Capitolo 50

Don Bosco, Don Bonetti e i Valdesi - Due risposte di Don Bonetti alle obbiezioni d'un Ministro Protestante - Lettera di Don Bosco che domanda sussidii per comprare un terreno presso l'Oratorio di S. Luigi a Portanuova - Circostanze commoventi della morte di un giovane e la misericordia di Dio - Una raccomandazione inefficace - La Legge toglie ai chierici ogni esenzione dalla leva militare. - Promessa di Don Bosco che nessuno de' suoi chierici sarebbe andato sotto le armi - Lettera di un chierico al Venerabile - Questi chiede e riceve consiglio dal Cav. Canton per ottenere dal Governo Italiano la Chiesa del S. Sudario - Domanda del Servo di Dio al Ministro Menabrea - Il Cav. Canton avvisa Don Bosco che è in vista qualche altro sacerdote per l'ufficiatura del S. Sudario.

Capitolo 50

da Memorie Biografiche

del 07 dicembre 2006

 Torniamo a volgere lo sguardo sull'azione continua di Don Bosco e de' suoi collaboratori per strappare dai lacci del protestantesimo quelli che n'erano stati accalappiati, e nel preservarne tanti altri, specialmente i giovanetti. Tutto egli metteva in opera. Opuscoli, corrispondenza epistolare, discussioni, scuole cattoliche, conferenze. Non risparmiava pensieri e fatiche, pur di compiere questa sua missione sacerdotale.

Don Giovanni Bonetti, Direttore del piccolo Seminario di Mirabello, era stato da lui addestrato ai combattimenti contro l'eresia. Egli aveva appreso egregiamente i metodi di Don Bosco, aveva assistito a qualche sua disputa coi Valdesi, teneva a memoria tutti i suoi opuscoli di controversia, possedeva, come abbiamo già narrato, vaste e profonde cognizioni di storia ecclesiastica e di teologia. Il Venerabile talora servivasi di lui per rispondere ai nemici della Chiesa, e D. Bonetti nulla faceva o scriveva senza il suo consiglio. Gli eretici si avvidero del nuovo valente avversario, forse in occasione di qualche predica nel Casalese: e un ministro protestante della Provincia di Alessandria gli scrisse blaterando le solite obbiezioni contro la Chiesa Cattolica. Don Bonetti gli rispose così:

 

 

Signor Ministro,

 

Dal signor Arciprete di Pietra Marazzi mi fu trasmesso il nuovo scritto di V. S. in data 6 aprile p. p. Lo lessi, ed osservando le questioni da Lei proposte sarà difficile esaurirle, se non con molti e gravi volumi. A fine di evitare la confusione e tenere la discussione in limiti ragionevoli da cui ricavare logiche ed utili conseguenze, conviene che ci atteniamo ai principii e da questi proceda la discussione. A parer mio nella sostanza tutte le colpe che ella ascrive alla Chiesa Romana si possono ridurre a questa. Ella alla parola di Dio, che secondo Lei si contiene tutta nella Bibbia, ha aggiunto tradizioni umane, umane invenzioni, ha ripudiato insomma questa massima: che la Santa Scrittura è la sola Regola di fede e della morale. Per concretare i termini di una tale discussione, dobbiamo anzi tutto esaminare.

1° Di qual Bibbia si serve Ella? Del testo originale, in cui furono scritti i libri santi, ovvero di una versione dei medesimi? E se si serve di una versione, questa qual è, e sopra quale testo fu eseguita?

2° Come mi prova l'autenticità della Bibbia, e che per esempio Matteo, Marco, Luca, Giovanni e non altri sono gli autori dei quattro Vangeli?

3° Risposto che mi avrà, se così le piace, parleremo della divina inspirazione e della interpretazione della Sacra Scrittura.

