Capitolo 42

Rovesciamento del nuovo tratto di fabbrica - Prova della protezione di Dio - Giuseppe Buzzetti e suo amore per D. Bosco - Lettere graziose ai benefattori - Funerali al Dottor Vallauri - Domanda di cappotti militari al Ministero della guerra - Costruzione di una scuola diurna - Circolari ai benefattori - Sussidi del Governo.

Capitolo 42

da Memorie Biografiche

del 29 novembre 2006

 Il disegno dell'intera fabbrica dell'Ospizio era eseguito; le tegole del tetto erano a posto, le finestre e le porte e le invetriate venivano messe in opera dai muratori. Ma eccoci addosso un grave disastro.

  Il giorno 22 agosto, verso le 10 antimeridiane, un muratore stava disarmando le volte della nuova fabbrica nella parte che guarda a mezzanotte.

  Nei giorni precedenti egli aveva tolte le armature nei piani inferiori, e in quello toglieva i sostegni nel penultimo. Ormai il suo lavoro era compiuto, quando un travicello gli sfugge dalle mani e cade di punta sulla volta di quel piano; questa si apre e cade sulla volta sottostante, che precipita ancor essa sull'altra, e così di seguito sino alla cantina. In un minuto, i tre piani di quella parte di casa divennero un cumulo di rovine.

Questo rovesciamento fu per l'Oratorio una ben grave sciagura per le spese che dovettero ripetersi; ma in mezzo alla disgrazia apparve eziandio visibile la mano proteggittrice della Divina Provvidenza.

   Accenniamo due fatti molto consolanti. Il pian terreno, già da qualche giorno libero dalle armature, siccome luogo comodissimo e di molta frescura, nelle ore di ricreazione era sempre ingombro di giovani, di assistenti e degli ecclesiastici d'Ivrea che si preparavano agli esami per la patente. Alcuni vi s'intertenevano giocando, altri leggendo,e studiando, taluni discorrendo e sorvegliando. Ma alle ore 9 ½  suona il campanello, ed ognuno con esemplare,diligenza si ritira, quale nella scuola o di ripetizione o di metodo d'insegnamento, e quale nello studio comune. Orbene, appena furono tutti al loro posto, ecco che odono un fragore e rovinío, che li fa trasalire: erano in quell'istante cadute le volte. Se questa rovina succedeva pochi minuti innanzi, avrebbe colto e schiacciato non pochi giovani. Celestino Durando, giovanetto di molta intelligenza,e studioso, faceva ripetizione di lingua latina a Giuseppe Reano, Bongiovanni Domenico e Duvina nel coro della chiesa di S. Francesco, e a quel rombo spaventevole provarono così terrorizzante sensazione, che per più mesi si risvegliava in loro ad ogni rumore improvviso.

   Un fatto non meno mirabile fu quello del muratore, che si trovava sopra la prima volta caduta. Appena ei si accorse che questa cedeva, cercò tosto di mettersi al sicuro, correndo verso il muro di fianco; ma in quell'atto gli mancarono i mattoni di sotto ai piedi, ed egli, gettatosi come per istinto sopra un ultimo tratto di volta, vi rimase colla parte principale del corpo e colle gambe penzoloni per aria. Aveva nei piedi un paio di ciabatte, e queste gli caddero eziandio mescolate coi rottami e col calcinaccio. Era impossibile il non vedere la mano di Dio a sostenere quel pezzo di volta isolato, per cui il poveretto, malgrado che vi si appoggiasse sopra con tutto il suo peso, ebbe nondimeno salva la vita. Parimenti di tanti altri operai, che in quel momento lavoravano attorno alla fabbrica, neppur uno ebbe a soffrire il minimo male.

   Il nostro D. Bosco era in quel giorno fuori di casa. Nella sera essendo ritornato all'Oratorio, come vide il disastro, ne fu molto addolorato e chiese subito: - Rimase sotto qualcuno? - Saputo che salva era la vita di tutti, alunni ed operai, ne ringraziò il Signore, e con aria serena e faceta disse ai giovani che lo attorniavano: - Meno male, che non vi è alcuna vittima! Il resto è nulla.... e voi tanti che eravate a casa, non foste capaci di andare a mettere il dito sotto le volte, ed impedire che cadessero? Oh! buoni a niente! Ma vi compatisco: è Berlich, che ci ha dato una cornata (I). È  già la seconda volta, che questa mala bestia ci usa la sgarbatezza di gettarci giù la casa; ma non importa. Egli l'ha da fare con Dio e con la Madonna, e non la spunterà. Se le volte sono cadute, noi le rialzeremo e non cadranno più... Quel Signore onnipotente che ha permesso questa prova non ci abbandona... Niente ci deve turbare.

