Lettera del Can. Galletti che promette il suo aiuto alle opere di D. Bosco - Maria aiuto nelle strettezze: guarigione di persona inferma da tre anni - Castigo per una mancata promessa dopo il conseguimento di una grazia - L'artefice finisce ed espone al pubblico la statua della Madonna per la cupola - D. Bosco a Murello presso Racconigi assiste una morente - Va a Lanzo: in vettura confonde colla carità chi parla male dei preti: accoglienze entusiastiche dei giovani del collegio - Annunzia al Direttore di Mirabello il suo arrivo per la festa di S. Carlo: è contento di Lanzo - Riconoscimento delle ossa di Savio Domenico e suo nuovo sepolcro.
del 04 dicembre 2006
Altri nuovi fascicoli aveva per le mani D. Bosco, altri ne stava scrivendo, altri correggendo: lavoro accelerato, insopportabile per qualunque altro, che doveva interrompere ad ogni istante per ripigliarlo il primo momento di libertà che gli concedevano il sacro ministero, la direzione dell'Oratorio e della Pia Società, i viaggi e le cure per cercare offerte per la chiesa in costruzione, le visite ai collegi e la corrispondenza necessaria per provvedere alle necessità dei suoi giovani.
Di molte lettere incaricava D. Rua dandogliene la traccia, ed a una di queste rispondeva il Can. Eugenio Galletti. È un santo che scrive.
 
Tutto per Ges√π e Maria.
Stimatissimo Sig. D. Rua,
 
Sperai sempre di poter trovare un momento per recarmi in persona da V. S. a farle riscontro a viva voce della sua pregiatissima letterina; ma veggendo da un giorno all'altro protrarsi troppo oltre la cosa, eccomi a dirle in due parole come io compatii e gradii il suo buon cuore nel raccomandarmi che fa sì caldamente la santa causa del veneratissimo sig. D. Bosco e di tutta la sua famiglia, compresa la gran chiesa in atto di sì ammirabile fabbricazione.
Ma dovetti pure ad un tempo persuadermi ch'ella non conosce gran fatto nè il mio cuore, nè la mia posizione, altrimenti non mi avrebbe indirizzata una tale forma di scritto.
Dico il mio cuore riguardo al sig. D. Bosco, verso cui nutro tanta stima, tale rispettoso affetto e venerazione che forse non la cedo un grado a verun altro suo ammiratore; e quanto si passa in me riguardo al Padre, cammina in proporzione verso i suoi degni figli e verso tutte le opere della loro carità e del loro zelo.
Non occorre quindi che io riceva altronde la raccomandazione per portare mano soccorrevole a tanto uopo, ove fosse possibile: la porto con me, la sento già bella e fatta ogni maniera di raccomandazione, e mi è così cara, forte, pressante, che parmi sarebbe capace di qualunque atto generoso, tuttavolta che la Provvidenza me ne presenti l'occasione propizia.
Che vuole? contuttociò io potrei e posso di presente far poco o nulla, a pro' dell'uomo di Dio e della benedetta sua famiglia.
E' vero che per immeritata degnazione della S. Memoria di Mons. Arcivescovo Fransoni trovomi membro dell'amministrazione dei beni del Seminario; ma V. S. prende abbaglio nel credere che io possa avere ed abbia preponderante influenza sui consigli, sul voti dei Signori Amministratori che ho l'onore di avere per colleghi. Noti bene, glielo dico in tutta schiettezza confidenziale; sono l'ultimo per ogni titolo, di età, di possesso, di scienza, di virtù, di entratura, di pratica, di esperienza, di meriti. Essi mi furono già tutti Superiori ne' miei studii, nelle scuole e nelle varie cariche che dovetti sostenere. Sono essi che naturalmente e giustamente hanno il Magistrato della senile influenza sopra di me, poveretto; io è molto che abbia da loro tolleranza e sia sofferto in loro compagnia, ed in loro consesso. Ha capito? Del resto non dubiti punto, caro mio D. Rua, che non cesserò mai di porre il mio granello sulla bilancia in favore di D. Bosco e delle sue ammirabili imprese. Parlerò, appoggerò, perorerò, incalzerò, difenderò, mi adoprerò insomma di tutto il mio meglio nella mia ignoranza ed insufficienza ad ogni opera di bene. Sta al Signore di benedire i miei sforzi, di avvalorare le mie parole, di aprirmi anzi il labbro e darmi un linguaggio di carità e di possanza trionfatrice dei cuori! Ne lo preghi per me.
