Capitolo 52

L'onomastico di D. Alasonatti - La Messa solenne di Don Rua nell'Oratorio; festeggiamenti; pronostici; elogi - II Marchese e la Marchesa Fassati costituiti padroni dell'altare della Madonna nella chiesa di Valdocco - Il sogno delle quattordici tavole: spiegazioni - D. Bosco parte per Strambino; dialoghi in ferrovia; chiede la elemosina per il panegirico di S. Rocco. - La trigesima di D. Cafasso a S. Francesco d'Assisi: D. Bosco legge l'orazione funebre: suo continuo ricordo del caro benefattore - Garibaldi a Napoli - Invasione dei Piemontesi nelle Marche e nell'Umbria: battaglia di Castelfidardo e presa d'Ancona - Consiglio di D. Bosco; per i soldati che partivano per quella guerra - Il Card. De Angelis prigioniero in Torino - L'esercito piemontese nel Napoletano: vittoria al Garigliano e occupazione di Capua - Le sorti dell'Austria.

Capitolo 52

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

 Il giorno 3 di agosto, si commemorò nell'Oratorio l'onomastico del Sacerdote Vittorio Alasonatti. Questa annuale dimostrazione di riconoscenza, ebbe luogo subito dopo il pranzo, dovendo il buon Prefetto partire per recarsi a confessare a S. Ignazio. In quei giorni un grandissimo numero di fedeli saliva in pellegrinaggio al Santuario.

Il 5, Domenica, solennità della Madonna della Neve, si festeggiò la messa nuova cantata da D. Rua, che fu assistito da D. Bosco. Tutti i giovani studenti ed artigiani non avevano mancato di fare la loro comunione, sapendo essere questo il più vivo desiderio del novello prete. Il tripudio fu tale da non potersi immaginare da chi non fu presente. Un entusiasmo febbrile animava tutti gli alunni, che non potevano trovare modi adeguati per dimostrare il loro affetto a D. Rua. Anche i giovani esterni gli presentarono il loro mazzo di fiori. Si lessero nell'accademia ventisette composizioni, fra le quali primeggiava una poesia petrarchesca dei Ch. Francesia. In questa accademia si udì ripetuta una singolare affermazione. Il Ch. Vaschetti Francesco lesse fra gli elogi le seguenti frasi.

“ Tu dei sacerdoti sei l'esempio, dei chierici il maestro in virtù ed in scienza, degli studenti il consigliere, degli artisti sei la guida, degli ammalati sei il sollievo, degli afflitti sei il conforto, di tutti sei l'allegrezza. Tu insomma amato ed ammirato da tutti, porti in te il cuore di un altro D. Bosco, e già tutti ti notano a dito come ben degno di lui successore ”.

Un poeta così concludeva la sua ode:

 

“ Verso i fanciulli porti tanto amore

Che tu trastulli anche un deforme e losco,

Perciò t'avrà (preveggo) successore

Il buon D. Bosco ”.

 

Tutto il giorno fu un continuo gridare: Viva D. Rua! Il quale si sforzava di rivolgere queste ovazioni a D. Bosco. Fu una viva immagine del trionfo della Carità. D. Rua nella parlata di chiusa dell'accademia, chiamando fratelli i giovani, li  ringraziò, chiese preghiere, e venia se talvolta avea dovuto rimproverare qualcuno a suo bene, promise loro un affetto efficace inestinguibile, li supplicò ad avvisarlo con piena confidenza qualora sembrasse aver egli mancato a questa sua promessa, e finì con inneggiare a D. Bosco suo e loro caro padre.

D. Rua fin d'allora teneva in mano gran parte della gestione degli Oratorii, colla sua invincibile fermezza di carattere. In lui le qualità più eminenti si congiungevano ad una profonda umiltà. Il suo spirito era il più retto e più pratico che potesse darsi. D. Bosco conoscendolo capace di cavarsi dagl'imbrogli, a lui non tardò a lasciare larga facoltà d'iniziativa nelle opere, quantunque egli non si scostasse mai dalla più rigorosa ubbidienza. Per questo splendore di virtù D. Bosco disse più volte di lui: - D. Michele potrebbe far dei miracoli se volesse.

Nello stesso giorno D. Bosco volle dare un attestato solenne di riconoscenza ad una famiglia di insigni benefattori, che avevano partecipato alla gioia dell'Oratorio per quella festa a D. Rua. Loro conferiva il patronato di un altare della sua Chiesa. Ecco il documento.

