Capitolo 46

Apparecchi per una nuova guerra - Opera del denaro di S. Pietro - Partenza del re con l'esercito - L'obolo degli artigianelli - Discorso di un giovanetto - Inno a Pio IX - Parole del Marchese Cavour.

Capitolo 46

da Memorie Biografiche

del 15 novembre 2006

 Nel Governo Piemontese non era estinta la speranza della rivincita, tanto più che la terribile rivoluzione dell'Ungheria contro l'Austria, occupava il nerbo migliore delle truppe imperiali. Il 1° febbraio 1849 all'apertura delle Camere il Re annunziava essere rifatto e pieno di patrio ardore l'esercito, ed essere pronto ad allontanare gli Austriaci dall'Italia. Lo spirito pubblico era poco disposto alla guerra; ma le sette incalzavano, i volontari e i rifugiati politici minacciavano, i giornali raccontavano cose raccapriccianti degli Austriaci nell'oppressione del Lombardo-Veneto; Radetzki era accusato di non aver osservati i patti dell'armistizio. Il Generale Chiodo, successo a Gioberti nella presidenza del Ministero, stringeva una convenzione militare coi faziosi di Roma, che il 9 febbraio avevano dichiarata la decadenza dei Papi e proclamato la repubblica. In Lombardia e nel Veneto i Capi dei liberali avevano preparato la ribellione di varie città pel 21 marzo.

Mentre tutto si poneva in opera per una nuova riscossa nazionale, i cuori dei cattolici stavano sempre intenti a Pio IX che si trovava in gravissime angustie.

Al Papa infatti, come a Padre di 300 milioni di Cattolici sparsi sulla faccia della terra, anzi come a Maestro di tutti i popoli, tocca di provvedere ad innumerevoli bisogni spirituali e temporali. Egli, per tacere di altro, deve provvedere alle molte sacre Congregazioni di Cardinali e di Prelati, delle quali si serve per discutere e disbrigare gli affari riguardanti a tutta la Cristianità; provvedere al mantenimento di tutti i rappresentanti presso ai Governi del mondo a protezione dei rispettivi fedeli loro sudditi; provvedere all'invio e sostentamento dei Missionari nelle varie parti della terra, dove ancor non si conosce il vero Dio, nè si gode il benefizio della divina Redenzione e della cristiana civiltà; provvedere insomma a cento, a mille necessità, che anche fuor di luogo sarebbe qui enumerare.

Il Papa Pio IX, essendo stato costretto ad esulare da Roma e privato di ogni suo avere, si trovò nella impossibilità di sopperire a tutti questi dispendi con grave danno delle anime. Il Re di Napoli Ferdinando II gli dava bensì in Gaeta larga e generosa ospitalità; ma quel Principe non avrebbe potuto sobbarcarsi a tutti gli aggravi richiesti pel buon governo della Chiesa universale; nè per altra parte pareva conveniente che il peso pel decoroso mantenimento dello stesso Pontefice gravitasse sopra di uno Stato solo. Il perchè, appena venne rilevata questa condizione di cose, i Vescovi di Francia e poi gli altri tutti della Chiesa cattolica fecero ricorso alla carità dei fedeli, e li esortarono che come amorose pecorelle sovvenissero con elargizioni al Supremo loro Pastore. La fede e la pietà cristiana risposero ben tosto all'appello dei Prelati, e in breve tempo eccitossi in ogni ceto di persone una nobile gara in favore del Papa. Alla Francia vennero ad unirsi la Spagna, il Belgio, la Germania e in appresso sin le Americhe, l'India, la Cina ed altre remotissime parti dell'Orbe cattolico. Anche in tutte le chiese dell'Olanda e fino ad Amsterdam, per iniziativa di un ministro protestante, si facevano colle. Per questa guisa ebbe origine l'Opera del così detto Danaro di S. Pietro in questi ultimi tempi, opera che mentre somministra al Sommo Pontefice i mezzi opportuni per tenere relazione con tutti i popoli del mondo, per far sentire l'influenza benefica dell'alto suo apostolato sino agli ultimi confini della terra, e per correre in aiuto agli immensi bisogni spirituali e temporali di tutta la famiglia cattolica, serve eziandio di splendida manifestazione di fede e di amore alla Sede di S. Pietro.

