Capitolo 46

Malattia di D. Cafasso e cause di questa - D. Bosco al letto del suo benefattore - Morte di D. Cafasso e dolore di D. Bosco - Nell'Oratorio è tramandata la festa di S. Giovanni - Funerali - Il testamento e un legato - Gli onori ad un santo e la trista fine di un nemico del Papa - La festa di S. Luigi nell'Oratorio - La messa di settima per D. Cafasso - Il Canonico Galletti ed il Teol. Golzio.

Capitolo 46

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

In questo mese di giugno Torino, il Piemonte, la Chiesa, dovevano soffrire la perdita di una vita così utile e così preziosa come quella di D. Cafasso. Molti incomodi lo assalirono. La nausea del mondo, il pensiero dell'eternità accompagnavano ogni suo passo.

Il lunedì giorno 11 un messo del Convitto recava all'Oratorio una inquietante notizia. D. Cafasso, confessando, aveva sentito a mancarsi le forze e per non cadere in sfinimento, un'ora prima del mezzo giorno era andato a letto. Il suo male, che proveniva da un'affezione al polmone con un corso di sangue allo stomaco, in gran parte, era cagionato dal dolore che provava e per le perquisizioni fatte all'Oratorio di S. Francesco di Sales ed al Convitto e per ciò che si faceva in Italia contro la Chiesa e contro la religione. In varie città venivano imprigionati molti religiosi, preti e chierici. Erano in carcere il Card. Baluffi Vescovo d'Imola e i Vescovi di Carpi, Ferrara, Faenza. Il Vescovo di Piacenza Mons. Antonio Ranza il 9 giugno era stato condotto a Torino da' carabinieri come prigioniero di Stato. Tratto dinanzi al Ministro di Grazia e Giustizia, ebbe la sofferenza, Egli Pastore, di udirsi insegnare il Vangelo da tale pecora, e fu confinato nella casa dei Fratelli della Dottrina Cristiana. Questi venerandi ministri di Dio venivano così vessati perchè non vollero cantare certi Te Deum! Anche ai laici toccavano le carezze del Governo, il quale fece frugare in tutti; gli angoli del palazzo a Borgo Cornalense presso Torino della Duchessa di Montmorency l'insigne benefattrice di D. Cafasso e di Don Bosco: e l'abitazione del Conte di Collobiano, il quale andava frequentemente a visitare l'Arcivescovo di Pisa. Ma non trovò il minimo filo della supposta congiura clericale.

D. Cafasso addolciva la pena che gli cagionavano tali notizie colle aspirazioni continue verso il Paradiso. Egli prevedeva con tanta chiarezza la sua morte, che pareva ne avesse avuta chiara rivelazione del giorno, dell'ora e di altre particolarità, quantunque i più accreditati periti nell'arte medica, facendo quanto l'affetto e il dovere potevano suggerire, nutrissero per una settimana fiducia di guarigione. La sua tranquillità, la sua pazienza, la sua rassegnazione e la viva fede giungevano all'eroismo.

D. Bosco ogni giorno andava a visitarlo e una volta D. Cafasso gli disse di ordinare per lui speciali preghiere nell'Oratorio. L'abbiamo già fatto rispose D. Bosco e, continueremo a pregare: ma ho detto ai nostri giovani che lei sarebbe venuto un giorno festivo a darci la benedizione col SS. Sacramento. - State tranquillo, soggiunse D. Cafasso; andate, pregate e dite ai vostri giovani che vi benedirò tutti dal Paradiso.

