Capitolo 44

Un saluto da Lisbona e rimembranze dell'oratorio di Torino - Morte di Antonio Bosco - Libri perversi e teatri immorali - Gravi insulti al clero e a D. Bosco - Giornali empi e proteste dei Vescovi - Prevalenza dei giornali settari sui giornali cattolici - D. Bosco stampa il periodico: 'L'Amico della Gioventù' - Suo scopo e vantaggi ottenuti - Sue circolari per aver sussidi in questa impresa - Cause del suo ritiro dal campo giornalistico - Noiose conseguenza finanziarie - D. Bosco avverso a fare della politica - Sito trovato per diffondere i giornali cattolici - Giudizio di D. Bosco sulla lettura dei giornali.

Capitolo 44

da Memorie Biografiche

del 14 novembre 2006

 Nel 1849 la maggior parte di quelle persone che fin allora sembravano contrarie alle opere di D. Bosco, vedendone gli ottimi risultati avevano cambiate le proprie opinioni intorno a lui; tanto più che la sua vita, eminentemente esemplare e ripiena di meriti, era una prova evidente delle sue rette intenzioni. Benchè nessun giornale e nessun libro avesse ancora parlato del meraviglioso che risplendeva in D. Bosco, già si era molto diffusa la persuasione che egli ottenesse dalla Madonna grazie straordinarie; anzi che facesse miracoli. D. Rua Michele e D. Savio Ascanio fanno la più ampia testimonianza di quanto asseriamo.

E la fama dell'Oratorio di Torino aveva già valicati i confini d'Italia, perchè la nobile famiglia Rademaker, così intima con D. Bosco e che aveva provato i benefici effetti dei suoi doni soprannaturali, nell'agosto dell'anno precedente si era imbarcata a Genova per ritornare in Portogallo. Questi signori dovevano dar principio a quelle remote attinenze che poi collo svolgersi dei tempi avrebbero condotti nella loro patria i discepoli di S. Francesco di Sales. D. Daniele Rademaker il 9 gennaio 1849 scriveva a D. Bosco da Lisbona, narrando il suo arrivo in quella capitale, le feste dei parenti e degli amici che da tanti anni la sua famiglia non aveva più visti, lo stato lagrimevole della religione in quei paesi, la partenza ci una nave da guerra messa da quel Governo a disposizione di Pio IX, la malattia della sorella, per la quale anche a nome della madre domandava calde preghiere. E concludeva: “ Della S. V. giammai mi dimenticherò. Mi dia delle sue nuove, le quali Ella non può immaginarsi quanto m'interessino. Gode Ella buona salute? L'Oratorio di S. Francesco di Sales prospera sempre? È molto numeroso? La festa di S. Francesco di Sales, solita a farsi gli anni passati, si farà anche quest'anno? L'Oratorio di Porta - Nuova sotto la direzione del signor Teol. Carpano è molto frequentato? Sa darmi nuova dei signori Teologi Vola, Bosio, Carpano, Borel, Palazzolo, Borghi?.... Presenti i saluti di mia madre alla signora Baronessa Nasi e per parte mia al sig. Teol. Nasi e agli altri sopradetti Teologi.... Prima di terminare la mia lettera auguro a V. S. ogni sorta di felicità che Fila possa desiderare, specialmente per il corrente anno 1849, il quale voglia Dio che sia anno di giubilo per la S. Chiesa, e non di tristezza o di lutto come lo fu il passato 1848 ”.

Questi auguri disgraziatamente non avevano da avverarsi e per lo stesso D. Bosco l'anno incominciava con un grave dolore. Antonio, suo fratellastro, il quale di quando in quando veniva all'oratorio per visitare Mamma Margherita e D. Giovanni, moriva il 18 di gennaio. Dopo alcuni giorni di un malessere che non sembrava pericoloso, era spirato quasi repentinamente. D. Bosco, che stava per muoversi alla volta dei Becchi, ricevette dal fratello Giuseppe l'infausta notizia. Egli, che non aveva lasciata sfuggir occasione per dimostrare il suo affetto sincero verso il suo contradditore Antonio, morto che fu questi, si prese cura sollecita dei suoi due figliuoli. Uno, di nome Francesco, lo accolse poi all'Oratorio, lo fece esercitare nel mestiere di falegname e di lui formò un buon cristiano. L'altro, rimasto ai Becchi, ebbe da D. Bosco aiuti nei casi di necessità. Così si vendicano i santi, i quali non conoscono rancori o antipatia. D. Rua, che per ben trentotto anni visse in tanta intimità con D. Bosco, ammirò sempre la bontà colla quale si ricordava del fratellastro, giacchè mai lo intese dir male, o lamentarsi di lui.