   Ma Buzzetti Giuseppe non poteva sopportare in pace quella rovina, tanto più che si erano scoperte alcune truffe di chi per molto tempo aveva avuto l'apparenza di cercare l'utile dell'Oratorio. Buzzetti non poteva persua­dersi che ci fosse gente capace di abusarsi della bontà di D. Bosco; quindi con parole di fuoco inveiva contro quello sleale, mentre D. Bosco cercava di calmarlo.

     - Buzzetti, abbiamo pazienza! Vedrai che il Signore ci aiuterà.

     - Sì, sì, ci aiuterà! Ma intanto Lei veglia, lavora giorno e notte per avere qualche centinaio di franchi, e gli altri le rubano le migliaia di lire in un momento. Bisognerebbe dar loro una solenne lezione.

     - Lasciamo andare! Gliela darà il Signore. - E D. Bosco fu profeta, perchè quel poveretto non fece fortuna, e malgrado che D. Bosco siasi poi limitato a licenziarlo ed abbia cercato in molte guise di sostenerlo, finì nella miseria.

   Ma Buzzetti aveva ben diritto di alzar la voce. Per umiltà e per il dito guasto dallo scoppio della pistola, aveva ripreso l'abito secolare. Tutto sacrificavasi per l'Oratorio. Faceva quante riparazioni occorrevano per la casa, assisteva in refettorio, apparecchiava le tavole, disponeva per la pulizia, moltiplicavasi nei catechismi e nella scuola di musica strumentale e vocale, e spediva per la posta regolarmente le Letture Cattoliche. Colla sua mente perspicace e la mano pronta, era l'anima di tutte le lotterie, s'impegnava per dar lavoro ai laboratori, andava ad ordinare il pane e a fare le varie compre. Talora, presentava a D. Bosco la lista di parecchie centinaia di lire da pagarsi. - Come faccio a pagarle ora, esclamava D. Bosco, mentre non posseggo un centesimo? - E allora sorridendo Buzzetti gli presentava la ricevuta del creditore. Egli stesso colle sue industrie e riuscite speculazioni era giunto a mettere insieme tale somma. Faceva la guardia a D. Bosco, accompagnandolo quando si temeva qualche pericolo, andandogli incontro alla sera, e bastava vederlo colla sua foltissima barba rossa perchè i male intenzionati stessero a segno.

  I suoi fratelli muratori più di una volta gli avevano detto: - Poichè non ti rendi sacerdote che cosa fai all'Oratorio? E se morisse D. Bosco, tu senza un mestiere in mano, come camperai la vita?

  E Giuseppe: - D. Bosco mi dice che anche quando egli sarà morto, ci sarà ancora pane per me se a lui rimarrò fedele. Grazie delle vostre premure!

  Qualche anno dopo, venne anche per lui un istante di malinconia e di scoraggiamento. Egli intuiva che l'antica vita patriarcale di famiglia sarebbe stata modificata dal regolamento; vedeva a poco a poco passare in mano di chierici la direzione delle camerate, delle classi e de' vari rami d'istruzione; ad essi affidarsi importanti incombenze, che prima erano a lui commesse, e perciò si decise di uscire dall'Oratorio. Si era quindi trovato un posto a Torino, nel quale era provveduto abbastanza pel suo mantenimento. Andato a congedarsi da D. Bosco, gli manifestò chiaramente come oramai, egli secolare, sarebbe rimasto l'ultimo della casa, egli che era dei primi accolti da Don Bosco; che l'influenza degli altri sulla comunità riduceva a nulla la sua posizione, costretto a sottomettersi a tutti coloro che aveva visti fanciulli; perciò aver preso la sua determinazione, e con vivo dispiacere, per l'amore che portava a D. Bosco, essere costretto ad uscire da quella casa che aveva visto sorgere dalle fondamenta.