Allora D. Bosco lo richiese se avesse qualche commissione a lasciare, qualche cosa a scrivere, qualche ordine a dare: - Sarebbe bella, rispose ridendo, che io il quale ho sempre predicato agli altri che un prete deve ogni sera aggiustare le cose sue, come se quella fosse l'ultima notte di sua vita, io poi non l'avessi fatto ed avessi aspettato a questo momento ad aggiustare le mie cose temporali. Tutto è aggiustato, tutto è aggiustato. Un sol affare debbo ancora trattare, ed è quello che riguarda il Paradiso che presto avrò! presto avrò! -

Era da tutti notato come egli accogliesse colla solita bontà, chiunque si avvicinasse al suo letto; ma dopo alcuni minuti raccomandandosi alle preghiere de' visitatori, dava segno che se ne partissero. Non voleva che alcuno si fermasse con lui più del tempo richiesto dallo stretto bisogno. Bramava di rimanere solo a fine di potersi più liberamente trattenere col suo Dio, anche quando la malattia stava per estinguere la sua vita. Anzi non dava segni di gradimento neppure quando gli erano suggerite giaculatorie; quasi che tali preghiere gli interrompessero gli ordinarii colloquii con Gesù Cristo, con la Madre del Salvatore, col suo Angelo Custode e con S. Giuseppe.

Lo disturbava una continua assistenza dell'infermiere. Tuttavia D. Bosco un giorno rimasto solo con lui si fece animo a dirgli, essere cosa ottima l'avere regolarmente persona presso al suo letto, sia per que' servigi che frequentemente gli occorrevano, sia anche per ricevere qualche parola di conforto. - No, tosto rispose; no. - Di poi esclamò con forza: - E non sapete che ogni parola detta agli uomini è una parola rubata al Signore?

D. Bosco partendo lo stava qualche volta osservando, dall'uscio socchiuso della sua camera e lo vedeva giungere le mani, baciare e ribaciare il crocifisso, poi cogli sguardi rivolti al cielo, parlare interrottamente come in un discorso famigliare.

Il venerdì 22 giugno D. Cafasso ricevuto il Viatico in forma solenne, fece egli stesso conoscere che desiderava si apparecchiasse rocchetto, stola e rituale per l'Olio Santo e per la benedizione papale. Al sacro rito volle presenti i convittori dei quali nel Convitto ne rimanevano Soli 250 per loro ragioni particolari, o pel servizio alla Chiesa. Gli altri subìto l'esame annuale erano partiti per le loro case. D. Bosco alla sera chiedeva l'ultima benedizione al suo padre spirituale e benefattore; fu una scena commoventissima.

Scrive Mons. Cagliero: “ Trovandosi D. Cafasso negli ultimi momenti di vita incontrammo D. Bosco che veniva da visitarlo per l'ultima volta. Era afflittissimo; ma noi non eravamo meno afflitti di lui. D. Bosco per consolarci ci disse che presto lo avremmo avuto protettore in cielo. E ci parlò come un santo sa parlare di un altro santo, delle sue rare virtù, dei doni straordinarii che aveva ricevuto da Dio. Ci descriveva la sua divozione alla Madonna e come il sabato fosse per lui un giorno tutto di Maria SS.; e lo passasse in rigoroso digiuno; ed Ella gli concedesse con prontezza in quel giorno qualunque grazia le avesse chiesta ”.

Spuntava il 23 giugno. D. Cafasso di buon mattino faceva celebrare la santa Messa nell'Oratorio annesso alla sua camera e, come aveva praticato nei giorni antecedenti, si comunicava. Era sabato, ed egli, che tanto aveva operato per la gloria di Maria, desiderava di morire in tale giorno a Lei consacrato. Spesso aveva detto e lasciava pure scritto: “Che bella morte morir per amor di Maria. Morire nominando Maria. Morire in un giorno dedicato a Maria. Morire nel momento più glorioso di Maria. Spirare nelle braccia di Maria. Partire pel paradiso con Maria. Sedere in eterno vicino a Maria ”.

