Il Popolo riconosce sempre più in Don Bosco il dono della guarigioni - Novena di Maria Ausiliatrice: guarigione istantanea di una fanciulla cieca. - La vigilia della festa: un generale moribondo riacquista la sanità in modo mirabile - Cenni della festa: una guarigione promessa ed ottenuta - Un medico incredulo convertito e risanato - Don Bosco a Lanzo Per la festa di S. Filippo Neri: fatti meravigliosi - Lettera di Don Bosco al Can. Almerico Guerra in ringraziamento di un suo libro - Letture Cattoliche.
del 05 dicembre 2006
Don Bosco, scrisse Don Bonetti Giovanni in una sua memoria, fu dotato copiosamente del dono di operare guarigioni, ora di presenza, ora anche da lontano; e questo dono era così manifesto ed accertato che in Torino il Servo di Dio era ogni giorno visitato da moltissimi ammalati o dai loro parenti, che venivano anche da remoti paesi affine di implorare le sue preghiere e la sua benedizione.
È perciò che ovunque si recasse accorrevasi a lui da tutte parti; e ad ogni posta le lettere erano numerosissime, e soventissimo, anche dall'estero, gli pervenivano telegrammi. I moribondi il più delle volte ottenevano miglioramento, e poscia la guarigione, in modo straordinario; oppure, se prima maldisposti, si disponevano alla morte coi migliori sentimenti di pietà e di religione.
Alla prova dei fatti si videro sempre uniti presso i popoli i nomi di Maria Ausiliatrice e di Don Bosco, essendo opinione comune che la Madonna concedesse tante grazie per le preghiere del fedele suo Servo: e se il consenso universale costituisce una prova nella dimostrazione di una verità, questa prova esiste indubitatamente riguardo a Don Bosco..
Nell'Oratorio, nel mese di maggio, e specialmente nella novena e festa di Maria Ausiliatrice, si cominciò ad essere testimoni di tali meraviglie. Eccone alcune del 1869.
Racconta Don Francesco Dalmazzo:
“ La sera della vigilia di una solennità (Pentecoste, 16 maggio) i giovani verso le cinque si erano in buon numero recati nella sagrestia della chiesa di Maria Ausiliatrice per prepararsi alla confessione; e stavano attendendo che Don Bosco discendesse dalla sua camera. Mentre io traversava la sagrestia per andare in chiesa, vidi entrare una donna avvanzata in età, che teneva per mano una fanciulla tra i dieci o dodici anni cogli occhi bendati e perfettamente cieca. Questa era di Vinovo e chiamavasi Maria Stardero; era qui condotta perchè Don Bosco la benedicesse. Mi fermai, dissi qualche parola alla vecchia, la quale lui fece vedere gli occhi della povera inferma. Vidi ed osservai, con non poca mia pena, che erano privi della cornea della pupilla e bianchi come due ovoli.
” Io avrei potuto vedere il fatto portentoso che accadde, in tutte le più minute circostanze, se mi fossi fermato; ma mi furono riferite pochi istanti dopo dai giovani presenti.
” Don Bosco discese in sagrestia e quella vecchia, che era zia della bambina, gli presentò la povera cieca perchè la benedicesse. - Da quanto tempo hai male agli occhi? chiese alla fanciulla.
” - Che soffro è molto, ma che non ci vedo è forse da due anni.
” - Sono stati consultati i medici? che ne dicono? e i rimedii che ti hanno ordinato li hai praticati?
” - Rimedii? Si figuri, rispose la zia, se non abbiamo adoperati rimedii! Ma nessuno ha giovato. I medici poi dicono che gli occhi sono guasti e non lasciano alcuna speranza. - E la poveretta piangeva.
” E Don Bosco alla fanciulla: - Distingui gli oggetti grossi dai piccoli?
” - Io non distinguo nulla, affatto nulla; risponde la Maria.
” - Togliete questa benda, disse allora il Servo di Dio; - e fatta condurre la fanciulla davanti una finestra ben illuminata le domanda: - Vedi la luce di questa finestra?
