Sogno: un'aquila: un giovane indicato pel Paradiso: preghiera esaudita - Il giovanetto Savio, infermo, ritorna al suo paese -Parlata di D. Bosco: La quaresima: l'alunno del quale fu annunziata la morte non è Savio: trasgressione di certe regole: far buone Confessioni e Comunioni ricavandone frutto: Pensare seriamente alla vocazione: pregare per chi deve morire: la lettera iniziale del suo nome - D. Bosco svela ad un confidente il suo segreto - Malattia del giovane Ferraris: rassegnazione cristiana della madre - Compimento della predizione -Parlata: morte santa di Ferraris: D. Bosco non vorrebbe far più certi annunzi perchè spaventano alcuni alunni: motivi di certi suoi avvisi - Letture Cattoliche: i fascicoli dei mesi di marzo, aprile e maggio - La ricognizione del corpo della Ven. Maria degli Angioli.
del 04 dicembre 2006
Il I° febbraio D. Bosco aveva annunziato che un giovane forse sarebbe morto prima che si facesse in questo mese l'apparecchio alla morte: e che se fosse arrivato a farlo ancora una volta,  quello sarebbe stato il massimo del tempo a lui concesso di vita.
Questo annunzio era effetto di un sogno. Una notte parve a D. Bosco, mentre dormiva, di entrare in cortile e trovarsi in mezzo ai suoi giovani che si ricreavano. Al fianco aveva la solita guida che lo aveva accompagnato negli altri sogni precedenti, quando ad un tratto apparve in aria un'aquila maestosa di bellissime forme, la quale andava roteando e abbassandosi a poco a poco sopra i giovani. D. Bosco guardavala meravigliato e la guida gli disse:
- Vedi quell'aquila? Vuol ghermire uno de' tuoi giovani!
- E chi sarà? chiese D. Bosco.
- Osserva bene: quello sul capo del quale andrà a fermarsi l'aquila.
D. Bosco con tanto d'occhi stava fissando il volatile, il quale, fatti ancora alcuni giri andò a posarsi sul giovane tredicenne Antonio Ferraris di Castellazzo Bormida. D. Bosco lo riconobbe perfettamente e si svegliò. Non appena svegliato per assicurarsi ch'era desto si mise a battere le mani; e intanto rifletteva su quello che aveva visto e fece anche una preghiera:
- Signore, se questo veramente non è sogno, ma una realtà, quando dovrà verificarsi?
Si addormentò nuovamente ed ecco in sogno riapparire lo stesso personaggio, la guida, il quale gli dice:
- Il giovane Ferraris che deve morire non farà più due volte l'esercizio della buona morte.
E disparve. Allora D. Bosco si persuase che quello non era un sogno, ma una realtà, ed è perciò che aveva dato quell'annunzio ai giovani.
Ferraris in quel tempo stava bene.
D. Bosco intanto rinnovava la memoria della sua predizione. Era stato accompagnato presso i suoi il primo giorno di marzo un giovanetto tredicenne di nome Giambattista Savio, nativo di Cambiano, come si legge nel libro mastro dell'Oratorio. Il piccolo artigiano era affetto da malattia grave e si era sparsa la voce che egli fosse colui del quale il Servo di Dio aveva predetta la fine.
Ma D. Bosco contraddiceva a quell'opinione, parlando la sera del 3 marzo, venerdì.
 
3 marzo.
 
Stassera io voglio parlarvi di cose di politica; ma non già di politica esterna, sibbene di politica interna, delle nostre cose, delle cose della casa. Primieramente la quaresima è già incominciata e bisogna santificarla colle buone opere. Coloro che sono obbligati al digiuno, sanno già quel che debbono fare senza che io lo dica loro; ma gli altri non avranno a far niente? Anche essi devono fare qualche opera buona e non potendo digiunare suppliscano con altro. Io vi darò un mezzo per santificare questi giorni: la confessione e la comunione frequente per ottenere da Dio tutte le grazie delle quali si ha di bisogno. Fra tutto l'anno questi sono i giorni accettevoli: sunt dies acceptabiles, dies salutis.
Io vi ho già annunziato che uno di noi deve morire. Voi mi direte: - Quel tale di cui ci parlò, non sarebbe forse il piccolo Savio? Io vi rispondo schiettamente di no. Chi è dunque? Lo sa solamente il Signore. Costui è in mezzo a voi, costui ha sentito il mio avviso e spero che avrà fatto bene il suo ultimo esercizio della buona morte.
