Capitolo 46

Sogno: ogni alunno estrae un biglietto da una borsa che gli vien presentata: D. Bosco palesa ciò che sta scritto nei biglietti - Necessità di ottenere una proroga ai professori dell'Oratorio per fare scuola - Colloquio di D. Bosco con Selmi: osservazioni e spiegazioni. - politica: Letture Cattoliche - Lettera di A Bosco a Selmi - Incertezze - Speranze e afflizioni - Pio IX si lamenta perchè D. Bosco non gli scrive - D. Bosco in un suo foglio gli predice la futura sorte di Roma - Lettera del Papa a D. Bosco.

Capitolo 46

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

 Nella mente e nel cuore di D. Bosco primeggiava sempre l'amabilissima figura di Maria SS. e una sera nei primi giorni di luglio, annunziava di aver visto in sogno una persona ( e pare fosse la Vergine Benedetta) passare in mezzo ai giovani e presentare loro una borsa riccamente lavorata, perchè ciascuno tirasse a sorte un bigliettino fra i molti che vi erano rinchiusi. D. Bosco le si mise a fianco. Di mano in mano che un giovane estraeva il biglietto, egli notava la frase o la parola che su quello era scritta. Finì il suo breve racconto col dire che tutti presero il loro biglietto, fuorchè uno il quale non andò e stette in disparte; e avendo D. Bosco voluto vedere ciò che era scritto sulla cartolina rimasta in fondo alla borsa, vi lesse: Morte.

Intanto egli invitò ciascuno a venirgli a domandare ciò che era scritto nel suo biglietto. Cosa che riempie di meraviglia! I giovani in casa erano circa 700 e ad ognuno ripetè un motto o di consiglio o profetico, svariatissimo, conciso e secondo il bisogno. E ciò che sorprende di più è che dopo molti anni si ricordava di quanto aveva detto ai singoli giovani.

D. Mussetti Sebastiano, della Collegiata di Carmagnola, allora giovanetto, ebbe da D. Bosco, che sopra il suo biglietto vi era scritto Costanza; e incontratolo molti anni dopo si senti ripetere con solennità: - Oh! ricordati: Costanza.

Ma vi ha ancora di più, asserisce il Canonico. Un gruppo di giovani si mise di sentinella, tenendo nota di quanti si presentavano a D. Bosco per chiedergli del proprio biglietto e ve ne fu un solo che non andò. Questi fu un giovane d'Ivrea che finiva gli studii del ginnasio.

D. Mussetti è pronto a dare giuramento se fosse chiesto per testificare questi fatti.

D. Bosco, appoggiato alla protezione della celeste Madre, pensava intanto al modo di far rinnovare le concessioni ottenute dall'Autorità scolastica. L'approvazione degli insegnanti nel suo ginnasio era temporanea cioè pel solo anno scolastico 1862 - 63 e con l'obbligo di provvedere professori muniti del titolo legale per l'anno 1863 - 64. Gli esami di ammissione all'Università, per quanto avessero manifestato un vero valore letterario nei quattro aspiranti ai gradi accademici, non conferivano diritto all'insegnamento. Era quindi, necessario non lasciar passare un tempo troppo prezioso per ottenere un nuovo permesso.

D. Bosco pertanto si recò a far visita al Provveditore, e trovò che Selmi gli continuava la sua benevolenza. Prese pertanto a parlargli delle sue cose scolastiche, ma da lui, che aveva letta la relazione del Prof. Ferri, fu ammonito a non dare appiglio a nessuna delle accuse, che gli erano state apposte ed a modificare qualche giudizio nella Storia d'Italia.

D. Bosco gli ripetè ciò che altra volta avea detto, cioè che egli e i suoi sapevano conciliare il dovere di buoni cattolici con quello di onesti cittadini; che egli non aveva mai avuto relazioni compromettenti, contrarie alla tranquillità dello Stato, col Papa, coi Vescovi e coi Gesuiti, e che era invenzione di mentitori solenni che questi personaggi facessero cosa disdicevole al loro carattere; essere suo sistema, costantemente osservato, di non immischiarsi in politica ne prò nè contro, perchè la politica non è pane per i giovani e perchè un superiore, un maestro, un capo d'arte non deve essere uomo di partito, ma avere per unico fine dell'opera sua la savia istruzione e la morale educazione de' suoi allievi.

Il Provveditore volle anche consigliarlo di cessare dalla propagazione delle Letture Cattoliche, quasi fosse cosa disdicevole alla dignità di educatore.

    - E perchè? gli chiese D. Bosco.

    - Veda, gli rispose Selmi, que' suoi libretti, specialmente le biografie di certi giovani, non corrispondono agli ideali de' nostri giorni. E purtroppo la sua maniera di scrivere, l'importanza che dà ai ragazzi lodandoli della loro semplicità, e mettendo in rilievo le loro piccole e tenere virtù, li fa compiacere tanto di se stessi, che ne restano come affascinati, fanno proprie le sue opinioni e invidiano quelli che stanno con lei.