Gradisca V. S. le povere, ma sincere mie congratulazioni per le note continue fatiche che sostiene nel campo eletto del Signore alle sue cure singolarmente affidato; gradisca le benedizioni del cielo, le dolcezze dei cuori sacratissimi di Ges√π e di Maria che le auguro e prego, dichiarandomi senz'altro,
Torino, II novembre 1866,
                                     Dev.mo servitore suo
Sac. EUGENIO GALLETTI.
 
Le anime generose non si stancavano di accorrere in aiuto al Venerabile, e la stessa Vergine SS. sovente veniva in suo soccorso. Lasciarono scritto D. Chiala e il Cav. Oreglia:
Il 16 novembre D. Bosco doveva pagare quattro mila lire pei lavori della chiesa. Il Prefetto della casa D. Rua con qualche coadiutore uscì al mattino di detto giorno in cerca di danaro. Dopo aver percorse le vie di Torino, salite e scese moltissime scale e battuto all'uscio di varie pie persone, la comitiva rientrava nell'Oratorio alle II antimeridiane. Depositate nelle mani di D. Bosco lire mille, raggranellate con infiniti stenti, manifestava l'impossibilità di trovare le altre tremila lire che mancavano al compimento della somma. Fu quello un momento di sconforto; uno guardava l'altro senza pronunziar parola. Solo D. Bosco con volto ilare e il cuore pieno di fede e di confidenza disse loro: -Coraggio! A tutto v'è rimedio: dopo desinare andrò io a cercare il resto.
All'una dopo mezzo giorno egli usciva dall'Oratorio e dopo un lungo giro, senza sapere dove dirigersi, si trovò vicino a Porta Nuova. Da quelle parti non conosceva nessun ricco signore, sicchè fermatosi stava pensando come mai fosse arrivato colà, quand'ecco avvicinarglisi un domestico in livrea, sul cui volto traspariva un non so che di mestizia congiunta a grande ansietà, il quale gli dice: - Reverendo, è forse lei D. Bosco?
- Sì, per servirla.
- Oh! Provvidenza! esclamò; è proprio il Signore che me l'ha fatto trovare così in punto! Il mio padrone infermo mi ha mandato a pregarla di aver la bontà di venirgli a fare una visita, perchè la desidera tanto.
- Vengo subito: sta lontano?
- Oh no; qui in capo alla strada. -E gli accennò un gran palazzo.
- È suo quel palazzo? chiese D. Bosco.
- Appunto; il mio padrone è ricchissimo... e molto caritatevole sa! Egli potrebbe aiutarla nei lavori della nuova chiesa.
- Ottimamente, ottimamente!
Giunti al palazzo, D. Bosco entrò, ed ecco che gli viene incontro una signora mesta e piangente e gli dice:
- Oh! Don Bosco! se sapesse da quanto tempo lo aspettiamo: abbiamo più volte mandato a chiedere di lei e ci fu sempre detto che non era in città: avrei voluto che mi avesse fatto guarire mio marito da Maria SS. Ausiliatrice: io avrei fatto qualunque cosa per la sua chiesa, ma adesso è troppo tardi, è quasi alla fine. Avanti ieri i medici fecero consulto.
- Vi era anche la Madonna? rispose D. Bosco. Se non vi era la Madonna, il consulto era imperfetto, poichè ci mancava il medico curante. Che malattia ha?
- La malattia ha preso varie forme e da varî mesi degenerò in idropisia; lo operarono più volte ed ora è di nuovo gonfio, che fa pietà; ma i medici non osano più toccarlo, perchè dicono che non può più sopportare alcuna operazione.