Ma il dolore provato da D. Bosco alla morte di Antonio era un nulla a petto delle strette al cuore che gli dava l'empietà di una stampa, che aveva del satanico. Con questa, protestanti e settari avevano incominciato, e continuarono per anni ed anni, a pervertire gli incauti. Quasi tutti i romanzi, i drammi, le composizioni poetiche furono qual più qual meno avversi alla religione e al buon costume. Correvano per le mani del popolo e si cantavano le immorali canzoni piemontesi di Angelo Brofferio. Si diffondevano libri senza numero, i quali con sudice incisioni portavano in trionfo i vizi più vergognosi. Erano cessate le grida di evviva Pio IX e si vendevano caricature luridissime del Papa. Un vero brulichio di storici cospirava a tradire la verità; si erano proposti di sostenere l'eguaglianza dei culti, la distruzione del Cattolicesimo; travisavano tutti i fatti riguardanti la religione; facevano apparire la Chiesa come perpetua avversaria della civiltà, e il Papa come nemico d'Italia.

I teatri a loro volta blandivano le passioni più malvagie; e ciò accadeva ogni giorno. Apertamente, o sotto il velo dell'allegoria, le rappresentazioni gettavano lo sprezzo, la derisione, le calunnie più velenose contro ogni ordine della gerarchia ecclesiastica. Gli eretici e i settari invece comparivano sul palco scenico come eroi, leali, virtuosi, difensori del popolo oppresso.

Quindi non è a stupire se i preti e gli stessi Vescovi erano sovente insultati nelle vie della città. Lo stesso D. Bosco non era risparmiato, e ai fatti già narrati più sopra ne aggiungeremo alcuni altri, fra i molti che accaddero nel corso di vari anni.

Talora gruppi di giovanastri osavano venire a piantare il ballo nel prato innanzi al portone dell'oratorio, e D. Bosco tutto solo andava a mettersi in mezzo alle coppie di ballerini. Avrebbero forse desiderato che desse loro qualche appiglio per attaccar baruffa con parole vibrate ed offensive. Ma D. Bosco li invitava così amorevolmente a ritirarsi e a non disturbare le sue funzioni già incominciate, che non osavano contraddirlo. Cercavano bensì d'insistere, benchè debolmente sul loro preteso diritto, trovandosi su pubblica strada, e facevano ancora qualche giro di contraddanza, ma presto smettevano e andavano altrove. Chi dava a D Bosco tanto potere su quelle anime ineducate?

“ Talvolta, narrava D. Rua, accompagnandolo per le vie, o piazze della città, lo vidi insultato da monelli piccoli e grandi. Egli ciò sopportava con tutta pazienza; se poteva indirizzar loro qualche buona parola, lo faceva. Ma se per la distanza, per la trista genia degli insultatori e per altre circostanze non poteva, continuava con tutta calma la sua strada senza palesare alcun risentimento ”. Brosio Giuseppe aggiungeva: “ Quando passava D. Bosco sul corso, ora detto Regina Margherita, una turba di piccoli barabba insultava sempre il prete, colmandolo d'ingiurie poco decenti o cantando canzonacce schifose. Un giorno che io lo accompagnava pel viale, ecco odo vociare i soliti insulti, tali che avrebbero irritato lo stesso pazientissimo Giobbe. Io fremeva nel vedere tanta sfacciataggine e avrei voluto fare una distribuzione di scappellotti. E D. Bosco tutto tranquillo non se ne dava per inteso. Anzi si fermò e chiamò a sè quei giovani, che, dopo breve esitazione accorsero; ed egli dopo averli ammoniti amorevolmente e con poche parole, comperò da una fruttivendola, che sedeva ad un banco là vicino, delle bellissime pesche, e di queste regalò tutti quei ...suoi amici, come li chiamava egli ”.