 

Dichiarazione di Patronato a favore del signor Marchese Domenico

Fassati e della signora Marchesa Maria De Maistre.

 

Il sottoscritto, per dare un segno di gratitudine verso i signori coniugi Marchesi Domenico e Maria Fassati per le caritatevoli largizioni fatte in vari tempi a favore dei poveri giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, di sua spontanea volontà ha deliberato la seguente dichiarazione di Patronato.

I prelodati signori coniugi Fassati avendo concorso con vistose oblazioni alla costruzione ed ornamento di questa chiesa detta Oratorio di S. Francesco di Sales ed a totale loro spesa avendo, fatto costrurre muro, pavimento, altare, balaustrata ed provveduto di un'elegante statua di Maria SS. col Bambin e quanto riguarda la cappella a Lei dedicata, il sottoscritto Direttore della chiesa e della casa annessa costituisce i mentovati signori Marchesi Domenico e Maria Fassati e loro eredi a

patroni della detta cappella di Maria SS., dando loro facoltà di farla abbellire, ornare e di fare ivi celebrare tutte quelle sacre funzioni che loro sembreranno tornare a maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime.

I Patroni si obbligano dal canto loro di mantenere almeno l'altare in uno stato decente da poter servire al divin culto.

La presente munita del bollo dell'Oratorio si manda ai novelli Patroni da valere per sè e pei loro eredi ogni qualvolta fosse caso di esercitare qualche diritto nei limiti e nelle forme sopra descritte. Ma tanto il sottoscritto quanto i Patroni intendono uniformarsi a quanto è prescritto dai sacri Canoni, e venisse ordinato da Santa Madre Chiesa, di cui e nominante e Patroni si professano ubbidientissimi figliuoli.

Torino, 5 agosto, festa della Madonna della Neve 1860.

 

                                                                                                 Sac. Bosco Giovanni

 

 

E il Marchese con una somma provvide a tutte le future eventualità di tale cappella.

D. Bosco chiudeva la festa raccontando alla sera il seguente sogno:

 Si trovavano tutti i miei giovani in un luogo ameno come il più vago de' giardini, seduti a mense che da terra formando gradinata, si innalzavano tanto che quasi più non se ne vedeva la sommità. Le lunghe tavole erano quattordici disposte a vasto anfiteatro e come divise in tre ordini ciascuno sostenuto quasi da un muro che formava ripiano.

Al basso intorno ad una tavola posta sul nudo suolo spoglia d'ogni ornamento e vasellame si vedeva un certo numero di giovani. Erano mesti, mangiavano di mala voglia ed avevano innanzi un pane a forma di quello delle munizioni dei soldati; però tutto rancido e muffito che faceva schifo. Il pane sulla tavola era in mezzo a sudiciume e ghiande. Quei poveretti stavano come gli animali immondi al trogolo. Lo voleva dir loro che gittassero via quel pane; tuttavia mi son contentato di chiedere, perchè avessero innanzi un cibo così nauseante. Mi risposero: - Dobbiamo mangiare il pane che ci siamo preparati e non ne abbiamo altro. - Era lo stato di peccato mortale.

Dicono i proverbi al Capo I: “ Ebbero in odio la disciplina e non abbracciarono il timor del Signore, e non porsero le orecchie a' miei consigli e si fecero beffe di tutte le mie correzioni. Mangeranno pertanto i frutti delle opere loro e si saluteranno de' loro consigli ”.

Ma di mano in mano che le mense salivano, i giovani si mostravano più allegri e mangiavano pane più prezioso. Erano bellissimi, splendenti e di beltà e splendore sempre crescente. Le loro tavole ricchissime erano coperte con tovaglie di raro lavoro, sulle quali brillavano candelabri, anfore, tazze, vasi di fiori indescrivibili, piatti con preziose vivande; tesori di valore inestimabile. Il numero di questi giovani compariva grandissimo. Era lo stato dei peccatori convertiti.

Finalmente le ultime mense alla sommità avevano un pane che non so definire. Pareva giallo, pareva rosso, e lo stesso colore del pane era quello delle vesti e della faccia dei giovani, che splendeva tutta di luce vivissima. Costoro godevano di una allegria straordinaria e ciascuno cercava di parteciparla agli altri compagni. Nella loro beltà, luce e splendore di mense, superavano di gran lunga tutti quelli che occupavano i gradi sottoposti. Era lo stato di innocenza.