” - Povera me! non vedo nulla!
” - Vorresti vedere?
” - Vedere? Io lo desidero più che ogni altra cosa di questo mondo... Oh come è triste la mia sorte. - E singhiozzava.
” - Ti servirai degli occhi pel bene dell'anima e non per offendere Dio?
” - Glielo prometto con tutto il cuore.
” - E tu riacquisterai la vista!
” Don Bosco allora chiese alla zia ed alla nipote se avevano divozione e confidenza verso Maria SS., e avuta risposta affermativa, condusse entrambe ad un inginocchiatoio e fattele prostrare, interrogò la fanciulla se sapesse dir bene l'Ave Maria; e inteso che sì, gliela fece recitare, associandosi egli colla buona vecchia alla sua preghiera. Udendo poi che sapeva anche la Salve Regina, anche questa venne recitata. Quindi Don Bosco, incoraggiando entrambe ad avere grande, assoluta confidenza nella Madonna, diede alla bambina la sua benedizione e, tratta fuori dalle tasche una medaglia di Maria SS. Ausiliatrice, gliela presentò dicendo: - A gloria di Dio e della beatissima Vergine dimmi: - Che cosa ho io in mano?
” La zia sollecita si alza e dice a Don Bosco: - È cieca, sa, e non vede niente!
” Don Bosco non le bada e ripete alla bambina: - Guarda bene: che cosa ho io in mano?
La bambina fa uno sforzo, e ad un tratto, spalancando un bel paio di occhi, fissa quell'oggetto e alzando le mani grida: - Io vedo!
” - Che cosa?
” - Una medaglia! la medaglia della Madonna!
” - E dall'altra lato della medaglia che cosa c'è?
” - S. Giuseppe con un bastone fiorito in mano.
” - Oh Santa Vergine, esclamò la zia; dunque ci vedi?
” - Ma sì che ci vedo. La Santa Vergine mi ha fatta la grazia.
” E così dicendo stende la mano per prendere la medaglia che Don Bosco le porge, ma questa le cade in un angolo oscuro della sagrestia. La zia si curva per raccattarla, ma Don Bosco vi si oppone dicendole: - Lasciate fare a lei: vedremo se la Santa Vergine le ha ottenuta perfettamente la vista. - E la giovinetta ritrova subito la medaglia. La zia si mise a piangere per la commozione e dopo aver ringraziato Don Bosco e la Madonna, continuando a piangere, se ne andò. La giovanetta come frenetica, gridando dalla gioia, aveala preceduta; e senza dir più una parola a nessuno si dirigeva in fretta verso Vinovo, tenendole dietro alla lunga la zia e un'altra donna che avevala accompagnata.
” Molti alunni erano stati presenti al miracolo e con questi il Sac. Scaravelli Alfonso, Genta Francesco di Chieri e Maria Artero, maestra di scuola ”.
La fanciulla guarita non molto tempo dopo tornò all'Oratorio a ringraziare la SS. Vergine della vista ricuperata e a presentare per la sua Chiesa l'offerta maggiore che le permettevano i mezzi di sua famiglia. Da quel tempo non ebbe più il minimo incomodo agli occhi, ed anche oggi (1916) li ha sanissimi, e la zia che aveala accompagnata non patì più fino al termine della vita un grave reumatismo, che, facendole dolere la spalla e il braccio destro, la rendeva da un bel pezzo incapace di qualunque grave fatica, specie in campagna.
 Il mese di maggio fu segnalato quest'anno da un altro miracolo della Madonna.
“ Fra i molti venuti a ringraziare la Madonna per favori ricevuti vi fu un patrizio torinese, scrisse D. Francesia alla Presidente di Tor de' Specchi, che dopo aver ricevuto l'olio santo ebbe la promessa da Don Bosco che sarebbesi riavuto e avrebbe potuto rivenire a vedere la festa di Maria Ausiliatrice. E venne e il vederla fu causa di comune meraviglia e devozione ”. Ecco altri particolari.