Quello che altresì mi ha indotto a proporle un tal metodo di discussione, si è l'avermi Ella ricordato l'infelice De - Sanctis del quale si dice intimo amico. Sappia che questo De - Sanctis, dopo la sua apostasia, tenne più conferenze religiose con un Sacerdote Cattolico tuttora vivente, notissimo all'Italia per la sua dottrina e per la sua carità, il quale ricevette prove di particolare stima dai Protestanti. Nelle accennate conferenze si cominciò dalla Bibbia, cioè come propongo io, ed il De - Sanctis aveva finito per mostrarsi convinto e dichiararsi pronto a far ritorno alla Chiesa Cattolica, e fu unicamente pel miserabile motivo di sua famiglia che non mantenne la parola. Chi sa che

una discussione logica, imparziale dello stesso principio, non ostante tutta la fermezza che Ella mi manifesta nel voler perseverare nella setta evangelica, non finisca col ricondurla alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, da cui Ella si è allontanata?

Scrivendole nel mese di maggio, in cui noi Cattolici onoriamo specialmente l'augusta madre del Salvatore, le aggiungo un consiglio, una preghiera., Quante volte anch'Ella sulle ginocchia della Mamma avrà invocato Maria? Ebbene, voglia ripetere ancora qualche volta le parole dall'angelo indirizzate a Maria: Dio ti salvi, piena di grazia, il Signore è teco, tu sei benedetta fra le donne. Sono parole di uno Spirito celeste e registrate nel Vangelo, per cui professa tanta venerazione.

Io intanto, abborrendo gli errori di Lei, ma amando la sua persona, non cesserò di pregare Iddio, affinchè si degni di illuminarla e conchiudo facendo voti, che possa venire un giorno in cui Ella, invece di ripetere l'apostrofe del povero De - Sanctis a Roma, colla quale termina il suo scritto, goda di esclamare col gran Bossuet: “ O Chiesa Romana, santa Chiesa Romana, madre di tutte le Chiese, e madre di tutti i fedeli, noi ci terremo sempre attaccati alla tua unità col più intimo del nostro cuore. Inaridisca la mia lingua e resti immobile nella mia bocca, se non sei sempre la prima nella mia memoria, se io sempre non ti metto al principio dei miei cantici di gioia ”.

Suo dev.mo Servo

Sac. Gio. BONETTI.

 

A Pietra Marazzi da vari anni si erano insediati i Protestanti. Il Ministro rispose a Don Bonetti assai diffusamente e Don Bonetti replicava:

 

 

Pregiatissimo Signore,

 

Le molte occupazioni, cui dovetti sottostare nei giorni passati, furono cagione del ritardo al dovuto riscontro, tanto più che dovetti leggere attentamente il vostro non piccolo quaderno. Io mi pensava di trovare in esso una chiara risposta alle mie domande, ma voi vi siete portato sopra questioni che non hanno niente che fare colle nostre. Io pertanto non voglio fermarmi alla questione letteraria notando gli errori di grammatica che nel vostro scritto si contengono, nemmeno usare parole plateali per rispondere alle calunniose espressioni ivi usate; lasciamo a parte le bassezze e gli insulti, e datemi chiara risposta sui quesiti già proposti:

1° Di qual Bibbia voi intendete servirvi? Del Diodati, voi mi dite, che fece la sua traduzione sul testo originale greco ed ebraico. Ma chi vi assicura che Giovanni Diodati sia stato fedele nella sua versione?

E quando potrete esserne assicurato, chi vi sta garante che il Vangelo di S. Luca, di S. Matteo ed altri non siano opera di Tito Livio, di Sallustio, di Seneca, di Giuseppe Flavio, di Filone Ebreo, o di altro antico scrittore?

Voi mi mandate a leggere qualche autore cattolico, ma se voi ammettete la credenza di questi autori, ogni quistione è finita, perciocchè voi, Dio lo voglia, fate ritorno al Cattolicismo.

Se pertanto voi volete essere consentaneo a voi medesimo, dovete seguire i principii protestanti e tenervi alla sola Bibbia.

2° Esaurito questo primo punto si può passare ad un altro così espresso: Credete voi che un buon Cattolico si può salvare nella propria religione? Gli antichi ministri Valdesi Maston e Malones, il moderno Amedeo Bert, gli Anglicani Milnes, Vatson, Gatzan dicono di sì.

Se voi convenite con essi, io non aggiungo altro, se non le parole di Enrico IV re di Francia.

Questo monarca invitato da un congresso di ministri protestanti a seguire la loro setta, fece loro questa dimanda: - Credete voi che i Cattolici si possano salvare nella loro religione?

 - Sì, risposero.