State dunque tutti preparati! E senza che ve lo dica io, lo avea già detto 19 secoli fa il nostro Divin Redentore: Estote parati, chè la morte verrà come un ladro quando meno noi ce la aspettiamo. Io vi replico questi avvisi, perchè da qualche tempo si sono introdotti nella casa alcuni disordini che vanno tolti. Si dicono bugie con tutta facilità senza alcun scrupolo e ad ogni occasione; si cercano tutti i pretesti per uscir di chiesa in tempo delle sacre funzioni e chi girasse per la casa troverebbe sempre alcuni che se ne stanno ciarlando; e col pretesto del teatro o di altre commissioni avute, si trova la scusa bell'e pronta per chiudere la bocca a chi ha l'incarico di sorvegliare. Anche in tempo di studio si cerca di assentarsi e col pretesto di andarsi a confessare si va girovagando per la casa. Però sono contento della massima parte di voi che si diporta veramente bene; le accennate mancanze si fanno da pochi, ma si fanno. In refettorio si caccia la minestra ed il pane per terra o sopra i vostri compagni, ed alcune volte scherzando (cosa che non si può tollerare) sopra chi ha l'incarico d'invigilarvi. Non si facciano più adunque simili mancanze e pel futuro si procuri di far meglio.
lo vi raccomando di confessarvi e comunicarvi frequentemente. Ma intendiamoci! Piuttosto che fare confessioni cattive è meglio che non vi confessiate. Sarà una confessione di meno, ma anche un sacrilegio di meno. Vi sono alcuni che si confessano e tacciono qualche peccato. Costoro non si confessino. Essi mi diranno: “ Ma dunque non ci dovremo più confessare? ”Piuttosto che fare un sacrilegio, no di sicuro. È meglio che stiate come siete, piuttostochè aggiungere peccati a peccati. - Ma dunque che cosa dovremo fare? - Rimediate a tutte le confessioni mal fatte, rimediatevi prontamente, che se per il peccato le anime vostre saranno più rosse dello scarlatto, per la penitenza dealbabuntur ut nix: diverranno più bianche della neve.
Anche le comunioni fatele come si deve. Si vedono alcuni che hanno il coraggio di accostarsi alla santa comunione e poi non pensano punto a correggersi dei loro difetti; non temono di perdere lunghe ore in ciarle fuggendo dallo studio; fanno la comunione al mattino, e nel giorno tengono poi discorsi sconvenienti coi compagni; mormorano di questo e di quello, dei superiori e dei condiscepoli; sono in camerata la croce dell'assistente, ecc. ecc. Come si potrà dire che costoro abbiano fatte delle comunioni veramente buone? Ex fructibus eorum cognoscetis eos. Che se tali sono i frutti, che cosa potremo argomentare dell'albero che li produce? Come saranno quelle comunioni che non producono alcun miglioramento? - Ma direte voi, come avremo da fare? Ecco! procurate per quanto è in voi di far vedere che sapete trar frutto dai Sacramenti. Lo so che non si può in un momento diventar perfetti e che a poco a poco e con istento si vincono i difetti nostri. Però, mettetevi almeno con impegno a sradicarli, fate vedere che qualche miglioramento si va effettuando in voi, date prova della vostra buona volontà coll'adempimento dei vostri doveri e colla diligenza in tutto.
In ultimo darò un avviso a coloro che in quest'anno sono per compiere il loro studio di latinità: Fratres, satagite ut per bona opera certam vestram vocationem et electionem faciatis. Esaminate in questo tempo quaresimale qual sia lo stato al quale vi chiama il Signore. Cercate colle vostre buone opere di domandare alla Divina Maestà che vi indichi qual sia la strada per la quale dovete camminare. Alcuni di voi mi dicono: - Noi non ci vogliamo far preti. -Va bene; ma vorrete essere buoni secolari, vorrete anche da secolari guadagnarvi il paradiso; pregate adunque il Signore, per non sbagliare la strada anche essendo secolari. - Ora non ci vogliam pensare; ci penseremo poi. - E quando ci vorrete pensare? Quando non sarete più a tempo? Perciò preghiamo, facciamo delle buone comunioni, miei cari figliuoli. Preghiamo sovratutto per colui che ha da morire avanti che si faccia l'altro esercizio della buona morte. Se fossi io colui che ha da morire? Pregate anche per me, che anch'io pregherò per quello fra di voi che il Signore ha destinato di chiamare a sè.
Il giorno dopo interrogato privatamente, soggiunse:
- Il cognome del primo che deve partire per l'eternità ha per iniziale la lettera F.
Si noti che circa trenta alunni portavano il cognome con questa iniziale, e in casa tutti i giovani stavano bene di salute.
