D. Bosco ai Becchi - Generosità del fratello Giuseppe e suo affetto ai giovani dell'Oratorio - Lettera di D. Bosco al Ch. Buzzetti - Vestizione clericale di Rua Michele e di Rocchietti Giuseppe - Elargizioni del Re - D. Bosco non accetta la croce di cavaliere - Il Comm. Luigi Cibrario - Le decorazioni, premio della beneficenza.
del 27 novembre 2006
 Il 22 settembre Rua Michele, per consiglio di D. Bosco, dopo aver consultato D. Cafasso per la sua vocazione, entrava definitivamente come alunno interno nell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Egli fin dai primi suoi anni aveva nutrito per D. Bosco un grande affetto, che andava crescendo, unito a grande devozione, a misura che coll'età poteva meglio apprezzare le sue virtù e le sue opere. Il 23 partiva da Torino con D. Bosco, Mamma Margherita e ventisei compagni recandosi ai Becchi, e vide come anche la buona Margherita godesse una gran stima non solo in quella borgata, ma eziandio in Castelnuovo.
Di questa stima dei terrazzani onoravasi anche la famiglia di questa santa donna, poichè oltre le virtù individuali non scorgevasi alcun miglioramento nella loro condizione che potesse destare invidia.
Benchè i parenti di D. Bosco fossero di fortuna molto ristretta, ed ei li amasse svisceratamente, non volle mai venire in loro aiuto con largizioni, dicendo le elemosine dei benefattori essergli date per i suoi giovani e non per i suoi parenti. D. Bosco reputavasi un semplice distributore dei beni della Provvidenza, dei quali sentiva che avrebbe a Lei dovuto rendere uno stretto conto. Di tale povertà de' suoi parenti egli provava un gusto particolare, ne parlava con piacere ed esprimeva la più grande fiducia che vivendo essi distaccati dai beni di questo mondo, avrebbero avuto in possesso il regno dei cieli, secondo la promessa di Gesù Cristo.
Il fratello Giuseppe, per quanto grandi fossero talora le sue strettezze, nulla mai chiese a D. Giovanni, che pur eragli riconoscente, avendo egli tanto contribuito a lasciargli percorrere gli studi per la carriera ecclesiastica, e a lui ceduta la sua parte di asse paterno perchè gli si potesse formare in Curia il patrimonio necessario per entrare negli ordini maggiori. Eppure D. Bosco aveva nel suo fratello maggiore un'intiera e affettuosa confidenza, lo metteva a parte così delle sue gioie come delle sue pene, e formava con lui un cuor solo ed un'anima sola.
Benchè gli obblighi del suo stato costringessero Giuseppe ad abitare lontano dalla madre, non mancava di venir più volte all'anno in Torino per fermarsi all'Oratorio, più o meno lungamente secondo che gli era possibile. Il suo fine era di godersi alcune ore in compagnia di D. Giovanni e di Margherita, alla quale il suo arrivo cagionava grande allegrezza. Aveva ben motivo la buona madre di andar gloriosa eziandio di questo figlio. Egli era piissimo cristiano, solerte e affettuoso padre di famiglia, di cuore generoso e benefico oltre ogni dire; e, benchè avesse numerosi figliuoli, tenne sempre come suoi i giovanetti dell'Oratorio.
Non contento di spedire ogni anno del suo proprio provviste di commestibili, nel tempo dei raccolti, andava in cerca di soccorsi presso i parenti e gli amici, e sapeva così bene muoverli a sentimenti di carità verso i figli di Don Bosco, che riusciva a caricare varii carri di noci, grano, patate, uva e mandavali all'Oratorio.
