Capitolo 45

D. Bosco nel tempo di tribolazione - Si leggono nell'assemblea dei socii le Regole della Pia Società - Previsioni sui pubblici avvenimenti - Le Regole della Pia Società sono firmate da tutti i socii e mandate a Mons. Fransoni - Risposta dell'Arcivescovo - La Questura di Torino e le persone di servizio dell'Oratorio - La politica e le ricchezze di D. Bosco - Giudizii di Urbano Rattazzi - Esposizione e supplica di D. Bosco a due Ministri - Udienza non concessa - D. Bosco si mostra sempre più allegro quanto più gravi sono i dispiaceri - Cinque giovani raccomandati all'Oratorio dal Ministero degli Interni.

Capitolo 45

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

Nel tempo delle perquisizioni D. Bosco anzichè perdersi d'animo parve che ne acquistasse ogni dì più; e radunati i suoi coadiutori, diceva loro:

Non temete: il Signore non ci abbandonerà. L'umile nostra società andrà avanti col suo aiuto. Haec est nostra salus, vita, spes, consilium, refugium, auxilium nostrum, Maria!

Infatti come se vivesse in piena pace, preparava un atto importantissimo per il progresso della sua Congregazione.

Il 7 giugno, due giorni prima della seconda perquisizione, D. Bosco aveva presieduta la radunanza dei membri della Congregazione di S. Francesco di Sales, i quali erano ventisei. Fece leggere il regolamento, invitando tutti a sottoscriverlo in una prossima radunanza, perchè intendeva mandarlo all'Arcivescovo Fransoni acciò l'approvasse. Qualcuno proponeva che fosse attribuito a D. Bosco anche il diritto di eleggersi i Consiglieri del Capitolo; ma egli arrecando savie ragioni, asseriva che quei consiglieri dovevano essere eletti da tutta la Pia Società. Sciolta l'assemblea, narra la cronaca di D. Ruffino, e rimasti alcuni presso di lui, egli, che aveva sempre dinanzi le vicende che agitavano la Chiesa e lo Stato, asseriva: - Le cose del giorno in Italia da quest'anno saranno mutate. Con ciò indicava chiaramente l'Italia governata da un solo Sovrano.

L'11 D. Bosco, alla sera dopo le orazioni, radunava di bel nuovo tutti i soci della Congregazione. E gli angeli rividero lo spettacolo già da loro ammirato in Egitto, la notte nella quale il popolo Ebreo doveva partire per la terra di Chanaam. Tutti avean promesso di non separarsi mai per veruna ragione l'uno dall'altro; di stare tutti uniti tra loro e con Dio. “I giusti figliuoli dei santi, di nascosto offerivano il sacrifizio, e di unanime consentimento stabilirono questa legge di giustizia; che i giusti avrebbero del pari avuto parte ai beni ed ai mali; e cantavano già gli inni de' padri ”.

Si legge adunque nella cronaca di D. Ruffino - “ L'11 giugno abbiamo sottoscritte le regole della Congregazione di S. Francesco di Sales per mandarle all'Arcivescovo Fransoni; e facemmo tra noi promessa solenne che se per mala ventura a cagion della tristezza dei tempi non si potessero fare i voti, ognuno in qualunque luogo si troverà, fossero anche tutti i nostri compagni dispersi, non esistessero più che due soli, non ce ne fosse più che un solo, costui si sforzerà di promuovere questa Pia Società, e di osservarne sempre, per quanto sarà possibile, le regole. ” Ecco il prezioso documento.

 

Eccellenza Reverendissima,

 

Noi sottoscritti, unicamente mossi dal desiderio di assicurarci la nostra

eterna salute, ci siamo uniti a far vita comune a fine di poter con maggior comodità attendere a quelle cose, che riguardano la gloria di Dio e la salute delle anime.