Ripigliò con senno il Re: - Se il cattolico può salvarsi nella sua Religione, perchè voi l'avete abbandonata? Voi dite che il cattolico può salvarsi nella sua religione: i cattolici all'opposto assicurano che i protestanti sono fuori della vera credenza; dunque è ragionevole che io segua quella religione, in cui per consenso dei cattolici e dei protestanti io posso salvarmi.

Sciolti questi due quesiti passeremo ad altri di non minor importanza. Ma bisogna che siamo chiari, positivi, e non passare a una nuova questione fino a tanto che sia esaurita la prima, e che intorno a quella convengano le parti. Credami, Signor Ministro, trattandosi di cose da cui dipende la futura felicità dell'uomo, bisogna stabilire dei principii chiari, positivi, da cui si possano poi dedurre le conseguenze pratiche; che se noi vaghiamo da uno in un altro argomento, perdiamo tempo e fabbrichiamo una torre di Babele.

Il desiderio della verità, la carità di N. S. G. C. accompagni ogni nostra parola, ogni nostro concetto. Io farò in modo che niente sfugga contro al rispetto a Voi dovuto: che se mai involontariamente mi sfuggisse qualche cosa inopportuna, vi prego di richiamarmela e la rivocherò assai di buon grado.

Prego Dio che vi renda felice, mentre colla dovuta stima ho l'onore di professarmi

Umile servitore

Sac. G. BONETTI.

 

Questa lettere non hanno data: e quindi non possiamo precisar l'anno in cui furono scritte. Tuttavia non potevamo trascurarle. Non hanno esse tutta la squisita carità, lo zelo ardente e l'amabile sapore di quelle di Don Bosco?

Ma delle premure di Don Bosco erano specialmente oggetto i fanciulli popolani di Torino, ai quali eran tese molte insidie dagli eretici, specialmente colle scuole. Il danaro non mancava a que' signori: e la loro propaganda non costava loro nessuna fatica.

E il Venerabile chiamava in aiuto le anime buone perchè l'Oratorio di S. Luigi Gonzaga e le sue scuole correvano pericolo di essere annientate.

 

Nella città di Torino, fin dall'anno 1848 vicino al viale dei Platani, mercè conveniente pigione aprivasi un Oratorio festivo con annesso giardino di ricreazione e scuole pei giovanetti appartenenti alla classe povera o meno agiata del popolo, i quali per lo più nei giorni festivi vagano per le vie e per le piazze con gran rischio della rovina spirituale. Crebbe l'importanza di questa istituzione nel 1850, quando in vicinanza fu fabbricato il tempio con Ospizio e scuole pei Protestanti. Tuttavia, benedicendo il Signore l'opera sua, vi fu costantemente grande affluenza di ragazzi ed anche di adulti a segno di far desiderare più spaziosa località. Catechismo, prediche, messa, confessioni, scuole, strastulli di vario genere si praticavano con vera soddisfazione, quando un incidente inaspettato mise a repentaglio le Comuni sollecitudini e le comuni speranze. Perciocchè nel prolungamento di una via, detta di S. Pio V, venne diviso quel sito in due parti lasciando da un lato la scuola, dall'altro la Chiesa.

In simile guisa l'edifizio e il giardino di ricreazione divenuti inservibili al nostro scopo, apparve l'assoluta necessità di provvedere in quei popolatissimi caseggiati, nel cui centro àvvi il tempio de' Protestanti, altro locale pei poveri giovanetti che si trovano così ad ogni momento esposti al pericolo dell'immoralità e dell'eresia. Questo locale si trovò appunto, come si desiderava, vicino a quello di cui ci eravamo finora serviti, proprietà del sig. Falchero, e facente fronte da levante al Viale sopra mentovato, poco distante dal tempio e dalle scuole dei Protestanti, ed a ponente colla via di S. Pio V.

L'area è di circa 25 are con qualche poco di fabbricazione. La superficie sarebbe sufficiente per l'edifizio di una Chiesa, delle scuole e di un giardino per la ricreazione. La spesa di primo acquisto ammonterebbe in totale a fr. 16.000.

Ora l'urgenza sarebbe per l'acquisto del terreno: il rimanente poi delle spese che occorrano per la relativa costruzione si abbandonerebbe nelle mani della divina Provvidenza che certamente non verrà meno, siccome ne abbiamo caparra in simili casi pel passato.

