Capitolo 44

Il ginnasio inferiore nell'Oratorio - Impressione che fa Don Bosco su due nuovi alunni - Gli studenti dei Cottolengo alle scuole di D. Bosco - La classe elementare diurna degli esterni -Sermoncini: Dio vuole tutti salvi - Predica sui libri cattivi - Letture Cattoliche - Giudizio autorevole sull'operosità di D. Bosco - Morte del Direttore dell'Oratorio di S. Luigi, e conseguenze.

Capitolo 44

da Memorie Biografiche

del 29 novembre 2006

 A meta’ dell'ottobre 1856 gli alunni dell'Ospizio salivano già al bel numero di 150. In quanto agli studi, nell'anno scolastico 1856 e 57, il Chierico Francesia continuò a reggere la classe di terza ginnasiale e il professore secolare Blanchi, che prestavasi gratuitamente, fu posto ad insegnare alle classi riunite di prima e seconda ginnasiale. Questo professore patentato era una conquista che D. Bosco aveva fatto andando a predicare nel luglio a Foglizzo, invitato dal Prevosto Alberti Matteo, dove dopo quaranta e più anni era ancor viva la memoria della sua predicazione. Tutto il ginnasio inferiore era dunque ritirato nell'Oratorio e solo gli alunni di umanità e retorica continuavano a frequentare le lezioni del Prof. D. Picco. Con questi venne mandato, sembrando meglio in salute, Savio Domenico; e D. Picco, che aveva già più volte udito a parlare delle belle doti che adornavano questo giovinetto, lo accolse gratuitamente nella sua scuola di umanità.

   Tra i giovani entrati nell'Oratorio erano stati iscritti fra gli studenti: Ghivarello Carlo, Cibrario Nicolao, Cerruti Francesco, Bongiovanni Domenico e Boggero Giovanni.

   Due di questi tennero memoria delle impressioni provate entrando nell'Oratorio. Scrisse Cerruti Francesco: - Quando agli 11 novembre 1856 entrai nell'Oratorio di S. Francesco di Sales come studente di seconda ginnasiale, e mi trovai in mezzo a 169 alunni interni, ricordo sempre che mi fece grande sorpresa la vista di D. Bosco. Mi pareva dì trovare in lui alcunchè di diverso, dirò meglio, alcunchè di più di quello che conosceva fino d'allora negli altri preti. La persuasione mia fu quella di moltissimi miei compagni, cioè che D. Bosco fosse una persona straordinaria e santa; e crebbe vieppiù in me, quando potei conoscerlo da vicino, godere della sua conversazione, sentire i suoi consigli individuali e pubblici, e soprattutto quello che mi diceva nella confessione, mirante sempre alla gloria di Dio ed al bene dell'anima mia mediante la frequenza della SS. Comunione. Ammirava poi la sua umiltà nello scegliere che egli faceva a speciale oggetto delle sue cure i fanciulli dell'Oratorio festivo più poveri, cenciosi, senza educazione civile, spesso luridi e pieni d'insetti. Per me ricordo, e fu la prima e più forte impressione che ricevetti, quando entrato nell'Oratorio, andai con altri esterni a confessarmi da lui e lo vidi circondato da una quantità di questi tali, l'uno dei quali puzzava orribilmente. E pareva che egli ci godesse a trovarsi in mezzo di loro. Lo vidi tener da solo intorno a sè nei giorni festivi, e talora anche nei giorni feriali, centinaia di fanciulli discoli ed indisciplinati, riducendoli poco per volta e facendoli buoni e ferventi cristiani. Egli amava particolarmente e si compiaceva di chiamarsi capo dei biricchini di Torino. Per allettarli a venire all'Oratorio li attirava co' bei modi ovunque li trovasse; e colle scuole serali, coi divertimenti, colla musica, coi teatrini, con refezioncelle, col donar loro dei dolci; e con giuochi di prestigio e di destrezza che egli medesimo faceva, li allontanava dai vizi, li guidava alla virtù e alla frequenza de' sacramenti: al qual fine egli stesso si prestava indefessamente. Non si mostrava mai stanco ed annoiato, anzi presentavasi sempre gioviale e di buon umore ai ragazzi che la Provvidenza affidavagli. Aveva eziandio così poca cura di sè e della propria sanità, che molte volte colla febbre indosso continuava le sue ordinarie occupazioni, i catechismi e le prediche, come avrebbe fatto un sano ”.