Per conservare l'unità di spirito, di disciplina e mettere in pratica mezzi conosciuti utili allo scopo proposto, abbiamo formulato alcune regole a guisa di Società Religiosa, che escludendo ogni massima relativa alla politica, tenda unicamente a santificare i suoi membri, specialmente coll'esercizio della carità verso il prossimo. Noi abbiamo già provato a mettere in pratica queste regole e le abbiamo trovate compatibili colle nostre forze, e vantaggiose alle anime nostre.

Ma noi sappiamo, che la mente dei privati va troppo soggetta ad illusioni e spesso ad errare se non è guidata dall'autorità stabilita da Dio sopra la terra, che è la santa Madre Chiesa. Egli è per questo motivo, che noi ricorriamo umilmente a V. E. Reverendissima, facendole umile preghiera di voler leggere l'unito piano di Regolamento, cangiare, togliere, aggiungere, correggere quanto il Signore Le inspirerà per maggior sua gloria e compatibile colle nostre forze.

Noi riconosciamo in Lei, Eccellenza Reverendissima, il Pastore, che ci unisce col supremo Gerarca della Chiesa di Gesù Cristo. Parli V. E. e nella voce di Lei noi riconosceremo la volontà del Signore.

Mentre La supplichiamo di accogliere con bontà questa nostra dimanda, prostrati le dimandiamo la Santa Sua Benedizione, e La preghiamo di voler leggere l'unito piano di regolamento, in fine a cui tutti ci sottoscriviamo:

Sac. Bosco Giovanni, Rettor provvisorio.

Sac. Alasonatti Vittorio, Prefetto.

Sac. Savio Angelo, Economo.

 

 

Diac. Rua Michele, Direttore Spirituale.

Ch. Cagliero Giovanni, Consigliere, 3. anno di Teologia.

Ch. Bonetti Giovanni, Consigliere, 1. anno di Teologia.

Ch. Ghivarello Carlo, Consigliere, 2. anno di Filosofia.

Ch. Francesia Gio. Battista, 3. anno di Teologia.

Ch. Pettiva Secondo, Stud. 2. anno di Teologia.

Ch. Bongiovanni Giuseppe, Stud. 2. anno di Teologia.

Ch. Ruffino Domenico, Stud. 2. anno di Teologia.

Ch. Durando Pietro Celestino, 1. anno di Teologia.

Ch. Anfossi Giov. Battista, 1. anno di Teologia.

Ch. Vaschetti Francesco, 1. anno di Teologi.

Ch. Rovetto Antonio, 2. anno di Filosofia.

Ch. Cerruti Francesco, 1. anno di Filosofia.

Ch. Lazzero  Giuseppe, 1. anno di Filosofia.

Ch. Provera Francesco, 1. anno di Filosofia.

Ch. Chiapale Luigi, Stud. di 2. Rettorica.

Ch. Garino Giovanni, Stud. di 2. Rettorica.

Ch. Capra Pietro, Stud. di 2. Rettorica.

Ch. Donato Edoardo, Stud. di 2. Rettorica.

Ch. Momo Gabriele, Stud. di 2. Rettorica.

Albera Paolo, Stud. di 1. Rettorica.

Rossi Giuseppe, Coadiutore.

Gaia Giuseppe, Coadiutore.

 

Monsignor Fransoni rispondeva a D. Bosco col seguente foglio:

 

M. Reverendo Signore,

 

Ricevetti in ritardo la sua lettera 13 scorso giugno colle unite Costituzioni, che già ho letto una volta, ma mi riservo a meglio ponderarle, mentre aspetto un'occasione per rimandarle a Torino; e penso anche di consultare qualche persona che meglio di me s'intenda di quanto riguarda la vita di comunità, e frattanto le do questo breve cenno per sua regola.

Ho veduto ben con dispiacere le vessazioni, a cui venne sottoposto; ringrazio il Signore che la sua salute non abbia avuto a gravemente soffrirne.

Scrivo di volo per trovarmi molto occupato, e pregando dal Cielo le pi√π copiose benedizioni sulla di Lei persona e su tutti i membri della pia associazione, mi raccomando alle orazioni di tutti e sono colla pi√π perfetta, cordiale stima

Lione, 7 luglio 1860.

