Capitolo 45

Malattia e morte di mamma Margherita - Dolore di Don Bosco e sogno - consolante - Plebiscito - La madre di D. Rua all'Oratorio - Nuova concessione Pontificia per la mezzanotte di Natale - Fine dell'anno - Auguri e preghiere di riconoscenza per una insigne benefattrice - Morte del Ch. Massaglia.

Capitolo 45

da Memorie Biografiche

del 28 novembre 2006

Dopo la morte del Teol. Rossi un più grave dolore pendeva sul capo di D. Bosco. Verso la seconda metà di novembre 1856 cadeva inferma la buona mamma Margherita, la quale aveva tenuto pei giovani il posto delle loro madri, e colla sua bontà, colla sua attenzione e colla sua sollecitudine, loro faceva come dimenticare o di averle perdute o di averle lontane. La sua malattia, che fu una violenta polmonite, fece pregare molto gli alunni per la sua guarigione, li tenne per vari giorni come sospesi tra la speranza ed il timore, e diede loro occasione a dimostrare quanto essi apprezzassero e la sua virtù e l'amore che loro portava. Quasi ad ogni ora, questo o quell'altro dei giovani era alla porta della camera dell'ammalata per averne notizie. Alla sera poi, dopo le orazioni in comune, tutti attendevano con ansietà, o da D. Bosco o da D. Alasonatti, notizie di lei, e niuno si metteva a letto senza averla prima raccomandata alla Vergine Consolatrice.

   La curava con gran diligenza il Dottore Celso Bellingeri, fervoroso cattolico, dotto ed esperto nell'arte salutare, medico dei giovani interni e maestro di scienze naturali ai primi chierici che si preparavano per essere insigniti dei gradi Universitari. D. Bosco gli professava la più affettuosa amicizia e riconoscenza, mentre egli stesso assisteva sua madre colle più grandi premure. Passava tempo notevole presso il suo letto, nulla lasciandole mancare che le potesse riuscire di giovamento, e la confortava con santi pensieri e giaculatorie. Insieme con lui vegliavano e prestavano attento servizio il fratello Giuseppe, venuto in fretta da Castelnuovo, la zia Maria Anna Occhiena e la signora Giovanna Maria Rua.

   Ciononostante il male si faceva gigante, e purtroppo inesorabile. Grande fu l'angustia dei giovani quando udirono che era stato a confessare Margherita il Teologo Giovanni Borel, suo direttore spirituale; immenso il loro cordoglio quando le fu amministrato il santo Viatico.

   Margherita allora si accorse di tutta la gravezza del suo male, e volle dare gli ultimi ammonimenti a' suoi figliuoli. Avuto solo D. Bosco, gli disse: - Quello che ti dico adesso te lo manifesto con quella sincerità colla quale ti parlerei in confessione, perchè tu possa meglio conoscere lo stato dell'Oratorio. Abbi gran confidenza con quelli che lavorano con te nella vigna del Signore, ma solamente in quelle cose che tu sei sicuro essere di gloria di Dio. Sta attento che molti invece della gloria di Dio cercano l'utilità propria. Io debbo partire e lasciare le cose dell'Ospizio in mano ad altri. È  un cangiamento che può avere dispiacevoli conseguenze, ma la Madonna non mancherà di guidare le cose tue. Non cercare nè eleganza, nè splendore nelle opere. Cerca la gloria di Dio, ma abbi per base la povertà dì fatto. Hai vari che amano la povertà negli altri, ma non in se stessi. L'insegnamento più efficace è fare quello che si comanda agli altri. La tua famiglia si conservi nello stato loro proprio, cioè quello di povertà: e ciò farà a loro un gran bene. - Qui entrò a parlare di molte cose confidenziali riguardanti l'Oratorio e in modo così giusto che D. Bosco ebbe a stupire nel vedere tanta perspicacia. Dei chierici Rua, Cagliero, Durando, Francesia gli affermò che sarebbero stati suoi validi e fedeli sostenitori. Di altri gli replicò di non fidarsi. Dei due fratelli Fer... gli disse: - Sta attento che vogliono godere della tua beneficenza quanto potranno e niente più. - In fine si raccomandò alle preghiere di tutti i preti, i chierici, i giovani della casa, e conchiuse che se era ammessa nella misericordia del Signore lo avrebbe incessantemente pregato per l'Oratorio. Quindi parve entrasse in un leggero vaneggiamento ed uscì in parole che sembravano incoerenti. - Presentemente, diceva fissando in volto Don Bosco, tu fai quello che non sai e quello che non vedi; ma lo, vedrai e lo saprai quando avrai preso il lume dalla Stella.