Un generale, abitante a Torino, ridotto da una fortissima malattia agli estremi, il 22, sabato, venne confessato dal Servo di Dio, che, con istupore di tutta la famiglia, non credette opportuno dargli gli altri sacramenti, sebbene i medici dichiarassero che il pericolo di morte era imminente. Don Bosco aveva tenuto all'ammalato questo discorso:
 - Generale, doman l'altro celebriamo la festa di Maria SS. Ausiliatrice; la preghi di cuore, ed in riconoscenza della sua guarigione venga quel giorno a comunicarsi là.
Essendo il giorno seguente fuor di maniera peggiorato l'infermo, cosicchè temevasi dovesse soccombere da un momento all'altro, la famiglia voleva fargli amministrare gli ultimi sacramenti; ma perchè Don Bosco avea raccomandato che non gli dessero l'Olio Santo, se non ci si trovasse lui, alle otto della sera mandarono di corsa ad avvertirlo del gravissimo pericolo in cui stava il generale e del timore che i medici avevano manifestato di non ritrovarlo vivo la mattina dopo. Quel giorno, essendo la vigilia di una festa tanto cara alla famiglia salesiana, Don Bosco era stato in confessionale dall'alba; e vi ritornava verso le 6 pomeridiane. Quando vennero a chiamarlo ei si trovava ancora circondato da un bel numero di fanciulli, che aspettavano di confessarsi.
 - Venga presto, gli dicono, chè il generale muore e forse ella non giunge a tempo. - Ma vedete bene, ei risponde, che io confesso e non posso rimandare questi poveri fanciulli: quando avrò fatto, verrò. - E con questo continuò a confessare fino alle undici. La vettura lo aspettava da tre ore, quando: - Faccia presto, per carità, gli dice colui che era venuto a prenderlo - ma D. Bosco gli risponde che non ne può più e ha bisogno di prendere qualcosa, non avendo preso più nulla da mezzogiorno. - Venga, venga; in casa del generale avrà tutto. - Sale allora in vettura ed in due minuti sono all'uscio del generale. - Presto, presto, gli dicono quei della famiglia; forse non è più in tempo: il povero generale è tanto peggiorato! - Ed egli: - Uomini di poca fede! Non vi aveva io detto che il generale farà domani la Comunione in Maria Ausiliatrice? È quasi mezzanotte ed io ho bisogno di mangiare, tanto più che domani dovrò trovarmi in confessionale alle cinque: mi favoriscano un po' di cibo.
Don Bosco si mette allora con tutta calma a tavola, e poi, preso un po' di refezione, benedice l'infermo, non parla d'Olio Santo, risale in vettura e torna all'Oratorio. Il generale, che credevano morto, trovavasi invece in uno stato di immobilità, inesplicabile agli stessi periti dell'arte, ma che era un semplice sonno: e il fatto sta che alla mattina seguente di buon'ora egli dice al figlio che gli faccia avere gli abiti, perchè voleva recarsi, secondo il convenuto tra loro, a ricevere la S. Comunione dalle mani di Don Bosco. Verso le otto, mentre il Servo di Dio si parava per andare all'altare, gli si presenta un tale, tutto pallido, che gli dice: - D. Bosco, son venuto: eccomi qui. - Ho piacere: ma con chi ho l'onore di parlare? - Come! come! non riconosce più il generale? - Ah! benedetta sia Maria SS. Ausiliatrice. Glielo aveva ben detto che oggi ella sarebbe venuta in questo santuario dedicato a questa nostra buona Madre! - Mi scusi, signore, desidererei si compiacesse udire la mia confessione, perchè voglio, secondo il suo consiglio, comunicarmi alla sua Messa. - Non si confessò ier l'altro? - Sissignore, e voglio almen accusarmi di aver mancato di fede, perchè me ne conosco colpevole.
Il sacerdote allora lo riconciliò, quindi gli diede la S. Comunione, ed il generale ritornossene a casa in istato di perfetta salute.