Suo dev.mo ed aff.mo

Servo LUIGI Arc. di Torino

 

Così D. Bosco aveva risposto alle minacce del mondo, il quale però continuava nelle sue opere maligne.

Pochi giorni dopo la riferita perquisizione il Questore Chiapussi, per incarico di chi non si sa, mandò a chiamare a se varii uomini, che sapeva essere stati all'Oratorio; alcuni dei quali vi erano tuttora in qualità di capi di laboratorio o di servi; ed altri che trovavansi già impiegati in città in qualche casa di commercio od officina. Avutili in questura fece loro, pressochè a tutti le stesse domande. Voleva conoscere quale fosse la politica di Don Bosco, se Pio IX gli mandava molto denaro per arruolare soldati, dove D. Bosco prendesse le somme necessarie per effettuare tante imprese, quali fossero i principali suoi benefattori. Ma niuno potè affermare cosa la quale compromettesse l'Oratorio. Risposero concordemente: - Non abbiamo mai udito D. Bosco parlare nè di armi, nè di guerra; quando non ha più danari va in giro per tutte le parti del mondo per trovare chi gli faccia la carità. -

Fra gli interpellati vi fu un certo Domenico Goffi, già capo dei nostri calzolai e portinaio. Costui era sui 40 anni, conosceva D. Bosco da molto tempo, aveva le gambe storte ma la lingua sciolta. Sebbene non si fosse mai trovato dinanzi alle pubbliche Autorità, tuttavia non si perdè di animo, e col cuore alla mano e con franchezza, rispose:

- Signor Questore, lei mi dimanda qual sia la politica di D. Bosco; io la conosco da molti anni, e le rispondo che la sua politica consiste nel pensare a provvedere pagnotte ai suoi giovanetti.

- Ma non vi parlò di andarvi ad arruolare tra i soldati del Papa per fare la guerra al nostro Re?

- A me una tal proposta non l'ha mai fatta certamente, perchè son zoppo e mi dovrebbero portare; ma nella mia qualità di portinaio trattavo con tutti i miei compagni e coi giovani più adulti dell'Oratorio interni ed esterni, e posso assicurare che non ho mai udito a dire da alcuno che D. Bosco abbia detto loro consimili parole. Parla sovente di combattere il diavolo, colle armi della preghiera e colla frequenza ai Sacramenti, ma non s'immischia mai nè di guerra, nè di soldati di questo mondo.

- Corre voce che Pio IX gli abbia mandato una grossa somma di danaro; e voi ne sapete niente?

- So che l'anno 1858, quando D. Bosco fu a Roma, Pio IX gli diede una somma di denaro, perchè facesse stare allegri una volta tutti i giovani, che frequentano i tre Oratorii di Valdocco, di Porta Nuova e di Vanchiglia; ma non so e non credo che in appresso gli abbia mandato tanto danaro, come lei mi dice. Se fosse così non si vedrebbe D. Bosco ad uscire tanto sovente per andare a chiedere la carità in Torino pei suoi orfanelli, e non sarebbe così perseguitato dai creditori. S'immagini, signor Questore, che di quando in quando in porteria ho assistito a scene, le quali mi fecero propriamente compassione. Vengono i creditori, e sapendo che nella tale ora egli deve uscire od entrare in casa lo aspettano, e poi chi domanda, chi prega, chi grida, chi minaccia che vuol essere pagato. Il povero uomo promette che soddisferà tutti, che non farà perdere un soldo ad alcuno, ma che per ora abbiano pazienza, perchè ha nulla, proprio nulla. Io stesso ho fatto il calzolaio e so che il provveditore del corame talora non vuole più somministrarne, perchè Don Bosco non può pagarlo a tempo e luogo. E può ella credere, signor Questore, che se D. Bosco avesse tanto danaro, come si dice, non lo userebbe anzitutto per levarsi simili noie?