Verso le nove ore antimeridiane entrava in agonia mettendo le braccia in croce. Ed ecco suonate le dieci, presso a spirare, mentre già si recitava il Profiscere, ad un tratto si scuote, e si volge come se avesse udito chiamarsi per nome e per tale maniera che si vide sensibilmente il suo corpo sollevarsi dal letto e rimanere così in aria su di un fianco, cogli occhi destati, vivi quasi per meraviglia. Ed ecco stende le braccia amorosamente ad un oggetto invisibile e misterioso. Era la Santa Vergine, come si ha ogni ragione di credere, che gli compariva visibilmente a consolarlo in quegli ultimi aneliti, accordandogli la grazia che egli aveva per tanti anni implorata con quella preghiera: - Voglio slanciarmi tra le vostre braccia in punto di morte! - Lo sguardo del morente era volto verso l'estremità del letto e cadeva sul quadro rappresentante la morte di S. Giuseppe. Poco dopo spirava. Attestarono il fatto due convittori D. Allachis e D. Bonino, che erano presenti e Mons. Cagliero che l'udì dalla bocca di D. Bosco.

D. Bosco era stato avvisato in fretta del trovarsi Don Cafasso agli estremi. Egli andò subito col giovane Cerruti Francesco e giunse che era spirato da pochi istanti. Gettatosi in ginocchio a fianco del letto, ruppe in dirottissimo pianto.

Alla sera diede ai giovani il doloroso annunzio, fece l'elogio di D. Cafasso, promise che ne avrebbe scritta la vita e ordinò che la festa di S. Giovanni Battista fosse trasportata fino alla domenica 1 luglio dopo la solennità di S. Luigi, che si doveva celebrare il 29 giugno.

Il 23 e il 24 giugno la camera di D. Cafasso venne mutata in cappella ardente. Vi fu un grande concorso di gente a contemplare il corpo del santo prete che spirava dal volto un aria di Paradiso. Si baciavano le sue mani, si tagliavano i suoi panni, i suoi abiti, i suoi capelli, si faceva toccare il suo corpo con oggetti che divenivano preziosi per tale contatto. Tutti volevano reliquie.

Il 24 alla sera chiusa la salma in una cassa di noce fu trasportata nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, in mezzo a folla straordinaria che baciava il drappo funebre. Qui per le vive istanze del popolo, si riaperse la bara, si fece vedere il sacro cadavere e poi si rinchiuse.

Il 25 al mattino sull'alba recitato dai convittori l'ufficio dei defunti, il Teol. Golzio cantò la messa da Requiem. La gente faceva ressa, molti piangevano e alcuni deponevano fiori e gigli sul feretro. Era uno spettacolo commovente.

Giunta l'ora fissata per la sepoltura sfilò il corteggio funebre. Procedevano varie confraternite, i Francescani, una rappresentanza dell'Oratorio di Valdocco e una fila di circa 200 Sacerdoti, fra i quali D. Bosco, senza tener conto dei molti che seguivano la bara. Lungo la via stavano assiepati migliaia e migliaia di cittadini. D. Bosco udiva da ogni parte, elogi, preghiere, singhiozzi.

Giunti alla parrocchiale dei Santi Martiri pure stipata di gente, si cantò la messa, si fecero le esequie e quindi i soci della confraternita di S. Rocco levarono sulle spalle il prezioso deposito e si diressero al campo santo. Molta gente d'ogni ordine di persone prese a seguire il feretro recitando preghiere e rosari alternati tra sacerdoti e popolo. La piccola chiesa del cimitero Torinese non potè contenere la moltitudine che seguiva quelle venerande spoglie. Compartita l'assoluzione funebre il feretro era trasportato in una camera mortuaria, ove fu una gara tra i fedeli nel dividersi i fiori soprastanti alla cassa, quasi preziose memorie del defunto sacerdote.

I giorni seguenti continuarono le visite al suo sepolcro delle persone da lui beneficate. D. Bosco fu pure a visitarlo e lasciò scritto: “Il Cristiano cimitero sempre eloquente maestro a chi vi entra collo spirito della fede e colla preghiera della religione, diviene un luogo indispensabile al cuore, quando tra quelle tombe dimorino le ceneri dei nostri diletti benefattori ”.