Un giorno egli arrivava in Valdocco per far visita al fratello, e col disegno di comperare due vitelli sul mercato di Moncalieri. Ma vista la penuria nella quale trovavasi l'Oratorio e come in quel giorno si dovessero pagare debiti pressantissimi: “Vedi! disse a D. Bosco traendo fuori di tasca la sua borsa: io son venuto per spendere 300 lire alla fiera di Moncalieri; ma vedo che il tuo bisogno è assai più urgente del mio. Perciò di tutto cuore ti cedo questo denaro. D. Bosco frenò a stento una lagrima di riconoscenza: - E tu?
- Aspetterò altri tempi per fare la mia compra.
- Ma non sarebbe meglio che tu me, li dessi solo ad imprestito? Io te li restituirò appena possegga questa somma.
- E quando l'avrai questa somma, tu che sei sempre oppresso di debiti? No, no! Te li dono e basta. Io saprà ingegnarmi, troverò modo per avere il mio necessario e tu non pensare ad altro”.
Era di maniere così amorevoli, che quando compariva nell'Oratorio tutti i giovani gli andavano incontro con affetto e confidenza come ad un padre. Lo chiamavano il signor Giuseppe. Nelle fattezze aveva molta somiglianza con D. Bosco e di statura era presso a poco eguale. Il suo aspetto manifestava la bontà del suo gran cuore. D. Bosco onoravala sempre eziandio in presenza dei più distinti personaggi. A quando a quando lo invitava a parlare ai giovani dalla cattedra sulla quale egli soleva fare il sermoncino dopo le orazioni della sera. Giuseppe, essendo un semplice contadino, dobbiamo supporre che sulle prime si mostrasse alquanto restio; ma pure finiva con andarvi, e in dialetto piemontese vi si tratteneva alquanto, esponendo qualche buona massima. Egli era animato dallo stesso spirito di suo fratello. D. Giovanni Garino fu presente una volta nel 1858.
Giuseppe teneva la sua casa a disposizione di D. Bosco, il quale conduceva ai Becchi tutti gli anni, ora trenta, ora cinquanta, ora cento de' suoi giovanetti per farvi un po' di vacanza, e Giuseppe davasi attorno per provvedere tutto a tutti. Questa visita era una gran festa per lui. I giovanetti che per la prima volta erano condotti da quelle parti, restavano così presi dalle sue belle maniere e cordiali, che subito divenivano i suoi amici. Per tante spese non volle mai accettare ricompensa alcuna.
Tuttavia ebbe un vantaggio, perchè la sua casa subì un ampliamento indispensabile e relativamente grande, benchè restasse sempre povera. Questo fu un camerone, innalzato sulla casa medesima per dare ricovero ai giovani che andavano alla festa del S. Rosario. Ma nulla fece D. Bosco per migliorare o abbellire le stanze primitive. Ampliato però il locale, crebbe il numero degli ospiti, e maggiore fu quindi la premura di Giuseppe anche per vigilarli, poichè dimoravano ai Becchi un quindici o venti giorni. Siccome fra i molti saggi non manca mai qualche spensierato, egli cercava d'impedire che nessuno dei proprietari confinanti avessero motivo di lagnanze. Perciò, dopo averli ammoniti, teneva d'occhio i giovani perchè non si sbandassero per i campi e le vigne altrui. Egli era obbedito; ma non mancò qualche rara infrazione ai suoi ordini. Un mattino di domenica vide un ragazzetto nel cortile, e senz'altro lo rimproverò di esser andato nelle vigne. Quegli negava, e lui a replicargli: - Ma non hai con te la spia? Non vedi l'erba che rimase attaccata a' tuoi calzoni? - D. Bosco faceva gran conto della prudente assistenza di suo fratello, e con animo tranquillo poteva attendere alla predicazione della novena del santo Rosario. Non dimenticava però i giovanetti rimasti a Torino, sui quali sorvegliava il Teol. Borel; e da buon padre provvedeva a quelli che erano con lui ai Becchi.
 