Egli è per mettere insieme questa somma che si fa ricorso alla carità delle persone che la Divina Provvidenza pose in grado nei tempi eccezionali di venire in aiuto a quelle opere che riguardano al bene del prossimo e a gloria di nostra Santa Cattolica Religione.

Una delle prime copie di questo appello manoscritto era inviata al Conte Eugenio De Maistre.

 

 

Oratorio di S. Francesco di Sales, Torino - Valdocco, 5 maggio 1869.

 

Carissimo Sig. Conte Eugenio,

 

La bontà con cui più volte colla sua carità mi venne in aiuto dovrebbe farmi dire basta senza rinnovare domande; ma lo stato miserevole di questa città e il caso eccezionale di cui si tratta, mi spingono a fare anche in questo caso ricorso.

Vedrà dal foglio unito di che si tratta e quale sia la necessità a cui si vorrebbe provvedere, che è quanto dire: togliere la povera gioventù dalle fauci dell'eresia.

Io le sono già obbligato per molti titoli e perciò qualunque cosa Ella si disponga di fare, io non diminuirò la mia sollecitudine di pregare e di far pregare ogni giorno il Signore Iddio per Lei e per tutta la sua famiglia.

Non so se il sig. Francesco di Lei fratello possa anche fare qualche cosa; se giudicasse di farne parola, io rimetto tutto alla sua prudenza.

La prego di fare i miei umili ossequi a tutti di sua famiglia ed augurando ad ognuno copiose celesti benedizioni, ho l'onore di potermi colla pi√π sincera e profonda gratitudine professare

Della S. V. Carissima,

Obbl.mo Servitore

Sac. Giovanni Bosco.

 

In questo stesso giorno moriva nell'Oratorio un artigiano, legatore di libri: il terzo dei predetti da Don Bosco. Leggiamo nelle memorie necrologiche dell'Oratorio:

 

5 maggio 1869.

 

Ciocca Adolfo di Giaveno, in età d'anni 17, moriva il 5 maggio 1869 nell'Oratorio. Fu giovane di assai buone speranze, ma, traviato dai cattivi compagni, non produsse i frutti che se ne aspettavano. Tuttavia fu singolare in lui la riconoscenza, che ebbe sempre per le persone, che s'impegnarono per collocarlo nell'Oratorio. Un sogno fatto nel principio della malattia lo fece rientrare in se stesso, si pentì del passato, ne chiese perdono a Dio e al Superiore, e munito dei SS. Sacramenti passò all'altra vita nel bacio del Signore.

Il fatto andò così. Eravi nell'Oratorio questo giovane dell'età di 17 anni, alunno artigiano, che era già attaccato da un lento malore, quando la mattina del giorno 3 maggio i musici dovevano andare ad un paesello alquanto distante da Torino, per prender parte col canto alle sacre funzioni in quel luogo. Essendo il nostro Adolfo grandemente esperto nelle cose di musica e buon suonatore di piano, era sommamente conveniente che non mancasse. E siccome la sua malattia non era ancora molto avanzata, supplicato dai suoi compagni di andare in loro compagnia, accondiscese, si alzò dal letto, e andò alla stazione. Dopo una mezz'ora di viaggio il male lo vinse in maniera, che giunto al paese, più non potevasi reggere sulle gambe, ed alcuni compagni lo portarono ad un albergo che trovarono, ove fu assistito con molta cura. I giovani cantarono, pranzarono, ma la loro allegria era temperata dal pensiero del compagno che soffriva. Venuta la sera, D. Cagliero andò a pagare l'albergatore, fece condurre il giovane infermo sul convoglio, e dopo circa un'ora giunse a Torino, ove, messo in vettura, fu condotto all'Oratorio. Dalla portieria all'infermeria fu strasportato sulle braccia dei compagni. Messo a letto e chiamato il medico, egli mandò a pregare Don Bosco che andasse ad assisterlo, perchè aveva bisogno di dirgli qualche cosa.

Don Bosco andò subito e, come fu a lui vicino, il giovane prese a dire:

 - Ah! Don Bosco, mi perdoni! Le chiedo scusa di vero, cuore, sono proprio pentito.