Il 23 domenica finiva la bella e santa novena di Maria Ausiliatrice con molta frequenza di forestieri. L'Unità Cattolica scriveva il 26 maggio:
La cara festa fu per la seconda volta celebrata tra noi con maggior pompa e magnificenza dell'anno scorso. È incredibile il concorso dei fedeli alla nuova Chiesa, quantunque il tempo fosse piovoso. Le Comunioni ascesero a qualche migliaio. Pontificò nei secondi Vespri Mons. Gastaldi, Vescovo di Saluzzo, ed impartì la benedizione col Santissimo l'Arcivescovo di Torino. Il Canonico Nasi parlò all'immenso uditorio della potenza e della bontà di Maria, e ne parlò più col cuore che colla voce, come un figlio amoroso parla della più grande ed affettuosissima madre. Quattrocento voci cantarono il Sancta Maria, sucurre miseris, e quell'antifona sapientemente musicata dal Sacerdote D. Cagliero, nei tempi presenti riusciva più che mai sublime. Era un popolo di cantori che provocavano l'intervento materno della Vergine potente in favor della Chiesa e del Clero: interveni pro Clero. Fu un vero trionfo di Maria che in tempi così tristi siasi potuto celebrare la festa con tranquillità e tanta religione.
Altre prove di sua bontà dava la Madonna in quel tempo.
Un medico, molto stimato nella pratica dell'arte sua, presentossi un giorno all'Oratorio e domandò di parlare con Don Bosco.
Giunto dinanzi a lui, dopo alcune parole, uscì fuori con questo discorso: - Dicono che lei guarisce tutte le malattie: è vero?
 - Io? nient'affatto, esclamò il Venerabile.
 - Se me l'hanno assicurato! nominandomi le persone e dicendomi anche il genere delle malattie.
 - Ecco: molti vengono qui a chieder grazie per intercessione di Maria Santissima Ausiliatrice; se poi dopo un triduo od una novena costoro ottengono quanto desiderano, e guariscono: non sono mica io: è un favore unicamente della SS. Vergine.
 - Ebbene: Maria guarisca me, ed io crederò a questi miracoli.
 - Qual è la sua malattia?
Il dottore narrò che egli era soggetto ad epilessia e che, specialmente da un anno a quella parte, gli assalti del male s'eran fatti tanto violenti da non poter uscire senz'essere accompagnato, per paura di qualche insulto. Conchiuse dicendo che in nessun rimedio aveva trovato giovamento, e che nella disperazione era venuto al Santuario di Maria Ausiliatrice a cercar salute come tanti altri.
 - Allora faccia come gli altri: s'inginocchi per recitar meco qualche preghiera, e si disponga a purificare e nutrir l'anima sua colla confessione e comunione, se vuole che la S. Vergine lo consoli.
 - Mi ordini altro, perchè questo non lo posso fare.
 - E perchè?
 - Commetterei un'ipocrisia, dacchè non credo nè in Dio nè alla Vergine, nè alla preghiera, nè ai miracoli.
Il Venerabile restò alquanto costernato a quest'atto d'incredulità, poi coll'aiuto divino trovò parole sì penetranti, che il dottore s'inginocchiò, si fece il segno della Croce.
 - Mi meraviglio, diceva egli, di saperlo fare ancora, essendo quarant'anni che non mi sono più segnato.
Intanto pregò, poi si confessò, e quando si fu alzato disse di sentirsi interiormente mutato, e ripieno di una gioia che non avrebbe aspettato. Anche la salute esterna rifiorì e non ebbe più a lamentare nemmeno un insulto del brutto male; cosicchè potè tornar sovente a ringraziare Maria SS. Ausiliatrice, che lo avea guarito e d'anima e di corpo.
Finite le feste di Maria Ausiliatrice, il giorno 30 di maggio si doveva celebrare nel Collegio di Lanzo la solennità del Patrono, San Filippo Neri. La chiesa e il cortile erano addobbati splendidamente in attesa di Don Bosco che, dovendo arrivare il mattino del 29, seguito dai cantori dell'Oratorio e dalla banda musicale che sarebbero giunti alla sera, aveva destato fra i giovani un entusiasmo indescrivibile.
