nel quale era pure ordinata la perquisizione al Can. Ortalda, al Sac. D. Cafasso e al Conte Cays. I due primi dovevano averla alcuni giorni dopo; il terzo la subiva più tardi nel febbraio del 1862. Era forse per non far sapere a D. Bosco questi ordini che il Delegato aveva lasciato in questura il famoso decreto.
La parte che riguardava D. Bosco, era così concepita: “ D'ordine del Ministero dell'Interno si proceda a diligente perquisizione nella casa del Teologo sacerdote Giovanni Bosco, e siano fatte minute indagini in ogni angolo dello stabilimento. Egli è sospetto di relazioni compromettenti coi Gesuiti, coll'Arcivescovo Fransoni e colla Corte Pontificia. Trovata qualche cosa che possa gravemente interessare le viste fiscali, si proceda all'immediato arresto della persona perquisita”.
Lette queste parole e restituito lo scritto, D. Bosco soggiunse: - Così stando le cose vi concedo di esercitare la vostra autorità, perchè mi è imposto colla forza. Andiamo dunque in mia camera. Tuttavia noto che potrei ancora opporre legale resistenza, poichè nell'ordine di perquisizione è sbagliata la qualifica della persona e sta scritto: -  Minuta perquisizione al Teologo D. Bosco. Signori, io non sono teologo, e vi è un altro sacerdote in Torino che porta il mio stesso nome ed è laureato in teologia. - In quell'istante sopraggiungeva il Questore giudice Chiappusso, avvertito forse del ritardo posto da D. Bosco all'esecuzione degli ordini superiori e udite le ultime parole, esclamò: Oh! che! Abbiamo prima da rettificare i titoli? Oibò! Si vada avanti !
Tutti salirono e furono alla porta della stanza di Don Bosco seguiti da tre guardie.
Erano scritte sulla fascia o cornice del muro, alla sommità della porta che dava ingresso alla biblioteca, le parole Lodato sempre sia il SS. Nome di Gesù e di Maria. Giunti colà, l'avvocato Tua le lesse in tono burlesco; ma D. Bosco arrestatosi aggiunse: E sempre sia lodato, e, prima di terminare la giaculatoria solita a cantarsi tra noi, e scritta parimenti sulla porta attigua, che metteva alla sua camera da letto, voltosi indietro intimò a tutti di togliersi il cappello. Vedendo che niuno obbediva replicò: - Voi avete cominciato in tono beffardo e adesso dovete finire col dovuto rispetto; onde comando ad ognuno di scoprirsi il capo. - A queste parole risolute giudicarono di ottemperare, ed allora D. Bosco terminò: Il nome di Gesù Verbo incarnato.
Entrato in camera con quei tre signori, a cui si aggiunsero due guardie in aiuto, D. Bosco si abbandonò al loro arbitrio, ed allora cominciò la vergognosa scena. Quei fiscali presero a mettergli le mani indosso; quindi le sacoccie, il taccuino il portamonete, la sottana, i calzoni, il corpetto, gli orli degli abiti, lo stesso fiocco della berretta fu soggetto alle indagini, vale a dire alla visita domiciliare, a fine di trovare, come essi dicevano, il corpo del delitto. Siccome queste operazioni si facevano in modo grossolano, spingendo il povero prete e frugandolo in tutti i versi, così egli si lasciò sfuggire le parole: Et cum sceleratis reputatits est.
- Che cosa dice? - domandò uno di loro.
D. Bosco fissandoli con quel suo sguardo traffiggente: - Dico che voi fate il servizio che altra volta alcuni prestarono al Divin Salvatore.
Dopo le indagini sulla persona si passò alle due camere, una delle quali serviva di biblioteca. Primo a cadere nelle mani fiscali fu un cestone pieno di carta stracciata, buste, cenci, spazzature e simili. L'avvocato Grasselli, avendo portato gli occhi su quell'arnese, vide una busta di lettera con francobollo dello Stato Pontificio.
- A me questo, esclamò tosto: niuno lo tocchi.
- Guardie attente aggiunse il delegato e custodite ogni cosa.