- E il denaro che manda ai suoi fratelli, i quali comprano cascine e fabbricano case e palazzi, dove lo prende?

- Questo non è vero, signor Questore, perchè Don Bosco non ha più nè padre, nè madre, nè sorelle, ma un sol fratello, che lavora la terra con i suoi figli.

- Eppure mi fu detto che nelle vacanze conduce i suoi giovani in campagna a Castelnuovo d'Asti; in casa di chi li conduce?

- Li conduce in casa sua; ma quella ben lungi dall'essere un palazzo od una gran cascina, è sì piccola, che i giovani possono a mala pena essere riparati dalle intemperie della stagione, agglomerati nella stalla e sul fienile.

- Sarà come voi dite, ma non si può negare che Don Bosco riceva del denaro. Sapreste voi dirmi quali sono, i principali suoi benefattori?

- Credo anch'io che D. Bosco abbia in Torino dei benefattori che gli diano dei soccorsi, se no, dovrebbe lasciar morire di fame più centinaia di poveri giovanetti, o metterli sopra una pubblica strada. Tutti quelli che hanno un po' di carità gli prestano aiuto; ma non saprei chi siano i suoi benefattori. Confesso per altro che vorrei che fossero benefattori di D. Bosco tutti i Torinesi, compreso, il signor Questore e i questurini. Se possono, lo aiutino, pure D. Bosco, e siano sicuri che la loro carità sarà bene impiegata.

Tali parole, dette con molta bonarietà da quel bravo uomo fecero ridere tutti i presenti, ed una guardia scherzando disse: - Porta il nome di Goffi, ma parla da savio.

Cotali vessazioni erano una vera tribolazione; ma per la bontà di Dio apportarono anche non pochi vantaggi. Non ultimo di questi fu l'aver guadagnata a D. Bosco e ai suoi alunni la simpatia degli uomini dabbene, e di quelli eziandio i quali non la sentivano con lui in fatto di principii religiosi, ma che passavano per gente onesta ed amante della vera libertà.

I promotori di questa ultima inquisizione, amavano che rimanesse nascosta, imposero silenzio agli interrogati, ma ottennero l'esito opposto. La cosa volò a notizia di tutti, e da tutte parti si andava dicendo, essere una pura malignità, che un Governo sotto l'insidioso manto della legge si facesse lecito di mettere sossopra le case de' privati cittadini, rendendosi così da se stesso odioso.

Alcuni degli stessi Deputati non si peritavano di qualificar per abusi di potere quelle molestie, e le chiamavano atto illegale ed impolitico; illegale, perchè contrario allo Statuto; impolitico, perchè praticato a danno di un Istituto, che dava pane, alloggio ed istruzione a più centinaia di fanciulli abbandonati, molti dei quali, senza un tale provvedimento, avrebbero dato dei gravi fastidi al Governo.

Fra gli altri Urbano Rattazzi, allora non più Ministro, ma semplice Deputato, mandò a chiamare D. Bosco, ed avutolo in casa sua, si fece raccontare per filo e per segno tutto quanto avevano fatto e detto i perquisitori. All'udire le scene avvenute si mostrò altamente irritato, dichiarò essere quelle perquisizioni vere infamie e si offerse di muoverne interrogazione al Ministro in Parlamento. Egli diceva: - Io non sono un pretofilo, ma amo il bene da chiunque si faccia e a qualunque partito egli appartenga. Il Ministro, molestando o permettendo che i subalterni vadano a molestare simili Istituti, si rende reo di lesa filantropia, e commette tale iniquità, che merita di essere denunziata a tutte le nazioni civili. - D. Bosco ringraziò l'ex - Ministro della sua buona intenzione a favore dell'Oratorio, ma non giudicò di permettere che egli desse a quei fatti sì grande pubblicità nella Camera dei Deputati, amando meglio di abbandonare la sua causa nelle mani della Divina Provvidenza, e di appigliarsi a mezzi pacifici. A questo uopo egli scrisse ed inviò al Ministro degli Interni Luigi Farini, e al Ministro della Pubblica Istruzione Terenzio Mamiani, una breve esposizione in forma di supplica così concepita:

 

Ill.mo Sig. ministro,

 

Prego rispettosamente la S. V. Ill.ma a voler con bontà leggere ciò che brevemente espongo riguardante alla Casa detta Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco. Sabato, 9 corrente, per ordine di cotesto Ministero fu fatta una perquisizione nelle scuole, nei dormitorii, negli apprestamenti di tavola, sulle entrate ed uscite, sulle provenienze di mezzi, con cui quest'opera è sostenuta. Io non ho potuto sapere i motivi, che abbiano dato luogo a tale misura governativa, ma se V. S. volesse usarmi la grande bontà di dirmeli, l'assicuro che sarei pronto a soddisfarla francamente secondo verità, senza disturbare più oltre le Autorità governative, e senza recar danno forse irreparabile all'opera degli Oratorii. Frattanto La prego umilmente a volersi persuadere che io:

1. Sono in Torino da venti anni, ed ho consumato ogni momento di mia vita nel Ministero Sacerdotale per le carceri, per gli ospedali, scorrendo talor le piazze, le contrade per togliere dai pericoli i fanciulli abbandonati, ed avviarli alla moralità, al lavoro, ed allo studio, secondo la rispettiva capacità ed inclinazione.

2. Ho sempre lavorato per compire il dovere di sacerdote, senza aver mai nè percepito, nè chiesto corrispettivo di sorta. Anzi ho impiegato, e lo farei volentieri ancora oggi, tutte le mie sostanze nella costruzione dell'attuale edifizio e nel sostentamento dei giovani ivi accolti.

3. Sono sempre stato rigorosamente estraneo alla politica; non mi sono mai mischiato nè pro, nè contro alle vicende di attualità del giorno. Anzi per impedire ogni principio di partito, fu in questa Casa proibito parlar di politica in qualsiasi senso. Quindi niuno di questa Casa fu mai associato ad alcun giornale. Questo ho stimato di fare, nella persuasione, che un sacerdote possa sempre esercitare il pio ministero di carità verso il suo prossimo in qualsiasi tempo e luogo, e in mezzo a qualunque specie di Governo. Ma mentre le assicuro che fui sempre estraneo alla politica, posso con egual franchezza accertarla che non ho mai nè detto, nè fatto, nè insinuato cosa, che fosse in opposizione alle leggi del Governo.

4. Le mie scuole non sono mai state approvate legalmente, perchè scuole di beneficenza. Ma i Provveditori, gli Ispettori ed i medesimi Ministri di pubblica istruzione ne erano informati, e davano la loro tacita approvazione con visite personali, venendo ad assistere agli esami, come fecero più volte il Cav. Baricco, l'ispettore Nigra, il Cav. Aporti, ed altri. Approvarono pure talvolta con largizione di danaro e di libri, e talvolta colla dispensa dal minervale ed anche con lettere. Unisco soltanto copia di una di esse del Ministro Lanza, con cui incoraggia l'opera degli Oratorii e le scuole che ivi hanno luogo. Questo favore del Ministro di pubblica istruzione era in parte motivato da due ordini del giorno, uno della Camera dei Senatori, l'altro dei Deputati, in cui raccomandavasi al Governo del Re di sostenere e promuovere l'opera di cui è discorso. È vero che la legge Casati sottomette l'insegnamento ad alcune formalità, le quali io aveva già iniziato con quel Ministro, che fu ed è nostro insigne benefattore. E tal cosa avrei certamente eseguito prima che fosse cominciato l'anno scolastico 1860 - 61, in cui deve essere compiuta l'applicazione generale della legge, art. 379.