    Aggiungiamo a questa testimonianza quella di Bongiovanni Domenico. “ Incominciai a frequentare l'Oratorio festivo nel 1852 e l'Ospizio nel 1855. Nel 1856 chiesi a D. Bosco che mi accogliesse nell'Ospizio. Egli non potendo subito accontentarmi per mancanza di posto mi permise di venire a scuola. Intanto fin dal primo abboccamento, mi raccomandò di fare una novena in preparazione della confessione generale e specialmente per conoscere la volontà di Dio sulla mia vocazione. Vari mesi dopo entrai definitivamente nell'Oratorio e a suo tempo fui studente della seconda ginnasiale, Prima che l'anno scolastico giungesse al suo termine, i miei compagni, tra studenti ed artigiani, furono più di 200. Io ammirava D. Bosco perchè sempre tranquillo, paziente ed ilare. Si diceva che D. Bosco fosse di naturale focoso ed altero; a me pareva invece che avesse sortito un'indole naturalmente buona e mite, per cui avrebbe dovuto violentare se stesso per fare un atto di impazienza ”.

   Le cose dunque dell'Oratorio stavano ben ordinate, tanto più che la sola presenza di D. Bosco era per tutti una predica continua ed un eccitamento al bene; e per gli studenti si era aggiunto un potente stimolo di emulazione.

   Il Can. Anglesio, che in quel tempo ancora non aveva professori sufficienti al bisogno, rincrescendogli di mandare i suoi giovanetti alle scuole in città, pregò D. Bosco che li volesse ricevere nelle sue classi all'Oratorio; e Don Bosco acconsentì di tutto buon grado. Quindi dal 1856 sino al 1859 in ogni giorno di scuola, mattino e sera, buon numero di quei giovani venivano nelle ore determinate alle nostre classi, e frammisti coi nostri udivano le stesse lezioni, gareggiando nello studio e nella morale condotta. Tutti si ricordano come fossero alcuni di grande ingegno. Alla fine dell'anno scolastico si faceva la distribuzione dei premi, procurati da ambe le parti. Alla festa, rallegrata dal canto e dal suono della musica, intervenivano sempre parecchi personaggi ragguardevoli, i Direttori dei due Istituti e vari dei loro benefattori. Molti dei nostri condiscepoli dell'Ospizio del Cottolengo fecero in appresso splendida riuscita: alcuni divennero Vescovi, altri sacerdoti esemplarissimi in diocesi, altri missionari zelanti, sicchè D. Bosco fin d'allora si può dir benemerito delle lontane Missioni; ed altri, presa diversa carriera, o conseguirono importanti impieghi civili, o si segnalarono nelle file dell'esercito.

Conserviamo un caro ricordo manoscritto di questi primi condiscepoli, educati nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, col quale essi dimostrano la loro riconoscenza al professore dell'Oratorio.

 

Per l'ultimo giorno dell'anno scolastico 1857, 10 luglio, al Reverendo Chierico Giovanni Francesia maestro di III Grammatica.

 

Se in questo desiato giorno, e per noi felice, ci sentiamo allegro il cuore, e quasi direi balzante di gioia, ed ebbro di lieta speranza che buono voglia essere l'esito del prossimo esame, chi riputar dovremo autore di questa nostra gioia, e speranza se non te, o nostro benignissimo Professore? E per verità noi per mezzo di te, e mercè la tua pazienza, della quale quantunque indegni, tuttavia finora ci tocca di farne le più alte meraviglie, noi, dico, arricchimmo la mente nostra di moltissime e tanto necessarie cognizioni, per tua mercè apprendemmo lo studio di latinità ed altro ancora, noi da te insomma abbiamo ricevuti benefizi tali e sì grandi, che ci protestiamo incapaci affatto di rendertene in terra le dovute grazie, ma solo potremo, come protestiamo di fare, porgere all'altissimo Iddio calde preci che voglia una volta accoglierti nel suo beato seno, e colassù darti il premio degno delle tue grandi fatiche, per non  sopportate. In tali termini adunque essendo lo stato delle cose nostre, non dovremo noi essere gioiosi ed allegri in questo giorno si felice? Egli è bensì vero, che tristo dovrebbe riuscire quest'ultimo giorno dell'anno scolastico per la lunga nostra separazione; ma la ferma speranza che la tua benignità vorrà verso di noi mostrare indulgenza amorosa, questa, o amatissimo nostro Professore, tien lungi dalla nostra mente ogni triste pensiero. Ci riputiamo indegni della tua benevolenza e carità verso di noi, ma tu, degnissimo Professore, la cui pazienza non mai stanca pel nostro progredimento ci arrecò tanti e sì grandi vantaggi, tu, dico, saprai anche perdonare là, dove potrà certamente esser colpa per parte nostra e volgere in tanto amore e carità quel castigo che da noi si meriterebbe. Noi siamo certi che il tuo buon cuore pieno di ardente carità, vorrà esserlo massimamente allora quando solo da te penderà il nostro felice esito, ed allora spiccherà, qual fiore che sul mattino di primavera sorge verdeggiante, verso di noi la tua grande benignità. Ti auguriamo per tanto prospere ed allegre queste vacanze e speriamo che in questa vita ancora il Signore premierà il tuo ardente zelo pel nostro vantaggio.