 - Questo non è un male, replicò D. Bosco; per altra parte se vostra Signoria vuole avere la bontà di leggere quei libri attentamente, si persuaderà che non si tratta di politica. Se vi trovasse però degli errori di grammatica, di ortografia e di senso, le do parola di galantuomo, che io correggerò tutto.

Selmi non replicò a questa uscita di D. Bosco. In ogni imputazione di que' signori entrava sempre quella benedetta politica, la quale però, secondo essi, comprendeva gravissime questioni religiose; ma per D. Bosco la politica era semplicemente politica e questa in un paese dove si proclamava la libertà di pensiero e discussione. Nell'Oratorio però si faceva a meno di tale conquista moderna. Ciascuno era libero di tenere in politica un'opinione più che un'altra, purchè acconsentita dalla Chiesa, ma a niuno era permesso di farne in casa soggetto di disputa o trattarne pubblicamente coi giovani. Fuori di casa i tempi, i luoghi e la prudenza dovevano suggerire quando tali prescrizioni, avrebbero dovuto essere modificate, Poichè, e tanto più in tempi di partiti, è troppo facile lasciarsi sfuggire espressioni, le quali a chi siede al Governo possono dare pretesto per malignare contro l'intero istituto.

D. Bosco, che ad un amabile fermezza univa una somma prudenza, ritornato all'Oratorio dalla sua visita a Selmi, così gli scriveva:

 

Ill.mo Signor Provveditore,

 

    Ringrazio di tutto cuore V. S. Ill.ma che si degnò di palesarmi chia­ramente le cose che, postane la realtà, metterebbero le scuole dei no­stri poveri giovani in opposizione agli ordinamenti governativi. Io credo che Ella voglia eziandio ammettere come sincere le osserva­zioni da me fatte, quindi le divergenze, come Ella compiacevasi di esprimermi, si ridurrebbero ad alcune cose accidentali, e che mi sem­brano non dover cagionare alcuna apprensione.

Tuttavia desiderando che Ella comprenda bene quanto lo diceva di passaggio alle venerate di Lei osservazioni, La prego di volermi permettere che qui le riduca a pochi periodi la iuta professione di fede politica.

Sono 23 anni da che sono in Tornio ed ho sempre impiegate le mie poche sostanze e le mie forze nelle carceri, negli ospedali, nelle piazze a favore dei ragazzi abbandonati. Ma né colla predicazione, né cogli scritti, che pur sono tutti stampati col mio nome, né in alcun altro modo ho mai voluto mischiarmi in politica. Perciò l'associazione ai giornali di qualunque colore è proibita per sistema in questa casa. Quanto si dice diversamente sono voci aghe e prive di fondamento. Riguardo alle cose accidentali che mi notava Le dirò:

I° L'istruzione dei chierici che si vorrebbe dire avversa al governo, non lo è, perchè non hanno qui altra istruzione se non quella greca e latina. Per tutto ciò che riguarda alla filosofia, ebraico, Bibbia, Teologia, vanno al Seminario regolarmente.

2° La Storia d'Italia non è usata nelle nostre classi se non per la Storia Romana.. Riguardo al Duca di Parma ed altri personaggi di cui tacqui alcune azioni biasimevoli, ho ciò fatto per secondare il principio stabilito dai celebri educatori Girard e Aporti, i quali raccomandano di tacere nei libri destinati pei fanciulli tutto quello che può cagionare sinistra impressione nelle tenere e mobili menti dei giovanetti. E ciò non ostante nella prossima ristampa io modificherò ed anche toglierà tutti quei brani che Ella mi ha accennati o che volesse ancora indicarmi.

3° I programmi delle scuole non sono altro che i governativi, come poterono osservare il Sig. Ispettore cav. Ferri e il Sig. Dott, Vigna di Lei segretario.

4° Le Letture Cattoliche non si possono dire antipatriottiche giacchè ivi non si parla mai di politica. Se ci sono cose che a taluno sembrino inesatte, deve ciò condonarsi ad un povero storico che fa quanto può per iscrivere la verità e spesse volte non può appagare il lettore, perchè le cose non sono di suo gusto, o perchè attinte a fonti non abbastanza depurate. Ma anche in questo io mi sottometto a quanto le ho verbalmente accennato. Noti per altro che lo sono un semplice collaboratore delle Letture Cattoliche. L'ufficio è in Torino e la direzione è composta d'altri individui. Nè ho agio di sorta se non quello della stampa che serve a dar lavoro ai nostri poveri giovani.