Castelnuovo d'Asti, 29 settembre 1852.
 
Carissimo Buzzetti,
 
Prima di partire da Torino bisogna che procuri di farmi alcune commissioni.
1. Dire a Giovanni Ferrero se vuol venire con te. Tu gli pagherai il vapore come pure a Pettiva.
2. Portare teco una bottiglia di vino bianco per la messa.
3. Fare un fagotto in cui vi siano sei paia di ghette, un paio di pantaloni, una giacchetta, tre paia calzette, il quale se è troppo grave puoi consegnarlo al solito Minin se c'è : oppure all'omnibus.
4. Di salutare il sig. Gagliardi da parte mia e dire che raccomando alla sua bontà l'Oratorio pel giorno di Domenica specialmente. A Marchisio Giuseppe raccomando la sorveglianza per la ricreazione e quel che può per la chiesa. Ad Arnaud che mi assista il canto. - A Fumero che ho fatto la sua commissione.
5. Saluta distintamente il sig. Teol. Borel, e digli che, permettendolo il tempo, se verrà a trovarmi qui ci farà un grande piacere, e la sua venuta non sarà inutile pel sacro ministero.
Noi qui stiamo tutti bene; la chiesa è sempre zeppa di gente, ma siamo imprigionati dalla pioggia. Deo gratias. Saluta tutti i figli della casa ed abbimi nel Signore
                                                                                                        Tuo affmo
D. Bosco Giovanni
 
 
Intanto giungeva il giorno 3 di Ottobre, Domenica della Madonna del Rosario, nella quale dovevano farsi due solenni vestizioni clericali. I giovani prendevano parte alla viva gioia di D. Bosco. Il Vicario Teol. Cinzano celebrava la Messa solenne ai Becchi e quindi benediceva due vesti talari. Egli con una ne rivestiva il giovane Rocchietti Giuseppe, e D. Bertagna Giovanni aiutava Michele Rua ad indossare l'altra. Il Vicario sedendo poi a mensa, si volgeva a D. Bosco esclamando: - Ti ricordi quando, essendo tu ancora chierico mi dicevi: Io avrò dei chierici, dei preti, de' giovani studenti, dei giovani operai, avrò una musica ed una bella chiesa? Ed io ti rispondeva che eri matto? Adesso si vede proprio che sapevi quello che dicevi!
E fissò quindi il giorno nel quale aspettava a pranzo in Castelnuovo tutta la comitiva dei Becchi. Cagliero Giovanni fece gli onori di casa. Ci scriveva Germano Giovanni notaio nel 1887: “Ho sempre impresso Mons. Cagliero nella sua giovinezza, nell'occasione che ci vedemmo la prima volta a Castelnuovo, ove i giovani in numero di ventisei si recarono dal parroco del luogo in compagnia del sig. D. Bosco. Ivi si allestì una polenta così grossa (a mio mezzo specialmente) che ve ne fu per tutti; e il giovine Cagliero ci condusse, alla buona, nella cantina del parroco, offrendoci come cosa sua, il vino delle botti, anche il bianco, quello che serviva per la Messa. La cordialità giovanile del Cagliero non si dimentica”.
Dopo la bella giornata goduta col Teol. Cinzano, Don Bosco si dispose a ricondurre all'Oratorio i giovani coi due nuovi chierici, dai quali sperava grande aiuto.
Infatti Rua si consacrò tutto alla missione che il Signore aveva destinato a D. Bosco, e il suo nome significherà sempre un'anima ornata di ogni virtù, semplice, ma di grande ingegno, infaticabile, capace di imparare tutte quelle scienze alle quali dovrà attendere. I sogni si avveravano. D. Bosco potè  dire finalmente: Questo chierico è mio. Di lui esso fece più volte questo splendido elogio: “Se Dio mi avesse detto: immagina un giovane adorno di tutte quelle virtù ed abilità maggiori che tu potresti desiderare, chiedimelo ed io te lo darò, io non mi sarei giammai immaginato un Don Rua”.
Anche Rocchietti Giuseppe era giovane di grande intelligenza e di costumi illibati, nutriva gli stessi ideali per consecrarsi tutto all'Oratorio; ma la sua sanità era molto cagionevole.
D. Bosco frattanto, ritornato da Castelnuovo, trovò che aspettavalo una lettera della Regia Segreteria del Gran Magistero dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
 
Torino, l’11 ottobre 1852.
 