5. Da alcuni anni in qua venendo le officine ristrette, ed essendo frequentissime le domande di giovani da ricoverarsi, ho destinato un maggior numero di giovani allo studio. Ora ne ho un buon numero che si guadagnano altrove il pane della vita, chi in qualità di maestro approvato, chi colla musica, ed altri avendo percorso la carriera ecclesiastica lavorano in diversi paesi nel Sacro Ministero.

Se V. S. Ill.ma, dopo aver letto quanto sopra stimasse di prendere qualche deliberazione in proposito, io non ho difficoltà di sottomettermi. Le fo soltanto umile preghiera a volerlo far privatamente come un padre, il quale desideri che le opere si compiano nel miglior modo possibile; ma non con atti minacciosi, che a tali opere talvolta recano un danno irreparabile.

Ora che ho esposto quanto maggiormente mi premeva, raccomando in fine questi miei poveri giovani alla sua clemenza; e pregandola a voler dare benigno compatimento al disturbo che Le ho recato, sono contento di poterle augurare ogni bene dal Cielo, reputando ad alto onore di potermi professare con pienezza di stima e di gratitudine

Torino, 12 giugno 1860.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

A questa esposizione era unito un quadro esatto e particolareggiato dello stato dell'Oratorio, del quale più non ci rimane che la traccia, conforme però pienamente alle risposte date da D. Alasonatti e da D. Bosco ai perquisitori.

Alla lettera che D. Bosco aveva indirizzato al Ministro Farini, era fatta la seguente risposta.

 

MINISTERO DELL'INTERSO - GABINETTO PARTICOLARE

 

Il Ministro dell'Interno ha ricevuta la lettera del Sig. Sacerdote D. Bosco, e per ora non essendogli concesso di rispondere al medesimo per iscritto, gli fa conoscere, che se Egli volesse venire a questo Ministero prima delle cinque, di quest'oggi, o nella mattina di domani, conferirà con lui direttamente.

D'ordine del Ministro

Torino, addì 13 giugno 1860.

Il segretario particolare di Gab.

G. BORROMEO.

 

D. Bosco fu puntuale, e si recò al palazzo del Ministro. Ma la freddezza colla quale fu accolto dagli impiegati, l'annunzio che il Ministro non poteva riceverlo essendo, occupato in affari di stato imprevvisti, gli fecero intendere che la tempesta sull'Oratorio non era ancor dissipata.

Ritornava perciò all'Oratorio persuaso di dover andare incontro ad altre e forse più dure prove. Vedendo quell'ostinata insistenza de' suoi nemici, incominciò a riflettere, sulle future possibili complicazioni, e l'anima sua fu angustiata. - Adunque che cosa sarà di me e dell'Oratorio?... che il Signore voglia permettere, almeno per ora, la sua distruzione? - E non sapeva come vederci chiaro in tanto buio. Non già che dubitasse dell'esito della sua missione; ma Dio permetteva questo turbamento perchè si conoscesse che da lui solo venivagli ogni forza. Tuttavia il ricordo delle parole che il Canonico Anglesio aveva proferite nel tempo della prima perquisizione, gli procurava un grande sollievo; e in volto appariva sempre la pace; ed era segno per D. Rua, che i suoi fastidi erano giunti allo stato acuto, quando aggiungeva al sorriso lo scherzo. In queste circostanze soleva interrogare or sopra una storiella ora sopra un'altra. Ad uno: - Tu raccontami la storia di Gianduia - Tu quella della torre del palazzo di Città. - Ad altri: Avete notizie di Garibaldi?-

E rideva.

Avrebbe anche potuto dire: - Sua Ecc. Farini che cosa fa? - Risum tenatis amici.

Dalla Divisione quinta del Ministero dell'Interno continuavano in questi stessi giorni a pervenirgli cinque raccomandazioni, perchè accettasse nel suo Ospizio giovani poveri ed abbandonati.