5° Si fece poi accusa che tra noi non abbiamo il ritratto del Re. Questo è del tutto inesatto, perciocchè esso esiste in più siti: nelle tre camere, di ufficio, di segretaria e di udienza, ve ne esiste uno per sito. Sarà difficile trovare casa d'educazione dove si preghi più di noi e pel Re e per tutta la Reale famiglia.

Riguardo alle scuole se mi lascierà continuare così finchè gli attuali maestri reggenti abbiano ultimati i loro esami, sarà un bene che si fa ai poveri giovani; altrimenti devo cercarmene dei titolati e perciò rifiutare ricovero ad un determinato numero di poveri giovani. Ma spero molto nella continuazione dei suoi favori.

Del resto pensi che siamo ambidue persone pubbliche. Ella per autorità, io per carità. Ella di nulla abbisogna da me, io molto da Lei. Ma ambidue possiamo meritarci la benedizione di Dio, la gratitudine degli uomini, beneficando e togliendo dalle piazze poveri giovanetti.

Il cielo mandi copiose benedizioni sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia; mi compatisca la rinnovazione del disturbo e mi creda con pienezza di stima,

 

Torino, 13 luglio 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Giovanni.

 

 

La risposta del Provveditore non doveva essere stata pienamente conforme ai suoi desiderii. Non è improbabile che la consorteria del Cav. Gatti, molto numerosa, cercasse di far desistere Selmi dalla protezione accordata a D. Bosco; fors'anco gli articoli rabbiosi dei giornali contro i Fratelli delle Scuole Cristiane, gli facevano temere che finissero col sollevare contro di lui la così detta pubblica opinione. Può darsi quindi che Selmi per allora non volesse prendere una deliberazione, aspettando consiglio dal tempo. Lo stesso Don Bosco può essere che dagli amici impiegati nei Ministeri ricevesse notizie poco rassicuranti. Il fatto sta che egli per due mesi visse in penosa incertezza, come consta da una sua lettera, scritta alla Marchesa Fassati.

 

Benemerita Signora Marchesa,

 

Faccende sopra faccende mi hanno impedito di rispondere prontamente alla lettera che la virtuosa Azelia mi scriveva a nome della S. V. Benemerita.

Le dirò adunque che il Savio può venire quando che sia, purchè non oltrepassi il 20 del p. ottobre. Riguardo al Marchisio io non aveva data risposta definitiva, dicendogli che l'avrebbe poi ricevuta da Lei.

Difatto Ella può dire al medesimo che può venire col medesimo Savio, quella Divina Provvidenza che ci aiutò in tante guise ci aiuterà anche per questo novello aspirante levita.

Signora Marchesa, se fa tempo in cui abbia avuto bisogno delle sue preghiere certamente è questo. Il demonio ha dichiarato guerra aperta a questo Oratorio, e sono minacciato di chiusura, se non lo porto all'altezza dei tempi secondo lo spirito del Governo. La Santa Vergine ha assicurato che ciò non sarà; ma tuttavia Dio può trovarci degni di castigo e fra gli altri permettere questo.

Sono alcune settimane che io vivo di speranza e di afflizioni. Ella adunque aggiunga le divote sue preghiere a quelle che facciamo in questa casa e mettiamoci nelle mani della Provvidenza.

La Santa Vergine in questa sua solennità regali a Lei la rosa della Carità, ad Azelia la violetta dell'Umiltà, ad Emanuele il giglio della Modestia e ci conservi tutti sotto la sua potente protezione. Amen.

Con gratitudine e stima mi professo

       Di V. S. Benemerita

 

Torino, 3 settembre 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Giovanni

 

P.S. Ho veduto alcune volte il Marchese che è in salute. Ci promise di venire a fare un giorno un lauto pranzo con noi, ma finora non è venuto.

 

 

In questo tempo però D. Bosco provava una di quelle consolazioni che a lui erano più care.

Pochi giorni dopo aver scritto al Provveditore per gli studi, era consegnata a D. Bosco una lettera del Sommo Pontefice in risposta, se non andiamo errati, ad una sua, della quale ci conviene fare qui un po' di storia. Pio IX desiderava di avere spesso da D. Bosco, oltre alcuni consigli, eziandio previsioni sui futuri sforzi della rivoluzione riguardo a Roma.

Una domenica del mese di giugno il Marchese Scarampi, ritornato da Roma, era venuto all'Oratorio per fare il catechismo ai giovani, essendo egli il pi√π assiduo fra i catechisti. D. Bosco lo trattenne e gli chiese notizie del Santo Padre.

Come seppe che S. S. aveva parlato di Lui e chieste notizie e nello stesso tempo si fosse lamentato, perchè erano ormai  due mesi che non gli aveva più scritto una sola riga:

 - Quando ritornerà a Roma, sig. Marchese gli rispose D. Bosco.

 - Da qui a quindici giorni.