L'Italia nostra, quantunque in quest'anno, 1849, fosse pressochè tutta sconvolta, non poteva rimanersi dal concorrere ad un'Opera cotanto egregia. Il Piemonte soprattutto gareggiò colle altre province sorelle, e porse una non dubbia prova del suo inalterabile attaccamento al Vicario di Gesù Cristo. In Torino poi, fin dal principio del mese di febbraio, alcuni pii e zelanti Cattolici, ecclesiastici e laici, si costituirono in Comitato allo scopo di promuovere tra i fedeli, e radunare spontanee offerte da deporsi ai piedi del Sommo Pio. Il Comitato promotore era composto di questi ragguardevoli personaggi: Marchese Gustavo Cavour; Marchese Lodovico Pallavicini Mossi, Senatore del Regno; Marchese Birago di Vische; Marchese Fabio Invrea; Teologo, Guglielmo Audisio; Teologo Avvocato Cerutti, e il Teologo Valinotti Canonico. Molti altri buoni signori promuovevano pure nelle famiglie quest'Opera medesima, e tra gli altri il Conte Camillo di

Cavour, fratello del Marchese Gustavo. Il 9 febbraio 1849 l'Armonia apriva la sottoscrizione di offerte al Papa.

Conosciutasi nei nostri paesi la strettezza ed i bisogni, in cui si trovava l'esule Pio IX, i fedeli si recarono ad onore di correre in suo aiuto, e non solo i ricchi, ma i poveri eziandio vi contribuirono, offrendo il frutto delle loro fatiche e il risparmio eziandio dello scarso loro vivere. In quell'occasione anche i figli di D. Bosco, stimando alta ventura il poter dare un segno di venerazione al Capo della Chiesa, si privarono volentieri di quei pochi soldi che potevano disporre, cioè di ciò che loro era quasi necessario alla vita, e fecero una colletta da mettersi nelle auguste sue mani.

Mentre nell'oratorio i poveri alunni di D. Bosco erano tutti lieti di poter dare una consolazione al Vicario di Gesù Cristo, il 12 marzo il Ministero denunziava l'armistizio al generale Radetzki comandante supremo delle forze Austriache. L'esercito piemontese, composto di 120.000 uomini in sei divisioni, si mette in marcia. Settanta mila di questi si collocano sul Ticino, stendendosi, e fu gravissimo errore, sovra una linea di più che cento miglia. Poco dopo alzavano bandiera di ribellione Como e Brescia. Il 14, alla sera, Carlo Alberto partiva da Torino per Novara. Il Ministro Sineo lo stesso giorno invitò i Vescovi a persuadere il popolo della necessità della guerra, ad ordinar preghiere pel suo buon esito, e i Vescovi accondiscesero come sempre avevano fatto in tali circostanze. Anche nell'oratorio si pregava, tanto più che il Conte di Collegno, venendo dalla Corte il 5 febbraio, aveva consegnato 200 lire a D. Bosco, come consta dalle memorie del Teol. Borel, e tutto fa supporre che fosse una beneficenza del Re.

Intanto nell'Oratorio veniva organizzata una festa indimenticabile. Il Comitato promotore dell'Opera del Danaro di S. Pietro invitato da D. Bosco fu compiacente, il 25 marzo, di mandare all'Oratorio due dei suoi illustri membri per riceverla in persona. I due delegati erano il Canonico Valinotti e il Marchese di Cavour. Essendo Domenica di passione e festeggiandosi dai giovani l'Annunciazione di Maria SS. questi si erano radunati in numero stragrande. Tra i documenti abbiamo trovato copia del discorso; letto in quella circostanza da un giovinetto a nome dei suoi compagni, ed era concepito in questi termini:

 

Illustrissimi Signori,

 

“ Appena giunse tra noi la nuova dolorosa, che il Santo Padre si trovava nelle strettezze, ne fummo profondamente commossi. Cresceva vie più il nostro dolore al riflettere che la nostra posizione ci impedisce di corrispondere all'inaspettato bisogno. Ciò non di meno desiderosi di dare un segno di stima e di figliale venerazione verso il Capo della Cattolica Religione, verso il comune nostro Padre, il Successore di S. Pietro, il Vicario di Gesù Cristo, abbiamo fatto i nostri sforzi, abbiamo unito l'obolo del povero. Sono trentatre lire che noi abbiamo raccolto; somma di poco momento per la sublimissima sua destinazione, ma che ci farà degni di benigno compatimento, qualora si consideri l'età nostra e la nostra condizione di artigianelli e di poveri figli di famiglia.

