Visite dei Vescovi all'oratorio e festose accoglienze - L'onomastico di D. Bosco e due cuori d'argento - A S. Ignazio sopra Lanzo - Due corsi di esercizi spirituali ai giovani sulle colline di Moncalieri - Liberazione di Roma - Morte di Carlo Alberto - Alcune decisioni dei Prelati subalpini a Villanovetta - Buon esito della prudenza e carità di D. Bosco.
del 15 novembre 2006
 Abbiamo detto nel capitolo precedente che una delle cause per le quali i giovanetti dell'oratorio amavano e rispettavano D. Bosco era il rispetto e l'amore che egli professava verso i suoi superiori. Dopo il Papa erano i Vescovi. Riconosceva egli in questi i successori degli Apostoli, messi dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio sotto la dipendenza del Romano Pontefice, e ciò andava predicando del continuo ai suoi alunni insistendo sull'obbligo di obbedire alle loro prescrizioni. Un giorno ammonì un sacerdote che affermava, a metà dell'anno, di non aver egli ancor letto i moniti del calendario liturgico diocesano! - E che cosa legge lei d'importante, gli disse, se non legge questi moniti?
Quando un Vescovo veniva all'oratorio all'improvviso, egli si faceva premura di onorarlo nei modi più cordiali e riverenti; e non per mera cortesia ma per stretto dovere di giustizia; e trasmetteva subito ordine a tutti, che gli facessero le accoglienze più festose. Se ne era prevenuto, ne dava con santo giubilo l'annunzio ai giovani, usando le espressioni più energiche per dimostrare qual rispetto era dovuto a tanta dignità. In queste occasioni ci metteva in moto tutto l'oratorio, si moltiplicava per fare egli stesso o disporre ogni cosa; talora preparava qualche accademia musico - letteraria, e se il Vescovo doveva celebrare la Santa Messa si raccomandava che numerose fossero le comunioni. Il giorno poi dell'arrivo, in mezzo al plauso dei giovani e sovente al suono di una banda musicale, era un giorno di gran festa. D. Bosco accoglieva il Vescovo inginocchiato per terra e lo accompagnava per la casa sempre col suo berretto in mano. Desiderando di aver sovente l'onore di visite così preziose, invitava sempre qualche Prelato alle feste principali dell'Oratorio e per amministrare la S. Cresima; andava a consultarli nelle difficoltà che incontrava nella sua missione o per qualunque altro affare d'importanza; si stimava fortunato quando poteva prestar loro qualche servizio od aiuto.. Per la sua figliale affezione e la santità della vita oltre un migliaio furono le visite di Vescovi che onorarono la casa di Valdocco in tutto il tempo della vita di D. Bosco, venuti da ogni parte dell'orbe cattolico e quasi sempre per trattare di affari riguardanti il bene della Chiesa. Tale frequenza di così eminenti personaggi incominciò nel 1848 e fra i primi non una sola volta veniva il Nunzio Apostolico Mons. Matteucci, il quale strinse con D. Bosco un vincolo d'amicizia che durò, come vedremo, tutto il tempo della sua vita.
Il Teol. Savio Ascanio vide nell'Ospizio mentre era chierico, Mons. Riccardi Vescovo di Savona, Mons. Moreno d'Ivrea, Mons. Balma Vescovo missionario nelle Indie, e nel 1851 Mons. Cerretti venuto per l'amministrazione della S. Cresima, e altri. Questi indirizzavano quasi sempre un'affettuosa parola ora ai giovani dell'Ospizio, ora a quelli dell' Oratorio Festivo, nel cortile o nella cappella, invitandoli a ringraziare Iddio che li aveva raccolti in quel luogo di benedizioni ed esortandoli a corrispondere agli insegnamenti ed alle cure del loro Padre Don Bosco. Per questi ed altrettali ragioni dunque, l'affetto, la stima, la gratitudine dei giovani verso D. Bosco non aveva limiti. Ma occasione speciale per dimostrare questi loro sentimenti era la festa di S. Giovanni Battista. Nel 1847 e nel 1848 gli alunni interni si erano contentati di leggere alcune brevi ma affettuose composizioni di auguri, i giovani esterni di offrirgli qualche mazzo di fiori. Che potevano allora far di pi√π que' poveretti? Ma l'affezione fu una industriosa consigliera; e forse che sarebbe in errore chi pensasse la colletta per Pio IX e le feste al Vescovi aver suggerito il modo di onorare D. Bosco?