- Ebbene, se loro si sentono di aiutare la Madonna in un affare, io farà la prova di far guarire dalla Madonna suo marito.
- Volentieri, qualunque cosa!
Pochi minuti dopo Don Bosco entrava in una stanza, ove trovò giacente un signore già alquanto avanzato negli anni, il quale al vederlo tutto contento esclamò:
- Oh! D. Bosco! se sapesse come io ho bisogno delle sue preghiere. Non c'è altro che lei che mi possa cavare da questo letto.
- È molto tempo che ella si trova in questo stato?
- Da tre anni, tre lunghi anni. Soffro orribilmente; non posso fare da me il menomo movimento e i medici ormai non mi dànno più speranza di guarire.
- Vuol fare una passeggiata?
- Oh! povero me! non ne farò più, ma me la faranno fare.
- Se ella è d'accordo colla sua signora, la farà oggi con le sue gambe e con la sua vettura.
- Oh! se io potessi ottenere almeno un po' di sollievo, farei volentieri qualche cosa per le opere sue.
- Eh! veda, signore, il momento sarebbe veramente propizio; avrei appunto bisogno di tre mila franchi.
- Ebbene, mi ottenga solo un po' di sollievo a' miei mali, e io verso il fine dell'anno guarderò di contentarla.
- Ma io ne avrei bisogno di questa sera stessa.
- Questa sera, questa sera!... e dove trovarli? Tremila lire non si hanno sempre lì. Bisognerebbe uscire, andare alla Banca Nazionale... cambiar cedole .....
- E perchè non andare alla Banca?
- Chi?
- Lei!
- Uscire io impossibile! Vossignoria scherza! io sono tre anni che non mi muovo.
- Impossibile? impossibile a noi, ma non a Dio onnipotente. Ors√π dia gloria a Dio ed a Maria SS. Ausiliatrice. Mettiamoci alla prova.
E Don Bosco fatte radunare in quella camera tutte le persone della casa in numero di una trentina, comprese quelle di servizio, le invita a recitare speciali preghiere a Ges√π Cristo Sacramentato ed a Maria Ausiliatrice.
Com'ebbero finito di pregare, il Venerabile diede all'infermo la benedizione e questi cominciò subito ad evacuare tanto che la moglie spaventata si mise a gridare:
- Muore, muore!
E Don Bosco:
- Sia tranquilla che non muore; è tornato alla sua primiera corporatura - e fece portare al letto dell'ammalato quei vestiti che da tanto tempo giacevano abbandonati. Gli astanti, più commossi che meravigliati, stavano osservando come sarebbe finita la cosa. In quella entra il medico e visti que' preparativi grida all'imprudenza, e tenta ogni mezzo per dissuadere l'infermo. Ma questi, protestando di essere libero padrone di sè, vuole ad ogni costo seguire i suggerimenti di D. Bosco. I famigliari volevano aiutarlo, ma il Servo di Dio li tiene indietro, e in poco d'ora l'infermo è vestito e passeggia per la camera; e si manda a mettere in ordine la carrozza. Prima però di uscire quel signore chiede di rifocillarsi alquanto, e gli vengono presentati dei cibi, che mangia con un gusto quale non aveva provato da lungo tempo. Poscia scende le quattro scale da sè, giacchè D. Bosco proibiva assolutamente che lo si aiutasse, sale pure da sè in carrozza, va alla Banca e ritorna giubilante e consegna a D. Bosco le tre mila lire, facendogli mille ringraziamenti e ripetendo: - Sono completamente guarito. - Don Bosco, dopo avergli ricambiato i suoi .sensi di riconoscenza, lo esortò a ringraziare Gesù Cristo Sacramentato e la B. V. Ausiliatrice, da cui unicamente poteva riconoscere la straordinaria guarigione.
Rientrato appena nell'Oratorio, il Venerabile trovò la persona che l'aspettava per il pagamento della somma, che con maraviglia di D. Rua e degli altri superiori della casa, potè tosto essere pagata.