 “Signori, noi sappiamo che il vostro cuore è buono, e che perciò vorrete gradire la tenue nostra offerta, accertandovi che la nostra volontà farebbe di più se la impossibilità non glielo impedisse.

 “Che se mai, continuava egli, che se mai le nostre parole potessero in questo momento essere intese dal Santo Padre, tutti prostrati ai piedi suoi vorremmo ad una voce esclamare così: - Beatissimo Padre, è questo il più fortunato momento di nostra vita: noi siamo un ceto di giovanetti, i quali riputiamo a nostra grande ventura il poter dare un segno di venerazione a Vostra Santità. Ci protestiamo vostri affezionatissimi figli; e malgrado gli sforzi dei malevoli per allontanarci dall'unità cattolica, noi riconoscendo nella Santità Vostra il Successore di S. Pietro, il Vicario di Gesù Cristo, a cui chi non è unito va eternamente perduto, e nell'intima persuasione che niuno da Voi disgiunto può appartenere alla vera Chiesa, dichiariamo di voler vivere e morire sempre uniti a questa Chiesa, di cui Voi siete Capo visibile, offrendoci pronti a spendere ogni nostro avere, ogni sostanza e la vita medesima, per mostrarci degni figli di un sì tenero Padre ”.

Il piccolo oratore conchiudeva il suo dire così: “ Voi intanto, o Signori, gradite queste semplici sì, ma sincere espressioni del nostro cuore, e la grande vostra bontà supplisca alla insufficienza nostra ”.

 

Dopo questo indirizzo, un drappello di giovani con voce argentina cantava a Pio IX  un inno seguente, che loro aveva fatto imparare l'operoso Teol. Giacinto Carpano.

  La detta offerta accompagnata dal riferito discorso e dal canto toccarono sì al vivo il cuore dei membri del Comitato, che ne rimasero altamente commossi. Essi volsero loro alcune fervide parole di lode e di eccitamento, e fattisi rimettere copia di tutto, nel licenziarsi dissero: “ Questi generosi sentimenti meritano di venire a notizia del Santo Padre, e verranno ”.

Intanto il Marchese di Cavour, essendo in quel tempo collaboratore del giornale cattolico “L'Armonia”, dava contezza del fatto, pubblicando in lode dell'oratorio un importante articolo, che mette conto presentarlo ai lettori.

“ Nel più povero, così il Cavour, nel più povero dei sobborghi di questa metropoli, abitato quasi esclusivamente da operai, che campano col prodotto delle loro giornaliere fatiche, e che trovansi spesso ridotti a vera miseria in seguito ad una infermità od a mancanza di lavoro, sorge da qualche

anno una di quelle opere di beneficenza, di cui lo spirito cattolico è sorgente inesausta. Un zelante Sacerdote ansioso del bene delle anime si è consacrato intieramente al pietoso uffizio di strappare al vizio, all'ozio e all'ignoranza quel gran numero di fanciulli, i quali abitanti in quei contorni, per le strettezze o l'incuria dei genitori, crescevano pur troppo sprovvisti di religiosa e civile coltura. Questo ecclesiastico, che ha nome D. Bosco, prese a pigione alcune casucce ed un piccolo recinto, si è recato ad abitare in quel sito, e vi ha aperto un piccolo Oratorio, sotto l'invocazione del gran Vescovo di Ginevra, S. Francesco di Sales. Egli ha cercato di attirarvi quei poveri giovani, che dapprima si trovavano negletti e derelitti; nel semplice e modesto oratorio egli distribuisce loro quella istruzione, che sopra tutte le altre discipline è sola necessaria, l'istruzione religiosa; egli li accostuma a praticare i loro doveri, ad esercitare il vero culto di Dio, a convivere amichevolmente e socievolmente l'uno con l'altro. Accanto all'oratorio si trovano scuole, in cui s'insegnano a quella gioventù i primi elementi delle lettere e del calcolo; vi è pure l'accennato recinto, in cui i giovanetti nei giorni festivi e nelle ore di ricreazione si sollevano con giuochi innocui e con innocenti trastulli, passando quel tempo nell'onesta allegria, che tanto giova alla sanità dei corpo e della mente, e specialmente in quella tenera età. In mezzo ad essi trovasi ognora D. Bosco, il quale è costantemente ad essi maestro, compagno, esemplare ed amico.