   Si trattenne pure col figlio Giuseppe: - Giuseppe mio, gli disse; io debbo lasciar te e la tua famiglia. Ho sempre fatto quello che ho potuto e parmi che tutti mi abbiano corrisposto. Veglia però che i tuoi figli si conservino nella posizione in cui Dio li ha collocati, a meno che aspirino allo stato religioso od ecclesiastico. Nota bene che nella loro condizione saranno contadini, ma guadagneranno onestamente il pane della vita. Se cangiano stato, sono in pericolo di diventare scialacquatori dello stesso frutto dei loro sudori. Ciò che ti dico adesso, lo esaminerai e ti servirà di norma in molte cose che  ora le mie deboli forze mi impediscono di spiegarti. Tutto quello che puoi, continua a farlo per l'Oratorio. La Vergine ti benedirà e renderà felici i tuoi giorni e quelli della tua famiglia.

   Quando si trattò di munirla coll'Estrema Unzione, ripetè a Giovanni ciò che prima aveagli già detto: - Fu un tempo che io aiutava te a ricevere i Sacramenti di nostra Santa Religione. Ora tu devi aiutare la madre tua a ricevere degnamente questi ultimi Sacramenti della mia vita. Tu mi accompagnerai nel recitare le necessarie preghiere. Io stento assai nel proferire le parole; tu le dirai a voce spiegata, ed io procurerò di ripeterle almeno col cuore.

   Ma giungeva quella sera che doveva essere l'ultima per lei. Don Bosco aveva protratta fino ad ora tardissima la veglia e l'assistenza intorno alla cara inferma; ma era in preda ad un vivissimo dolore. Dall'altra parte del letto stava Giuseppe che, sebbene egualmente amante della madre, riusciva però in quegli istanti a nascondere l'angoscia del cuore. A un tratto la buona madre si volge a D. Bosco e gli dice: - Dio sa quanto ti ho amato nel corso della mia vita. Spero di poterti amar meglio nella beata eternità. Ho la coscienza tranquilla; ho fatto il mio dovere in tutto quello che ho potuto. Forse sembra che io abbia usato rigore in qualche affare, ma non fu così. Era la voce del dovere che comandava ed imponeva. Di' ai nostri cari figliuoli che io ho lavorato per loro, e che porto loro materna affezione. Ti raccomando che preghino anche molto per me e che facciano almeno una volta la santa Comunione in suffragio dell'anima mia. - A questo punto restarono ambedue così commossi, che per un istante il discorso fu interrotto.

Margherita, ripreso un po' di respiro, continuò: Va, mio caro Giovanni; allontánati dalla mia presenza, perchè, troppo mi addolora il vederti, così afflitto, e troppo soffri tu stesso nel vedermi agli ultimi istanti. Addio, caro Giovanni. Ricórdati che questa vita consiste nel patire. I veri godimenti saranno nella vita eterna. Va, ritirati in camera tua e prega per me.

   D. Bosco esitava ad allontanarsi dal suo letto. Margherita gli fissò gli occhi in volto, poi sollevò lo sguardo verso il cielo, quasi volesse dirgli: - Tu soffri e mi fai soffrire; va a pregare che ci intenderemo di tutto nella beata eternità. È  qui D. Alasonati e mi basta.