Or dunque nel 1849 vi fu chi ebbe una felice idea. Carlo Gastini e Felice Reviglio accordatisi in segreto per vari mesi, risparmiando sul cibo e conservando gelosamente le loro piccole mance, riuscirono a comperarsi due cuori d'argento. Erano infastiditi, non sapendo in qual'ora presentare il loro dono; desideravano pure che altri non venisse in cognizione dei loro segreto perchè a D. Bosco tornasse inaspettata la cosa. Eravamo già alla vigilia di S. Giovanni. - Come fare? - si chiedevano a vicenda. La stanza di D. Bosco era vicina a quella ove dormivano gli alunni, perchè egli voleva averli sempre sott'occhio. Quando dunque tutti i giovanetti furono a riposo, Gastini e Reviglio andarono a bussare alla porta di D. Bosco, il quale benchè l'ora fosse molto tarda, essendo ancora in piedi, rispose che entrassero. Pensate la sua meraviglia e commozione nel vedersi  presentare quei due cuori d'argento, e nell'udire le poche, ma cordiali parole di augurio di quei suoi due buoni figliuoli.
Il domani da tutti i compagni si seppe di quel dono, e non senza un po' di gelosia, e proponendo ciascuno che per l'anno venturo si sarebbe fatto una bella festa da tutto l'Oratorio. Frattanto in quel giorno il cortile risuonò più lietamente di quegli inni composti dal Teol. Carpano, che continuamente cantavano i giovani in ogni circostanza e ovunque andassero:
  
   Andiamo, compagni,
   D. Bosco ci aspetta
   La gioia perfetta
   Si desta nel cuor.
Il tempo è gradito,
C'invita a goder;
Corriamo all'invito
Di festa e piacer
Lieti, lieti andiamo in fretta,
Abbia ognuno il cuor contento,
Nè mai voce di lamento
Osi il labbro proferir.
 
Ovvero:
 
Viva D. Bosco
Che ci conduce
Sempre alla luce
Della virt√π,
Che in lui men lucida
Giammai non fu.
I fuochi accendansi
In questo loco,
S'accenda il fuoco
Del nostro amor,
Per D. Giovanni
Nostro Pastor.
 
Ma gli anni seguenti, costituitasi una commissione, i giovani interni ed esterni fecero una colletta tra loro e incominciarono a comprare qualche dono da offrire al caro padre.
Quindi alla sera della vigilia della festa di S. Giovanni Battista, se era di Domenica, ovvero al giorno del Santo, con gran solennità, musica ed entusiastiche ovazioni, andavano tutti a radunarsi innanzi alla casetta. Una deputazione dei più anziani nel 1850 salì alla camera di D. Bosco e lesse il primo componimento di presentazione del dono, attestando la loro riconoscenza. Egli poi compariva sulla loggia e non è qui facile compito descrivere il tripudio di mille cuori sinceri, affezionatissimi, dai quali erompevano sentimenti i più puri, i più figliali, quali sa coltivarli solamente la carità. D. Bosco disse alcune parole di ringraziamento e quindi fu cantato un inno. Questa festa fu rinnovata per alcuni anni colto stesso programma, mentre gli alunni interni non trascuravano di fare una piccola accademiola in famiglia. Non andò molto però che simile festa assunse un aspetto veramente regale per gli apparati, i doni, la lettura dei molti componimenti, e le lettere individuali di ringraziamento, di promesse, di suppliche, di richiesta di consigli, tutte riboccanti di affetto, lettere che D. Bosco gelosamente conservava. Dal 1849 in poi ogni anno si cantò un inno sempre nuovo, musicato da valente maestro.