Con altre villanie cercavano i malevoli di recargli sfregio. Una sera sull'imbrunire D. Bosco e D. Giacomelli ritornando a casa erano giunti nel viale di Gelsi che metteva alla Giardiniera. A un tratto D. Bosco si ferma, perchè aveva posto il piede nell'immondezza che ingombrava tutta la via. Nello stesso tempo alcuni, nascosti dietro alle siepi, grugnivano, schernendolo, e con ciò chiaramente manifestavano aver essi disposto appositamente quello sconcio. D. Bosco alzò la testa e si volse da quella parte donde continuavano i grugniti. D. Giacomelli gli disse: Non curarti di chi ti sprezza.

 - No: rispose D. Bosco: sono sul mio terreno! E impose a quei mascalzoni che tacessero. - D. Giacomelli temeva che scoppiasse una tempesta di osceni improperi e invece nessuno zitti. Null'altro udissi che il calpestio sul terreno dei piedi di molti che fuggivano precipitosamente.

Altre volte turbe di questi giovani, i quali non frequentavano l'oratorio, venivano ad assalirlo con una tempesta di sassate, che facevano cupamente ripercuotere la porta del cortile: e sorpassando il muro venivano a cadere fra quelli che si divertivano con grave loro pericolo. D. Bosco, il quale non conosceva paura o debolezza quando si trattava della difesa dei suoi allievi, volendo far cessare quel disordine, si avviava per uscire. Giuseppe Buzzetti si sforzava a trattenerlo, dicendogli che lasciasse fare a quei malviventi, poichè si sarebbero stancati, ma che non si esponesse ai loro colpi. D. Bosco però non cambiava risoluzione, e aperta la porta, dopo aver comandato che nessuno lo seguisse, tutto solo si avanzava contro il grandinare dei ciottoli e andava a rimproverare quei bricconi. Si notava con meraviglia che nessuna pietra lo colpì in queste arrischiate circostanze, e quando era giunto presso a quella turba, o tutti si davano a fuga precipitosa, ovvero aspettandolo e deponendo i proiettili si lasciavano persuadere a desistere da quell'oltraggio. Ciò fatto D. Bosco andava a sedersi sopra le zolle di un solco, nel luogo ove ora sorge la Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, quasi sentinella, per osservare che i nemici non ritornassero. Ed ecco a poco a poco molti di quei monelli avvicinarsi a lui e con grande attenzione e diletto ascoltare quanto egli amorevolmente incominciava a dir loro.

Tutta questa ragazzaglia era certamente spinta alle offese da quanto udiva ripetere nelle case e nelle piazze dagli adulti; e fors'anche dalla malignità degli emissari protestanti. Ma chi non mai cessava di rinfocolare questi odi erano i giornali anticristiani, che mettevano sotto i piedi ogni autorità divina ed umana. I loro assalti contro la Chiesa, il culto cattolico, e gli ordini religiosi erano seduttori, furiosi e quotidiani. I fogli umoristici erano pieni di sacrileghe caricature. I briganti della penna non rispettavano nè il segreto personale, nè il santuario domestico, nè le opinioni più giuste, nè l'onore più immacolato; nulla insomma vi era di santo e venerando che non fosse da loro trascinato nel fango ed esposto con vile maldicenza al ludibrio della moltitudine. Per sommuovere la pubblica opinione contro Mons. Fransoni, continuavano a stampare infamie contro di lui che era lontano, e asserivano che coi tesori della sua chiesa aiutava i nemici del Re. D. Bosco stesso non era e non fu mai risparmiato dai maligni articoli della “Gazzetta del Popolo” e del “Fischietto”, i quali solevano chiamarlo in modo derisorio, il Santo, il taumaturgo di Valdocco, e con tali titoli esprimevano già il concetto in cui era tenuto dalla parte migliore del popolo.