  D. Bosco non rispose a queste sue lamentanze, ma gli chiese premurosamente notizie della carriera nuova che voleva intraprendere e se sarebbe stato sufficientemente retribuito. Quindi gli disse: - So che tu non hai danaro per fare fronte alle prime spese. Dimmi quello che hai di bisogno e te lo darò. Non voglio che un mio caro amico debba andare incontro a qualche privazione. Ci siamo sempre voluti bene! E tu spero che non ti dimenticherai mai di D. Bosco. - A queste parole, allo sguardo col quale D. Bosco lo fissava, al suono commosso della sua voce paterna, ruppe in dirotto pianto, dicendo - No, no; non voglio abbandonare D. Bosco; voglio restare sempre con lui. - E rimase nella casa, alla quale continuò ad essere per tanti anni un vero sostegno. Quando Don Bosco non sapeva più a chi affidare un negozio, diceva: - Chiamatemi Buzzetti! - E Buzzetti compariva sempre sorridente, ascoltava i cenni di D. Bosco, che subito e felicemente eseguiva per quanto difficile ne fosse il disimpegno.

  Buzzetti però aveva molti compagni, che amavano grandemente D. Bosco. Questi nell'agosto del 1856, vedendo come la rovina delle volte accresceva di gran lunga la spesa preventiva, non potendo far altro, colle loro fervorose preghiere e comunioni gli ottenero certamente dal Signore i sussidi necessari. E i suoi benefattori di Torino, quando seppero l'accaduto, ne provarono compassione per D. Bosco, e invece di raffreddarsi nel portargli soccorso, si accesero vieppiù di zelo per l'opera sua. Di questi giorni abbiamo una lettera che D. Bosco scrisse in ringraziamento all'illustrissima signora Marchesa Fassati.

 

Benemerita Signora Marchesa,

 

Questa mattina mi fu consegnata la sua venerata lettera con un biglietto di f. 5oo. L'ho nemmeno deposto di mano: l'ho immediatamente mandato al panattiere. - Deo gratias.

Dalle quattro alle cinque mi troverò al Convitto Stasera, sarò a sue spese a pranzo e intanto La ringrazierò personalmente de' molti benefizi che Dio Le inspira di fare a favore dei poveri nostri ragazzi.

  Buon giorno a Lei, alla Signora Francesca, al Signor Marchese e il Signore li benedica tutti. Con stima e gratitudine

Di V. S. Benemerita

 Da casa, 30 agosto 1856.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco Giovanni

 

 

Si vede che le disgrazie non disturbavano D. Bosco e ciò vien provato dalla giocondità di un'altra sua lettera al Sig. Conte Pio Galleani d'Agliano.

 

Benemerito Signore,

 

D. Bosco - Buon giorno, sig. Conte; posso venire a farle una breve visita e parlarle un poco?

   Sig. Conte - Oh D. Bosco! Ciareja. Come sta? È  giunto inaspettato.

D. Bosco - La mia dimora qui al Palasazzo è molto breve, perciò non l'ho prevenuto.

  C. - Almeno fosse venuto al giorno di S. Filomena! Avrebbe veduta la nostra bella festa.

  B. - Aveva proprio intenzione di venire in quel bel giorno; e aveva già fin cominciata la lettera per domandargli il consenso, poi alcune occupazioni mi hanno fatto cambiar sentimento. Ma di grazia, la Signora Contessa, la famiglia, Giuseppe stanno bene?

 C. - Si, grazie a Dio, stanno tutti bene. Io però mi sento molto stanco per questo caldo.

B.- La campagna è andata bene?

  C.- Non c'è male nelle raccolte delle campagne; il grano però ha fallito un poco, ed ha anche avuto un pò di grandine. I bozzoli poi, che in quest'anno erano molto cari, ne ho nemmeno fatto un terzo di quanto aveva speranza dì fare.

B. - Beppe lavora? studia?

    C. - Sì, comincia a fare qualche cosa. Il bravo T. Broschiero se ne occupa con grande bontà e pazienza. Ma insomma questa sua visita inaspettata ha qualche scopo speciale?

  B. - Una copia della Storia d'Italia che prego di voler gradire.

  C. - Bene: servirà a far leggere alle figlie, ed anche a Beppe: io la ringrazio.

  B. - Non parli di ringraziamenti con me che dovrei farne un libro per Lei.

  C. - I suoi ragazzi, la sua casa, come vanno? E di quattrini? perchè a dirla schietta io temo che si trovi alle strette e che sia venuto a fare questa visita ecc.

  B. - Alle strette sì; se mi fa qualche limosina, non la rifiuto: ma il motivo principale di questa visita era di sapere nuove della famiglia, offrirle questa copia di storia; e ringraziarla di quanto ha fatto, e che spero farà ancora per l'avvenire pei nostri ragazzi.