Degli innocenti e de' convertiti afferma lo Spirito Santo ne' proverbi al Capo I: “ Chi ascolta me, avrà riposo senza paura, e sarà nell'abbondanza, scevro dal timore dei mali ”.

Ma il più sorprendente si è che quei giovani li riconobbi tutti dal primo all'ultimo, dimodochè vedendone ora uno, parmi vederlo ancora là assiso nel suo luogo a quella tavola. Mentre io era meravigliato a quello spettacolo che non poteva capire, vidi un uomo alquanto lontano. Corsi per interrogarlo, ma intanto inciampai in qualche cosa e mi svegliai trovandomi nel letto. Voi mi avete domandato un sogno ed io ve l'ho raccontato. Però non fatene altro caso di quello che può meritarsi simile materia.

Il giorno seguente D. Bosco disse in privato ad ogni alunno qual posto occupasse a quelle mense. Per manifestare l'ordine che ciascuno teneva incominciava dalla tavola più alta, venendo alla più bassa. Gli si domandò se uno potesse da una tavola inferiore salire ad una superiore. Rispose che sì, eccetto che l'andare a quella che sovra tutte le altre soprastava, perchè i decaduti da essa, più non vi potevano ritornare. Era il luogo destinato solo per coloro che conservano l'innocenza battesimale. Il numero di questi era piccolo, ma grande quello del secondo ordine e del terzo.

D. Ruffino Domenico e D. Turchi Giovanni, testimoni auriculari, presenti, lasciarono narrazione di questo sogno e il nome di qualcuno che stava assiso alla mensa primaria.

Il 15 agosto D. Bosco partiva dall'Oratorio per recarsi a Strambino. Lo accompagnava Reano Giuseppe, che ci lasciò in iscritto la relazione di questo viaggio. Appena D. Bosco fu nel vagone con altri viaggiatori, entrò un uomo che all'apparenza sembrava un ricco negoziante. Tosto si mise a fumare, quantunque ciò fosse vietato in quello scompartimento. Aveva però, prima di accendere il sigaro, chiesto a D. Bosco licenza, domandandogli se non soffriva a quel fumo. D. Bosco rispose che se egli avesse fumato per breve tempo non avrebbe sofferto. Il negoziante fumò un sigaro e come l'ebbe consumato si accingeva ad accenderne un secondo. D. Bosco allora colla sua solità giovialità gli disse: - Scusi, signore, finora io ho fatto penitenza per lei mangiando il suo fumo; adesso io desidererei che ella facesse un po' di penitenza per me coll'astenersene.

- Ella, Reverendo, ha tutte le ragioni, rispose il negoziante riponendo il sigaro; e fra loro due si appiccò discorso di Torino, e di altre varie cose. Finalmente il negoziante venne a dire delle Opere pie, della carità di preti e in ultimo dell'Oratorio di Valdocco e di D. Bosco. Affermava che quel buon sacerdote teneva 300 e più ragazzi in sua casa e che là questi avevano una ginnastica addattata

alla loro età; e, quel che maggiormente importa, che l'insegnamento in quell'Ospizio era buono e buona l'educazione, poichè vi si insegnava la scienza e la morale. -Un giorno o l'altro esclamò, voglio recarmi a vedere quella casa e quei giovani. - D. Bosco ascoltava sorridendo, e taceva. Il convoglio in quel mentre giunse a Montanaro, e il buon negoziante discese.

Tra Montanaro e Strambino salì un altro viaggiatore, il quale incominciò subito a parlare con famigliarità a Don Bosco, e non tardò egli pure, ma in maniera diversa, a far cadere il discorso sui preti, chiamandole persone inutili alla Società, che si godevano le loro prebende e non seguivano le massime del Vangelo. D. Bosco lo interruppe, garbatamente: -Scusi, ma ella vorrebbe forse che non ci fosse più nessun prete al mondo?

- Oh! questo no, rispose quel viaggiatore; una religione vi deve ben essere.

- E adunque come ella intenderebbe di fare?

- Vorrei spretarne una buona metà.

- E quali vorrebbe spretare? I buoni od i cattivi?

- I cattivi.

- E cosa farne di questi cattivi?

- Far loro esercitare un altro mestiere.

- Lei ne conosce molti dei preti? - Più di cinquanta. - Fra questi cinquanta ne conosce dei cattivi? - Una metà. - Saprebbe ella dirmi il nome di costoro? - Oh sì; e di molti.