I Vescovi avevano presentata al Ministero un eloquente protesta contro la licenza della stampa e gli insulti che si recavano alle cose e alle persone religiose, alla fede ed alla morale. Se non chè i Ministri non se ne diedero per intesi e nel Senato e nella Camera l'annunzio e la lettura della protesta venne accolta con sbadigli, mormori e sogghigni. Così erano state schernite altre istanze dei Vescovi, che invocavano eziandio lo Statuto e le leggi vigenti.

Quali armi dunque restavano per combattere una colluvie di tanti mali? Opporre una stampa buona alla stampa cattiva. Ben disse più tardi Mons. Katteler Arcivescovo di Magonza che se S. Paolo vivesse ai nostri giorni, si farebbe giornalista. E così avevano incominciato a fare i generosi scrittori de 'L'Armonia'; ma questa lotta divenne ben presto troppo ineguale. Quelli della parte avversa erano assai più numerosi, più audaci e sostenuti da persone di Governo. Sorsero in quel tempo, ma pochi, altri giornali cattolici; “Il Conciliatore”, “L'Istruttore del Popolo”, “Il Giornale degli operai” e “Lo Smascheratore”; senonchè per varie ragioni quasi tutti dovettero cessare, e alcuni di questi per difetto di lettori.

La causa principale però della poca diffusione dei giornali cattolici fu che il giornalismo liberate aveva pel primo preso possesso, e da tempo, di un terreno incontrastato, e proprio nel momento nel quale il popolo attendeva ansiosamente notizie politiche che coinvolgevano tanti interessi, e i bollettini di una guerra per la quale non vi era quasi famiglia, che non avesse veduto partire come soldato qualcuno dei suoi cari. Quindi i fogli di quei giornali andavano a ruba, mentre la febbrile e organizzata attività dei loro commessi li diffondeva in ogni parte del regno sardo. Nella loro astuzia avevano preveduto tutto il vantaggio che potevano ottenere, per i loro fini. Il poco vigore intellettivo che si trova nella maggior parte degli uomini, fa che la moltitudine non pensi comunemente da sè, ma pensa e giudica con l'altrui cervello, parla con l'altrui lingua, e, naturalmente boriosa della propria indipendenza e autonomia, lasciasi abbindolare e condurre dall'articolista, i cui pensieri comprò sulla piazza per un soldo. Ed ecco perchè l'empietà di questi pensieri, frammischiata alle eccitate passioni di vario genere e ad un affetto pagano di patria, formava un'opinione pubblica favorevole ai mestatori.