Allora il fiscale, assistito dai colleghi, sperando di rintracciare qualche lettera del Papa si mise a far passare ad una ad una le buste delle lettere, i pezzi di carta ed ogni altro oggetto, razzolando per buona pezza nella spazzatura e nella polvere, come se avesse a scoprire un tesoro. In quel basso lavoro il poverino s'insudiciava gli abiti abbastanza eleganti, si lordava la faccia grondante di sudore, ed appariva simile a quella gente, che vanno a cercare nelle spazzature delle pubbliche vie, colla speranza di trovare il soldo, onde comperarsi un tozzo di pane e campare la vita.
- Mi rincresce assai, prese a dire D. Bosco.
- Che le rincresce? domandò il Grasselli.
- Mi rincresce il vedere un pari suo a fare questo vile mestiere.
- Ha ragione; ma l'impiego, l'onore, il dovere...
- Io vi compatisco tutti, continuò D. Bosco, e sono persuaso che se foste in libertà non vi avvilireste a questo modo. In quanto a me vi assicuro che amerei meglio fare lo spazzino di strada, che imbrattarmi gli abiti e la persona in questa guisa. E poi un avvocato, un giudice, un pubblico funzionario, un uomo che alla Regia Università conseguì onoratamente la laurea, così distinto come tutti dicono, onore del foro, con una posizione indipendente, vedersi ora costretto a lordarsi così!
- È vero, è vero... Oh! maledetta necessità!
- Olà, ripigliò allora il delegato, è bene di abbreviare le cose. Don Bosco ci dia le carte che cerchiamo, e noi ce ne andremo subito.
- Abbiate la compiacenza di dirmi quali carte desiderate da me.
- Quelle che possono interessare le viste fiscali.
- Non posso darvi quello che non ho.
- Ma ella può forse negare di avere carte, che possono interessare le viste fiscali? Scritti, per es., riguardanti ai Gesuiti, a Fransoni, al Papa?
- Vi do piena soddisfazione; ma voi ditemi prima se credete a quello che vi dirò.
- Sì, crederemo, purchè ci dica la verità.
- Ciò vuol dire che voi non siete disposti a credermi, perciò è inutile ogni mia asserzione.
- Ma si che le crediamo, soggiunse l'avvocato Grasselli.
- Le crediamo come al Vangelo, aggiunsero gli altri.
- Se voi mi credete, proseguì Don Bosco, andatevene pure pei fatti vostri; poichè nè in questa camera, nè in alcun angolo della casa voi non troverete cosa che disdica ad onesto sacerdote, perciò niente che vi possa interessare.
- Ma pure, ripigliò l'avvocato Tua, fummo assicurati che esiste presso di lei il corpo del delitto, e che a forza d'indagini lo troveremo.
- Se non volete credermi, perchè interrogarmi e farmi parlare? Ma, ditemi, in buona grazia, siete persuasi che io sia uno sciocco?
- No, certamente.
- Ma se non sono uno sciocco, non ho di certo lasciato cose compromettenti, che potessero cadere nelle vostre mani, e se le avessi avute le avrei prima d'ora stracciate o trafugate. Ora continuate pure la vostra perquisizione, e vedrete coi vostri occhi come io sia sincero.
Rovistato inutilmente il cestone que' tre signori si avvicinarono al tavolino per esaminare tutti gli scritti che vi erano sopra. D. Bosco poco prima erasi avveduto di una sua dimenticanza che poteva cagionare grave conseguenza. Su quel tavolino stava un foglietto, copia di un telegramma in cifra che il Governo aveva spedito da alcune settimane a certe Autorità del Regno. Era caduto in sua mano per un singolar accidente. Un giovane telegrafista, che ne' tempi andati aveva frequentato l'Oratorio, trasmettendo quel telegramma, avevalo copiato per capriccio senza capirne nulla, e lo teneva nel portafoglio. Incontrato per via D. Bosco glielo faceva vedere e D. Bosco che era esperto nel decifrare que' segni lo pregava a volerglielo cedere.
- Prenda pure e si diverta - aveagli risposto il telegrafista ridendo. D. Bosco ritornato a casa si era posto a studiare quelle cifre e non tardava a trovarne la chiave. Erano cinque o sei coppie di numeri arabici precedute da un: Si dia, delle quali ecco il significato: - Si dia nulla a Garibaldi, si neghi tutto ciò che domanda, ma si lasci prendere tutto ciò che vuole. - Garibaldi infatti si era mosso al conquisto della Sicilia asportando da qualche batteria marittima armi e munizioni; mentre le sentinelle avevano per consegna di non vedere.