D. Bosco allora tirò fuori il taccuino e con una matita in mano in atto di scrivere, gli disse: - Mi detti il nome di questi preti cattivi e le prometto di farli tutti sospendere dall'esercizio del sacro ministero. - A questo atto gli altri viaggiatori gettarono gli occhi su D. Bosco e sul suo interlocutore, curiosi di vedere l'esito di quella sfida; e l'espressione dei volti dimostrava simpatia per quel prete.

- Dunque? - replicò D. Bosco, continuando a stare in atto di chi è pronto a scrivere. - Quel critico incominciò a mostrarsi confuso e D. Bosco ripetè: - Chi sono questi preti ?

Quel signore incominciò a lisciarsi i baffi e con parole ingarbugliate disse timidamente: - Ne conosco uno che è dicono insomma che è un codinaccio che manda denari al Papa invece di darli ai poveri .....

- E gli altri ?

- Un altro è pure contrario alla politica del governo..... nemico dell'Italia, critica le leggi votate dal Parlamento .....

- Ma questi non sono delitti - esclamò D. Bosco; e quel buon uomo, che forse non aveva mai bazzicato coi preti, ma solo aveva imparato ad accusarli per la lettura di pessimi giornali, non osò proseguire. Non sapendo come sbrogliarsi e seccato dalle insistenze di D. Bosco concluse bruscamente: - Parliamo d'altro! - D. Bosco allora gli fece un fervorino adattato al luogo ed alla persona, che produsse buon effetto su tutti i suoi compagni di viaggio.

A Strambino D. Bosco predicò le glorie di Maria Assunta in Cielo, e il giorno dopo recitò il panegirico di S. Rocco sulla piazza della cappella dedicata a questo santo. I priori gli avevano domandato che somma desiderasse per onorario della predica e D. Bosco rispondeva che essendo povera la cappella nulla domandava. Lo invitarono dopo la funzione ad andare con loro per bere un bicchiere di vino e Don Bosco pronto sempre ad accondiscendere, con quel suo ingenuo sorriso: - Per un bicchiere ci sono! - Si andò in casa di un priore con numerosi amici e quivi erano apparecchiate paste, dolci e varie qualità di vini prelibati. Si passò quindi nella casa di un secondo priore ed anche in questo luogo dolciumi e vini. Finalmente la comitiva dei principali del paese entrò in una gran sala, ove nel mezzo campeggiava una mensa lautamente bandita. D. Bosco fe' cenno di voler parlare, e con quella sua naturale bonomia esclamò: - Io credeva di aver da trattare con povere persone, ma mi avvedo che siete ricchi. Datemi adunque, vi prego, l'elemosina che negli anni scorsi eravate soliti a dare al predicatore di San Rocco: non è giusto che io debba trascurare di chiedere qualche soccorso per i miei figli poveri. - Si rise un pochino dell'uscita e tosto gli fu dato.

Intanto si era istituito un Comitato per la trigesima di D. Cafasso in S. Francesco d'Assisi, il quale in breve tempo raccolse all'uopo 5.000 lire. Pel discorso funebre si manifestarono due pareri, alcuni propendevano pel Can. Giordano, altri per D. Bosco. Prevalsero questi ultimi, perchè il Superiore dell'Oratorio di Valdocco aveva conosciuto il defunto fin da giovane e lo aveva accompagnato per tutta la vita.

“ Il 30 agosto, così D. Ruffino, nella chiesa di S. Francesco d'Assisi si celebrò un magnifico funerale per D. Cafasso. La chiesa straordinariamente ornata a lutto, splendeva di preziosi ed artistici drappi. Il Professore D. Carlo Ferreri aveva dettate le otto iscrizioni da collocarsi sulla porta del tempio e intorno al catafalco. Durante tutto il mattino si celebrarono molte Messe, e moltissimi fedeli ricevettero la SS. Eucarestia in suffragio di quell'anima, benedetta. I giovani dell'Oratorio qui vennero a fare la Comunione. Il Can. Anglesio cantò la S. Messa. Trecento preti assistevano alla mesta funzione, e due file di essi in cotta occupavano tutta la chiesa dal presbiterio alla porta. Vi fu scelta musica del maestro Rossi ed egli medesimo diresse la grande orchestra. Da tutta Torino accorse gran folla di popolo. Dopo il Santo Sacrificio D. Bosco lesse l'orazione funebre e molti piansero con lui. Aveva scelte per testo le parole del secondo libro dei Paralipomeni, capo XXXI, 20; Operatus est bonum et rectum et verum….in universa cultura ministerii domus Domini.

