L'Oratorio di S. Francesco di Sales sul finire del 1849 - Carità di D. Bosco coi giovani esterni e loro corrispondenza - Le ricreazioni dei giovani interni e i consigli amorevoli - Odio al peccato - La presenza di Dio - Preghiera affettuosa - Un'antifona e alcune immagini in onore di Maria SS. - D. Bosco e la virtù della purità. - Origine del teatrino per gli interni - Carceri ed ospedali - Gran stima di molti per le virtù di D. Bosco.
del 16 novembre 2006
 Il 18 novembre 1849 D. Giacomelli veniva ad abitare con D. Bosco nell'oratorio e trovò, come a noi raccontava, che il numero dei giovani ricoverati era di circa trenta.
La maggior parte avevano perduti i loro genitori ed erano stati raccolti da D. Bosco mentre vivevano alla ventura senza dimora stabile e tra i pericoli di cattivi compagni. Spesso era stato pregato di accettare nel suo ospizio ragazzi rimasti orfani di padre per causa della guerra, ed egli acconsentiva; ma i mezzi e il locale limitavano le sue buone intenzioni. A tutti questi si continuava a provvedere pel vitto giornaliero la minestra ed i cinque soldi pel pane. Alcuni pochi, i quali pagavano pensione regolare, a pranzo e a cena sedevano alla stessa mensa di D. Bosco e andavano a scuola in città. Fra questi vi era Cagno Benedetto, che poi fu Preside della scuola normale femminile a Mondovì e quindi Direttore di scuola tecnica a Torino; un ex - chierico che, deposto l'abito talare, studiava per conseguire la laurea in belle lettere, ed il chierico Savio Ascanio.
D. Giacomelli quasi per due anni convisse con D. Bosco nell'oratorio e lo aiutava specialmente nell'ascoltare le confessioni. Andato poi come vice - parroco fuori di Torino, vi ritornò nel 1854, e fu cappellano e Direttore Spirituale dell'Ospedaletto di S. Filomena al Rifugio per ben quarantasette anni, cioè fin che gli durò la vita. L'Ospedaletto era quasi attiguo all'oratorio ed egli fu sempre in grande intimità con D. Bosco, dal quale aveva ricevuti molti benefici e si confessava da lui. Più volte alla settimana d'allora in poi veniva ad intrattenersi con D. Bosco ed entrava sempre nella cappella fermandovisi a pregare con grande edificazione dei giovani.
Anticipiamo questi ragguagli perchè meglio vi si riconosca l'autorità di un testimonio, col quale pienamente concordano quanti vissero con D. Bosco. Ed esporremo una sua relazione che volle dettarci intorno ai primi anni dell'Oratorio. Sarà però da noi intercalata da osservazioni di altri personaggi, giudici non meno competenti.
“ Presa stanza in Valdocco, incominciai a persuadermi quanto fosse vera l'affermazione di D. Bosco, che l'unico mezzo per guadagnarsi la confidenza dei giovani e per tenerli lontani dal male, era il trattarli con un cuore aperto. Ebbi agio di osservare il suo studio nel tirarli a sè coi più bei modi e con qualche piccolo dono. Accompagnai un mio nipotino, presentandolo a D. Bosco, per avviarlo alle sue adunanze festive. Appena egli lo vide, gli fece tosto molte amorevolezze e gli regalò una moneta da venti centesimi, cosa che destò in me grande meraviglia. E mio nipote da quel momento divenne affezionatissimo dell'oratorio e finì con entrarvi come alunno.
 ”I giovani, di mano in mano che si avvicinavano a Don Bosco divenivano migliori e laboriosi, ed egli accompagnava costantemente colla carità ogni suo comando, avviso o correzione, cosi che da tutto il suo modo di fare appariva evidente non cercar egli altro che il loro bene. Prevenendo le mancanze, non era costretto a por mano ai castighi. I giovani di contraccambio lo amavano tanto, e tanta stima e rispetto avevano per lui, da bastare che egli esternasse un desiderio per venir subito ascoltato. Si astenevano essi da qualunque cosa avesse potuto dispiacergli: nella loro obbedienza non vi era alcun timore servile, ma un affetto veramente figliale. Taluni si guardavano dal cadere in certe mancanze quasi più per riguardo a lui che per riguardo all'offesa di Dio; ma egli, accorgendosene, tosto li rimproverava seriamente, dicendo: Dio è qualche cosa più che D. Bosco!