Un altro fatto era accaduto poco tempo prima, ma di genere ben diverso, a prova di ciò che si legge nell'Ecclesiaste al Capo V, cioè che spiace al Signore la stolta e infedele promessa. Pietro Enria attesta di averlo udito dallo stesso Venerabile.
Un giorno D. Bosco fu invitato a far visita ad una nobile famiglia di Torino, colla quale non aveva mai avuta alcuna attinenza. Il Marchese e la Marchesa lo accolsero con grandi segni di rispetto e gli dissero:
- Noi l'abbiamo disturbato nel farlo venire fin qui, mentre sappiamo che ha tanto da fare.
Il Servo di Dio rispose:
- Quando si tratta di fare del bene e della gloria di Dio, non faccio che il mio dovere.
- Ebbene, soggiunsero quelli calorosamente, lo supplichiamo di un grande favore. Siamo qui due coniugi, ma non abbiamo alcun figliuolo. Ella che è tanto buono, preghi e faccia pregare per noi i suoi giovani, affinchè Dio abbia pietà e ci conceda un erede.
Don Bosco rispose che avrebbe pregato e fatto pregare Maria SS. Ausiliatrice.
- Allora favorisca di benedirci! - esclamarono i due coniugi gettandosi in ginocchio.
Don Bosco li benedisse, ed essi ripresero:
- Come vede la nostra casa è solitaria, e se la Madonna ci concedesse un figlio, sarebbe per noi la più grande consolazione. Se otterremo un tale grazia, facciamo promessa di presentare una vistosa offerta alla Chiesa di Maria Ausiliatrice.
- Ed io, conchiuse D. Bosco, prometto loro in nome del Signore che saranno esauditi; preghino ed abbiano fede e D. Bosco li raccomanderà tutti i giorni nella S. Messa!
Dopo un anno Iddio rallegrava quei signori con la nascita di un figlio; ma essi non pensarono a mantener la promessa. Ed era già passato più di un anno da quel lieto evento e il bambino era perfettamente sano, quando D. Bosco, trovandosi bisognoso di danaro per pagare i provveditori dei materiali per la costruzione della chiesa, ed essendo importunato con insistenza dall'impresario, si ricordò del Marchese. Recossi pertanto da lui, persuaso di essere ben accolto. Invece quel signore lo ricevette con queste parole:
- Che cosa cerca, Reverendo?
- Son venuto a pregarla, se volesse adempire alla promessa fatta due anni or sono...
- Che promessa? - rispose il Marchese. - E lei chi è?
D. Bosco, senza offendersi, annunziò il proprio nome ed espose le strettezze nelle quali si trovava.
- Non mi ricordo di aver fatto promesse! - soggiunse il signore.
- Signor Marchese! replicò il Venerabile; rammenti che la promessa non l'ha fatta a D. Bosco ma l'ha fatta al Signore, e con Dio non si scherza! Colla sua Madre SS. non si burla! Pensi a quel che ora fa.
E salutandolo cortesemente, afflitto per quella ingratitudine che prevedeva severamente punita, si ritiro.
Erano trascorse poche ore da quel colloquio, quando la Marchesa si presenta ansante al marito per dirgli che il bimbo era stato colto improvvisamente da grave malore. Si corse a chiamare il medico, e tutta la casa era sossopra. Il Marchese capì che gli pendeva sopra il castigo di Dio; e tosto fa' attaccare i cavalli, in un istante è all'Oratorio, si presenta a D. Bosco, e gli dice:
- Ah signor D. Bosco, venga subito in casa mia, mi faccia la carità di venire a benedire il nostro bambino che muore... Ah, mi perdoni: io ero cieco quando fui così scortese con lei... Ma venga, venga subito.
- Vengo subito, rispose addolorato D. Bosco, ma glielo aveva pur detto che col Signore non si scherza! Vedrà che dovremo dire: Dio ce lo ha dato e Dio... ce lo toglie!
