Vestizione cbiericale - Una festa poco gradita - Regolamento di vita - Entrata nel seminario di Chieri.
del 11 ottobre 2006
  
Deliberato di entrare in seminario, Giovanni Bosco andava preparandosi a quel giorno di massima importanza, nel quale avrebbe indossato l'abito sacro. Egli era ben persuaso che dalla scelta dello stato ordinariamente dipende l'eterna salvezza o l’eterna perdizione; laonde raccomandò a varii amici di pregare per lui, premise una novena con particolari esercizii di pietà, ed il giorno 25 ottobre si accostò ai SS. Sacramenti; di poi il teologo Michele Antonio Cinzano, prevosto e vicario foraneo di Castelnuovo d'Asti, prima della Messa solenne, gli benedisse l'abito e lo vestì da chierico.
In chiesa (come narrò a D. Secondo Marchisio il Cav. Prof. A. Francesco Bertagna di Castelnuovo d'Asti) eravi un numero straordinario di giovani, venuti eziandio da borgate e paesi circonvicini, e tutti ammiravano la compostezza, la grande divozione e l’umiltà di Giovanni nell'atto della vestizione. E qui crediamo far cosa ottima nel cedere la penna a D. Bosco stesso, il quale ci descrive pure i sentimenti che provò in quel solenne momento ed in tutto quel primo giorno della sua vita chiericale. “Quando il prevosto mi comandò di levarmi gli abiti secolareschi con quelle parole: Exuat te Dominus veterem bominem cum actibus suis, dissi in cuor mio: - Oh quanta roba vecchia c'è da togliere. Mio Dio, distruggete in me tutte le mie cattive abitudini. - Quando poi nel darmi il collare aggiunse: Induat te Dominus novum bominem, qui secundum Deum creatus est in justitia et sanctitate veritatis! mi sentii tutto commosso e aggiunsi tra me: - Sì, o mio Dio, fate che in questo momento io vesta un uomo nuovo, cioè che da questo momento io incominci una vita nuova, tutta secondo i divini voleri, e che la giustizia e la santità siano l'oggetto costante dei miei pensieri, delle mie parole e delle mie opere. Così sia. O Maria, siate la salvezza mia.
” Compiuta la funzione di chiesa, il mio prevosto volle farne un'altra tutta profana, volle cioè condurmi alla festa di S. Raffaele Arcangelo, che si celebrava a Bardella, borgata di Castelnuovo. Egli con quel festino intendeva usarmi un atto di benevolenza, ma non era cosa opportuna per me. Quale figura avrei fatto io? Quella d'un burattino vestito di nuovo, che si presenta al pubblico per essere veduto. Inoltre, dopo più settimane di preparazione a quella sospirata giornata, trovarmi poi ad un pranzo in mezzo a gente di ogni condizione, di ogni sesso, colà radunata per ridere, chiacchierare, mangiare, bere, divertirsi, gente che per lo più va in cerca di giuochi, balli e partite di tutti i generi, era proprio un controsenso: io mi sarei trovato fuori di posto: quale società poteva mai formare quella gente, con uno che il mattino dello stesso giorno aveva vestito l'abito di santità per darsi tutto al Signore? Perciò rispettosamente gli risposi: - Ma a Bardella si fa la festa del paese!
 - È per questo che io sono invitato; vieni, vieni anche tu.
” - Oh! io non sono capace a diportarmi onorevolmente in queste feste; se permette, me ne sto qui in canonica a pranzo.
” - Ma qui in casa non si accende neppure il fuoco; siamo invitati tutti là.
” - Ed io me ne andrò a casa mia a pranzate con i miei parenti.
” - Sei troppo lontano per andare a casa tua, e poi i tuoi parenti non ti attendono. Vieni senz’altro; ti conduco, perchè c' è anche da servire alla benedizione e c’ è sempre da fare qualche cosa in segrestia e in chiesa.
” Andai per non dare dispiacere al parroco, che mi portava tanto affetto, ma a malincuore, perchè sapevo che nei tumulti e nei grandi pranzi vi è sempre pericolo dell'offesa di Dio. Assistei a tutte le funzioni nella cappella, fui al pranzo: vidi tutto quello che si costuma fare in queste feste; ma per me quello fu un giorno di malinconia.