Precedeva o susseguiva la festa del padre, la festa dei figli cioè quella di S. Luigi.
Dopo queste feste D. Bosco si preparava ad andare al Santuario di S. Ignazio, ove assolutamente lo chiamava la volontà di D. Cafasso. Il santo prete, succeduto al Teologo Guala nell'amministrazione di quel Santuario e nella direzione degli esercizi spirituali, dava mano ai suoi disegni di proseguire il lavoro colossale della strada carrozzabile nella massima parte già compiuta, di accrescere il numero delle celle nel locale per gli esercitandi, di compiere la fabbrica dal lato di levante, di rinnovare con pietre lavorate la grandiosa gradinata che metteva alla chiesa. D. Bosco a S. Ignazio e con D. Cafasso si trovava come a casa sua. Meditava sopra se stesso col ritiro spirituale, confessava molti dei convenuti agli esercizi, e col suo benefattore e maestro prendeva la decisione risoluta di por mano al principio della sua pia Società.
Ritornato in Torino dispose che in luglio avessero luogo, secondo il consueto, gli esercizi spirituali, per i giovanetti alunni interni e per alunni esterni. Sulle colline di Moncalieri presso S. Margherita sorge una villa, ove a riposo dello spirito e a ristoro delle forze corporali si raccoglieva il Beato Sebastiano Valfrè. Padrone per qualche tempo di quell'incantevole sito fu in quei giorni il Teologo Giovanni Vola, quello stesso che aveva regalato a D. Bosco il suo orologio quando lo incontrò con sua madre che veniva a prendere alloggio in casa Pinardi. Egli invitò D. Bosco a condurre lassù alcuni suoi giovani per il ritiro spirituale. Fu messa in ordine una cappella. Predicarono il Teologo Botto e il Teologo Vola. Don Bosco presiedette, predicò, e tutte le sere faceva ai giovani una breve esortazione. Il primo corso di esercizi occupò la prima settimana di luglio, e i giovani furono ventotto. Il secondo corso incominciò il 23 luglio lunedì e terminava al sabato, e si radunarono trentanove giovani, due dei quali venuti da Moncalieri, quattro da Cambiano e quattro da Chieri. D. Bosco scrisse i nomi di tutti questi giovani, e noi li conserviamo come preziosa memoria di quei fortunati. La casa non era vasta, e furono occupati perfino i sottoscala e i sottotetti. Le stanze erano sprovviste dei mobili anche più necessari. D. Bosco raccontava più tardi, e con enfasi, gli aneddoti succeduti in conseguenza di tali strettezze sia pel dormire, sia pel mangiare; nonchè l'industriosa sollecitudine congiunta ad ammirabile pazienza dei giovani stessi nell'adattarsi alla meglio, tollerando con allegria gli incomodi inevitabili. Una panca, due sedie, un asse, una coperta per terra, un pagliericcio erano i loro letti.
È nella domenica intermedia fra questi due ritiri spirituali, il 15 del mese, che i Francesi, dopo lunghe trattative e disperati combattimenti, entravano a forza nella capitale del mondo cattolico spiegandovi la bandiera pontificia, ma lasciando che i capi settari potessero mettersi in salvo ed ordire nuove congiure. Il generale Oudinot aveva mandate immediatamente al Papa le chiavi di Roma.