 - Sì, sì, Adolfo mio, rispondeagli Don Bosco affettuosamente, sta' tranquillo, ti perdono.

 - Ah! Don Bosco, replicava l'infermo per la seconda volta; mi perdoni, le chiedo scusa.

 - Sì, Adolfo, te lo ripeto, ti perdono: ma parla, di' ciò che vuoi dirmi.

 - L'altra notte prima di partire per quella festa, feci un sogno, che temo grandemente sia per avverarsi. Mi pareva di essere vicino a Don Bosco con molti miei compagni. Ma io a poco a poco incominciava ad allontanarmi da lei, e quanto più mi scostava un cane feroce ed arrabbiato, che da lungi stava osservandomi, si avvicinava sempre più a me; sicchè pareva che mi avesse da uccidere da un momento all'altro. Io mi era fermato, ma poi presi di bel nuovo ad allontanarmi da Don Bosco e il cane, con ferocia crescente, mi si era fatto ancor più d'appresso. Dopo poco tempo io mi era allontanato del tutto da lei ed allora il cane mi si avventò contro, mi gettò per terra e mi faceva grandi ferite, dilaniandomi. Io subitamente chiamai Don Bosco che mi venisse a soccorrere, e lei, udita la mia voce, corse subito, mi strappò dalle fauci di quel cane, mi portò qui in infermeria, medicò e fasciò le mie ferite ed io mi sentii guarito. Quel cane feroce era il demonio, lo riconobbi: egli tentava di trascinarmi all'eterna perdizione.

Don Bosco lo calmò, lo aiutò a fare una buona confessione. Adolfo fu contento, e diceva dopo a Don Bosco:

 - I compagni cattivi che ho frequentati sono il tale, il tale e il tale altro. Quindi la pregherei ancora ad ammonire costoro, e a dir loro da parte mia, che avrei infinitamente più caro che mi avessero dato a bere il veleno, che mi avessero ucciso, piuttosto che soffrire le amarezze di animo che ora provo. Chieda perdono da parte mia eziandio a tutti quei miei condiscepoli che ho scandalizzato coi miei cattivi discorsi.

Don Bosco glie lo promise, e con dolci parole gli mise in cuore una piena fiducia nella misericordia di Dio.

Dopo alcune ore Adolfo spirava placidamente.

Da questo fatto si può intendere quanto sia doloroso in punto di morte l'aver dato in vita gravi scandali ai compagni, tenuti discorsi osceni, frequentate le compagnie dei tristi: mentre per parte nostra vi troviamo una ragione delle ultime parole che Don Bosco aveva scritte da Mornese a Don Rua: “ Per qualche ora batti un po' il chiodo sopra i cattivi discorsi fra gli artigiani ”. Difatti si videro gli artigiani con maggior fervore e frequenza accostarsi ai Sacramenti e assistere alle pie pratiche del mese di maggio.

In que' giorni fra le altre opere buone Don Bosco si adoperava a far uscire dal carcere di Civita Castellana un suo allievo, Bartolomeo Vaschetti, ivi detenuto da cinque mesi. Disertore dalle truppe italiane, erasi rifugiato nel Territorio Pontificio, dove, per misura prudenziale, tutti i disertori esteri venivano imprigionati e non rilasciati finchè una persona dello Stato non si rendesse garante presso le autorità. E la testimonianza resa da Don Bosco liberò il carcerato.

Ma non riusciva ad ottenere un favore al benemerito Prof. Giuseppe Bonzanino, che sul principio dell'Oratorio e per pi√π anni aveva accolto gratuitamente alle sue scuole private di ginnasio inferiore i nostri giovanetti studenti

 

9 - 5 - 69.

 

Carissimo Sig. Professore,

 

Le nostre speranze rimasero totalmente deluse, come vedrà dalla lettera del Marchese Gualterio alla Contessa Digny. Pazienza.

Se le sembra potersi tentare qualche altra strada, io farò quanto mi dice.

Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia, e mi creda con gratitudine.

Di V. S. Carissima,

Aff.mo amico

Sac. Giovanni Bosco.

 

Non sappiamo di che si trattasse. Ma in altra pi√π grave circostanza vide allora Don Bosco fallire le sue speranze. Il parlamento, contro le previsioni di molti, votava la legge che aboliva del tutto l'esenzione dei chierici dalla leva militare.