Ma D. Bosco sempre intento a procurare in ogni modo la salute delle anime e specialmente il benessere morale e religioso della gioventù, volle venire in soccorso del giornalismo cattolico. Siccome il giornale “L'Armonia” sembrava più adatto alle persone adulte ed intendenti dei pubblici affari, così egli ideò un periodico il quale potesse attrarre le simpatie della classe meno colta dei cittadini. Fattisi per tanto alcuni collaboratori, fra cui il Teol. Carpano e il Teol. Chiaves e formata con essi una Commissione, annunziò il programma di un giornaletto, politico-religioso intitolalo “L'Amico della gioventù”, e destinato ad essere giornale di famiglia. Vi aveva apposto anche il titolo di politico, poichè il titolo solamente di religioso non era tale in quel tempo da allettare coloro per i quali il giornale era scritto. Questo doveva uscire in luce due volte alla settimana e D. Bosco ne sarebbe stato il Direttore gerente responsabile. I tipografi Giulio Speirani e Giacinto Ferrero l'avrebbero stampato a loro conto, nella loro tipografia sarebbe posta la sede della Direzione e i membri della Commissione riceverebbero una tangente mensile. Per sopperire alle prime spese di stampa, con una circolare agli Ecclesiastici, della quale non abbiam potuto ritrovar copia, mandò attorno nelle diocesi di Torino, Ivrea, Asti, Vercelli schede di associazione per azioni. I suoi amici parroci, e altri esimii sacerdoti le firmarono, obbligandosi a pagare una data somma da essi stessi determinata. Questa scheda doveva rimandarsi alla direzione del giornale non più tardi dei primi giorni del febbraio 1849; non furono però molte le azioni sottoscritte, e si raccolsero circa 800 lire, che pareva dovessero bastare per dar vita al foglio. Fra i principali sottoscrittori noi troviamo il Can. Chioccia Gio. Francesco di Trino Vercellese, il Can. Porliod Luigi Penitenziere nella Cattedrale d'Aosta, il Can. Calosso Francesco Maria della collegiata di Chieri ed il Teol. Bottino G. B. Priore e Vicario Foraneo a Bra. Il giornale, nel primo trimestre del 1849 contava 137 abbonati; i lettori furono però molti di più, poichè D. Bosco ne faceva una larga distribuzione fra i suoi giovani. Il Ch. Savio Ascanio ed altri ci raccontarono come trovassero utile, e leggessero volentieri quel periodico. D. Bosco scrivendone gli articoli, trattava della politica in generale, cioè della storia contemporanea, schivando dall'entrare in questioni speciali che interessassero il Governo; narrava fatti edificanti: prendeva di mira gli errori del giorno e non dubitava di nominare, con nota di biasimo, quel giornali che riuscivano più micidiali. Contro la “Gazzetta del Popolo” erano il più delle volte diretti i suoi scritti col titolo: “Granciporri della Gazzetta del Popolo”, coi quali rispondeva alle sue infamie blasfeme contro Gesù Cristo, la SS. Eucaristia, la confessione, il Rosario e l'esistenza dell'inferno; alle sue diffamazioni contro i preti, i Vescovi e i Papi, e al suo sacco nero ove si raccoglievano le spazzature e le immondezze della maldicenza e della calunnia. “L'Amico della Gioventù” in quei primordi fece molto del bene, perchè, oltre a trattare argomenti istruttivi e conformi al bisogno, impediva ai suoi giovani di ricorrere, per attingere notizie, ai giornali cattivi e d'imbeversi di massime perverse. D. Bosco portava il maggior peso dello scrivere, dell'amministrazione e della corrispondenza epistolare. Quantunque avesse i collaboratori, egli pensava a tutto, ordinava, tutto, ogni cosa passava per le sue mani, correggendo egli le stesse bozze di stampa.

Da tre mesi il giornale era regolarmente distribuito, ma nel secondo trimestre il numero degli abbonati non era più che di 116. D. Bosco cercò ad ogni costo di sorreggere questo suo “Amico della Gioventù”, e con una seconda circolare si rivolse ai ricchi Signori sia della città come delle province.

 

 

Illustrissimo Signore,

 

La libertà di stampa, il mischiarsi che fanno alcuni giornali nelle cose di religione per disonorarla e vilipenderla, persuadono la grande necessità di periodici religiosi da contrapporsi agli insidiatori delle verità.

Per questo scopo corre il terzo mese che 'L'Amico della Gioventù' con nostra piena soddisfazione vede la luce. Ma il bisogno che l'antidodo contro l'irreligiosità, non solo alla gioventù, ma ad altre classi di persone venga esteso, ci ha risoluti di ridurlo in modo che possa essere l'amico di ogni famiglia cattolica.

A questa intrapresa sono necessarie molte spese, a cui non bastando il numero delle associazioni, invitiamo V. S. Ill.ma a volerne prendere parte colle azioni.

Esse sono di varie qualità: di 20, di 50, e di 100 franchi, secondo il buon volere e le facoltà dei contribuenti. L'azione si pagherà in quarto coi finire del corrente mese. Il resto si pagherà a trimestre anticipato. Appena il giornale sarà propagato in modo che gli abbonamenti sopperiscano alle spese, V. S. avrà rimborso di quanto ha anticipato, con abbonamento gratis, con l'aggio corrispettivo che risulterà dal giornale.

Il noto zelo di V. S. Ill.ma, che procura tanti vantaggi al suo popolo, l'amore che si palesa per tutto ciò che riguarda alla religione, ci fanno sperare la sua potente cooperazione in questa nostra determinazione, che tutta si rivolge al mantenimento del buon costume ed alla conservazione della religione.

Ella potrà aiutarci non solo colle azioni, ma anche coi promuovere il Giornale, pel che Le inviamo alcuni numeri del Giornale da proporsi a quelle persone, a cui potranno tornare graditi gli sforzi di chi si propone, per unico compenso delle sue fatiche, la conservazione ed il solo progresso della Cattolica Religione.