   D. Bosco, dopo averla caramente salutata, ritiravasi allora nella sua camera, ma non credendo così imminente il pericolo di perderla. Quivi tre volte mettevasi per accendere lume, e questo per tre volte si spegneva da sè.

   Il suo pensiero era corso tosto a quella cara vita che paventava fosse in sullo spegnersi. Riuscito finalmente ad accendere la lucerna, si accostava al letto per coricarsi. Ma ecco strana meraviglia! Il ritratto di sua madre, appeso a fianco del letto, stava rivolto verso il muro. Non era D. Bosco che così l'aveva collocato; a nessuno di quei di casa poteva venire in testa simile capriccio, tanto più che il rispetto affettuoso al superiore non avrebbe permesso un atto così irreverente. Dunque? Colpito da vivo timore non osò più coricarsi. - Temo, disse fra sè, che sia questo un avviso che il Cielo mi manda dell'imminente partenza della povera mia madre per l'eternità. - Quindi ritornava presso il letto della cara inferma. Era circa la mezzanotte.

   La madre accortasi della sua presenza gli fe' cenno di allontanarsi, ma Giovanni rimaneva immobile. Essa insistette: -Tu non puoi resistere! .......

E D. Bosco soffocato dai singhiozzi rispose: - Non è da Aglio affezionato abbandonarvi in questi momenti.

   Margherita stette un istante in silenzio e poi chiamandolo per nome: - Io ti domando un piacere, gli disse; è l'ultimo che ti domando. Io soffro doppiamente nel vederti soffrire. Io sono abbastanza assistita. Tu va, prega per me; non chieggo altro: addio. - Fu l'ultimo saluto.

   D. Bosco si ritirò obbediente alla volontà così espressa dalla madre, la quale dopo pochi istanti entrava in agonia. Era il 25 di novembre. Alle 3 antimeridiane D. Bosco, che non si era coricato, udì il passo di Giuseppe che veniva alla volta della stanza. La pia donna era volata al cielo. I due fratelli si guardarono l'un l'altro senza proferir parola, e poi diedero in un pianto dirotto, che schiantava il cuore a diversi alunni, chierici e laici, i quali avevano seguito Giuseppe.

   E i giovani? Nessuna penna potrebbe mai descriverne il dolore, i singhiozzi ed il pianto, quando ricevettero il fatale annunzio che la madre di D. Bosco e la madre loro non era più. Ma D. Bosco, avendoli tutti radunati per consolarli, diceva loro: -Abbiamo perduta la madre, ma sono certo che ella ci aiuterà dal Paradiso. Era una santa!

   E tale concetto avevano tutti di lei, specialmente per la sua carità verso il prossimo. Ella non erasi rifiutata mai di soccorrere qualunque poverello le si presentasse per ottenere elemosina, e aveva cercato d'istillare in tutti la necessità e l'importanza di quanto comanda Gesù Cristo, colle opere di misericordia, nel suo santo Vangelo. Per questo fine erasi assoggettata a tante privazioni. Morta che fu, nulla si trovò nella sua stanza che avesse ombra di comodità, e nulla di riposto che indicasse aver dessa confortata con bibite dolci vini, liquori o altro la sua avanzata età. Anzi alcune buone donne, venute per comporre la salma nella cassa, avevano chiesta licenza a Don Bosco di prendere e ritenere per sè i suoi vestiti. Volentieri fu accordato il permesso, ma restarono deluse, perchè nulla rinvennero, avendo la defunta adoperata tutta la sua biancheria per uso dell'Oratorio, e tutto il suo vestiario per sollevare la miseria di qualche famiglia. L'unica veste rimasta servì ad avvolgere il suo cadavere, e nelle saccocce di questa si rinvennero 12 lire che Margherita non ebbe tempo a spendere. D. Bosco gliele aveva date pochi giorni prima che infermasse, perchè si provvedesse di alcunchè per coprirsi con decenza il capo; ma è certo che una parte di questa esigua somma era destinata a cadere in mano ai poveri.