Questa legge veniva promulgata il 27 maggio, e Don Bosco ne mandava l'annuncio ai Direttori dei collegi di Mirabello e di Lanzo, per mezzo di D. Lazzero.

 

Carissimo in G. e M.

 

Come saprai la legge dei Chierici è passata. A tal proposito Don Bosco mi lascia di avvertirti che tu incoraggisca i tuoi chierici pericolanti... perchè nessuno della Società sarà colpito. È parola di Don Bosco, e tanto basta.

I miei rispetti e saluti a te come padre, e quel che dico del padre sia inteso dei figli.

Spero di rivederti presto, e teco una porzione di tua famiglia.

Voglimi sempre del bene, come te ne vuole il

tuo aff.mo

D. LAZZERO GIUSEPPE.

 

I chierici provarono un gran sollievo per la promessa di Don Bosco: e d'uno di essi abbiamo questa cara lettera di ringraziamento.

 

 

Reverendissimo Signor Don Bosco.

 

Nel tempo stesso in cui ho saputo essere passata la legge, direi iniquissima, contro i Chierici, ebbi una novella prova della paterna ed amorevolissima sollecitudine che ella si prende pei cari suoi figli. Più gravi sono i pericoli e più ella per loro conforto lavora indefesso. Quanto a me, chiamato agli studi in maniera straordinaria, guidato presso Don Bosco, per vie da me non mai prevedute, dalla provvida mano del Signore, che di me sembra essersi presa una specialissima cura, quantunque sempre tanto indegno, fin dal primo giorno in cui conobbi questa amata Società, fin d'allora l'amai, e non ho cessato ancora un istante di essere contentissimo del mio stato e dei voti perpetui da me fatti. Sono tante e sì grandi le prove d'affezione e della cura che ella sempre si prese di me, che io non posso esprimerle abbastanza con parole, quanto sento di dover esserle grato e quante obbligazioni abbia inverso di Lei. Di quanti beni spirituali e corporali non godetti io in questa società che certamente altrove non avrei goduti mai!

Ma di tanta paterna sollecitudine ben altra più forte prova mi vien compartita dalla grande sua bontà in questa occasione. Senza di lei a quali pericoli non sarei io ora esposto per l'anima e pel corpo, chiamato sotto la leva militare da sì rigorosa legge. Il Signore saprà però da tanto male trarre molto bene e per la Società e per la Chiesa tutta, io lo spero. Aveva già tante volte avuto da Lei promessa che mi avrebbe liberato dalla milizia a qualunque costo: io quindi tutto appoggiato alla sua parola fui per nulla turbato alla notizia di tal legge a mio riguardo; ma riflettendo alla grandezza del benefizio che mi veniva fatto, mi sentii obbligato di farle sentire i miei più vivi sensi di gratitudine e di riconoscenza. Piaccia a Dio che ciò mi tenga sempre più legato coll'affetto alla Società, ed a' miei superiori, e che mai per l'avvenire possa loro rendermi menomamente ingrato.

E al mio Signore di quante grazie non gli son io debitore! Come potrò ringraziarlo degnamente di una così singolare e premurosa protezione!

Mi aiuti ella stessa, ed il Signore mi conceda alla fine, e presto, il Paradiso, affinchè prolunghi colà i miei ringraziamenti per tutta l'eternità.

Signor Don Bosco, io sono tutto suo per tanti e tanti riguardi; lo era già prima, ma ora lo sono doppiamente. Disponga pur di me secondo il suo beneplacito, mi tratti come una palla da giuoco in sua mano, impiegando le deboli mie forze dove più le pare, se mai potessi in qualche cosa essere utile alla Società o alle anime redente col sangue preziosissimo del divin Gesù Salvatore. Scusi i modi di esprimermi, ma voglia accettare i miei più vivi sensi d'amore, riconoscenza e gratitudine inverso di Lei. Le auguro di tutto cuore le buone feste di Maria Ausiliatrice, e non potendo anch'io essere presente a tanta solennità, mi raccomando tanto alle sue preghiere.

Mi conceda, o amato signor Don Bosco, la patema sua benedizione, ed io, baciandole riverentemente la mano godo sommamente dirmi suo,

 

Lanzo Torinese, 29 maggio 1869.