Pregandole intanto dal cielo ogni bene, ci reputiamo a grande onore di poterci dichiarare.

 

Di V. S. Ill.ma

Per la Direzione

Umilissimo servitore

D. Bosco Giovanni

 

 

P.S.: Gli azionisti della città sono pregati di rimandare la bolletta sottoscritta alla Direzione presso i tipografi editori del giornale  in provincia per la posta.

 

 

Questa circolare non ottenne quello che dai membri della Direzione si sperava, perchè molti cattolici non erano ancor convinti della necessità permanente di buoni giornali. Tuttavia D. Bosco non si perdeva d'animo; i lettori non mancavano e passavano oltre il migliaio; mancavano però i fondi e scoraggiati incominciarono a negar la loro mano e a ritirarsi i suoi collaboratori. “L'Amico della gioventù” aveva ormai distribuito il suo 61° Numero, e questo doveva essere l'ultimo. Dopo otto e più mesi di vita propria, fruttuosa, indipendente, il buon giornaletto era stato fuso con “L'Istruttore del Popolo”, altro periodico che non mancava di buon volere e di lettori. Sorto nel febbraio 1849, diretto da certo De Vivaldi, avendo fra i suoi scrittori il Teol. Giuseppe Berizzi, “L'Istruttore” accettò fra i suoi abbonati quelli de “L'Amico della gioventù”. D. Bosco per altri quattro o cinque mesi assistè alla compilazione di questo secondo giornale, perchè importavagli che mantenesse il buono spirito e sostituisse presso i giovani degnamente “L'Amico della gioventù”. Egli ciò fece eziandio perchè erasi prefisso di sostenere l'Autorità del Papa, finchè il Pontefice fosse rimasto in Gaeta, e smise appena Pio IX fu rimesso dai Francesi sul trono apostolico. Il suo ritirarsi fu causa di sventura a “L'Istruttore”, perchè questo, mutato poi indirizzo e direttore, cadde in mano di scrittori liberali.

D. Bosco edotto dalle peripezie incontrate nella Direzione di questo giornale, aveva sentito ben presto non aver la Divina Provvidenza destinato a lui stabilmente l'ufficio di giornalista. Vide come questo minacciasse d'incagliare le altre sue occupazioni, poichè troppo tempo doveva dare alla lettura ed allo studio di materie disparate: come quelle di economia politica di giusto pubblico, e di apologia cattolica. Intese come in quei tempi bisognasse che il giornalista cattolico, se non voleva seguire le massime dominanti del giorno, fosse pronto ad andare incontro all'eventualità di essere condotto dinnanzi ai tribunali, condannato a pagare grosse multe, ed anche ad essere rinchiuso nelle carceri della cittadella. D. Bosco non voleva assolutamente partecipare all'errore, e non poteva arrischiarsi ad un pericolo che avrebbe compromessa la sua primaria missione. Infatti “Lo Smascheratore”, succeduto al “Giornale degli Operai”, propugnando con molta vivacità ed arguzia la causa cattolica, ebbe nel l'aprile 1849 il Primo processo di stampa a cui siano intervenuti i Giurati. Riconobbe dunque non essere cosa prudente crearsi dei nemici spietati, poichè le polemiche coi giornalisti irreligiosi erano inevitabili e la “Gazzetta del Popolo” per le sue segrete e palesi aderenze aveva tale potenza da imporre la sua volontà allo stesso Parlamento ed al Senato. Purtroppo ei prevedeva che non gli sarebbero mancati avversari da combattere con una lotta si può dire all'ultimo sangue, che avrebbe sul principio dovuto sostenere quasi da solo e questi erano i Protestanti. Lasciando però la carriera giornalistica aveva la consolazione di veder discendere da Superga, alunno di quell'Accademia, l'impareggiabile Teol. Giacomo Margotti, capace a tener fronte vittoriosamente alla rivoluzione do­minante. Egli per ben trentanove anni, prima scrittore e Direttore de “L'Armonia” e poi fondatore de “L'Unità Cattolica”, avrebbe, colla dottissima sua penna, sostenuto non solo l'onore del Papa, ma acceso vieppiù un affetto intenso verso di Lui, verso la Chiesa e i suoi sacri diritti nel cuore degli Italiani. Egli combatterà la rivoluzione con suoi stessi precedenti, colle sue confessioni, colla vita dei suoi uomini che ben conosceva, e colle stesse sue armi, rendendo così più efficaci, attraenti, invincibili le meravigliose polemiche del proprio giornale, e questo non tarderà ad avere una diffu­sione di trenta e più mila esemplari al giorno.