In quel frattempo trovavasi Giovanni Bisio nella camera di D. Bosco, e questi gli disse:
- Mi dispiace che il Signore mi prenda sempre i giovani pi√π buoni.
- È dunque qualcuno di questi che deve morire? gli domandò Bisio in confidenza.
- Sì, è il giovane che si chiama Antonio Ferraris. Sono però tranquillo, perchè è molto virtuoso ed è preparato.
Bisio gli domandò come avesse potuto conoscere quel mistero; e D. Bosco gli raccontò il sogno con tutta semplicità, senza accennare menomamente che fosse un dono sovrannaturale: e in fine gli soggiunse:
- Tu però sta'attento; e mi avvertirai perchè possa andare ad assisterlo negli ultimi giorni della sua malattia.
Intanto il Ferraris incominciava a provare un malessere che lo costringeva a recarsi a quando a quando in infermeria. Da principio parve che il suo incommodo fosse una cosa leggera, ma non tardò a manifestarsi la gravità della malattia. Allora Don Bosco recavasi al suo letto col dott. Gribaudo, il quale riconobbe in pericolo la vita dell'infermo. Questi invece pareva avesse dimenticato il sogno fatto nell'anno antecedente e da noi esposto nel 7° volume.
D. Bosco ascoltò senza dar segno di commozione quella sentenza ed affettuosamente ispirò coraggio al caro alunno come se nulla sapesse del suo avvenire; e col tornare sovente a visitarlo recavagli una grande consolazione.
La madre era venuta all'Oratorio, mentre lo stato del figlio non appariva troppo allarmante. Dopo averlo assistito per qualche giorno, ella che stimava D. Bosco un santo, disse a Bisio prendendolo a parte:
- D. Bosco che cosa ne dice di mio figlio? Morrà o vivrà?
- Perchè mi fa questa domanda? rispose Bisio.
- Per sapere se debbo fermarmi, oppure ritornare a casa mia.
- E quale sarebbe la disposizione dell'animo suo?
- Sono madre, e naturalmente desidero che mio figlio guarisca. Del resto faccia il Signore ciò che crede pel suo meglio.
- E le sembra di essere rassegnata alla volontà di Dio?
- Ciò che farà il Signore, sarà ben fatto.
- E se suo figlio morisse?
- Pazienza! che cosa farci?
Bisio, vedendo quella disposizione di animo generoso, esitò alquanto, poi le disse:
- Allora si fermi: D. Bosco assicura che suo figlio è un bravo giovane ed è ben preparato.
Quella madre cristiana intese, versò alcune lagrime senza uscire in smanie, e come ebbe dato quel primo sfogo al suo dolore:
- Se è così, soggiunse, mi fermo.
Bisio le aveva detto di fermarsi, perchè, facendo il calcolo dal giorno per cui era fissato l'esercizio della Buona Morte, secondo la profezia di D. Bosco non restavano al figlio più di cinque o sei giorni di vita.
Ferraris Antonio moriva il giovedì 16 marzo nel mattino. Aveva ricevuti tutti i conforti della religione. Stava per entrare in agonia quand'ecco apparire in infermeria D. Bosco che avvicinatosi al suo letto gli suggerisce giaculatorie, gli dà l'ultima assoluzione e gli raccomanda l'anima.
Questa morte avvenne prima che fosse compiuto il secondo esercizio della Buona Morte.
Giovanni Bisio, che espose con giuramento la parte che ebbe in questo fatto, conclude il suo racconto: “ D. Bosco ci narrò molti altri sogni sulle morti future di giovani dell'Oratorio, che noi tenevamo quali profezie e tali li riteniamo ancora attualmente, essendosi sempre avverate appuntino. In sette anni ch'io fui all'Oratorio non morì mai alcun giovane senza che egli l'avesse predetto. Eravamo pure persuasi che chi moriva nell'Oratorio, sotto la sorveglianza ed assistenza di lui doveva andare in paradiso. ”
D. Bosco la sera stessa del 16 marzo così parlava ai giovani:
Io vi veggo tutti ansiosi per conoscere da me quali fossero gli ultimi istanti del nostro Ferraris e son qui per appagare il vostro giusto desiderio. Egli morì rassegnato; nella sua breve malattia sofferse molto, ma con grande serenità. Quando entrò nell'Oratorio mi disse: - D. Bosco, io son pronto a fare in tutto la sua volontà; io l'obbedirò in tutto; se vedrà che io manco, mi avvisi, mi castighi e vedrà che mi emenderò. -- Io gli promisi che avrei fatto tutto ciò che avrei potuto per il benessere dell'anima sua e del suo corpo. Molte volte mi replicò questa preghiera, e tutte le volte che dovetti avvisarlo si corresse subitamente. Egli non avea, si può dire, volontà; tanto era obbediente. Il suo professore mi disse che nella scuola era tra i primi per diligenza e studio. Quando si ammalò, io andai tosto a visitarlo avendo il medico riconosciuto subito la gravità del male. Gli domandai se il giorno di S. Tommaso voleva fare la Comunione. Ei mi rispose:
- Ho da vestirmi e andare in chiesa cogli altri? Son troppo debole.