  C. - Non mancherò di fare quel che posso per i suoi birichini; ma preghi e faccia pregare per me e per la mia famiglia, preghi anche perchè il Signore conservi i frutti delle nostre campagne e mi doni la pace e la tranquillità dello spirito.

  B. - Farò quanto mi dice e fo preghiera speciale al Signore onde possa allevare nella pietà tutta la sua famiglia.

  C. - Non verrà a farci un'altra visita un po' più lunga? Se me lo dice e mi fisserà il giorno, la manderò a prendere a Cuneo.

  B. - Spero di sì e la ringrazio del favore: se potrò disporre di venire, la preverrò. Oh! dimenticava una cosa. Se mai avesse intenzione di stabilirsi un falegname fisso ci sarebbe poi l'individuo. Dunque, sig. Conte, stia bene, buona campagna a Lei e a tutta la famiglia; doni il buon giorno alla Signora Contessa, e mi creda sempre con sentimento di verace stima e gratitudine tutto

Torino, 3 settembre 1856.

 

Obbl.mo serv.

Sac. Bosco Giovanni

 

 

    E che la sua gratitudine per i benefattori non fosse una sterile parola di complimento, lo dimostra l'Armonia del 12 settembre: “ Ieri, II giovedi, nell'Oratorio di san Francesco di Sales in Valdocco fu celebrato un solenne e divotissimo funerale in onore e suffragio del dottore fu Francesco Vallauri.

  Il feretro, posto nel mezzo della chiesa, il canto dei giovanetti, il gran numero di coloro che si accostarono alla Mensa Eucaristica, le preghiere innalzate a Dio prima e dopo la messa, erano oggetti di tenera commozione. Sopra la porta della chiesa leggevasi la seguente iscrizione:

 

All'anima

del signor fu francesco vallauri

   dottore in medicina e chirurgia

priore emerito

della compagnia di s. luigi gonzaga

benefattore insigne

dell'oratorio di s. francesco di sales

i giovani a quest'oratorio addetti

pieni di gratitudine

pregano dal signore

pace e riposo eterno

 

Cosi la cattolica religione, mentre insegna a conservar durevole memoria delle anime giuste che ci hanno beneficati, porge loro sollievo e conforto anche dopo la tomba ”.

   Ma la carità e la gratitudine del nobile cuore di Don Bosco era conosciuta da tutte le classi dei cittadini, ed anche nelle sfere governative, che non rifiutavansi di concedergli qualche soccorso. Egli perciò, mentre si affrettava a riparare i danni sofferti dalla fabbrica, pensava pure al modo per difendere dal freddo del prossimo inverno i figli dell'Oratorio. Altrove abbiamo esposto come il Ministro della guerra gli avesse fatto dono di cappotti da militari. Egli pertanto indirizzava una domanda al generale La Marmora.

 

Ill.mo e Benemerito sig. Ministro,

 

Già altre volte ho ricorso a V. S. Ill.ma e Benemerita per invitarla a venire in aiuto di giovanetti orfani ed abbandonati, dalla divina Provvidenza a me affidati. Nella sua carità mi ha sempre favorito. Quest'anno essendo cresciuto il numero dei ricoverati, ed un complesso di cose indispensabili avendomi aggravato di spese, mi faccio animo di ricorrere nuovamente alla provata di Lei bontà pel medesimo oggetto.

  Il numero dei ricoverati eccede i 137; molti, in numero di, gran lunga maggiore, ricorrono a me per oggetto di vestiario, calze, coperte a fine di coprirsi nell'invernale stagione o mettersi in uno stato da poter essere collocati a lavorare presso ad un padrone.

  Io non domando cose preziose: qualunque oggetto di calzamenta, di vestiario, specialmente camicie, coperte, lenzuola comunque siano logore e rimesse, da me saranno accolte colla massima gratitudine. Ogni cencio farò che serva a coprire i figli del povero.

  Pieno di fiducia che nella nota di Lei carità voglia prendere in benigna considerazione il sopra esposto grave bisogno, La ringrazio di tutto cuore dei favori largitimi pel passato, e mentre Le auguro copiose benedizioni dal cielo, mi reputo al più alto onore il potermi dire

Di V. Ill.ma e Benemerita

Torino, 30 settembre 1856.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco Giovanni, Direttore.

 

 

Nello stesso giorno scriveva un biglietto al Cav. Genova di Pettinengo.