Ma non tutti, con vivo dolore, potevano partecipare alla gioia comune. Sette alunni erano infermi per vaiuolo che in alcuni incominciava allora a manifestare le sue pustole, che in altri erano già sviluppate. Essendo un d'essi andato imprudentemente sul poggiuolo all'aria aperta con pustole non ancora mature, queste erano rientrate, e a forza di sudoriferi si riusciva a stento a farle ricomparire. Gli infermi, per ordine del dottor Magnetti, stavano appartati dai compagni in una camera calda, ove le finestre e la porta erano difese anche da doppia coperta. Ma gli infermi, impazienti di quella reclusione, avevano combinato un disegno: - Don Bosco viene; ci benedice e noi risanati godremo la festa! - E senz'altro mandarono a chiamare il Direttore e lo pregarono di accompagnare Don Bosco nella loro stanza, appena fosse giunto. Intanto ciascuno fece porre i suoi abiti ai piedi del letto.
Don Bosco arriva, tutti gli alunni gli corrono incontro acclamandolo, sicchè il Direttore dovette ritardare di una buona mezz'ora a condurlo in infermeria. E gli ammalati mandano un messo con premurose istanze. Don Bosco va a visitarli; e quelli appena lo videro, tutti ad una voce:
 - Oh! Don Bosco, ci benedica, ci guarisca!
Don Bosco sorrise a quella domanda e chiese loro se avessero fede nella Madonna. Risposero di sì. Ed egli:
 - Recitiamo dunque tutti insieme, l'Ave Maria! quindi li benedisse.
Ciò fatto, i giovani seduti sul letto, colle mani tese verso i vestiti, gli domandarono: - Possiamo alzarci?
 - Ma avete proprio fede nella Madonna?
 - Sì... sì...
 - Ebbene: alzatevi! - disse D. Bosco, e si ritirò
I giovani, in fretta e in furia, incominciano a vestirsi.
Il direttore, accompagnato Don Bosco in camera, ritornò subito presso gli infermi per constatare l'efficacia della benedizione. Ma sei di que' giovani eran già corsi in cortile a giuocare. Solo uno s'era fermato a letto, un certo Giovanni Baravalle, il quale gli chiese se alzandosi non avrebbe peggiorata la sua condizione. Il direttore, vedendo in lui mancare quella fede che giudicava necessaria per poter guarire sul momento, stante la gravità del morbo, non maggiore del resto a quella degli altri, gli impose di non alzarsi. Scese quindi in cortile. Su quella vetta alpina spirava un vento umido e freddo, ed egli era soprappensiero ed angustiato sia per la sua responsabilità, sia per gli ordini del medico che aveva raccomandato molte precauzioni, tra cui che gl'infermi non fossero assolutamente esposti all'aria. In mezzo al tumulto de' giuochi, andò in cerca dei suoi infermi, li esaminò ad uno ad uno nella faccia, nel collo e nelle braccia, e vide che tutte le pustole e le macchie erano scomparse.
Fra i guariti vi erano gli alunni Giuseppe Demagistris, poi professore nei Regi licei in Torino e Carlo Passerini professore nei corsi tecnici in questa stessa città. Ambedue son pronti a testificare il fatto con giuramento.
Il domani, 30 maggio, in collegio fu gran festa, che finì la sera colla solenne distribuzione del premio di buona condotta, dato a sei convittori col plebiscito di tutti i compagni. Era presente un gran numero d'invitati.
Il primo chiamato a ricevere il premio fu Demagistris.. . Il Dottore Magnetti si alzò e rispose per lui a quell'appello: - Infermo! - Ma con suo stupore l'ode rispondere: - Presente! - E lo vede avanzarsi.