E subito salì in vettura col Marchese; ma questa entrava appena nel portone del palazzo, che i domestici sì presentano con segni di grave mestizia in volto.
- Ebbene? chiede il Marchese.
- Morto!
Il Venerabile entrò nella stanza ove giaceva la piccola salma e dov'era la madre che si struggeva in lagrime. Il Marchese scoppiò egli pure in pianto dirotto ed esclamava:
- Noi insensati!... Per un po' di danaro abbiamo ucciso nostro figlio. È Dio che ha punita la nostra avarizia... Noi sventurati! abbiamo perduto la consolazione di tutta la nostra vita e specialmente della nostra vecchiaia ... Siamo di nuovo soli su questa terra! Ah D. Bosco, ci perdoni ... preghi per noi il Signore che ci perdoni il nostro fallo...
Il Servo di Dio li consolò dicendo:
- Il Signore è misericordioso, vuol loro un gran bene, e li perdonerà. Ma per rendersi degni del suo perdono è necessario che d'ora innanzi si dedichino con maggior diligenza e con maggior fede alle pratiche di nostra santa Religione... e che soccorrano i poverelli bisognosi con generose elemosine. Così facendo si renderanno degni di andare un giorno a far compagnia per sempre al loro caro figliuolo in Paradiso. Siano certi che dal Cielo egli prega per i suoi amati genitori! - E conchiudeva: - Viviamo tutti da buoni cristiani e ci troveremo insieme a godere del premio eterno. - Dette queste parole, li benedisse e si congedò.
Intanto la statua della Madonna, che doveva essere collocata sulla cupola, era pressochè ultimata. Leggiamo nell'Unità Cattolica del 17 novembre.
Abbiamo veduto la bella statua rappresentante la Madonna, la quale sarà posta sopra la cupola della chiesa che sta fabbricando in Torino l'egregio D. Bosco, intitolata a Maria SS. Auxilium Christianorum. La statua è alta quasi quattro metri e fatta di rame, cui venne data una vernice color bronzo, finchè si possa far indorare. Venne modellata dall'Argenti di Novara ed eseguita dal cav. Ignazio Boggio in Torino, parte colla galvanoplastica, parte col martello e cesello. Il condurre tali lavori colossali, dice Benvenuto Cellini, è impresa difficilissima per le proporzioni straordinarie. Ed è opera difficile il giudicare da vicino tali opere che devono essere vedute in lontananza. Il nostro parere quindi intorno a questo lavoro è sottomesso all'appello, cioè all'effetto che farà la statua posta all'altezza di 46 metri dal suolo; mentre abbiamo dovuto giudicarla alla distanza di due o tre metri, essendo molto infelice il luogo in cui è esposta. Delle otto principali vedute d'una statua, come direbbe il Cellini, se ne possono qui avere appena cinque e da vicino. E però alcuni difetti che ora si possono notare spariranno quando la statua sarà veduta in alto; e viceversa alcuni difetti ora non osservati potranno essere visibili. Ciò posto, diciamo che nell'insieme la statua ci è sembrata assai bella, e specialmente la testa ci parve bene modellata e meglio eseguita. Il volto è assai maestoso ed insieme pieno di dolcezza, massime riguardato dal profilo di destra. Il difetto principale che ci diede all'occhio sono le spalle e le anche troppo piccole e non proporzionate alle altre parti colossali. E il difetto delle spalle rende difettosa l'attaccatura del braccio destro alzato in alto per benedire, il quale sembra appiccicato al dorso e non alla spalla. Torniamo a ripetere: È un bel lavoro, che è forse il primo di questo genere eseguito in Torino, e fa onore al cavaliere Boggio dalla cui officina è uscito. Ognuno può recarsi a vedere la statua in via Bertola, n.° 39, poco prima di giungere alla chiesa che si sta costruendo.