 ”Si vedono solitamente nei giorni festivi da quattrocento giovanetti riuniti in quel sito, che non presentando all'esteriore veruna apparenza, rimane da molti inosservato, mentre il bene che vi si fa è immenso. Tutti quei ragazzi, i più dei quali sarebbero cresciuti nell'ignavia e nel vizio, s'incamminano alla virtù ed al lavoro. Infatti il loro zelante precettore ed amico cerca per essi con tutto impegno qualche onesto artiere, che consenta di accettarli presso di sè a tirocinio dell'arte sua; e l'essere un ragazzo proposto da D. Bosco, come un suo alunno, presenta ai padroni di bottega una guarentigia di moralità, che li rende facili ad accoglierlo presso di toro, onde avviarlo nell'esercizio della propria professione. Così da quel semenzaio di onesti operai escono ogni anno in buon numero adolescenti, che sono in caso di provvedere ai propri bisogni, e che conserveranno, giova sperarlo, nel lungo decorso della loro vita l'abito di quella moralità, a cui i loro teneri anni furono informati.

“ Aggiungiamo ancora che, trovandosi spesso fra quei poveri giovani chi per la morte o la rovina dei propri genitori cade in assoluto abbandono, parecchi di questi vengono anche ricoverati in alcune camere esistenti in quelle povere casucce sovraccennate, e vi ricevono pure il loro sostentamento pel tempo del loro tirocinio, finchè col frutto del loro sudore possano essi medesimi mantenersi.

 ”In questo albergo di beneficenza si recavano il giorno dell'Annunziata due membri dei Comitato dell'Opera dei Danaro di S. Pietro, colà chiamati dal benemerito fondatore di quell'Oratorio. Si trattava di ricevere un'oblazione, che quei buoni ed esemplari giovanetti avevano disegnato di fare per l'opera medesima. Edotti essi dei luttuosi eventi di Roma, e dell'essere il Padre comune dei fedeli ridotto alla condizione di esule, vollero spontaneamente concorrere col loro obolo ad ingrossare quel tributo di figliale venerazione, che a Torino si vuoi raccogliere per deporlo ai piedi del Vicario di Cristo.

 ”Entrati i delegati del Comitato nel modesto recinto, ove tanto bene si va compiendo, essi vennero dal Direttore accolti colla più squisita cortesia; quindi non senza viva commozione dei loro cuore essi si videro accerchiati da quei ragazzi, che in aria festiva loro fecero bella e lieta corona.

 ”Due di questi tosto si avanzarono, e mentre l'uno sopra di un desco presentava i trentatre franchi raccolti in mezzo a loro, l'altro pronunziava un semplice ma ben sentito discorso di cui presenteremo uno squarcio ai nostri lettori ”.

Qui l'illustre scrittore riporta una parte del discorso sopra riferito, e poi prosegue: “ Una soave e dolce commozione si faceva sentire nell'animo dei delegati nell'udire queste parole pronunziate con aria intelligente e con voce esprimente l'affetto da un ragazzino, il quale porta le secchie di calcina e i mattoni pel servizio dei muratori, ma nondimeno mostra di provare veramente sensi così nobili e generosi. Essi risposero alcune brevi parole dichiarando a quei giovanetti che si gloriavano di averli soci in un atto, che è una professione di quella fede cattolica che tanto sublima l'uomo in qualunque stato e condizione egli si trovi. Richiesero quindi il giovane oratore di una copia del di lui discorso, e quella copia fu in seguito consegnata al Nunzio Apostolico che ne mostrò singolare gradimento e si protestò di volerla inviare al Cardinale Pro  segretario di Stato del Sommo Pontefice, come testimonianza di sensi, che riescono altamente commendabili se si riflette alla posizione e agli antecedenti di coloro che li manifestarono.

“ Noi poi dal canto nostro abbiamo creduto dover alquanto dilungarci nel recare alla cognizione del pubblico un fatto, che ci sembra degno di essere altamente commendato ”.

La mentovata offerta con l'ultima parte del recitato discorso venne eziandio registrata nella Storia Ecclesiastica dell'abate Rohrbacher, dove l'autore, dopo aver raccontato alcuni slanci commoventi di povera gente verso il bisognoso Pontefice, fa precedere queste parole al fatto che ci riguarda: “ .... Più grande ancora, egli scrive, è il fatto di certi giovani poverissimi e artigiani di professione che, economizzando ogni giorno qualche soldo, pervennero a mettere insieme la piccola somma di trentatre franchi e la mandarono ai capi dei l'associazione con una lettera da intenerire ”.

 

 

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