Il secondo chiamato fu Passerini e il medico ripetè! Infermo! e il giovane rispondendo: - Presente! - andò innanzi a Don Bosco. Il medico non potè contenere il suo sdegno: chiamò a parte i due alunni, li visitò, disse che le pustole erano rientrate, e che l'affare era serio e che i Superiori erano responsabili di quanto potesse accadere. Quindi salì in infermeria e, trovatovi il solo Baravalle, ne uscì dispettosamente.
Infatti, senza l'intervento di un aiuto soprannaturale, quei giovani non avrebbero potuto senza grave pericolo passare da un caldo ambiente all'aria fredda del cortile e rimanervi per lungo tempo senza pericolo. Invece erano guariti perfettamente, eccetto il Baravalle, la cui malattia continuò il suo corso regolare, perchè, con le buone cure del Dott. Magnetti, egli potè lasciare il letto circa venti giorni dopo.
Da Torino Don Bosco scriveva al rev.mo signore Don Almerico Guerra a Lucca. Questi in un suo libro: Le vocazioni allo Stato Ecclesiastico, inviato in omaggio al Venerabile, con parole di somma lode aveva fatto più volte menzione di lui, elogiando il suo zelo nel favorire le vocazioni ecclesiastiche, commendando varie sue operette e l'edizione purgata dei classici latini, e chiamando i collegi e le scuole di Don Bosco “ veri seminari di virtù ” che “ forniscono buonissimi chierici ed ottimi Preti ”.
 
Torino - Valdocco, 6 - 6 - 69.
 
Carissimo nel Signore,
 
Ho ricevuto il suo libro Le Vocazioni allo stato ecclesiastico e la ringrazio ben di cuore. Esso è veramente fatto tutto secondo il mio spirito e desidero vivamente che esso corra tra le mani degli educatori della gioventù. La cosa che mi rincresce si è la galante comparsa che fa fare alla povera mia persona, che non ne ha merito. Tuttavia la ringrazio cordialmente della sua bontà.
Intanto se l'edizione è in suo potere la prego di mandarmene per ora dieci copie: più tardi ne dimanderò maggior numero. L'importo prego dimandarlo al comun amico P. Bertini, con cui ho conti aperti.
Se mai si trattasse della ristampa, volentieri vi farei alcune noterelle. Sarebbero lezioni a Minerva: ma se non altro saranno sempre segni di buon volere verso ad un amico.
Dio benedica Lei e le sue fatiche, preghi per la povera anima mia e mi creda con gratitudine ed affetto
Di V. S. Rev.ma,
aff.mo in G. C.
Sac. Gio. Bosco.
 
Da Don Bertini il sac. Almerico Guerra riceveva i fascicoli delle Letture Cattoliche. Anche queste, nei mesi di giugno e luglio di quell'anno, trattavano in modo più generale l'argomento delle vocazioni col titolo: - L'entrata nel mondo ovvero consigli ad un giovanetto che lascia le scuole per abbracciare uno stato. - Era un'aurea operetta che aveva anche di mira i giovani della classe operaia. In capo alla prefazione recava il passo biblico: “ Mettete in pratica le cose che apparaste e il Dio della pace sarà con voi (Filippesi IV, 9). ” Molte ammonizioni sono tratte dalla Sacra Scrittura. Avvisa i giovani dei pericoli che incontreranno nel mondo, e insegna loro i modi per superarli. Suggerisce i mezzi di perseverare nella retta via. Dimostra l'importanza di seguire la propria vocazione, di studiarsi per conoscerla e l'obbligo di seguirla, o nello stato ecclesiastico, o nel religioso, o in quello secolare. Osserva che lo stato che meglio conviene al maggior numero de' giovani si è di seguire quello del proprio padre, abbracciando l'arte il mestiere da lui professato, senza ambire di mutar fortuna, col darsi agli studi, o col cercare impieghi in città, lontani dai parenti.
È un opuscolo che (ritoccato, ove sembra conveniente), dovrebbe essere ristampato e messo in mano a quanti finiscono il tirocinio nelle nostre Scuole Professionali.
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