Intanto, con verbale del 25 giugno 1860 della Corte d'Appello, fu aperto il testamento segreto di D. Cafasso, che aveva la data del 10 ottobre 1856. Il servo di Dio lasciava i beni di famiglia a' suoi parenti, e quelli ereditati dal Guala alla piccola Casa della Divina Provvidenza. Fra i molti legati vi era l'articolo decimoquarto in favore di D. Bosco e de' suoi giovinetti “Lascio al Sacerdote D. Bosco Giovanni di Castelnuovo d'Asti e domiciliato in Torino quanto è di mia proprietà per sito e fabbrica attigua all'Oratorio di S. Francesco di Sales in questa Capitale regione Valdocco, coll'aggiunta di lire cinquemila per una volta tanto. Condono al medesimo quanto fosse per essere debitore verso di me al mio decesso, lacerando perciò o rimettendogli ogni memoria in proposito ”.

Con questo testamento rimase D. Bosco solo proprietario dell'acquisto fatto dal Sig. Pinardi.

D. Bosco alla sera parlò ai giovani come D. Cafasso avesse lasciato loro nel suo testamento una memoria della sua carità, descrisse il magnifico funerale che attestava le sue virtù da tutti riconosciute; notò l'impressione salutare che arreca e anime pie la morte del giusto e l'orrore che desta la fine del malvagio esposta da un fatto terribilmente tragico avvenuto in quei giorni.

“ A Prato un focoso rivoluzionario entrato in un caffè cavò fuori due pistole dicendo: - Con una voglio uccidere Pio IX, con l'altra il parroco della Cattedrale. - Quindi per confermare col gesto questo suo infame proposito, battè sul tavolino col calcio di una di quelle pistole. Disgraziatamente essendo carica, scattò il grilletto, sparò, e la palla si piantò nella testa allo sciagurato. Si corre per un prete e il primo che si incontrò fu il parroco stesso della Cattedrale, voluto uccidere da quell'infelice. Il parroco corse in fretta, ma non trovò più che un cadavere”.

Il 29 giugno nota Ruffino, si celebrò nell'Oratorio la festa di S. Luigi. Si distribuirono ai giovani le medaglie coll'immagine di S. Luigi da un parte e quella dell'Angelo Custode dall'altra. Tutti se l'attaccarono al vestito, anche i chierici e i preti. Fece la predica il sig. D. Ciattino parroco di Maretto e parlò sul far conto delle cose piccole. Piacque molto. Al dopopranzo vi fu una rappresentazione drammatica. Alla sera si fece la processione. I giovani avevano tutti la loro medaglia. Come altre volte varii rappresentavano alcuni santi fra cui uno vestito da San Giovanni Battista. Sul far della notte palloni areostatici, razzi e fuochi artificiali.

Il 30 giugno si cantò per D. Cafasso la Messa di settima nella chiesa di S. Franceso d'Assisi con una funzione assai modesta. D. Bosco prendeva parte a quanto riguardava i suffragi al santo suo compatriota e nel Convitto trovava sempre il suo sollievo. Si era scelto per nuovo confessore il Teologo Golzio, al quale continuò a confessarsi regolarmente ogni otto giorni. Anche il Teologo era persuaso che il Signore conducesse D. Bosco per vie straordinarie e non si oppose al suo metodo di spirituale direzione anche quando l'Oratorio fu pieno di alunni interni e di chierici. “ Grande era il rispetto che aveva per lui D. Bosco, afferma D. Albera, e così sentito il rispetto e l'amore del Teol. Golzio per D. Bosco, che risolveva di lasciarlo erede dei suoi beni ”. Il Rettore che succedeva nel Convitto a D. Cafasso era il Canonico Eugenio Galletti, il quale per amor di Dio aveva già rinunziato al suo canonicato per chiudersi in mezzo ai poveri della Piccola Casa del Cottolengo. Il degno sacerdote era pure amico di D. Bosco, il quale continuò ad avere da lui nel Convitto una stanza e la biblioteca a sua disposizione, perchè potesse liberamente, come in un luogo più tranquillo, ritirarsi a scrivere i suoi libri. Continuò pure per suo volere a recarsi in quest'anno e ne' seguenti agli esercizi spirituali di S. Ignazio.

 

 

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