” Il mio prevosto se ne accorse, e nel ritornare a casa mi chiese perchè in quel giorno di pubblica allegria io mi fossi mostrato cotanto ritenuto e pensieroso. Con tutta sincerità risposi che la funzione fatta al mattino in chiesa discordava in genere, numero e caso con quella della sera, e soggiunsi: Anzi l'aver veduto coloro, che meno avrei creduto, fare i buffoni in mezzo ai convitati, pressochè brilli di vino, mi ha quasi fatto venire in avversione la mia vocazione. Se mai sapessi di venire un prete come quelli, amerei meglio deporre quest'abito e vivere da povero secolare, ma da buon cristiano, ovvero ritirarmi dal mondo e farmi Certosino o Trappista.
” - Il mondo è fatto così, mi rispose il prevosto, e bisogna prenderlo com'è. Bisogna veder il male per conoscerlo ed evitarlo. Niuno divenne valente guerriero, senza conoscere il maneggio delle armi. Così dobbiamo fare noi, che abbiamo un continuo combattimento contro al nemico delle anime. Tacqui allora, ma nel mio cuore ho detto: Non andrò mai più in pubblici festini, fuori che sia obbligato per funzioni religiose.
” Dopo quella giornata io doveva occuparmi di me stesso. La vita fino allora tenuta doveva essere radicalmente riformata. Negli anni addietro non era stato uno scellerato, ma dissipato, vanaglorioso, occupato in partite, giuochi, salti, trastulli ed altre cose simili, che rallegravano momentaneamente, ma che non appagavano il cuore. Per farmi un tenore di vita da non dimenticarsi ho scritto le seguenti risoluzioni:
” l° Per l'avvenire non prenderò mai più parte ai pubblici spettacoli sulle fiere, sui mercati: nè andrò a vedere balli o teatri: e per quanto mi sarà possibile, non interverrò ai pranzi, che si sogliono dare in tali occasioni.
” 2° Non farò mai più i giuochi dei bussolotti, di prestigiatore, di saltimbanco, di destrezza, di corda: non suonerò, più il violino, non andrò più alla caccia. Queste cose le reputo tutte contrarie alla gravità ed allo spirito ecclesiastica.
” 3° Amerò e praticherò la ritiratezza, la temperanza nel mangiare e nel bere: e di riposo non prenderò se non le ore strettamente necessarie alla sanità.
” 4° Siccome nel passato ho servito al mondo con letture profane, così per l'avvenire procurerò di servire a Dio dandomi alle letture di cose religiose.
” 5° Combatterò con tutte le mie forze ogni cosa, ogni lettura, pensiero, parole ed opere contrarie alla virtù della castità. All'opposto praticherò tutte quelle cose, anche piccolissime, che possono contribuire a conservare questa virtù.
” 6° Oltre alle pratiche ordinarie di pietà, non ometterò mai di fare ogni giorno un poco, di meditazione ed un poca di lettura spirituale.
” 7° Ogni giorno racconterò qualche esempio o qualche massima vantaggiosa alle anime altrui. Ciò farò coi compagni, cogli amici, coi parenti, e, quando nol posso con altri, il farò con mia madre.
” Queste sono le cose deliberate allorchè ho vestito l'abito chiericale; ed affinchè mi rimanessero bene impresse, sono andato avanti ad un'immagine della Beata Vergine, le ho lette, e, dopo una preghiera, ho fatto formale promessa a quella Celeste Benefattrice di osservarle a costo di qualunque sacrifizio.