 ”E ciò che maggiormente mi sorprendeva si è che questa povera e ineducata gioventù andava continuamente rinnovellandosi col sopraggiungere di altre turbe, delle quali pure, con nuovi disturbi, ed incagli, bisognava riformare le idee ed i costumi. Ma la perseverante pazienza e lo spirito di sacrificio che animavano D. Bosco a poco a poco trionfavano sempre.
 ”Col medesimo metodo reggeva gli alunni interni....
Quando avevano compiuti regolarmente i loro doveri, amava che si divertissero allegramente e si esercitassero nella ginnastica, dicendo essere anche la ricreazione un'opera meritoria al cospetto dei Signore. Cercava però di impedire que' giuochi che esigono troppa attenzione e lo stare fermi: come pure quelli che avrebbero potuto danneggiare la costituzione fisica, e forse anche la moralità. Era solito dire ai suoi allievi: - Fate chiasso, correte, saltate, purchè non facciate peccati. - Ed egli stesso ne dava l'esempio, mantenendosi costantemente allegro, cercando ogni mezzo più adatto per dar loro causa d'allegria, prendendo talora parte ai divertimenti e procurando loro amene passeggiate, che avevano sovente per meta la visita di qualche santuario.
 ”Talora al mattino io lo vedeva passare nel cortile mentre i giovani facevano colazione. Sorridendo agli uni e agli altri con motti amorevoli, a un tratto simulava serietà, e diceva ad alcuno, che aveva in mano la sua pagnotta: Getta via quella pietra! - E il giovane rispondeva staccando con un morso un grosso boccone dal pane. Io però, che studiava attentamente ogni sua parola ed ogni suo gesto, era persuaso che in tutto, anche nelle cose che sembravano più indifferenti, egli mirava costantemente ad un fine spirituale. E mi avvidi che con questo scherzo sul pane, alludeva al digiuno ed alla tentazione di Gesù sul monte, all'onnipotenza e bontà di Dio, all'obbligo di essergli riconoscente e ad altrettali ricordi. Infatti egli, subito dopo, diceva all'orecchio di quel figliuolo una parola confidenziale, che era accolta con riverenza e con gioia.
 ”Sapeva vestire un rimprovero sotto forma di consiglio. A chi era propenso alla ghiottoneria diceva: - Non siamo creati per bere e per mangiare, sebbene per amare Dio e salvar l'anima. - A chi vedeva poco amante della fatica: - Lavora per il Signore. Quanto ti toccherà patire in questo mondo è cosa di un momento, e il Paradiso paga tutto. - Se alcuno si lasciava lusingare troppo dall'amor proprio: - Sono contento che tu faccia progresso nel mestiere. Ma se possedessi tutte le ricchezze, tutte le arti, tutte le scienze meccaniche, se perdi l'anima, che ti giova?
“ Era delicatissimo di coscienza e teneva lontana non solo da sè ogni apparenza di male, ma con una continua amorevole assistenza, colla frequenza dei Sacramenti e con industrie senza numero, cercava per quanto era possibile di allontanare dai giovani ogni pericolo di peccato ed ogni disordine dalla casa. Egli aborriva tanto l'offesa fatta a Dio, che si sarebbe sacrificato cento volte al giorno per impedirne anche una sola. - Come è possibile, egli talora esclamava, che una persona assennata, la quale creda in Dio, possa indursi ad offenderlo gravemente?
 ”Se qualcheduno avesse commesso qualche grave mancanza, se ne attristava, quanto non avrebbe fatto per qualsiasi disgrazia succedutagli, e tutto addolorato diceva ai colpevoli: - E perchè trattar così male Iddio, il quale ci vuol tanto bene? - E talora lo vidi piangere. Tutte le sue parole in privato ed in pubblico avevano il fine d'ispirare orrore per il peccato ”.
 - Quando nelle prediche, aggiungeva D. Savio Ascanio, nei discorsi famigliari, nel confessionale, parlava dei terribili giudizi di Dio, lo si vedeva così impressionato, da infondere in tutti noi il timore dell'inferno ed il desiderio del paradiso.