Ma se D. Bosco fu consolato da questa notizia, ne giunse in Torino un' altra che lo addolorò profondamente con  suoi figli. Aggravato in Oporto dal peso della sventura e dall'incrudelire di un'antica malattia, Carlo Alberto, munito dei conforti della nostra santa Religione, era spirato da vero cristiano il 28 luglio. D. Bosco fece pregare, come era doveroso per un sovrano che egli stimava ed amava assai, e che più volte aveva beneficata e protetta la sua Istituzione. Il suo dolore però era unito alla speranza, essendo stato questo Re molto devoto di Maria Consolatrice e pieno di carità verso i poveri. Sopra il suo feretro non si ebbe a sentire stringere il cuore da tremende dubbiezze circa gli eterni destini dell'anima sua. Anzi di quando in quando, come un caro ricordo, Carlo Alberto si affacciava alla mente di D. Bosco che molti anni dopo, in poche parole ci esponeva, ed eravamo due soli, una graziosa fantasia che gli era durata tutta la notte.
“ Mi parve di essere nel dintorni di Torino, e passeggiare in mezzo ad un viale. Ed ecco venirmi incontro il Re Carlo Alberto, il quale sorridente si fermò a salutarmi. - Oh Maestà! - esclamai.
 - E come state, D. Bosco?
 - lo sto bene e sono troppo contento d'averla incontrata
 - Se è così, volete accompagnarmi in questa passeggiata?
 - Volentieri!
 - Dunque andiamo! - Ci siamo messi in cammino verso la città. Il Re non indossava nessuna insegna della sua dignità vestiva panni bianchi, ma non candidi.
       - Che cosa dite di me? - ripigliò il Sovrano.
 ”Risposi: - So che Vostra Maestà è un buon cattolico.
 - Per voi sono qualche cosa di più ancora: io ho sempre amata l'opera vostra, sapete. Ho sempre avuto gran desiderio di vederla prosperare. Avrei voluto aiutarla molto e molto, ma gli avvenimenti me lo impedirono.
 - Se è così, Maestà, io Le farei una preghiera.
 - Parlate.
 - La pregherei ad essere priore della festa di S. Luigi che facciamo nell'oratorio in quest'anno.
 - Volentieri, ma intendete anche voi che la cosa farebbe troppo rumore: sarebbe un fatto inaudito, quindi non pare che sia conveniente tanta confusione di festa. A tutti i modi vedremo come possiate essere contento, anche senza la mia presenza.
 ”Continuando a parlare di varie altre cose siamo giunti ambedue vicino al Santuario della Consolata. Quivi era come un'entrata sotterranea, quasi alle falde di un'alta collina, e il cunicolo, che era strettissimo, invece di discendere saliva. - Bisogna passare di qua, - mi disse il Re; e piegate le ginocchia e abbassata fino a terra la maestosa sua fronte, così prostrato incominciò a salire e disparve.
 ”Allora, mentre io esaminava quell'entrata e cercava collo sguardo di scrutare quelle tenebre, mi svegliai ”. Esaminando la data di questo sogno, abbiamo trovato che poco dopo l'Oratorio riceveva un grazioso sussidio dalla Casa Reale. Il cuore di D. Bosco era all'unisono verso Carlo Alberto con quello di Pio IX e del venerabile Cottolengo, e ai suoi giovani era riserbato l'onore di cantare più volte nella metropolitana la Messa da Requiem nel giorno anniversario della sua morte.
Ripigliamo il nostro racconto. Il 25 luglio i Vescovi subalpini, essendo sempre lontano dalla sua archidiocesi Monsignor Fransoni, per cinque giorni si radunarono in Congresso a Villanovetta nella Diocesi di Saluzzo, col fine di prepararsi alle gravissime lotte che presentivano imminenti. Non è nostro scopo esporre le prese deliberazioni; accenneremo soltanto ciò che può riguardare D. Bosco. Si promossero dunque pubbliche preghiere perchè il Signore ispirasse al Papa la definizione dogmatica della Concezione Immacolata di Maria SS., e nell'Oratorio si incominciarono tosto tali suppliche perchè D. Bosco troppo era acceso di ardentissimo desiderio di vedere coronata la sua Madre celeste con questa nuova e a Lei dovuta corona. Più volte ce lo affermava D. Reviglio Felice.