” Il giorno 30 ottobre di quell’anno 1835 doveva trovarmi in seminario. Il piccolo corredo era preparato. I miei parenti eran tutti contenti: io più di loro. Mia madre soltanto stava in pensiero e mi teneva tuttora lo sguardo addosso come volesse dirmi qualche cosa. La sera precedente la partenza ella mi chiamò a sè e mi fece questo memorando discorso: Giovanni mio, tu hai vestito l'abito ecclesiastico; io ne provo tutta la consolazione che una madre può provare per la fortuna di suo figlio. Ma ricordati che non è l'abito che onora il tuo stato, è la pratica della virtù. Se mai tu venissi a dubitare di tua vocazione, ah per carità! non disonorare quest'abito. Deponilo tosto. Amo meglio di avere per figlio un povero contadino, che un prete trascurato ne' suoi doveri. Quando sei venuto al mondo, ti ho consecrato alla Beata Vergine: quando hai cominciato i tuoi studi ti ho raccomandato la divozione a questa nostra Madre: ora ti raccomando di essere tutto suo: ama i compagni divoti di Maria; e se diverrai sacerdote, raccomanda e propaga mai sempre la divozione di Maria. - Nel terminare queste parole mia madre era commossa: io piangeva: - Madre, le risposi, vi ringrazio di tutto quello che avete detto e fatto per me; queste vostre parole non saranno dette invano e ne farò tesoro in tutta la mia vita. ” Al mattino per tempo mi recai a Chieri, e la sera dello stesso giorno entrai in seminario, stabilito nell'ampio convento dei Padri Filippini, soppresso dal governo francese ed acquistato per radunarvi i chierici nel 1828 da Mons. Chiaverotti. Rettore del seminario era il Teol. Sebastiano Mottura, Can. Arciprete della Collegiata di Chieri: direttore spirituale D. Giuseppe Mottura, poi canonico dell'insigne Collegiata di Giaveno. Salutati i superiori e aggiustatomi il letto, con l'amico Garigliano, che aveva pur esso vestito l'abito chiericale, mi sono messo a passeggiare pei dormitori, pei corridoi e in fine pel cortile. Alzando lo sguardo sopra una meridiana, lessi questo verso: Affictis lentae, celeres gaudentibus hora. Ecco, dissi all'amico, ecco il nostro programma: stiamo sempre allegri e passerà presto il tempo.
” Il giorno dopo incominciò un triduo di esercizi, ed ho procurato di farli bene per quanto mi fu possibile. Sul finire di quelli mi recai dal professore di filosofia, che allora era il Teol. Ternavasio di Bra, e gli chiesi qualche norma di vita per riuscire un buon chierico ed acquistarmi la benevolenza de' miei superiori. Una cosa sola, rispose il degno sacerdote: coll'esatto adempimento dei vostri doveri.
” Ho preso per base questo consiglio e mi diedi con tutto l'animo all'osservanza delle regole del seminario. Non faceva distinzione tra quando il campanello chiamava allo studio, in chiesa, oppure in refettorio, in ricreazione, al riposo. Questa esattezza mi guadagnò l'attenzione dei compagni e la stima dei superiori, a segno che sei anni di seminario furono per me una piacevolissima dimora. Tanto più che gli studi vi erano ben coltivati.
” Oltre a ciò, affezionavami a quel luogo il nome di D. Cafasso. Il buon odore delle sue virtù rimaneva ancora in quel sacro recinto. La carità verso i compagni, la sommessione ai superiori, la pazienza nel sopportare i difetti degli altri, la cautela di non mai offendere alcuno, la piacevolezza nell'accondiscendere, consigliare, favorire i suoi compagni, l'indifferenza negli appressamenti di tavola, la rassegnazione nelle vicende delle stagioni, la prontezza nel fare il catechismo ai ragazzi, il contegno ovunque edificante, la sollecitudine nello studio e nelle cose di pietà sono le doti, 'che adornarono la vita chiericale di Cafasso; doti che, praticate in grado eroico, fecero diventare famigliare ai suoi compagni ed amici il dire che il chierico Cafasso non fosse stato affetto dal peccato originale”. Il chierico Giovanni Bosco volle prendere per modello questo suo compatriota. La virtù straordinaria di Cafasso fu quella di praticare costantemente e con fedeltà meravigliosa le virtù ordinarie. Questo fu pure il proposito preso da Giovanni Bosco nell'entrare in seminario, proposito ch'egli poi sempre mantenne in tutto il corso di sua vita.
 
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