Il 18 novembre D. Bosco recavasi a Murello, presso Racconigi. Per iniziativa della Rettrice delle Umiliate, o Pia Unione delle Madri cristiane sotto il patrocinio di Santa Elisabetta, la signora Francesca Cogno, vedova Audero, col consenso e d'accordo col Teologo Cav. Carlo Ghersi parroco e amministratore, lo avevano invitato perchè vi andasse a fare il panegirico di Santa Elisabetta nel giorno della festa che celebravasi in quell'anno il 25 novembre. Ma D. Bosco per un malinteso vi andava una domenica prima e mettendosi in quel mattino a disposizione del parroco fu pregato di visitare una donna gravemente inferma, che desiderava di essere da lui benedetta prima di morire. D. Bosco aderì di buon grado all'invito e venne accompagnato nella stanza della moribonda. Avvicinatosi al letto, chiese licenza al parroco di darle la benedizione papale e inginocchiatosi recitò alcune preghiere, fermandosi qualche tempo per assisterla. Il figlio Gio. Battista Olivero fece collocare in quella stanza un ritratto di D. Bosco con un'epigrafe che dice: - Nel giorno 18 novembre 1866 - il ven.mo D. Giovanni Bosco -onorò questo luogo - di una sua visita.
Da Murello il Servo di Dio si recava a Lanzo. Salito sull'omnibus a Torino si trovò insieme, fra le altre persone, con un tale che parlava malamente dei preti in diversi modi.
Pi√π volte venne corretto da D. Bosco con belle maniere, ma sempre inutilmente; anzi quello screanzato burlavasi degli avvisi e delle ragioni del Servo di Dio.
Giunta la vettura a Lanzo, mentre tutti smontavano vi fu chi salutò D. Bosco chiamandolo per nome. Quell'individuo nell'udire che quel sacerdote col quale aveva viaggiato e che aveva trattato villanamente era D. Bosco, rimase di sasso e come fuori di sè per la vergogna. Egli era partito apposta da Torino per andare al Collegio S. Filippo e raccomandarvi un suo figlio. Tuttavia si fece coraggio, gli si avvicinò, gli domandò scusa, gli si proferse pronto a qualunque servigio, lo invitò ad entrare nel caffè per rinfrescarsi, cercò insomma di rimediare come meglio potè al suo sproposito. Il Venerabile, avvezzo a simili incontri, non accettò l'invito, ma sorridendo alla confusione di quel poveretto finì per contentarlo nella sua domanda.
Quella sera apparve nel cielo sereno un magnifico spettacolo: una quantità di stelle cadenti o bolidi di diversi colori, che non poteansi numerare, tanto erano frequenti, comparivano, scomparivano, s'intrecciavano nelle loro parabole. L'astronomo Padre Secchi le computò sino a 30.000; e il Padre Denza a Moncalieri in sei ore ne contò 33.000. Si volle che ne fosse cagione una cometa la cui coda passò nell'orbita della terra. I giovani del Collegio, usciti dalla scuola di canto verso le 9 pomeridiane, estatici a tanta bellezza di luci, tenevano gli occhi fissi in alto. Uno, pronto d'ingegno, si mise ad esclamare:
- Sono gli angioli che dànno fuoco alle fusette per l'arrivo di D. Bosco.
A quella voce tutti i compagni mandarono replicatamente il grido: - Viva D. Bosco! - E certamente l'arrivo di Don Bosco in uno de' suoi collegi recava gran festa agli angioli. Tutti i Salesiani e tutti i giovani volevano confessarsi da lui ed egli contentava tutti. Mirabili erano le mutazioni di condotta in quei giorni: si rinnovavano i prodigi dell'Oratorio.
Il giorno dopo D. Bosco scriveva al Direttore di Mirabello.
 
Lanzo, 19 novembre 1866.
 
Carissimo D. Bonetti,
 
Ti scrivo da Lanzo. Sono assai contento di questi giovanetti, ma ancora pi√π dell'unione dei Superiori, degli assistenti. Dicono, predicano e praticano in modo da generare gelosia a quei di Torino e quasi quasi perfino a quelli di Mirabello, dove sta raccolto il fiore del nostro personale. Amen.