  D. Bosco nel mattino stesso della sua morte, accompagnato dal giovane Giuseppe Buzzetti, andò a celebrare la santa Messa nella cappella sotterranea del Santuario della Consolata. Colà egli, dopo aver sacrificato il divino Agnello ed offertolo all'Eterno Padre in suffragio dell'anima della madre sua, si fermava a pregare lungamente dinanzi alla immagine di Maria Consolatrice. Tra le altre cose egli diceva: - O pietosissima Vergine, io ed i miei figliuoli siamo ora senza madre quaggiù; deh! siate Voi per lo innanzi in particolar modo la Madre mia e la Madre loro. -Sembra che Maria SS. abbia esaudito le preghiere di lui, in modo tutto particolare, come lo dimostrarono i prodigiosi sviluppi dell'Oratorio. I funerali riuscirono modesti, ma destarono in tutti sentimenti di profonda tenerezza. Fu celebrata una messa solenne nella chiesa dell'Oratorio, e i giovani fecero la Comunione generale in sollievo dell'anima della insigne loro benefattrice e madre. Tutti poscia ne accompagnarono la salma alla parrocchia, e la banda dell'Ospizio alternava il canto del Miserere col mesto suono dei musicali strumenti. Il funebre corteo procedette con tanto ordine e destò in tutti gli spettatori così alta edificazione, che tra le altre la egregia signora Margherita Gastaldi, madre del Can. Lorenzo, ebbe a dire che non aveva mai assistito a funerali così commoventi.

  D. Bosco, affranto dal dolore, dopo il funerale recavasi a Susa ospitato dal suo amico il Can. Rosaz, per avere un po' di sollievo. Ma non vi si fermò più di un giorno e ritornato a Torino continuò a pregare fervorosamente e a far pregare molto per l'anima di sua madre, istituendo un funerale anniversario. Di essa parlava sempre con affezione figliale; e ne raccontava con viva compiacenza le singolari virtù, così in pubblico come in privato. Dispose eziandio che uno de' suoi sacerdoti ne raccogliesse i tratti edificanti della sua vita e li pubblicasse in memoria di lei ed a comune edificazione. E agli ultimi suoi giorni si potè conoscere quanto fosse tuttora vivo in lui l'affetto alla madre, poichè ricordandola, sempre lagrimava, e chi di notte lo assisteva sentiva nelle sue semiveglie chiamare la madre. Se la vide più volte innanzi in sogni, che restarono incancellabili nella sua mente e che talora ci volle narrare.

  Nell'agosto 1860 gli parve d'incontrarla vicino al Santuario della Consolata, lungo la cinta del convento di S. Anna, sull'angolo della via, mentre egli tornava all'Oratorio, da S. Francesco d'Assisi. Il suo aspetto era bellissimo. - Ma come! voi qui? le disse D. Bosco; non siete morta

- Sono morta, ma vivo, rispose Margherita. E siete felice?

- Felicissima. - E D. Bosco, chiestele varie cose, la interrogò se dopo morte fosse subito entrata in paradiso. Margherita rispose che no. Quindi volle da lei sapere se in paradiso vi fossero vari giovani, dei quali fece i nomi, e Margherita rispose che sì.

     - E ora fatemi conoscere, continuò D. Bosco, che cosa godete in paradiso.

     - Non posso fartelo intendere.

     - Datemi almeno un saggio della vostra felicità; fatemene almeno sentire qualche stilla!