Confermavano intanto D. Bosco nel suo proponimento le ristrettezze finanziarie e le noie cagionategli dalla cessazione dei suo giornale; e noi anche di queste ne faremo un cenno, perchè si conosca come D. Bosco si diportasse in questioni pecuniarie.

Egli credeva fosse saldato ogni suo debito verso i tipografi: quand'ecco giungergli da questi Signori una lettera colla quale era, invitato a pagar loro 1039 lire per le spese di stampa e di più altre 131 alla posta per le spese di affrancamento. D. Bosco si trovò in grave imbarazzo. La Commissione del giornale “L'Amico della gioventù” si era sciolta, persuasa che fosse cessata ogni sua obbligazione. “L'Istruttore del Popolo”, che aveva ricevuta la successione dell'Amico, mutando direzione rifiutava un debito che non credeva aver contratto. D. Bosco rimasto solo chiese spiegazioni e aperse trattative. Un migliaio e più di lire non era una somma indifferente per chi viveva in penuria di tutto, e se D. Cafasso non venne in suo aiuto è indizio certo che per lo meno non emergeva chiaro un suo dovere di giustizia. Finalmente il 20 agosto 1852 i tipografi per mezzo di usciere chiedevano a D. Bosco il pagamento intiero della somma pretesa, poichè egli era stato Direttore gerente de “L'Amico della gioventù”.

D. Bosco, per accomodare le cose pacificamente prima che incominciasse la lite avanti ai Tribunali, così scriveva al Tipografo:

 

 

Pregiatissimo Signore,

 

In seguito alle parole tenute con V. S. pregiatissima ed alle citatorie comunicatemi pel noto affare del giornale, ho parlato coi membri della Commissione, i quali sul principio fecero alta meraviglia; ma fatte loro vedere le citatorie mi fecero vari riflessi.

1° Desiderano di vedere quali siano state le condizioni del contratto, e da qual tempo sia stato convenuto che fosse a nostro e a loro conto il giornale.

2° L'aver detto nulla nella fusione del giornale nostro con “L'Istruttore”, aveva fatto ad essi giudicare che l'entrata avesse pareggiato l'uscita.

3° Reclamano la mensile tangente convenuta quando il giornale era a conto della tipografia - parecchi proclami stampati e venduti di cui non si fa cenno - l'entrata del giornale dal 20 marzo fino alla cessazione del medesimo - i vaglia postali da me segnati e a lei affidati; delle quali cose non se ne fa cerino.

Questi sono i riflessi della Commissione. Io non saprei che dire nè che opporre.

Lasciando poi in disparte quanto sopra e parlando pel mio particolare da amico ad amico, per togliere ogni occasione di perdere l'amicizia e la carità, stimo bene di prescindere da qualsiasi ragione pro e contro ed offrirle di mia borsa la somma di franchi 200, con cui non intendo vengano per nulla lese le pretensioni che si possano avere verso gli altri membri della Commissione. Questo faccio perchè mi rincresce assai, dopo dodici anni che trattiamo insieme con reciproca soddisfazione, perdere la buona relazione con dispiaceri d'ambe le parti. Pensi che cosa vuol dire al povero D. Bosco pagare franchi 200!

Voglia intanto gradire i sentimenti della mia stima e con­siderazione con cui, in attenzione di qualche riscontro, mi dico

D. V. S. Pregiatissima

Da casa, 15 ottobre 1852.

Devot.mo servitore

Sac. Bosco Giovanni.

 

 

P. S. La prego altresì a volermi trasmettere nota dei libri ivi da me presi e di altre cose che mi riguardano dalla Ditta Speirani e Tortone.