Andrò al 28 costà con Pelazza e D. Lazzero che porteranno seco quel che dimandi. D. Rua è impegnato a fare per la tua schiettezza e non ti sbagli quando dici: Ci mangiate tutto. Questo serve a farlo cooperare con maggior fervore, secondando quanto accenni. Io poi mi metterò tra l'uno e l'altro, dicendo: tertius gaudet.
Mandami una noterella di quelli che tu sai e così potrò mettermi più presto in relazione coi medesimi. Desidero che nel giorno di San Carlo vi sia vera indulgenza plenaria per tutti. Si cancelli il passato, si pulisca ogni macchia presente, si faccia una ferrea risoluzione di farsi tutti santi, ben inteso compreso anch'io.
Pax et benedictio domui tua et omnibus habitantibus in ea. I saluti a tutti e a tutte.
La Santa Vergine ci aiuti a camminare per la via del cielo. Amen.
 
Tuo aff.mo in G. C.
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
Il 21 novembre D. Bosco lasciava Lanzo, e a Mondonio compivasi un desiderio del suo cuore, vagheggiato da più anni. La memoria di Savio Domenico era sempre in benedizione. Per mille ragioni D. Bosco non poteva dimenticare un giovanetto così meritevole d'amore; e cercava di rendergli tributo di venerazione con quelle onoranze che poteva maggiori.
Fin dal 1859 si pensò di far pratiche presso il Ministero per aver la licenza di trasportare da Mondonio a Castelnuovo le ceneri di quel santo figliuolo. Questa si sarebbe chiesta in nome di suo padre Carlo Savio. D. Bosco aveva incaricato il suo amicissimo D. Alessandro Allora perchè si informasse dalle persone di legge; e il buon sacerdote, da Castelnuovo d'Asti, in data II novembre 1859, riferivagli la risposta avuta, scrivendogli:
“ Interrogato ancora il giudice, se la legge avrebbe vietato dimostrazioni, per es. accompagnamento conveniente della salma, oppure se avesse ad eseguirsi di notte, dissemi non potersi più ripetere la sepoltura ecclesiastica, ma tosto tumularla e in quanto alle dimostrazioni sia civili che religiose per istrada o in chiesa, al cimitero nulla ostare: però la pubblica igiene consigliare che il trasporto dei cadaveri abbia luogo di notte.
” Io sono pure d'avviso che quando questo onore si fosse reso e più degna stanza si fosse procurata alle spoglie mortali appartenenti allo spirito di sì caro ed ammirato giovanetto, ognuno altresì applaudirà a sì fatta opera pia ed educativa. Difatti come sarà altrimenti la cosa, se già molti si credono in debito di attestargliene riconoscenza ed amore per favori conseguiti, alla sola e pura rimembranza delle strepitose di lui virtù? Vaglia il seguente fatto recentissimo a provare quanto operi sugli spiriti pii e fedeli la convinzione che il savio e pio giovanetto, come colui che molto fece e patì per Gesù Cristo, alcunchè pure possa fare ed ottenere a pro' dei mortali.
” Una donna trovandosi alle strette per difficilissimo parto piamente ricordandosi delle grazie ottenute da qualche ammiratore delle virtù del Savio, esclamò ad un tratto: - Deh! Domenico mio! -senz'altro dire. E il fatto fu ed è che la donna all'improvviso e in quel momento stesso fu libera da quei dolori…”.
Il progetto però di trasportare il corpo di Savio da Mondonio a Castelnuovo non fu messo in esecuzione. Nel 1864, cambiatasi idea, si pensò a diseppellire la cassa contenente la salma di Savio Domenico per sottoporvi il fondamento di un tombino e riporre la medesima di nuovo nello stesso luogo contro il muro della cappella di S. Sebastiano annessa al cimitero di Mondonio. Nei mesi di novembre e di dicembre si chiesero le debite licenze alle competenti autorità, ma anche questo secondo progetto non venne per allora eseguito.
Però in questa circostanza D. Bosco scriveva un'epigrafe che non fu scolpita, ma conservata fra le sue carte, e dice eloquentemente quale fosse la sua stima per il santo suo discepolo.