 ”A tutti raccomandava sovente che recitassero le preghiere con devozione, che pronunciassero distintamente le parole, badando anche al senso delle medesime. Come professione di fede esigeva che tutti facessero con raccoglimento e venerazione il segno della santa croce, e non esitava a rimproverare cortesemente persino quei Sacerdoti che si segnavano con poca gravità. Nei soliti discorsetti della sera dimostrava la necessità di occupar bene il tempo, di operar tutto per la gloria di Dio, rendendo famigliare fra i giovani il detto di S. Ignazio: Omnia ad maiorem Dei gloriam: e li esortava spesso e caldamente a lavorare e patire volentieri per N. S. Gesù Cristo. Ed egli, benchè di costituzione sensibilissima, fosse il tempo nuvoloso, secco, umido, ventoso, freddo, caldo, come se non avesse nervi, era sempre eguale a se stesso, cioè tranquillo e sereno. La sua vita era un continuo sacrificio e il suo cibo una mortificazione.
 ”Nei cortili e in tutte le stanze della casa disponeva che li interni e gli esterni avessero sott'occhio il Crocifisso e l'immagine di Maria, perchè si avvezzassero a vivere alla presenza del Signore. E il pensiero della divina presenza era così vivo nella sua mente che gli traspariva nella fisionomia; ed io osservandolo mi sentiva eccitato ad esclamare: Conversatio nostra in coelis est. Dovunque fosse, anche a mensa, o solo nella propria camera, era sempre composto ne' suoi atti; i suoi sguardi teneva raccolti e il capo piuttosto chino, come di chi sta innanzi ad un gran personaggio, o meglio, al SS. Sacramento dell'altare. Benchè si mostrasse d'indole molto socievole, se camminava soletto per via, difficilmente scorgeva le persone che gli rivolgevano il saluto. Pareva che il suo spirito fosse continuamente concentrato in qualche gran pensiero che lo dominasse, e da tutto l'insieme si rilevava chiaramente come fosse assorto nella contemplazione di Dio. Molti si provarono qualche volta ad interrogarlo per consigli spirituali in certi momenti in cui si sarebbe detto essere egli distratto da affari temporali, eppure rispondeva sempre come uno che sia in attenta e devota meditazione delle cose eterne ”.
D. Savio Ascanio era persuaso che D. Bosco vegliasse, molte ore della notte e talora la notte intiera, pregando; e notò che quando recitava le orazioni in comune, pronunciava con un gusto affatto speciale le parole Padre nostro, che sei nei cieli; e la sua voce, spiccando in mezzo a quella dei giovani, aveva in quel momento un suono armonioso, indefinibile, che muoveva a tenerezza chi udiva. - Fu sempre un modello, ei diceva, a tutti noi nella preghiera, ben che nulla avesse di straordinario nel suo contegno: ma non lo vidi mai in sagrestia o in chiesa ad appoggiar i gomiti sul banco: si contentava di posare l'avambraccio sullo spigolo dell'inginocchiatoio, tenendo le mani giunte od un libro in mano. Il suo raccoglimento però, soggiungeva D. Reviglio, e il contegno della sua persona era così devoto che Mons. Bertagna ebbe a dirmi che D. Bosco pregando aveva dell'Angelo.
“ La sua divozione alla Madonna era in capo ai suoi pensieri. Ne parlava sempre con tutti e non di rado anche con me, e un giorno mi disse, recitandomi l'Alma Redemptoris Mater; - Nota quelle parole: stella maris succurre cadenti, surgere qui curat populo. Fa la costruzione: Succurre cadenti populo, qui curat surgere spiega la bontà di Maria e da parte nostra il dovere di corrispondere. Ecco il segreto dell’aiutati che io t'aiuterò. La nostra cooperazione. - Sembrava che prevedesse la gloria di Maria Ausiliatrice.