   Allora vide sua madre tutta risplendente, ornata di una preziosissima veste, con un aspetto di maestà meravigliosa e dietro a lei come un coro numeroso. Margherita si pose a cantare. Il suo canto d'amore a Dio, d'una inesprimibile dolcezza, andava diritto al cuore, lo invadeva e lo trasportava senza violentarlo. Sembrava l'armonia di mille voci e di mille gradazioni di voci che dai bassi più profondi salivano agli acuti più alti, con una varietà di toni e differenza di modulazioni, e vibrazioni più o meno forti e talora impercettibili, combinate con tanta arte, delicatezza e accordo che formavano un sol tutto. D. Bosco a quella, soavissima melodia rimase così incantato, che gli sembrava essere fuori dei sensi, e più non seppe che cosa dire o chiedere a sua madre; e Margherita, come ebbe finito il canto, si rivolse a lui dicendogli: - Ti aspetto, poichè noi due dobbiamo star sempre insieme. - Proferite queste parole, disparve.

         Intanto alla morte della madre, ci narrò D. Rua, Don Bosco intravide la necessità di una Congregazione di Religiose, che avesse in cura il vestiario e la biancheria di così numerosa famiglia; ma si riservò a prendere una decisione quando la Provvidenza gli avesse indicato, e in modo evidente, la sua volontà. Egli però, quasi per tentare l'opinione generale della casa, una sera dopo le orazioni propose ai giovani il quesito: - Si debbono ammettere in casa alcune suore, che si prendano cura del bucato, della biancheria e della cucitura dei panni, ovvero salariare una donna estranea, la quale venga a compiere in giornata questi lavori? - I giovani, che intendevano come la presenza delle suore avrebbe recata ad essi qualche restrizione di libertà, risposero ad una voce: - Venga una donna di fuori!

  E venne nell'Oratorio una donna di fuori, ma non mercenaria, sibbene già conosciuta dai giovani. Era la signora Giovanna Maria Rua, madre del Ch. Michele, la quale da anni veniva ad aiutare mamma Margherita, intendendosi con essa a meraviglia. Ed ora alla morte di questa erasi sentita naturalmente invitata a prendere il posto della pia amica. Lasciò pertanto le agiatezze della sua casa, onde recarsi ad abitare l'Oratorio in que' tempi poverissimo. Alquanto inoltrata negli anni, ma di complessione robustissima, virile di senno, di pazienza ammirabile, amante della mortificazione cristiana, pronta ad ogni lavoro, ardeva di una divozione soda e risoluta; ed era di una coscienza delicatissima, senza ombra di scrupoli. Tutti i giovani l'amarono grandemente, essendo dessa un angelo di bontà; ma le sue cure rivolgevale a preferenza alla classe degli artigiani, perchè più poveri e più ignoranti degli altri. Così testificava Reano Giuseppe. La signora Rua era coadiuvata per curare la biancheria dalla zia di D. Bosco Marianna Occhiena, dalla vedova Lucia Cagliero, e per cinque o sei anni da madama Bellia madre di D. Giacomo che veniva ogni giorno per cucire. Una damigella di casa De Maistre insistette per venire essa stessa nell'Oratorio ed essere la quinta nel compiere tale opera di carità; ma il Signore la volle religiosa.

   Intanto dopo la solennità dell'Immacolata D. Bosco provvedeva a quella del S. Natale e per mezzo del Cardinale Gaude faceva pervenire una lettera al Sommo Pontefice.

 

Beatissimo Padre,

 

Il Sacerdote D. Giovanni Bosco, Direttore dell'Oratorio di san Francesco di Sales, avendo ottenuto da Vostra Santità, sotto il giorno 16 dicembre 1852, la facoltà ad triennium di potersi comunicare i giovani che intervengono in detto Oratorio nella messa, che ivi si celebra dopo la mezzanotte nella vigilia del S. Natale, ed essendo ora spirato il triennio, lo stesso Direttore supplica egualmente con umiltà per una benigna conferma.

Che della grazia ecc.

 

Il Cardinale trasmetteva a D. Bosco il rescritto accluso nella seguente lettera.

 

M. Rev. Sig. D. Giov. Bosco,

 

Non ho perduto un istante, e benchè non avessi occasione di vedere Sua Santità ed abbia dovuto valermi della trafila dei memoriali, pure ho avuto ben presto il nuovo rescritto. Dio voglia che le giunga in tempo. Ho spesi (tra tutto) quattro franchi incirca. O li passi al mio Padre in Cambiano o celebri quattro messe secondo la mia intenzione. E salutandola, mi dico in fretta e di furia

Roma, li 20 dicembre 1856.