 
QUI
DORME IN PACE
LA SALMA DELL'ANGELICO GIOVANE
SAVIO DOMENICO
NATO IN RIVA DI CHIERI IL 2 APRILE 1842.
PASSATA NELLA VIRT√ô LA PUERIZIA
IN CASTELNUOVO D'ASTI
SERVIVA IDDIO PIÙ ANNI CON FEDELTÀ E CANDORE
NELL'ORATORIO DI S FRANCESCO DI SALES
IN TORINO
E MORIVA SANTAMENTE IN MONDONIO
IL 9 MARZO 1857.
PER SEGNI NON DUBBI
CHE EGLI È PREDILETTO DAL SIGNORE
LA SPOGLIA SUA MORTALE
DAL PUBBLICO CIMITERO
ERA QUI TRASFERITA
LI ... 1864
PER CURA DEI SUOI AMICI
E DI QUELLI CHE AVENDO PROVATI GLI EFFETTI
DELLA SUA CELESTE PROTEZIONE
GRATI E ANSIOSI ATTENDONO
LA PAROLA DELL'ORACOLO INFALLIBILE
DI SANTA MADRE CHIESA.
 
Solo nel 1866 compievasi il pio disegno, deliberato nel 1864, come consta dal seguente documento.
Parrocchia di Mondonio. -Testimoniale di disumazione e di nuova Sepoltura della salma di Domenico Savio.
L'anno del Signore 1866, alli 21 novembre, alle ore nove ant. nel cimitero di questa Parrocchia, io parroco sottoscritto alla presenza e colla cooperazione dei qui sotto segnati testimoni, feci disumare la salma ivi sepolta di Domenico Savio e constatatene l'indentità per mezzo delle persone ivi presenti che ne avevano eseguito la primiera inumazione e che ne avevano posteriormente ristorato la cassa, ponendovi segni certi della medesima, ne feci estrarre diligentemente lo scheletro, che fu trovato tutto intero ed intatto, ad onta che i rosarii e le medaglie postegli nella cassa, si trovassero tutte corrose ed a pezzi; fattomelo porgere pezzo per pezzo, lo ricollocai colle mie proprie mani in una cassa nuova appositamente preparata, assestando secondo le regole d'osteologia tutti i pezzi al rispettivo luogo ed ordine, in modo che lo scheletro ritrovossi di nuovo tutto compito nella nuova cassa. Da un lato del teschio misi in mucchio tutti i corrosi pezzi di rosarii e di medaglie e dall'altro lato misi una moneta di rame da centesimi dieci coniata in quest'anno. Invitati quindi gli astanti a riconoscere il tutto, feci chiudere la cassa ed assicurarla con viti di ferro. Fattala quindi alzare diligentemente, la feci collocare nel tombino già preparato entro il muro posteriore della chiesa dei SS. Fabiano e Sebastiano adiacente a detto cimitero, in modo che si trovi sotto l'altare di detta Chiesa. Feci quindi chiudere in muratura il muro suddetto, la cui apertura era stata appositamente costrutta ad arco. Passando poscia nella Chiesa suddetta feci fare pure in muratura la volta al suddetto tombino, in modo che trovossi chiuso ed assicurato in ogni parte e sul quale si lavora attualmente a costrurre l'altare ed a ristorar la Chiesa in modo che corrisponda decentemente al caso.
In fede del che mi sottoscrivo, unitamente alle precitate persone presenti all'atto,
 
AMUSSA LUIGI, Prevosto.
 
Rissone Giovanni, Capomastro costruttore dell'altare.
Peila Evasio, Sacrista, costruttore della cassa.
Serra Giuseppe, Assessore supplente Comunale, testimonio.
Molino Luigi, Fossatore.
Segno di + croce di Robino Luigi, proprietario, testimonio illetterato.
La lapide coll'iscrizione che fu collocata su questa tomba fu recata da Genova come scioglimento di voto da una persona riconoscente per grazia ricevuta.
Versione app: 3.26.4 (097816f)