- A questo si rimedia; Gesù in Sacramento ti verrà portato in camera. Sei contento?
- Allora va bene!
lo gli domandai: - Hai niente che ti turbi la coscienza? Avresti qualche cosa da dirmi? - Ei ci pensò alquanto e poi mi rispose: - Non ho niente! -
Che bella risposta! Un giovane che si avvicinava alla morte, che sapeva di dover morire, risponde: -Non ho niente! - con tutta la tranquillità e serenità di mente.
Gli ridomandai:
- Dimmi, vai volentieri in paradiso?
- Sicuro, mi rispose, così vedrò una volta a faccia a faccia, come è il Signore, del quale ho sentito dir tante e magnifiche cose; e capirò com'è fatta l'anima mia.
Un'altra volta gli chiesi:
- Vuoi niente da me?
- Una cosa sola: che mi aiuti ad andare in paradiso.
- Sì! ma non mi domandi altro?
- Aiuti anche tutti i miei compagni a guadagnare il cielo. - Gli promisi che avrei fatto il possibile. Stamane egli era molto aggravato, e non poteva pi√π parlare; il catarro lo soffocava.
Dopo aver io detto a Rossi che appena l'infermo accennasse di andar in agonia mi avvisasse, mi incamminai per uscire. Egli aveva gli occhi chiusi, era abbattuto di forze, ma aveva fatto appena un passo che egli aperse gli occhi e si diede a dimenare le braccia e il corpo, gittando grida soffocate: -Ah! ah! ah! - Ritornai indietro, gli domandai che cosa volesse; e si sforzò a dire che voleva morire avendomi al suo fianco. Gli risposi che si quietasse, che andavo in camera per accomodare alcune carte e che sarei tornato, appena fossi avvisato esser vicino l'ultimo suo momento. Andai in camera, e, dopo aver lavorato alquanto, si venne a dirmi che l'ammalato peggiorava ogni momento più. Andai tosto e vidi che era aggravatissimo, ma non stimai sì imminente la morte. Quindi mi mossi per ritornare in camera. L'ammalato aperse di nuovo gli occhi mettendo lo stesso grido: - Ah! ah! ah! - Il poverino tutte le volte che mi allontanava, se ne accorgeva. Dopo pochi istanti venne di nuovo Rossi a chiamarmi. Corsi: infatti era in agonia, più non respirava, ma il suo polso batteva ancora. Dopo qualche minuto con un sospiro rese l'anima al Signore.
Ferraris aveva preso una costipazione, la quale unita a riscaldamento in breve tempo lo trasse alla tomba. Egli morì tranquillissimo. Sofferse molti dolori con vera rassegnazione, senza un lamento. La morte non gli faceva paura: non avea niente che lo rimordesse. Ciascun di noi, miei cari figliuoli, vorrebbe trovarsi al posto di Ferraris. Io son persuaso che egli andò diritto in paradiso e volentieri cambierei il mio posto col suo. Tuttavia domani si dirà il rosario da morto pel riposo della sua anima. Quei della sua scuola domani sera accompagneranno il suo corpo alla parrocchia.
Finisco con un avvertimento. Quando io verrò qui ad annunziarvi che un altro ha da morire, per carità datemi sulla voce, essendovi qui alcuni che restano troppo spaventati a questi annunzi, e scrivono ai loro parenti che li tolgano dall'Oratorio, perchè D. Bosco annunzia sempre che qualcuno ha da morire... Ma ditemi: se io non lo avessi annunziato, Ferraris si sarebbe preparato così bene a presentarsi al tribunale di Dio? Egli, è vero, era un buon figliuolo, ma in quel punto chi può dirsi assolutamente preparato a subire il rigoroso giudizio che darà il Signore? Ferraris fu ben fortunato per essere stato avvisato. Da qui avanti non dirò dunque più nulla; non avviserò più. (Molle voci: No! no! dica! dica!) Ma a coloro che hanno tanta paura della morte io dico: - Figliuoli miei, fate il vostro dovere, non tenete discorsi cattivi; frequentate i Sacramenti, non solleticate la gola e la morte non vi farà paura.