Si creò una commissione di Vescovi per la preparazione di un catechismo unico, adottando per norma quello del Vescovo Casati di Mondovì e del Cardinale Costa di Torino. Fra questo un voto di D. Bosco, ed lo aveva già palesato a Mons. Fransoni. Frequentando il suo Oratorio giovani di ogni provincia e di ogni diocesi, un testo unico era convenientissimo perchè non si confondessero le idee di quelli che dalla diocesi di Torino ritornavano alle proprie, quivi ritrovando formule diverse da quelle che avevano imparato per esprimere le verità della religione. Questo progetto non fu allora tradotto in pratica.
Infine si deputarono i Vescovi di Mondovì e d'Ivrea a comporre un disegno di associazione per la stampa e diffusione dei buoni libri e così combattere le massime propugnate dal giornalismo irreligioso contro la fede, l'autorità della Chiesa ed il buon costume. È da questo punto che D. Bosco incominciò ad ideare le “Letture Cattoliche” e a trattrarne poi con Mons. Moreno nelle frequenti visite che a lui faceva ad Ivrea, o quando accoglievalo all'oratorio.
Aggiungeremo ancora come un non leggero motivo avesse D. Bosco di ringraziare il Signore, poichè egli era riuscito, pel dono della prudenza, a passare incolume in mezzo a tante passioni politiche e religiose, senza venir mai a patti con l'errore, o compromettere il suo carattere di sacerdote. La sua carità verso gli uomini di tutti i partiti lo facevano ben volere da quanti non erano accecati dall'empietà. Ritornata Venezia in potere degli Austriaci il 24 agosto, dopo mesi di valorosa resistenza, alcune famiglie di que' profughi ed esiliati trovarono in lui un cuore che seppe compatirli e soccorrerli. È per ciò che in Torino ei godeva la simpatia ed anche la protezione di un gran numero di liberali. Prova di che è un articolo del “Giornale della Società d'Istruzione e d'Educazione” anno I, fascicolo 13 e 14 mese di luglio 1849, Torino, scritto dal Professore della Regia Università, Casimiro Danna che apparteneva al partito dominante. Dopo aver esposto quanto si era operato per le pubbliche scuole così continuava: “ Se non che mentre il Racheli lo spirito educativo diffonde sulle classi che possono inviare i loro figliuoli alla scuola, un altro non men generoso pensa ai figliuoli di quelle o che sono talmente misere che non possono, o talmente dall'ignoranza abbrutite che trascurano dare ogni barlume d'istruzione, ogni sentimento alla loro prole che si trascina nel fango, ultimo anello della  catena sociale. - lo voglio dire la scuola domenicale di D. Bosco, sacerdote che non posso nominare senza sentirmi compreso della più schietta e profonda venerazione. Fuori di Porta Susa, in quel gruppo di case che tutti conoscono sotto la comune denominazione di Valdocco, egli stabilì un Oratorio intitolato di S. Francesco di Sales. Non a caso e non invano. Perchè più che il titolo, lo spirito di quell'apostolo ardente del diritto zelo che smisuratamente in cuore avvampa, trasfonde nel suo istituto quest'ottimo prete, il quale ha consacrato se stesso ad alleggerire i dolori del popolo misero, nobilitandolo nei pensieri. E sarà lode assai il raccontar quel che fece, e fa tuttodì mostrando come la religione nostra sia religione di civiltà. Egli raccoglie ne' giorni festivi, là in quel solitario recinto da 400 a 500 giovanetti sopra gli otto anni, per allontanarli da pericoli e divagamenti, e istruirli nelle massime della morale cristiana. E ciò trattenendoti in piacevoli ed oneste ricreazioni, dopo che hanno assistito ai riti ed agli esercizi di religiosa pietà, lui pontefice e ministro, maestro e predicatore, padre e fratello, colla più edificante santimonia compiti. Loro insegna inoltre la Storia Sacra e