 - Ebbene io preparerò una lettera pel Santo Padre.

Il Marchese infatti ripartì latore di una lettera di D. Bosco a Pio IX. Il Pontefice l'aperse subito e la lesse in presenza del Marchese e poi: - Come! esclamò, volgendo e rivolgendo il foglio tra le sue mani. Come! Che cosa mi scrive D. Bosco! Non mi aspettava una simile lettera! - Quindi rimase pensoso piegò il foglio e più non disse.

Il Marchese Scarampi colpito da quella esclamazione, appena fu di ritorno da Roma, passò all'Oratorio, narrò a D. Bosco della lettera consegnata al Papa e dello stupore manifestato da S. S. nel leggerla; e gli aggiunse, che se la domanda non era indiscreta, nutrir esso viva curiosità di conoscere che cosa quella lettera contenesse. D. Bosco gli rispose: - Glielo, dico subito: Ho scritto al Papa che non si lusinghi di queste apparenze di pace; che si prepari a fare il sacrifizio della sua Roma, poichè essa sarà preda della rivoluzione.

Queste parole furono anche udite da D. Francesia e da Don Cagliero, tanto più rimarchevoli, perchè non sembrava allora verisimile che i settarii potessero riuscire nei loro intenti.

Il Papa era tranquillo in mezzo all'affetto ed alla venerazione de' Romani: ed all'affluenza di migliaia di pellegrini che accorrevano a Roma. La rivoluzione aveva fatta una sosta nella sua marcia. Gli avvenimenti in Italia dipendevano dalla volontà del Sire Francese, che non palesava mai per intero i suoi disegni, ma che era sdegnato contro l'Inghilterra, che, per far paghi i voti dell'Italia, aveva dichiarato necessario lo sgombro delle truppe francesi da Roma; e offerta Malta al Papa per sua residenza con promessa di generosa e splendida ospitalità. Il Papa era sostenuto dalla presenza dell'esercito imperiale; e visitando le poche provincie che gli erano rimaste, all'entusiasmo dei popoli si univa la scorta della brillante ufficialità francese, che ne accompagnava la carrozza. La France pubblicava: - “ L'Italia non avrà mai una capitale a spese dell'indipendenza del Papato. Il Ministro degli af­fari esteri annunzia che la Francia è decisa a guarentire il presente territorio della Santa Sede ”. Nel senato francese si era detto quanto fosse meglio in Italia una confederazione onesta, che una violenta unità. In un indirizzo dei Corpo le­gislativo all'Imperatore leggevasi: - “Non lasciate di pro­teggere l'indipendenza del Santo Padre ”. - E O Quin mem­bro della Commissione della Camera dei Deputati, che aveva combinato l'indirizzo, dichiarava che un grande interesse religioso e politico comandava alla Francia di conservare Roma alla S. Sede. - Il contegno del Governo francese, le dichiarazioni del Ministro Billault, i documenti ufficiali pubblicati dal Moniteur i voti della Camera elettiva e del Se­nato e forse una parola venuta da Parigi parvero consecrare questo principio, e avean tolto ogni speranza ai moderati non meno che ai mazziniani.

Minacce atroci erano scagliate contro Napoleone dai giornali delle sette; ma erano scomparse dalle frontiere pontificie le bande armate.

Ecco adunque la lettera che il Santo Padre aveva scritto a D. Bosco.

 

PIO PAPA IX

 

Diletto figlio - Salute ed Apostolica benedizione,

 

Ci era nota per molti e preclari argomenti la tua pietà ed il tuo zelo; perciò ricevemmo con vivo piacere la nuova testimonianza di devozione che con ossequentissima lettera c'inviasti. Ci rallegriamo eziandio nel sentire che per cura ed industria di anime pie si diano alla luce ottimi libri, adatti a promuovere la pietà e preghiamo Iddio di secondare questi principii e di coronarli col risultato che se ne desidera.

Pur troppo non ci tornarono nuove ed inopinate le cose che ci scrivi intorno alla guerra accanita che si muove alla chiesa. Ma come ben sai Noi dobbiamo mettere ogni nostra fiducia in Dio che ha cura di noi. Egli non vien mai meno a coloro che confidano in lui; perciò in lui riposa ogni nostra speranza, corroborata specialmente dalla intercessione della Vergine Madre, nel cui aiuto abbiamo illimitata fiducia.

Intanto mentre esortiamo la tua pietà a venirci in aiuto con ferventi preghiere, qual pegno del nostro paterno affetto, impartiamo di cuore a te ed a tutti quelli che, come scrivi, sono impegnati a diffondere le sane dottrine, l'Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il 15 Luglio 1863. - Del nostro Pontificato anno XVIII.

 

PIO PP. IX.

 

Al diletto figlio

Sacerdote Giovanni Bosco

               Torino

 

 

 

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