Ora questo telegramma era là spiegato sul tavolino colla sua traduzione, perchè D. Bosco voleva mandarlo al Vescovo d'Ivrea che amava i documenti storici. Se fosse caduto in mano agli inquisitori avrebbe potuto compromettere il telegrafista per violazione di segreto; e D. Bosco stesso, dando occasione di sospettare che si trattasse di congiura per mettere sull'avviso coloro ai quali si muoveva la guerra. Pertanto D. Bosco sedutosi, fece destramente scorrere quel foglietto in sua mano e, ridottolo fra le sue dita a piccolissima pallottola, lo lasciò cadere per terra e vi mise un piede sopra. Nessuno si avvide di quel giuoco da prestigiatore.
Allora tutti gli armadi, i bauli, i cancelli, i forzieri vennero aperti, ed ogni minuta carta, ogni oggetto confidenziale o non confidenziale fu passato a rivista, con una diligenza degna di miglior causa.
D. Bosco scorgendo che la cosa sarebbe andata in lungo, credette di occupare il tempo in cose più utili, e con quella calma, che non mai abbandona l'uomo giusto e confidente in Dio: - Signori, disse loro, facciano pure quello che debbono fare; io sbrigherò questa corrispondenza: così non perderemo tempo. - E si pose allo scrittoio per soddisfare ad alcune lettere, la cui risposta era in ritardo. Visto ciò l'avvocato Grasselli gli disse:
- Ella non può scrivere alcuna cosa senza che sia da noi veduta.
- Padronissimi, rispose D. Bosco; vedete pure e leggete quanto io scrivo.
Egli dunque scriveva, ed essi in numero di cinque, l'uno dopo l'altro leggevano le sue lettere. Ma avveniva che prima che una fosse letta da ciascuno, egli ne avesse già subito un'altra bell'e preparata da presentare; per cui il Delegato ebbe a dire: - Che facciamo noi? Perdiamo il tempo a leggere le lettere, che scrive D. Bosco, e non attendiamo al lavoro, che forma lo scopo della nostra visita. Vogliamo forse aspettare che D. Bosco finisca la sua corrispondenza? Non è certo così minchione da scrivere sotto i nostri occhi cose che possano servir di accusa contro di lui. Facciamo pertanto così: Un solo di noi legga le lettere e gli altri continuino la perquisizione; - e così fu fatto.
Qui occorsero alcuni episodii, che giovarono non poco ad esilarare gli animi e a volgere in comedia una rappresentazione, che aveva l'aria di una tragedia. Nel visitare un cassettone trovarono chiuso un cancello.
- Che c'è qui? domandarono con premura.
- Cose confidenziali, cose segrete, rispose D. Bosco dal suo scrittoio; non voglio che alcuno le sappia.
- Che confidenza, che segreto! Venga tosto ad aprire.
- Non voglio assolutamente. Credo che ognuno abbia diritto di serbare nascoste quelle cose che gli possono tornare ad onore o ad infamia; perciò vi prego di passare ad altro; rispettate i segreti di famiglia.
- Che segreti d'Egitto! o venga ad aprire o rompiamo il cassetto.
- Giacchè minacciate la forza, io cedo e vi compiaccio.
In così dire D. Bosco si alzò dal tavolo e andò ad aprire il cancello. Ciò fatto, ritornò a scrivere, lasciandoli che esaminassero a loro bell'agio. I cinque inquisitori, come sicuri di vedere comparire il corpo del delitto, si fanno ansiosamente attorno come per circondarlo onde non isfuggisse, ed aprono tanto d'occhi sopra un mazzetto di carte. L'avvocato Tua se ne impadroniva tosto di tutte per esaminarle, e gongolante di gioia pareva che dicesse: - È qui, è qui, Comincia pertanto a trarre fuori un foglio e legge sì che tutti odano: - Pane somministrato a D. Bosco dal panattiere Magra: Debito, lire 7.800.
- Eh.…            questo non interessa le viste fiscali - dice l'avvocato, e lo mette in un canto. Ne toglie un altro e, legge: - Cuoio somministrato al laboratorio dei calzolai di D. Bosco: Debito, lire 2.150.
- Ma che carte sono queste? domandò allora il perquisitore a D. Bosco.