Sempre aff.mo figliuolo spirituale

Ch. DAGHERO GIUSEPPE.

 

E davvero quella legge, in allora e per più anni dopo, non colpì alcun salesiano. La protezione della Madonna SS., la carità istancabile di Don Bosco, la generosità e l'industria dei benefattori seppero operare prodigi di salvezza. Per tutti, finchè fu permesso, fu pagato il riscatto.

Don Bosco intanto non aveva smesso il disegno di ottenere dal Governo la Chiesa del S. Sudario in Roma, e chiedeva informazioni e consigli agli amici di Firenze, pregandoli di un'azione efficace presso il Ministero.

 

Torino, 8 - 5 - 69.

 

Car.mo e Benemerito sig. Cavaliere,

 

Ho ricevuto la sua lettera col pro - memoria. Mi terrò ai suoi suggerimenti che si compiace di darmi. Premessi i miei più vivi ringraziamenti alla S. V. car.ma, avrei ancora bisogno di qualche chiarimento a proposito, prima di formolare una dimanda a Firenze e sapere:

1° Se dal 1851, anno a cui estende il promemoria, non cangiarono le persone e lo stato dell'amministrazione.

2° La confraternita della S. Sindone esiste ancora ed esercita qualche autorità nella proprietà, o sui frutti o sull'amministrazione delle case o della chiesa?

Se può Ella darmi schiarimenti ad hoc, va bene, altrimenti mi terrò alla dimanda in genere. Non so però se tale dimanda sia da inoltrarsi al sig. Conte Gualtiero o al sig. Conte Menabrea. Quando potessi ottenere la nomina dal nostro Governo, per ciò che riguarda a Roma non avrei alcuna difficoltà. Vi sarebbe la spesa della ristorazione della chiesa, che è cosa ingente, ma a questo si potrà anche provvedere appena la amministrazione sia definitivamente affidata a qualche persona determinata. Ella però mi continui i suoi preziosi consigli ed io li seguirò colla dovuta prudenza e con quella gratitudine che il favore si merita.

Dio benedica Lei e la sua famiglia e mi creda con pienezza di stima di V. S. Carissima

aff.mo ed obbl.mo servo

Sac. Giovanni Bosco.

 

Il Cav. Canton gli rispondeva:

 

 

Rev.mo e Carissimo Signore,

 

Sono in ritardo a riscontrare la preg.ma di lei lettera in data 8 corr. mese. Mi perdoni, non è per mancanza; per varie cagioni fui impossibilitato a riscontrarla.

Passo subito a dirle:

1° Che dal 1851 vi furono pochi cambiamenti nelle persone amministratrici della Chiesa e rendite del S. Sudario in Roma; solo si succedettero i nostri Ministri nell'eterna città, senza che per altro si occupassero molto della chiesa e dei restauri. Si fu per tale motivo che, non avendosi fatte a tempo debito le riparazioni, si dovette chiudere quasi la chiesa per l'impossibilità d'uffiziarla decentemente. Però i fondi non soffrirono avaria, epperciò son sicuro ch'ella non avrebbe a sottostare a spese o passività forti.

2° La Confraternita del S. Sudario è estinta. Il Ministero degli Affari esteri, incaricato in base ad una semplice delegazione del Governo Pontificio alla Legazione Sarda che preesisteva, ne continua l'amministrazione adempiendo scrupolosamente tutti gli obblighi spirituali e temporali eseguiti da certo Cav. Bernetti, che è pure l'amministratore d'un Palazzo che il nostro Governo ha in Roma, conosciuto sotto il nome di Palazzo di Firenze in Campo Marzio. Seppi anche il che il Segretario è morto.

V. S. inoltri e presto la sua dimanda al Conte di Menabrea, formolata nel senso ch'ella chiede l'ufficiatura della chiesa del S. Sudario in Roma, che Ella è certa che il governo Pontificio vedrà con piacere tale atto e concessione, e che intanto chiede di sapere quali siano i trattamenti che si farebbero all'ecclesiastico che si adoperasse d'uffiziare la chiesa.

Mi mandi la sua memoria, io la manderò a S. E. So ch'egli è ben disposto, e si desidererebbe veramente che la chiesa del S. Sudario rifunzionasse.