 

 

 

Benemerito Signore,

 

  Memore dei favori da V. S. Benemerita ricevuti negli anni scorsi ricorro di nuovo in quest'anno con preghiera di volermi continuare i suoi buoni offici presso al signor Ministro della guerra. Ho dato una memoria a questo signore nello scopo di ottenere alcuni oggetti di vestiario e di coperte e di cose simili pei poveri ragazzi ricoverati in questa casa, i quali per le calamità dell'annata scorsa crebbero molto e nel numero e nel bisogno.

So che ciò dipende da Lei, ed a Lei rispettosamente mi raccomando. Pieno di fiducia nella provata di Lei carità, mi unisco ai beneficati ragazzi per augurarle copiose le benedizioni del cielo e dirmi con pienezza di stima e di gratitudine

Di V. S. Benemerita

Torino, 30 settembre 1856.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco Giovanni, Direttore.

 

 

D. Bosco era sicuro che il Ministro lo esaudirebbe, come di fatto avvenne; e che i più poveri dei giovani esterni dell'Oratorio festivo avrebbero partecipato a questa beneficenza. Non ancor soddisfatto però di quanto operava in loro vantaggio, formò un nuovo progetto, esposto in una circolare alle persone caritatevoli.

 

Ill.mo e benemerito Signore,

 

Alla vista del bisogno ognora crescente di istruire i ragazzi appartenenti alla classe bassa del popolo mi sono determinato di aprire una scuola diurna per accoglierne almeno una parte di quelli che in numero stragrande vanno vagando lungo il giorno, sia perchè i parenti non si dánno cura di loro, sia anche perchè si trovano lontani dalle pubbliche scuole; perciocchè nel circondario Borgo Dora, S. Barbara, Piazza Paesana, Borgo S. Donato, Collegno, Madonna di Campagna trovansi non meno di trentamila abitanti senza che ci sia nè chiesa, nè pubblica scuola.

  Egli è per occorrere al bisogno di questi ragazzi che ho dato mano alla costruzione di una scuola capace di contenerne circa centocinquanta. Ma siccome mi occorrono spese per i maestri, per i lavori di costruzione, per le provviste di scuola e somministranze di oggetti di scuola, così io ricorro alla nota di Lei bontà supplicandola di venire in soccorso di me, che è quanto venire in soccorso di questi giovanetti che si possono chiamare veramente abbandonati, pericolanti e pericolosi.

  La provata di Lei bontà mi dà fiducia che questo grave sopra esposto bisogno sarà preso in benigna considerazione: perciò pieno di gratitudine e stima Le auguro copiose benedizioni dal cielo con dirmi

Di V. S. Chiarissima e Benemerita

Torino, I ottobre 1856.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco Giovanni.

 

 

D. Bosco dunque, prima ancora di ricorrere alla pubblica carità, aveva messo mano all'opera.

  Un portone a due battenti, tinto in verde, largo circa quattro metri, chiudeva il cortile dell'Oratorio sulla via della Giardiniera, ed entravasi per una porticella che, aprendosi in un battente di esso, faceva suonare un campanello. Ora, nello spazio tra questa entrata e la chiesa di S. Francesco, D. Bosco fece innalzare due scuole. Una molto vasta, che nell'angolo sud - est era occupata da uno stanzino con accesso all'esterno destinato al portinaio. La seconda, più piccola, che però avrebbe potuto contenere venti scolari. Intanto pubblicava una nuova circolare:

 

Ill.mo e Benemerito Signore,

 

Espongo rispettosamente a V. S. Ill.ma e Benemerita come sul terminare dei lavori eseguiti in questa casa, già altre volte raccomandata, mi trovo veramente in grave bisogno per saldare le molte spese che mi occorsero a tale oggetto.

  Mi rivolgo pertanto con fiducia alla provata di Lei bontà, pregandola di venire ancora questa volta in mio soccorso, che è quanto dire di venire in aiuto di tanti giovanetti poveri e pericolanti che per favore di Lei in questa casa ricoverati, benediranno per sempre il loro benefattore.

         Pieno di gratitudine e di fiducia La ringrazio di tutto cuore anche a nome dei miei ricoverati, e mi dico

Di V. S. Ill.ma e Benemerita

Torino, I ottobre 1856.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Giovanni.

 

Eziandio al Ministro Rattazzi erasi egli rivolto dopo la riferita catastrofe, e quegli volle pure concorrere a ripararla; e a nome del Governo faceva tenere a Don Bosco un sussidio, notificandoglielo colla lettera seguente.

 

MINISTERO DELL'INTERNO.

 

Torino, addì 3 ottobre 1856.