S. M. riconoscendo il nobile e pio scopo dell'istituzione degli Oratorii da V. S. M. R. fondati a benefizio della gioventù abbandonata in questa capitale, i morali vantaggi che ne derivano e l'instancabile zelo che Ella consacra a promuoverne lo sviluppo, si è compiaciuta di accogliere con particolare bontà le istanze di Lei ed accordarle per il corrente anno a pro di questa eccellente opera una sovenzione di lire trecento sul tesoro dell'Ordine de' SS. Maurizio e Lazzaro.
Nel porgere annunzio alla M. R. S. V. colgo con piacere questa circostanza per offrirle gli attestati della mia distinta considerazione.
 
                                                       Il primo segretario di S. M. pel Gran Magistero
Cibrario Senatore del Regno.
 
 
D. Bosco ringraziò, mentre il Conte Cibrario gli preparava qualche tempo dopo una sorpresa gentile. Per attestato di benemerenza volle conferirgli la croce di cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Ma D. Bosco non amava gli onori di questo mondo, benchè fosse compiacentissimo nel riconoscere e chiamare coi titoli dovuti i suoi benefattori e gli altri personaggi coi quali doveva trattare. Ed ecco un mattino venire all'Oratorio un signore, mentre D. Bosco era con Francesia e Cagliero e presentargli un plico contenente il diploma firmato dal Re e la croce. D. Bosco non lo aprì alla presenza dei giovani, poichè dai bolli e per aver compressa colle dita la busta, aveva indovinata la cosa. Si recò pertanto al Magistero dell'Ordine Mauriziano e presentatosi al Conte Cibrario, incominciò a ringraziarlo dell'onore conferitogli, e poi dolcemente gli fe' intendere, alla buona e colla più delicata semplicità, come a lui non convenisse quell'onorificenza. E gli diceva: - Se ciò si fa per riguardo alla mia povera persona, non saprei quali meriti si possano in me riconoscere che mi distinguano da tanti altri, e quindi è mio dovere, professando riconoscenza, di non accettar questo titolo. Se poi con questa croce il Governo intende dare un segno di aggradimento e di approvazione per l'opera che Don Bosco istituì in favore della povera gioventù di Torino, e di favorirla, accetto con gratitudine, chiedendo però che il titolo di cavaliere sia sostituito con una sovvenzione per i miei giovani.
Cibrario insisteva perchè D. Bosco accettasse; ma egli alludendo ai debiti di cui era gravato, rispondeva scherzando: - Senta, signor Conte: se io fossi cavaliere la gente crederebbe non aver D. Bosco più bisogno d'aiuti; e poi di croci io ne ho già, e tante... mi dia piuttosto qualche danaro per comprare il pane agli orfanelli. - Il Conte finì con approvare; il decreto non comparve sulla gazzetta ufficiale e piacque in Corte la carità di D. Bosco. L'Ordine Mauriziano gli fissò allora la pensione di 500 lire all'anno, che fu puntualmente pagata fino al 1885; nel 1886 fu ridotta a 300 e nel 1887 a sole 150, apportandosi per ragione di questa diminuzione la mancanza di fondi per essere affittate a prezzo infimo le case in proprietà dell'Ordine. E questa pensione cessò solamente nel 1894, benchè D. Bosco fosse morto da sei anni.
Ma non fu mai che D. Bosco fregiasse il petto con la decorazione avuta, o menomamente accennasse alla distinzione offertagli dal Governo. L'amabile umiltà di D. Bosso avevagli affezionato il cuore del Conte Cibrario, il quale per venticinque anni mantenne con lui relazioni di cordiale amicizia.