 

Offerta di noi discepoli del Cottolengo

 

Nel novembre intanto del 1856 il locale, presso il portone d'entrata destinato ad una scuola elementare diurna e giornaliera, era all'ordine, corredato di ogni attrezzo e mobile necessario. D. Bosco non molto tempo dopo lo apriva ai giovanetti esterni. Era un vero nugolo di ragazzi che accorrevano dalle case dei dintorni. Ne stabilì maestro il giovane Rossi Giacomo nativo di Foglizzo, valente cantore come basso e suonatore di trombone, da lui invitato a venire nell'Oratorio, quando andò a predicare nel suo paese.

  Gli alunni dell'Oratorio andavano dunque moltiplicandosi, come pure quelli dell'Ospizio.

  D. Bosco godeva in cuor suo nel vedere cresciuta la famiglia di tanti giovanetti, tolti dal pericolo del vizio ed avviati sul cammino della virtù; i giovani più antichi, avuti quali primogeniti, godevano ancor essi nel vedere ingrossare le file dei loro fratelli minori; godevano questi nell'aver trovato un asilo sicuro e il pane della vita e della intelligenza; godevano tanti parenti nel sapere bene istruiti ed educati i loro raccomandati e ne esprimevano la più viva riconoscenza; godevano anche dal canto loro i benefattori e le benefattrici nel mirare il buon risultato della loro carità. Eziandio il Can. Lorenzo Gastaldi, venuto in patria nel 1856 per alcuni giorni, come soleva fare di quando in quando, ammirava D. Bosco, si congratulava con lui, e lo eccitava a proseguire nella mirabile sua intrapresa.

Ma lo stimolo più forte era sempre la carità, e Don Bosco in questo mese colla sua affascinante parola, informava a virtù gli alunni novelli. Reano Giuseppe mise in carta alcuni suoi sermoncini, i quali avevano per scopo di incoraggiare i giovani nella strada della vita eterna, perchè Dio li voleva assolutamente tutti salvi. “ Tutte le sere della novena della Presentazione di Maria SS. al tempio, dopo le orazioni, perchè le sue parole facessero maggior impressione, interrogava qualcuno dei giovani più grandi e avuta la risposta che desiderava, egli brevemente ne dava la spiegazione.

    ” La prima sera della novena, salito sulla piccola cattedra o sopra uno sgabello, chiamò per nome il Ch. Vaschetti, che molte volte era da lui interpellato, e lo invitò a rispondergli: - Perchè dobbiamo tener per fermo che Dio vuol darci il paradiso? - Il chierico rispose convenientemente, e D. Bosco soggiunse: - Sì! Perchè Dio ci ha fatti nascere in grembo della cattolica religione a preferenza di tanti altri, nati in mezzo a popoli che sono nell'errore. Da parte nostra però è necessario che noi crediamo quanto Egli insegnò alla Chiesa, che osserviamo i suoi comandamenti ed evitiamo tutto ciò che egli ci proibisce, -Quindi esortava ciascuno a dare in questi giorni un'occhiata ai loro anni già trascorsi e riflettere se furono impiegati bene; e voltando poi le pagine del libro della nostra vita, fare i conti e riconoscere se sia stato più il bene o il male.

” Nella seconda sera di nuovo domandava ai giovani:

     - Perchè dobbiamo tener per fermo che Dio vuol darci il Paradiso? - E replicava, avuta la risposta: - Perché non solo fummo da Lui creati e messi in grembo alla Chiesa Cattolica, ma ci diede il battesimo adottandoci per suoi figli. Noi però dobbiamo ricordarci, come per mezzo dei nostri padrini, coi voti battesimali, abbiamo rinunziato al mondo, al demonio e alla carne, e solennemente promesso di essere fedeli a Gesù Cristo ed alla sua Chiesa.