Non so se questo mio riscontro soddisferà V. S. In ogni caso sono pronto a darle ancora tutti li schiarimenti ch'ella desidera.

Mi creda di cuore e con rispetto

 

17 maggio 1869.

Suo dev.mo e aff.mo

CANTON.

 

E il Venerabile affrettavasi ad uniformarsi alle indicazioni del sig. Canton, cui mandava la sua istanza perchè la presentasse al Ministro.

 

 

A Sua Eccellenza il Ministro Menabrea.

 

Eccellenza,

 

Il Sottoscritto ricorre rispettosamente a V. E. per un favore che mentre tornerebbe di grande vantaggio ad un'opera di pubblica beneficenza, sarebbe eziandio glorioso al Governo e sommamente apprezzato dalla pubblica opinione dei buoni.

Si rende noto a V. E. che allo stabilimento detto Oratorio di S. Francesco di Sales, in cui sono ricoverati oltre ottocento poveri fanciulli, di cui alcuni, che ne abbiano chiari segni di vocazione, abbracciano lo stato ecclesiastico, tornerebbe di non leggera utilità una chiesa ove potessero occuparsi uno o più preti con alcuni chierici, i quali, mentre si adoperano a promuovere il decoro delle sacre funzioni, avrebbero in pari tempo un mezzo materiale a fine di proseguir i loro studi.

D'altro canto àvvi la chiesa del SS. Sudario posta nel sito più centrale di Roma, la quale chiusa da parecchi anni non è più funzionata, e va perdendo dell'antico e monumentale suo splendore a segno da minacciare rovina, se non sarà quanto prima ristorata e restituita ad uno stato da poter servire al divino culto. Ciò premesso, lo scrivente si fa ardito di supplicare V. E. onde voglia degnarsi di concedere a lui o per lui ad un prete del mentovato stabilimento, la Chiesa del SS. Sudario in Roma. A tale uopo si obbligherebbe della regolare ufficiatura, dell'adempimento di tutti gli oneri, della nettezza e di quanto concerne al decoro delle sacre funzioni.

Per quanto spetta al Governo Pontificio, l'esponente si assume di compiere le incombenze che potessero riferirsi a tale pratica, persuaso di non incontrare difficoltà, trattandosi di cose di utilità pubblica, civile e religiosa.

Riguardo poi alle spese che occorrerebbero per la ristorazione, il governo, se lo giudicasse opportuno, potrebbe, o fare eseguire i lavori a suo conto, oppure cedere il patronato cogli altri diritti a chi volesse adoperarvi la spesa relativa a questi restauri. Ma ciò essendo cosa accessoria, si rimette totalmente al buon volere della E. V.

È questa l'opera che si propone alla E. V. In questa guisa sarebbe tolto il motivo di grave rincrescimento, quale provano tutti gl'Italiani nel vedere una maestosa basilica, sita nella più favorevole località di quella città, chiusa e minacciante rovina.

Spero che il sovra esposto verrà preso in benigna considerazione, e perciò augurando alla E. V. copiose celesti benedizioni, si professa con profonda gratitudine,

Della E. V.

 

Maggio 1869.

Um.mo Supplicante

Sac. Giovanni Bosco.

 

E il cav. Canton avvisava Don Bosco di aver eseguito il suo mandato.

 

 

Ill.mo e Rev.mo Signore,

 

S. E. il Conte Menabrea è in possesso della memoria per l'Ufficiatura della Chiesa del S. Sudario in Roma ch'ella mi ha trasmesso ieri. Io fo voti perchè a V. S., di preferenza d'altri, venga l'incarico affidato.

Seppi però da fonte autorevole che S. E. già da qualche tempo ha un sacerdote Savoiardo in vista per ciò. Mi riserbo, appena saprò dirle alcunchè, di scriverle. Se ella ha mezzo di far anche appoggiare la sua dimanda da alcuno dei parenti in Torino di Casa Manabrea, od anche presso il Digny, sarà bene.

Sempre disposto ai di lei cenni e raccomandandomi alle di lei preghiere, passo a dirmi,

Di V. S. Rev.ma,

 

20 maggio 1869,

Dev.mo e aff.mo

CANTON.

 

 

 

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