 ”D. Bosco sopra un cartone, sul quale era stampato il lunario del 1848, attaccava nel 1849, non so per qual sua idea, cinque immagini rappresentanti Maria SS. Tre portavano l'effigie dell'Immacolata. La prima di queste ritrae vari giovani in un campo intorno ad un sacerdote, alcuni in ginocchio, altri in piedi e tutti rivolti verso Maria SS., la quale appare tra le nubi corteggiata dagli angioli colle mani giunte, coronata di dodici stelle, e colla luna e il serpente sotto il piede. Il sacerdote addita loro la Madonna e sopra l'immagine sta il motto: Figliuoli miei, siate devoti di Maria SS. La seconda porta la scritta: Sia sempre benedetta la Santa Immacolata Concezione. E la terza, una preghiera: O Vergine Immacolata, Tu che sola portasti vittoria di tutte le eresie vieni ora in nostro aiuto: noi di cuore ricorriamo a te: Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Sotto, D. Bosco vi aveva aggiunto di sua mano queste parole: Inde expectamus consolationem. La quarta immagine è quella di N. S. delle Vittorie con l'invocazione: Refugium peccatorum, ora pro nobis. Nella quinta, Maria SS. siede col Bambino in braccio presso un tavolino, coperto con un tappeto, e sul quale sta un canestro colmo di frutta. Il bambino colla sinistra solleva il velo che scende sul viso della madre, e a lei colla destra pare che metta in mano un pane o altro commestibile da distribuire ai bisognosi. Si legge, sotto queste figure: - Mater pauperum. E quindi: Venite a me, o voi tutti che mi amate, e vi ricolmerò dei beni dei quali sono la sorgente (Ecclesiastico). - Sotto queste immagini D. Bosco appiccò una carta geografica della Palestina e appese quel cartone alla parete della sua stanza. Ma io, D. Giacomelli, conoscendo intimamente l'animo dell'amico, intravidi in questa immagine come l'intero programma della sua vita, e volendo avere una memoria della sua devozione a Maria SS. Immacolata ed Ausiliatrice, segretamente tolsi per me quel cartone e lo tenni come preziosa reliquia fin dopo la morte di D. Bosco, cioè per quasi quarant'anni. Allora temendo che, stante la mia cadente età, potesse essere fra breve distrutto, lo consegnai ai Superiori dell'Oratorio perchè fosse conservato e tenuto nel debito conto ”. La sua devozione per Maria SS. andava a pari con l'illibatezza dei suoi costumi. Mons. Bertagna, i due fratelli Savio Angelo ed Ascanio, D. Giacomelli e più altri asserirono che D. Bosco su questo punto godette sempre fama senza la più piccola macchia, tanto a Castelnuovo pel tempo della sua gioventù, come in Torino; e che da tutti si ritiene che avesse un dono speciale per saper insinuare la virtù della purità negli animi giovanili. Mons. Giovanni Cagliero così si esprimeva: - Io sono persuaso, per le intime attinenze avute sempre con lui, che egli sia vissuto e morto in castità verginale. Sempre castigato ne' suoi sguardi, riserbatissimo con persone di altro sesso, non si vide mai alzare gli occhi in faccia a loro. Si vedeva chiaramente che sentiva in sè una certa ripugnanza a trattare con esse, fossero pur anche sue parenti.
“ Io vidi, così D. Giacomelli, in questi anni più di una volta la figlia del suo fratello Giuseppe, che dalla patria veniva a Torino per vedere la nonna Margherita e lo zio. D. Bosco dimostrava che non ne aveva piacere, la riceveva per brevi istanti e la rimandava tosto presso sua madre; a me poi disse: - Mi sarebbe più caro che venisse a trovarmi una dozzina di giovanetti che non questa od altra. - E il chierico Savio Ascanio lo sentì ripetere a sua madre, come non fosse conveniente che la nipote venisse all'oratorio.