   ” Per sette sere consecutive D. Bosco mosse ai giovani La stessa domanda, e recava le prove essere volontà di Dio la nostra eterna salvezza. - Perchè non solo Dio ci ha fatti nascere in grembo alla Chiesa, ci ha dato il battesimo, ma di più perchè Gesù Cristo ha istituito la confessione, per la quale non una sola volta, non due, non cento, ma molte e molte volte, ed anche migliaia di volte, potessimo riacquistare la sua grazia, se perduta col peccato. Riflettete però non esservi speranza di perdono, se non mediante la sincerità dell'accusa, un vero dolore, un'efficace risoluzione di non più offendere Dio. - Perchè, oltre il detto nelle sere precedenti, Gesù Cristo ci ha meravigliosamente favoriti coll'istituzione della SS. Eucaristia, dandoci il suo corpo per nostro nutrimento e il suo sangue per nostra bevanda: ed egli proclamò: Chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue avrà la vita eterna. Ma non dimenticate per carità che mangia e beve la sua condanna chi si comunica sacrilegamente. - Perchè la seconda persona della SS. Trinità si è fatta uomo per liberarci dalle pene eterne. Ma noi dobbiamo in contraccambio ringraziare continuamente il nostro Divin Redentore, praticare la mortificazione cristiana e rinnegare la nostra volontà rifuggendo dai piaceri della terra per amore di Gesù Cristo. - Perchè Gesù è morto per noi sulla croce, spargendo tutto il suo, sangue per la nostra salvezza, scancellando l'antico chirografo di condanna, e lasciandoci Maria SS. per madre. - Perchè Dio ci amò da tutta l'eternità, ci comandò di amarlo sopra ogni cosa, proclamò esser questo il primo di tutti i comandamenti, ci fece conoscere la carità verso il prossimo essere una cosa sola coll'amor di Dio; e quindi la gloria del paradiso essere la consumazione della grazia. - E soggiungeva: - Non tutti possono digiunare, intraprendere lunghi viaggi per la gloria di Dio, non tutti fare ricche elemosine, ma tutti possono amare. Basta volerlo ”.

  Collo stesso metodo D. Bosco predicava ai giovanetti esterni, adattando le ragioni alla loro intelligenza. I protestanti diffondendo continuamente nel popolo libri perniciosi, il 16 novembre 1856 Don Bosco parlando, dal pulpito dell'Apostolo Paolo, narrava come egli nella città di Efeso facesse bruciare una quantità di libri che contenevano magie e cattivi insegnamenti, per ingannare il popolo e indurlo ad ogni sorta di vizi. Finito che ebbe il racconto, interrogò il Ch. Vaschetti: - Perchè, gli disse, S. Paolo ha fatto bruciare in sulla pubblica piazza una sì gran quantità di libri che avrebbero potuto valere 100.000 lire, invece di venderli e dare quel danaro ai poveri? Oppure perchè non ritenerli custoditi gelosamente presso di sè?

  Vaschetti osservò: - Se quei libri fossero caduti in altre mani, quante persone di più si sarebbero imbevute di tante cose nocevoli alle anime! Perciò S. Paolo credette suo stretto dovere distruggerli. Egli stesso non si fidava di leggere que' volumi pestilenziali. - E D. Bosco gli rispose: - Hai detto bene, perchè se una bevanda venefica può far male a me, farà male anche agli altri; e non c'è vantaggio materiale che compensi un solo danno, morale.

E i giovanetti dell'Oratorio festivo consegnavano a D. Bosco quei libri e quei giornali corrompitori che trovavano nelle loro case o avevano ricevuti in dono, perchè fossero dati alle fiamme. Quanti ei ne distrusse mentre lavorava continuamente alla stampa di buoni libri. Infatti la Tipografia diretta in Ivrea da F. Tea, pel mese di dicembre aveva pronto il fascicolo delle Letture Cattoliche: L'Angelo custode dell'infanzia; pensieri tratti dal libro di Claudio Arvisenet canonico e vicario generale di Troyes. È  un libro che con avvisi ed esempi guida il fanciullo in tutte le sue azioni della giornata e nell'esercizio delle principali pratiche di pietà; contiene anche un ristretto di prove sulla veracità di N. S. Religione, in forma di dialogo, tratte dal vecchio e dal nuovo Testamento; e brevissime preghiere da farsi in diverse occasioni.