 

Suo aff. mo

F. Card. GAUDE.

 

 

“ Ex Audientia SS.mi Die 19 decembris 1856.

  SS.mus remisit preces arbitrio Ordinarii, cum facultatibus necessariis et opportunis pro petita enunciati indulti prorogatione ad aliud Triennium ad formam praccedentis concessionis. Contrariis quibuscumque non obstantibus.

 

L. Card. ALTIERI ”.

 

Passate divotamente le feste natalizie, D. Bosco terminava l'anno scrivendo una lettera alla Duchessa de La Val Montmorency De Maistre a Villastellone Borgo.

 

Benemerita Sig. Duchessa,

 

I casi spiacevoli avvenuti in questa casa sono la cagione che non ho riscontrato alla graziosa e divota lettera che nella sua bontà si degnava d'indirizzarmi in seguito alla morte della mia,cara genitrice. Ora intendo di ringraziarla e de' cristiani sentimenti scrittimi nella prima e dell'operato relativamente al lavoro della sig. marchesa Fassati cangiato in un marengo, che secondo il solito fu speso a favore dei nostri ricoverati.

  Poichè oggi siamo all'ultimo giorno dell'anno ci raduniamo questa sera per cantare il Te Deum in ringraziamento a Dio de' benefizi fattici nel decorso di quest'anno; in questa medesima congiuntura facciamo preghiere speciali pei nostri benefattori; e prima della benedizione col SS. Sacramento reciteremo tutti insieme un Pater, Ave e Salve per Lei, nostra insigne benefattrice. Invocheremo di tutto cuore la benedizione del Signore sopra di Lei, affinchè Le doni la pace dello spirito e la sanità corporale; possa in ogni cosa fare la santissima divina volontà in tutte le sue occupazioni; e al più tardi che a Dio piacerà, compiendo la sua vita mortale ne' sacri cuori di Gesù e di Maria, vada a riceverne eterno guiderdone in Cielo.

  Questi sono i miei voti in questi giorni, e questi so pure essere i suoi desideri. Si degni anch'Ella di pregare per me onde possa eziandio compiere la santa volontà di Dio, ora e nel novello anno che siamo per cominciare e per tutto quel tempo che il Signore nella sua misericordia vorrà lasciarmi in questo mondo.

Le Partecipo con piacere che lo stato di salute dei nostri ragazzi è ottimo: di centocinquanta giovanetti da tre mesi non ne abbiamo avuti uno che abbia sofferto un semplice mal di capo. La mia zia e mio fratello stanno pur meglio.

  Con pienezza di stima e di gratitudine La prego di considerarmi in tutto quel che posso nel Signore

Di V. E.

Torino, 31 dicembre 1856.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Giov.

 

Sancta Maria Virgo et Sancte Silvester, orate pro nobis; et tempora nostra sint vestra Protectione tranquilla.

 

Questa lettera fa cenno di una gravissima malattia di suo fratello Giuseppe, della quale parleremo più avanti: e a così vivo dolore se ne aggiunse un altro, cioè l'infermità e la morte del Ch. Massaglia Giovanni.

Nell'autunno del 1855, compiuto con esito felice il corso di rettorica, e vestito l'abito clericale, si era fermato egli nell'Ospizio, dando ottima speranza di sè, e negli studi e nell'assistenza degli Oratorii. Godeva ottima salute, ma colpito da una costipazione che aveva aspetto di semplice raffreddore, condotto dai parenti a Marmorito per curarlo radicalmente, vi moriva come muoiono i santi. Savio Domenico, benchè rassegnato ai divini voleri, lo pianse per più giorni. Pietro Enria affermava con giuramento che, come di molte altri, così di Massaglia avesse D. Bosco, predetta la morte narrando un sogno.

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