 ”Cogli stessi suoi alunni, sebbene lo amassero tanto ed egli li ricambiasse di amore paterno, tenne sempre un contegno riservato e dignitoso e non si permise mai sdolcinature di nessuna fatta come sarebbe di baciarli od abbracciarli. Tutto al più, per dimostrare la sua contentezza per la buona condotta, metteva loro per un istante la mano sulla spalla o sul capo, o leggermente li percuoteva sulla guancia accompagnando sempre questa carezza con un salutare ammonimento ”. Fumero nel 1890 diceva a Gastini: - Ti, ricordi di aver mai notato in D. Bosco un gesto, una parola, un'occhiata, che anche alla lontana fosse in qualche maniera sconveniente e meno corretta? - Mai! rispose l'altro. Ed erano famigliari con lui fin da questi primi anni. Un giorno il giovane Carlo Tomatis sbadatamente si presentò in un crocchio di compagni, tra i quali stava D. Bosco, col vestito non accomodato alla persona secondo le strette esigenze della modestia. Tutti al vederlo presero ingenuamente a ridere, ma D. Bosco rimase impassibile. Interrogato in questa e in altre circostanze di simile genere, come facesse a trattenere le risa, rispose: - io rido quando voglio, e quando non voglio non rido. - Nelle sue prediche parlava della castità con ammirabile delicatezza, come pure in tutti i suoi scritti. Nel suoi discorsi famigliari sovente diceva magnifiche lodi di questa virtù e suggeriva i mezzi per conservare immacolato il cuore. Egli per farla amare aveva, come più tardi vedremo, espressioni tutte sue proprie e che dimostravano la bellezza della sua anima. Talora, mandando alcuni di essi a fare il catechismo negli oratori, acciocchè non si lasciassero adescare il cuore da qualche passione, diceva loro: - Ricordatevi che vi mando a pescare e che non dovete essere pescati.
Per aiutare i giovani a conservarsi buoni, anche allora li faceva assistere colla massima, ma prudente vigilanza, in ogni luogo ed in ogni tempo dai compagni più virtuosi, mettendoli quasi nell'impossibilità, di far mancamenti. E fu questo suo ardente amore alla bella virtù che diede origine al teatro per gli allievi interni. D. Bosco al sabato sera non incominciava a confessarli che ad ora tarda, ritornato dalle sue urgenti commissioni in città; quindi non finiva che verso le 11 e ad ora anche più avanzata, perchè il mattino della Domenica era sempre da lui tutto consacrato pel bene spirituale degli esterni, In che cosa occupare in quel tempo i giovani che si erano già, confessati? E nelle vigilie delle feste solenni, o di esercizio di buona morte per quelli dell'oratorio festivo, come si sarebbero potuti contenere i ricoverati, già confessati al mattino, mentre D. Bosco stava nel tribunale di penitenza? Non era caso di studii, lavori, ricreazioni in cortile. Era uso che per andare in camerata si aspettasse D. Bosco. Perciò il giovane Carlo Tomatis che, in età di 20 anni, il 5 novembre aveva fissata la sua stanza nell'oratorio ove dimorò fino al 1861, faceto nelle sue burle, ricco di motti brillantissimi, con l'approvazione e consiglio di D. Bosco, incominciò a radunare tutti i giovani in una stanza. Presi quindi due fazzoletti, faceva loro un nodo in un angolo, e messili sovra un dito di ciascuna mano, e facendoli muovere in modo bizzarro, intrecciava dialoghi così ameni fra i due fazzoletti, che eccitava risa inestinguibili.
Dopo qualche tempo, più non bastando questo gioco a destar interesse, Tomatis comprò una testa di Gianduia, ne formò un burattino, e allora i trattenimenti serali ripresero maggior brio per le sbardellate cose che si facevano dire a quel pezzo di legno, con tutti i frizzi e movimenti caratteristici di tale maschera.
Un nobile signore, il Marchese Fassati, che aveva talora assistito a questa ricreazione, regalò ai giovani un intero teatrino delle Marionette, e Tomatis fu sempre colui che ebbe l'impresa delle rappresentazioni. Suo aiutante nel far ballare i burattini fu, nel 1849 - 50 - 51, un certo Chiappero e più d'una volta si vide un Vescovo assistere lietamente a simile trattenimento. Ne faceva a noi fede il giovane Chiosso e lo stesso Tomatis.
Finalmente sul palcoscenico, eretto per le accademie nella sala nuova a levante della casa, i giovani allievi interni presero di quando in quando a recitare qualche farsa o commedia. Ma lo stesso movente che aveva ispirato i primordi di quel passatempo, ne regolò il proseguimento. D. Bosco vide subito come questo esigesse tutta la sua previdente attenzione. Diceva esser il teatro un gravissimo pericolo per chi recita e per chi assiste, se non si usa moltissimo rigore nella scelta delle commedie e nella vigilanza. Proibiva le merende, che gli attori con vari pretesti desideravano fare dopo la recita; disponeva che le rappresentazioni per ordinario fossero semplici, e non spettacolose; e a quei tempi non voleva saperne di vestiari in costume presi a nolo, perchè troppo costosi. I giovani per conseguenza erano obbligati ad accomodarsi come potevano. Una volta sola permise, stretto dalla loro insistenza, che mettessero in scena “Gelindo”, ossia la “Natività del N. S. Gesù Cristo”, dramma popolare, conosciutissimo in Piemonte; ma non potendosi ridurre ad uso di collegio, per le conseguenze che ne vennero, protestò che non si sarebbe mai più dato.