 

Avuto speciale riguardo alle circostanze esposte dal Sig. Sacerdote Gio. Bosco con sua lettera del I° corrente mese, in ordine agli imbarazzi economici in cui trovasi il Pio Istituto sotto il titolo di Oratorio Maschile in Valdocco, il sottoscritto ha determinato di accordare allo stesso Istituto una nuova straordinaria sovvenzione di lire mille sui fondi del bilancio di questo ministero, provvedendo per la spedizione del relativo mandato, in di lui capo, il quale sarà pagato dalla Tesoreria Provinciale.

 

Il Ministro

U. Rattazzi.

 

 

Il giorno dopo che D. Bosco aveva ricevuta questa lettera, con sua grata sorpresa, una seconda giungeva al suo ricapito dello stesso Ministro.

 

 

Torino 4 ottobre 1856.

 

Ill.mo e Rev.mo Signore,

 

   Volendo dimostrare in modo particolare l'interesse, che U Regio Governo prende all'incremento del Pio Istituto maschile di Valdocco, iniziato e sì ben diretto dal M. R. D. Giovanni Bosco, il sottoscritto conscio delle strettezze pecuniarie del medesimo, e conoscendo come la somma di lire mille testè elargita fosse al disotto degli ingenti bisogni in cui versa, con suo Decreto d'oggi ha nuovamente disposto, perchè gli siano fatte corrispondere altre lire mille sui fondi casuali di questo Ministero.

   Facendo seguito alla sua nota di ieri, lo scrivente partecipa al M. R. Direttore dell'Oratorio suddetto la presa determinazione, e gli soggiunge che ha parimenti già impartite le disposizioni in proposito pel rilascio in di lui capo dell'analogo mandato di pagamento della somma anzi citata.

 

Il Ministro

U. Rattazzi.

 

D. Bonetti Giovanni ne' suoi Cinque lustri di storia dell'Oratorio Salesiano fa alcuni commenti a questa lettera da lui riprodotta. Così egli ha scritto:

   “ Ho creduto opportuno di qui riferire questo documento, affinchè si veda come le stesse autorità governative apprezzassero l'opera del nostro Oratorio. Quantunque gli uomini, che sedevano in quei giorni al timone dello Stato, professassero principii ben diversi da quelli di D. Bosco, tuttavia dalla esperienza ammaestrati riconoscevano che la educazione, che egli impartiva ai suoi giovanetti, era un'arra sicura di benessere per la famiglia e per la società. Quindi desideravano la prosperità e l'incremento del suo Istituto, e lo favorivano secondo il loro potere. E meritamente, imperciocchè, chi impiega i suoi talenti e sacrifica sostanze e vita a vantaggio dei figli del popolo, ha diritto al plauso non solo, ma al concorso di qualsiasi Autorità costituita; e secondo la sentenza di Urbano Rattazzi dovrebbe essere “ massima consacrata dal Governo, di sussidiare per quanto sta in lui ogni Istituto, che sotto qualsiasi denominazione imprende ad educare il popolo e facilitargli la via a quella educazione morale, che non potrebbe altrimenti procacciarsi.

   ” Dal canto suo D. Bosco teneva volentieri relazione colle Autorità civili, e con ciò faceva due benefizi: l'uno ai suoi giovanetti, e l'altro al Governo. Mediante siffatta concordia, egli per una parte riceveva dai Ministri del Re, sussidi e appoggio a pro del suo Istituto, e per altra parte, dando ricetto a tanta gioventù povera ed abbandonata, ne tendeva loro il contraccambio; imperocchè avveniva sovente che il Governo avesse da provvedere al collocamento di fanciulli, non cattivi da essere annoverati fra i discoli, e pur tanto bisognosi e pericolanti da meritare di essere messi al riparo in qualche Istituto; e niun altro Istituto a ciò meglio si prestava che quello di D. Bosco. E qui ci corre alla mente una riflessione pur degna di nota, ed è che non ostante le molte vicissitudini di tempi e di persone, pur troppo non sempre benevoli, D. Bosco potè tuttavia tirare innanzi l'opera sua. Questo si deve “certamente alla protezione del Cielo; ma bisogna dire altresì che egli, coll'unico scopo di far del bene ai figli del popolo, si studiò anche di praticare il precetto di Gesù Cristo: Date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio ”.

   Son giuste queste riflessioni, ma siamo costretti ad aggiungere che Rattazzi, per una lagrimevole incoerenza di principii, negli Ordini religiosi, che sempre perseguitò, non volle vedere il bene immenso che producevano nello Stato.

 

 

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