Il 20 giugno la posta recava a D. Bosco una petizione fatta al Ministro, in favore di Quaranta Lorenzo, di Vernante in età di anni dieci, orfano di padre e di madre sotto la quale stava scritto: “ Al sig. Sac. Bosco Direttore dell'anzidetto pio istituto con preghiera di veder modo di accogliere in esso il giovanetto di cui è caso. - D'ordine del Ministro, Salino ”. Questo documento porta il N. 1770.

Il 25, e il 29 giugno segnate dai numeri 1823 e 1874, rimettevansi due suppliche l'una presentata per G. B. Guglielmetto nato a Susa nel 1848, privato di padre per un accidente ferroviario; l'altra scritta da Gallo Giuseppe di anni 12 di Collereto Castelnuovo, Ivrea, perchè desideroso di imparare un arte, nel ricovero del sig. D. Bosco.

In calce di queste due suppliche stava scritto: “ Al Sacerdote D. Giovanni Bosco Direttore del pio Istituto di S. Francesco di Sales in Valdocco sobborgo di Torino, per quei speciali riguardi che ravviserà il caso. - D'ordine del Ministro, Salino ”.

Oltre le suddette suppliche, per un quarto giovane il Ministro non si accontentò di una semplice postilla.

Torino, addì 25 giugno 1860.

 

Ministero dell'Interno, Divisione 5 N. 1817

 

Pervenne testè a questo Ministero il qui accluso ricorso, coll'unitevi fedi, inteso a conseguire la gratuita ammissione nel pio Istituto di S. Francesco di Sales in Valdocco sobborgo di questa Capitale, del giovinetto Giulio Paroncini figlio di Petronilla Paroncini.

Preso a considerare le circostanze ivi esposte, e ritenuto che la dimora dello stesso fanciullo in detto pio Istituto si limiterebbe, a poco più di due anni avvenire, in quantochè al raggiungere del 14 anno di sua età potrà essere accolto nel Collegio Militare in Racconigi, il sottoscritto non può che caldamente raccomandarlo alle caritatevoli premure del Sig. Sacerdote Bosco, Direttore dell'anzidetto Pio Istituto.

Nella fiducia quindi che anche in questo caso il Sig. Sacerdote Bosco sia per aderire, favorevolmente a cosiffatta domanda, con disporre per la pronta ammissione di questo fanciullo in cotesto Istituto, il Ministero si riserva, non appena sarà informato del di lui effettivo ricovero, di fargli corrispondere una sovvenzione di lire 60 per una volta tanto nel proprio bilancio, avuto riguardo alla non lunga assistenza che per tal modo verrà prestata allo stesso giovanetto.

D'ordine del Ministro

SALINO.

 

Nello stesso giorno S. E. rinnovava sue istanze per l'accettazione del giovane Fulgenzio Craveri, già fatte e giunte per lettera all'Oratorio nel tempo della prima perquisizione. D. Bosco aveva accettato quel poveretto, ma rimandando la sua entrata in casa al tempo che avesse compiuti i dodici anni.

Torino, addì 25 giugno 1860.

 

Ministero dell'Interno, Divis. 5 N. 1470

 

Partecipata al Giuseppe Raspino di Govone la risposta fatta a questo Ministero dal Sig. Sacerdote Bosco, Direttore del pio Istituto di S. Francesco di Sales in Valdocco, colla di lui lettera del 2 corrente mese in ordine al ricovero, nello stesso pio Istituto del giovane Fulgenzio Craveri, si fa egli ora a porgere nuove istanze onde questo povero orfano sia ivi accolto immediatamente non ostante il difetto dell'età additato nell'anzidetta lettera.

Nel riconfermare quindi al Sig. Sacerdote Bosco quanto il sottoscritto ebbe al riguardo ad accennargli con dispaccio del 23 scorso maggio N. 1470, lo prega a veder modo, se gli sia possibile di fare appagato il pietoso desiderio del suddetto Raspino, zio del povero Craveri di cui è caso.

                                                                                                                                                                                                    D'ordine del Ministro

SALINO.

 

D. Bosco lo accettò pel 1 marzo 1861 epoca dell'entrata dei nuovi artigiani.

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