 

 

Il tipografo non ammise queste ragioni e non accettò l'offerta; ma infine il 2 marzo 1854 venne a composizione, e D. Bosco pagava lire 272, compresi i 132 franchi dovuti alla Direzione delle Regie Poste. Nulla avendo più di suo, era fedele amministratore di quanto il Signore gli faceva pervenire per le sue opere e per i suoi giovani; ne sosteneva con fedeltà e costanza i diritti, impediva che loro ne venisse danno, senza badare al proprio incomodo; ma nello stesso tempo con suoi modi affabili sapeva conciliare le ragioni della giustizia con quelle della carità.

In ultimo noteremo come dai fatti suesposti D. Bosco ricavasse un grande ammonimento, che ripeteva sovente ai suoi discepoli, cioè che il giornalismo, specialmente quello che tratta in qualsivoglia modo di politica, non era il loro campo di azione. Egli su questo punto aveva scritto un articolo proibitivo nelle Regole della sua Pia Società, che venne però tolto dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, non già perchè la Chiesa si opponesse a siffatta prescrizione, ma perchè essendo enunciata in un modo troppo generale, si sarebbero dovuto aggiungere spiegazioni che la prudenza in quel momento sconsigliava. Tuttavia D. Bosco ripeteva continuamente essere sua ferma intenzione che i Salesiani si tenessero sempre estranei alle lotte politiche, non avendoci il Signore chiamati per questo, ma sebbene per i giovani poveri ed abbandonati. Nella Chiesa non mancano coloro che sanno trattare valentemente queste ardue e pericolose questioni, e in un esercito vi sono quelli destinati a combattere e quelli destinati ai bagagli, alle guardie del campo, agli scavi delle parallele e ad altri uffizi egualmente necessari per cooperare alla vittoria.

D. Bosco però benchè nel 1850 si fosse ritirato dal campo giornalistico si era assunta la missione di far propaganda per i fogli cattolici, ma senza destar rumore. Nelle botteghe da caffè non si trovavano che giornali pessimi, ed il rispetto umano impediva che i padroni provvedessero gli avventori di fogli cattolici. D. Bosco dunque, e più sovente altra persona mandata da lui, incominciava ad andare tutti i giorni in un caffè, e bevendo la sua tazza, chiamava il garzone e chiedeva gli fosse portata “L'Armonia” o “La Campana” per le notizie del giorno.

 - Non l'abbiamo - rispondeva il garzone.

Il secondo giorno e il terzo domandava lo stesso giornale facendo le meraviglie che in un ritrovo tanto reputato non vi fosse un giornale che aveva tanti pregi; e così continuava per settimane intiere, finchè il padrone prendesse l'abbonamento a quel foglio per contentare gli avventori. Dopo un mese o due mesi prendeva a frequentare un altro caffè, facendo lo stesso giuoco finchè si fosse assicurato che anche qui l'associazione al buon giornale era stata presa per un anno. A questo modo introdusse giornali cattolici nella maggior parte dei caffè i quali trovando sempre lettori che li richiedevano, continuarono a comparire su quei tavolini. Così non andò molto, che grazie quest'arte, ebbero facile accesso nei pubblici ritrovi, nelle locande, ed anche nei negozi; e fu un benefizio incalcolabile per Torino, dove la stampa massonica e rivoluzionaria aveva innalzato le principali sue tende.

D. Bosco però, tolti i casi nei quali era conveniente aver cognizione di qualche fatto importante, astenevasi dal leggerli e consigliava i preti e i chierici a fare altrettanto, dicendo: “ Tale lettura toglie gran parte del tempo agli studi severi, volge l'animo a molte cose inutili e per certuni anche dannose e accende le passioni politiche ”. E ricordava eziandio l'avviso di D. Cafasso ai preti del Convitto: “ Non vorrei che si leggessero giornali andando a passeggio. E ciò ancorchè si tratti di giornali buoni, perchè il mondo non distingue e dice: - Ciascuno legge i giornali del suo partito; - e se vedono in mano a voi “L'Armonia” e “La Campana”, credono a sè lecito leggere “La Gazzetta del Popolo” ed “Il Fischietto”.

 

 

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