- Poichè avete incominciato, rispose, continuate e il saprete.
Aprono un terzo foglio, un quarto e via, e si coprono tutti di vergogna, accorgendosi che quelle carte altro non erano che note di olio, di riso, di paste, e simili; note tutte ancora da pagare!
- Perchè ci corbella così? - disse il Delegato a Don Bosco, dopo essersi accertato della burla.
- Io non corbello nessuno, questi rispose. Non amava che i miei debiti fossero a voi altri palesi: voi invece avete voluto vedere e sapere tutto: pazienza! Se vi compiaceste almeno di pagarmi qualcuna di queste note, fareste un'opera di carità. Anzi sarebbe molto bene che le faceste vedere al Ministero dell'Interno.
Quei signori si posero a ridere e passarono ad altro.
Tra le varie carte trovarono nell'archivio il prelodato Breve del Santo Padre Pio IX, e volevano portarlo via.
- Non voglio, disse D. Bosco, perchè è un testo originale.
- Appunto perchè è un testo originale, rispose il Delegato, dobbiamo sequestrarlo.
- Piuttosto ve ne do copia.
- Dov'è la copia ?
- Eccola stampata in questo foglio e in questo fascicolo delle Letture Cattoliche.
- Ma non è l'originale.
- Ma è identica.
- È una traduzione.
- Ma vi è anche il testo preciso.
- Vediamo, soggiunse l'avvocato Grasselli, e si pose a verificare linea per linea, parola per parola. Veduto poi che lo stampato era conforme all'originale, conchiuse: - Per noi è meglio avere questa copia, in cui vi è latino e italiano, più facile ad intendersi; - e si contentarono dello stampato, lasciando l'originale manoscritto, che D. Bosco custodiva come preziosa memoria.
Rovistate tutte le carte e incaponendosi gli inquisitori di trovare ad ogni costò qualche cosa, che potesse interessare le viste del fisco, onde farsene un vanto presso i loro capi, si diedero poscia a cercare nella camera attigua che serviva di biblioteca. Quindi incominciarono a tirar giù i volumi volendo sfogliarli tutti per accertarsi che non contenessero carte. Sollevossi un polverio non indifferente. D. Bosco allora si alzò dalla sedia avendo tenuto sino a quell'istante, nascosto sotto il piede quel telegramma, che ormai era tutto coperto dalla polvere dei mattoni, che formavano il pavimento. Entrato nella biblioteca, esclamò:
- Bravi, signori miei, disse D. Bosco; li ringrazio della loro degnazione nello spolverarmi i libri. È molto tempo che non ho potuto far simile lavoro, perchè sono troppo occupato. E chi sa per quanti mesi ancora e forse anni la mia biblioteca avrebbe aspettato un simile ripulimento, se non fosse che per loro bontà si prendono questo incomodo.
Gli inquisitori strinsero alquanto le labbra dissimulando quella frecciata che li feriva. Tuttavia la franchezza di Don Bosco li padroneggiava. Un di costoro aveva trovata una carta nella quale vi era questa sentenza un po' troppo clericale. In tutti i tempi quando si volle abbattere la religione si incominciò dal perseguitare i suoi ministri. Erano già contenti di questa scoperta, quando uno vi lesse sotto queste parole Marco Aurelio: e disse al compagno: - Tu lo sai chi sia Marco Aurelio? - Non ebbe risposta e borbottavano fra di loro: - Marco Aurelio: Marco Aurelio!
- Se vogliono vedere il volume dal quale è tratta questa sentenza, è là: - disse D. Bosco indicandolo.
Uno prese tosto il volume e leggendo disse: - Marco Aurelio! Chi era Marco Aurelio?
- Signori miei, rispose D. Bosco, Marco Aurelio fu uno dei persecutori dei Cristiani, uno di quelli che si valevano della forza per opprimere la debolezza e l'innocenza.
- È dunque da questo libro che potremo conoscere i suoi sentimenti?
- Leggano, leggano pure e troveranno che Marco Aurelio faceva fare perquisizioni nelle case dei Cristiani e nelle loro Catacombe per cercar prove colle quali condannarli.
Tutti si erano aggruppati intorno a quel libro, ciascheduno volendo esaminarlo. - Ben detto! È a proposito, - mormoravano fra di loro.
 
 
 
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