l'Ecclesiastica, il Catechismo, i principi d'Aritmetica. Li esercita nel sistema metrico decimale, e quei che non sanno, anche nel leggere e scrivere. Tutto questo per l'educazione morale e civile. Ma non trasanda la fisica, lasciando che nel cortile, posto a fianco dell'Oratorio e chiuso d'ogni intorno, negli esercizi ginnici, o trastullandosi colle stampelle o all'altalena, colle piastrelle o ai birilli crescano, rafforzino la vigoria del corpo. L'esca con cui attrae quella numerosissima schiera oltre i premii di qualche pia immagine, oltre le lotterie, e talvolta qualche colazioncella, si è l'aspetto sempre sereno, e sempre vigile nel propagare in quelle anime giovanette la luce della verità e del vicendevole amore. Pensando il male che evita, i vizii che previene, le virtù che semina, il bene che fruttifica, pare incredibile che l'opera sua potesse avere impedimenti e contrarietà. E per parte di chi? Per parte di coloro ai quali molti difetti si possono perdonare, ma non l'ignoranza: che l'educare dovrebbero reputare parte nobilissima del ministero evangelico: che dovrebbero anzi ringraziare D. Bosco. Perocchè ben lungi di distogliere dalle pratiche di religione i giovanetti, è tutto volto ad istruire in essa coloro, che abbandonati dai genitori non andrebbero mai alla parrocchia, o andandovi potrebbero sfuggire all'influenza benefica de' catechizzanti. La povertà di moltissimi meschinetti fa comparire agli occhi del mondo le loro anime meno preziose, e talvolta alcuni degli operai evangelici non si prendono così sollecito pensiero a coltivare la pietà, massime nelle città popolatissime, quando si presenta sotto lacere vesti. Perciò in queste alligna la mala semenza dei vizi, e mentre dai tribunali severe pene promulgansi contro i disordini infesti alla società, intanto dentro le proprie mura s'allevano i malfattori. Già da 7 anni incominciato l'istituto di D. Bosco, con sapienza più che regale venne protetto da Carlo Alberto, che bene ravvisò l'utile immenso che può recare alla pubblica moralità. E tanto va via crescendo l'affluenza dei giovani, che si dovette ripartire in due. E un altro Oratorio detto di S. Luigi, quindi s'aprì a Porta Nuova tra il viale dei Platani e quello del Valentino, diretto dal Sig. Teol. Carpano, pio, zelante e già degno collaboratore di lui che lodiamo. Una tuttavia è la vita, uno lo spirito, uno lo scopo dei due oratori. Anche un terzo s'era già: iniziato in Vanchiglia mercè le sollecite cure del vicecurato dell'Annunziata D. Cocchis, ma, oh quanto mi duole che per non so quali motivi sia cessato!
 ”Ma quello che dà massimamente a D. Bosco diritto alla gratitudine cittadina si è l'ospizio, che là nella stessa casa dell'oratorio, dischiuse a fanciulli più indigenti e cenciosi. Quando egli sa o incontra alcuno più dalla squallidezza immiserito, non lo perde più d'occhio, lo conduce a sua casa, lo ristora, lo sveste dei luridi, gl'indossa nuovi abiti, gli dà vitto mane e sera, finchè trovatogli padrone e lavoro sa di procacciarli un onorato sostentamento per l'avvenire, e può accudirne con maggior sicurezza l'educazione della mente e del cuore. Alcuni sacerdoti concorrono ai molti dispendi che quest'opera inestimabile richiede. Ma la maggior parte la sostiene del suo questo verace ministro di Colui, che si disse mite e ricreatore degli spiriti travagliati. Oh l'esempio imitabile che ei porse agli altri come s'abbiano ad usare le ricchezze! Non sempre giova abbandonare in un tratto ogni rendita di bene terreno, che può in mani provvide farsi strumento di carità generosa. La povertà sta nell'animo alieno così dalle ricchezze che non si posseggono, come da quelle che si hanno.
 
Casimiro Danna ”.
 
 
 
Versione app: 3.26.4 (097816f)