   Altri libri D. Bosco andava componendo: quattro tipografie, come abbiamo già notato, lavoravano per lui. Monsignor Bertagna così descrisse l'operosità di Don Bosco:

   “ D. Bosco dava i più luminosi esempi di fortezza col suo continuo attendere ora ad una, ora ad un'altra fatica; e dopo, tosto col riprenderne ancora un'altra, senza darsi riposo mai lungo il giorno; e questo, brevissimo, la notte e non sempre: e quella pazienza con cui spesso tollerava chi per cose quasi da nulla veniva ad interrompergli il suo lavoro, e ciò non una ma tante fiate, sono cose veramente ammirabili. Non si mostrava mai stanco, anche dopo aver passato le notti intere a lavorare, e dava mano a quante occupazioni gli si presentavano e ciò sempre con una tranquillità che ha del prodigioso ”. In eo quod amatur, aut non laboratur, aut labor ipse amatur, dice un gran santo.

Ma in mezzo a tanti lavori e a tanti motivi di gioia, era sopraggiunto una forte ragione di pianto.

Il Teol. Francesco Rossi, Direttore da tre anni dell'Oratorio di S. Luigi Gonzaga a Portanuova, moriva il 5 di novembre nell'età di Solo 28 anni. D'indole vivace e spiritosa, di soda pietà e di molta scienza letteraria, filosofica e teologica, era con tutti allegro, affabile, rispettoso, compiacente e compassionevole. La sua sollecitudine per i giovani pericolanti non ebbe limiti. Prediche, catechismi, istruzioni, confessioni, avvisi, correzioni, tutto metteva in opera per i fanciulli di quell'Oratorio. Ora l'avresti veduto a correre in cerca di un padrone per collocare un ragazzo disoccupato; colà raccomandare sofferenza al padrone, o la diligenza all'artigianello; altrove portare di nascosto cibarie e vestimenta, per impedire le tristi conseguenze della necessità. Nello stesso tempo era sempre pronto a dettare esercizi spirituali, tridui, missioni, novene. Le prigioni, gli ospedali, molti istituti religiosi, la studiosa gioventù, gli stessi quartieri militari furono testimoni del suo zelo e della sua carità. Egli fu un vero cooperatore e imitatore di D. Bosco.

   Ma con tante fatiche la sua sanità aveva finito con affievolirsi; alcuni suoi amici lo pregarono a volersi usare qualche riguardo; ma egli aveva risposto: - Un buon artigiano non deve differire fino a domani ciò che può fare oggi. - Cadde quindi in una lunga e penosa malattia, sopportata con eroica pazienza e che lo toglieva di vita, dopo che ebbe ricevuto con rara edificazione tutti i conforti religiosi. I giovani dell'Oratorio di S. Luigi ne accompagnarono il feretro fino alla tomba, e il 13 del mese Don Bosco volle che nella loro cappella, uniti ai compagni dell'Oratorio di Valdocco, con molte comunioni e una messa funebre in musica ne suffragassero l'anima benedetta l'Armonia del 20 novembre stampava una bella necrologia del Teol. Rossi, scritta probabilmente dallo stesso D. Bosco.

   Ma quanto per lui fu dolorosa questa perdita, tanto più che non trovava chi potesse sostituirlo! Quindi ne seguì un intervallo di un anno in cui nell'Oratorio di San Luigi non fuvvi più Direttore fisso. In quel tempo Don Bosco mandava ogni festa un chierico a Portanuova, il quale lungo la settimana industriavasi di cercare ed impegnare or questo, or quell'altro ecclesiastico della città, che vi andasse a confessare, a celebrare la messa e predicare al mattino; e talvolta un secondo per la predica e funzione della sera. D. Cafasso mandava talvolta anche qualche alunno del Convitto Ecclesiastico. Fra quelli che si prestarono più assiduamente in quel frattempo è degno di speciale menzione D. Demonte. Egli, per la sua età e difetto di parola, non poteva nè predicare, nè confessare; ma vi suppliva col dire la S. Messa, col fare il catechismo, e col provvedere a sue spese premi e trastulli, non che oggetti di Chiesa. Era un santo prete molto ricco, il quale più tardi perdette ogni sua sostanza, per aver prestata garanzia a certi suoi parenti. Ma a lui nè ricchezze nè povertà tolsero mai la pace del cuore, l'amore a Dio, l'attaccamento all'Oratorio e il desiderio di soccorrere il prossimo.

 

 

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