Infatti trattandosi di sconvenienze morali D. Bosco era inesorabile. Un giorno fu invitato ad assistere ad una recita eseguita in un convitto di nobili fanciulli. La commedia rappresentava un figlio, si diceva, d'un incauto amore, e che era preferito al figlio legittimo, per le sue virtù. Vedendo svolgersi innanzi una simile tela D. Bosco si alzò sul finire del primo atto: - E danno di queste cose? disse ad un superiore che gli era al fianco.
 - Capisce bene! Bisognerebbe uscir fuori non solo dal collegio, ma anche da questo mondo, per non saper certi avvenimenti.
 - Sia come si vuole, intanto io la saluto.
 - Come? Se ne va?
 - Precisamente! Ed uscì fuori.
“ Ma non solo per i suoi giovani, continua D. Giacomelli, D. Bosco in questi anni prendevasi tanta premura. Io lo accompagnava alle prigioni, ove faceva i catechismi e confessava. Talora mi dava incarico di comprare pane bianco e frutta, che poi distribuiva ai detenuti. Lo accompagnai eziandio all'Albergo di Virtù, ove egli predicava a più di un centinaio di giovanetti ivi ricoverati. Per spirito di carità verso il prossimo, incominciava a dare udienza ora in sagrestia, or in camera alle persone della città, che a lui si recavano per avere consigli o soccorsi; li ascoltava con calma e pazienza, e, potendo, soccorreva generosamente i bisognosi. Talvolta qualche suo famigliare cercava di congedare tali persone come importune, ma io stesso vidi che egli, quando veniva a saperlo, ne provava dispiacere. Non mi accorsi mai che egli perdesse eziandio un sol minuto, o che giocasse alle carte, o alle bocce per suo divertimento. Vidi che trovava sempre il tempo per essere assiduo al confessionale e per continuare le sue visite agli ospedali e specialmente al Cottolengo ”.
Ancora Carlo Tomatis, ci scriveva come D. Bosco andasse nelle infermerie eziandio quando vi erano curati i mali più contagiosi, e che per questa cagione ebbe una pustola maligna al braccio accompagnata da febbre, da cui guarì però senza ricorso a medicine.
È quindi per la condotta veramente sacerdotale di Don Bosco che quasi tutti i Vescovi del Piemonte ben presto presero ad amarlo encomiando e favorendo l'opera sua, convinti che questa doveva essere veramente benedetta dal Signore. Un venerando ministro di Dio parlando con noi di Don Bosco osservava: “ Tre cose, dice S. Benedetto, formano il santo. Sobrietà nel vivere, giustizia nell'operare, pietà nel sentire. Tres sunt quae sanctum faciunt hominem; victus sobrius, actus justus, sensus pius. A questa stregua giudicate D. Bosco ”.
Abbiamo udito molti personaggi distinti ripetere eziandio: Sono pochi gli uomini i quali, studiando un altro uomo, almeno a lungo andare non scoprano in lui qualche difetto che non avevano scorto prima. Di D. Bosco non fu così; più si studiava e più si doveva stimare. - D. Giacomelli affermava inoltre: - Io ho sempre tenuto D. Bosco come un prete che faceva tutte le sue opere, anche comuni, non in modo comune, specialmente gli atti di religione e di carità. - E a coloro che gli domandavano chi fosse D. Bosco, egli rispondeva: Se lo conosceste! Fu sempre un modello in seminario, ed ora è un sacerdote dei più esemplari.
Concludiamo con ciò che a noi pure disse D. Reviglio Felice. - Negli undici anni che io ebbi la fortuna di dimorare con D. Bosco posso attestare, che le sue virtù erano così risplendenti ed eminenti, che noi giovani lo dichiaravamo già un santo, ed appunto in vista delle sue eroiche azioni noi ci lasciavamo interamente guidare da lui.
 
 
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