Il povero Vincenzo Gioberti a D. Bosco che un giorno aveagli fatta qualche rimostranza sopra il suo Gesuita moderno, aveva risposto: - Ma voi laggiù, confinato in quell'angolo di Valdocco, che cosa potete sapere di politica, delle mene dei partiti e delle cause di tanti avvenimenti? - Cibrario invece era persuaso che là in Valdocco vi fosse qualche cosa da imparare, e non di raro veniva a intrattenersi per ore sane con D. Bosco, colla sua grossa pipa in bocca, come lo vide Mons. Cagliero. Molto egli fece per D. Bosco. Essendo primo segretario dell'Ordine Mauriziano, poteva disporre delle decorazioni a suo piacimento, e volontieri le faceva concedere dal Re a quelli che D. Bosco gli indicava come degni, per le loro beneficenze. Questo era un mezzo valevolissimo per fare aprire gli scrigni di certi signori, i quali avrebbero pagata qualunque somma per vedere soddisfatto il loro amor proprio e anche premiati i loro meriti. D. Bosco sapeva pure a tempo opportuno far offrire ad un suo creditore una croce da cavaliere purchè gli rimettesse in tutto o in parte un debito. Talora perveniva all'improvviso una decorazione a chi gli aveva fatte generose oblazioni, e si può argomentare con quale gradita sorpresa di chi ne aveva desiderio. D. Bosco invitava anche a pranzo solenne qualcuno, al quale, inconscio, aveva preparato un titolo onorifico, ed alle frutta fra il suono della banda musicale e i battimani dei convitati gli indirizzava qualche affettuosa parola e gli presentava la croce di cavaliere. Non poche furono le onorificenze che D. Bosco ottenne per mezzo del Conte e distribuì, le quali fruttarono ai ricoverati grosse elemosine, o servirono di ricompensa a segnalati servigi resi all'Oratorio. Noi stessi abbiamo udito il Cibrario, che fu più volte Ministro, verso il 1875 compiacersi degli aiuti che con tali mezzi aveva prestati a D. Bosco, e narravaci che egli stesso aveva posto per condizione a certi ambiziosi stranieri che smaniavano per essere fatti cavalieri, di versare prima una somma cospicua, che egli poi destinava per D. Bosco.
Questo fatto è una prova di più come Iddio avesse preparati per D. Bosco potenti protettori in ogni dicastero dei Governo. Mancava uno, sorgeva un altro.
D. Bosco però stava attento a non abusarne; pazientava nelle difficoltà, ma sovratutto non dimenticava mai la sua condizione e le loro suscettibilità. Narra Mons. Cagliero: “Ricordo che, quando io ero piccolo alunno dell'Oratorio, mi meravigliava del modo rispettoso, riverente e dell'umile contegno col quale egli sacerdote visitava o riceveva certi personaggi secolari. Solo passava il mio stupore quando veniva a sapere esser quello un'autorità, Ministro, Prefetto, Magistrato, Sindaco, Consigliere del Municipio, Provveditore agli studii o anche semplici loro segretarii. Del resto, tanto ne' suoi scritti quanto nelle sue parole e ne' suoi atti, fu sempre ossequente ai Reggitori secolari, eziandio quando lo avversavano, riconoscendo in essi il principio d'autorità proveniente da Dio. Spesse volte l'ho sentito a dire: Obedite praepositis vestris etiam dyscolis. Altre volte soggiungeva: “Molti ci osteggiano, ci perseguitano, ci vorrebbero annientati, ma noi dobbiamo avere pazienza. Finchè non esigono da noi cose contrarie alla coscienza, sottomettiamoci ai loro ordinamenti. Sosteniamo però sempre in date circostanze i diritti di Dio e della Chiesa, chè sono superiori alle autorità della terra”
 
 
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