Quando annunziò la morte di Ferraris, D. Bosco aveva detto: “Più di uno, anzi molti, avanti che passi gran tempo saranno nella tomba ”. Chi rilegge il contesto di quel discorso, subito si avvede che le parole di D. Bosco avevano un significato molto generico basato sulla brevità della vita; tuttavia, come consta dal Necrologio e da' registri parrocchiali, altri dell'Oratorio passarono all'eternità in quest'anno, come vedremo.
Mentre istruiva colla voce gli alunni, colle Letture Cattoliche continuava la sua missione nei popoli. Per marzo ed aprile uscivano le Memorie storiche del Teol. Giovanni Ignazio Vola sacerdote Torinese. Erano scritte dal Canonico Lorenzo Gastaldi con tanta unzione da servire come un vieni meco del clero in generale e specialmente di quello che andava crescendo trepida speranza della Chiesa. Il Teologo Vola, morto il 6 febbraio 1858 in età di 61 anno, modello dei sacerdoti, era stato grande amico di D. Bosco e dell'Oratorio.
Per maggio si doveva pubblicare la Storia dell'Inquisizione ed alcuni errori alla medesima falsamente imputati, pel sacerdote Pietro Boccalandro Rettore di S. Marco in Genova; ove si fa cenno delle orribili e sanguinose inquisizioni de' Protestanti calunniatori contro i Cattolici.
Al fascicolo sono aggiunte alcune appendici delle quali abbiamo le bozze corrette da D. Bosco e qualche periodo della sua penna. È uno sfogo della sua divozione ardente per Maria.
La prima appendice è un bel raccontino col titolo: Maria provvidenza e soccorso di chi la prega. Egli lo conclude così: “Lettore, ovunque tu sia, qualunque cosa tu faccia, tu puoi con una preghiera ricorrere alla Santa Vergine Maria. Ma ricorri con fede, che Ella è una madre pietosa la quale vuole e può beneficare i suoi figliuoli. Pregala di cuore, pregala con perseveranza, e sta' sicuro che Ella sarà anche per te una vera provvidenza, un pronto soccorso nei tuoi bisogni spirituali e temporali ”.
La seconda appendice, col titolo Varietà, comprende cinque esempi della protezione di Maria invocata ed ottenuta. Il quinto esempio descrive l'apparizione di Maria SS. a S. Stanislao Kostka infermo, allorchè gli fece espresso comando di entrare nella Compagnia di Gesù. D. Bosco vi aggiunge di sua mano: “ Cristiani, che amate di essere cari a Maria, pregatela di cuore che vi ottenga questa bella grazia di consacrarvi totalmente a Dio. Ditele che Ella così vi tolga dai grandi pericoli del mondo; che vi faccia, poichè Ella può tutto, di questi comandi che fece a Stanislao, e voi prontissimi l'obbedirete. Questa grazia di essere chiamato allo stato religioso richiedeva sempre fin da fanciullo il venerabile padre Carlo Giacinto a Maria, e la ottenne ”.
Intanto D. Bosco occupavasi anche nello scrivere la vita della venerabile Serva di Dio, Maria degli Angeli, Torinese, monaca professa dell'Istituto delle Carmelitane Scalze. Il 14 maggio di quell'anno era deciso che nella Basilica Vaticana, co' riti consueti, avesse luogo la solennità della beatificazione di questa Venerabile suora: perciò in Torino si doveva procedere dai delegati della Santa Chiesa all'ultima ricognizione di quel sacro corpo. Nel 1802, per ordine dell'Arcivescovo, dal monastero di Santa Cristina, chiuso e ridotto da Napoleone I ad uso profano, era stato trasferito nella chiesa di S. Teresa e quivi collocato nel coretto a destra dell'altar maggiore. Di qui adunque fu estratto il 14 marzo del 1865. Fatti i dovuti esami, e trovata ogni cosa in perfetto accordo colle antiche memorie, dalle autorità ecclesiastiche e civili fu nuovamente riconosciuto essere quello il vero corpo della Venerabile. Assistettero a quella divota funzione il Vescovo di Cuneo, il Vicario Capitolare della Diocesi e molte altre ragguardevoli persone ecclesiastiche e secolari. Vi era pure D. Bosco invitato a servire da testimonio, e con lui il Conte Cays e il Barone Bianco di Barbania. All'aprirsi della cassa si sparse all'intorno un odore soavissimo che durò qualche tempo.
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