Fu un espositore fedele delle virt√π e delle e egregie prerogative di D. Cafasso.

L'Armonia descrisse questo funerale e accennava alla funebre orazione: “semplice, cara, patetica, letta dal Sacerdote Bosco uno dei più intimi discepoli ed amici del defunto”. Concludeva l'articolo, annunziando: “ Si spera di poter dare stampata fra breve l'orazione funebre e insieme le iscrizioni del tumulo e della porta ”.

Era un secondo opuscolo che D. Bosco preparava per eternare la memoria del suo impareggiabile maestro, e dal quale si potè  scorgere come ci lo giudicasse un gran santo. Desiderava di scriverne più ampiamente la vita e cercò di raccogliere testimonianze di altri suoi fatti memorabili e di sue virtù; senonchè non potendo poi egli più occuparsene per i troppi suoi lavori, incaricò varii Teologi di compiere questo suo voto: ma rimase inesaudito per varie difficoltà.

Del resto D. Bosco tenne sempre presso di sè, per ricordo, conforto e norma le regole del Convitto Ecclesiastico. Per venerazione, per gratitudine dei benefizi ricevuti, con quel sentimento gentile del quale D. Bosco fu sempre maestro e modello, adornò le pareti della sua stanza coll'effigie con molta cura custodita di D. Cafasso. Quante volte non l'udirono i giovani parlare coll'animo commosso di questo suo secondo padre! Lo proponeva loro per modello, ne ripeteva i sapienti consigli, specialmente quello di conformarsi alla volontà di Dio. “ In tutto, diceva, bisogna avere l'intenzione di fare la volontà di Dio, talmente che siamo pronti per abitudine a lasciare qualunque cosa ove conoscessimo non essere di sua volontà; pronti poi a fare ogni cosa, quando sia suo volere, malgrado ogni difficoltà. E per conoscere la volontà di Dio tre cose si richiedono: Pregare, aspettare, consigliarsi”.

Nella cronaca di D. Ruffino abbiamo già detto, come si legga la seguente nota - Il 12 aprile D. Bosco disse in pubblico: - Nel mese di gennaio io diceva aspettiamo il mese di marzo, e ora dico: aspettiamo il mese di agosto. - Con questa frase aveva risposto alle domande di chi avrebbe voluto sapere l'esito degli avvenimenti che turbavano l'Italia e minacciavano il Papa. Nell'Oratorio si stava in apprensione ed ecco il 19 agosto Garibaldi, conquistata la Sicilia, passare lo stretto di Messina con 17.000 volontarii ed entrare nelle provincie napoletane tutte in agitazione per opera delle sette. A Reggio Calabria il generale borbonico Vial con 30.000 soldati combatte solo per salvar le apparenze e lascia la vittoria al nemico. Garibaldi senza più ferir colpo è acclamato in tutte le città e paesi per cui passava. Il 6 settembre il Re di Napoli, tradito, si ritirava a Gaeta, e Garibaldi il giorno 7 è accolto trionfalmente nella Capitale. Di là minaccia lo Stato Romano e bande di volontarii e fuorusciti lo invadono. La prima orda entra l'8 settembre.

Con questi il generale Lamoricière con 13.000 soldati Pontificii, gran parte volontarii e tra essi molti della prima nobiltà di Francia e del Belgio, poteva opporre vittoriosa resistenza, quand'ecco il Governo Piemontese cogliere il desiderato momento. Il 27 agosto Napoleone, che aveva dichiarato ufficialmente di voler rispettati i diritti del Papa sui dominii che gli restavano, dava al Ministro Farini venuto a Chambery il chiesto permesso di occupare le Marche e l'Umbria, con quelle famose parole: - Fate  presto, ma non toccate Roma. - Allo stesso tempo aveva promesso al Papa il suo aiuto, dichiarandosi pronto ad opporsi colla forza ad una invasione piemontese.

Fidandosi di questa sleale promessa il Lamoriciére e i suoi soldati si disposero a combattere valorosamente, quando l'11 settembre Fanti e Cialdini con 33.000 uomini dalla Toscana entravano nella Cattolica. Preceduti da 20.000 volontarii, e seguiti da altri 30.000 soldati regolari s'impossessarono di Pesaro e di altre città. Il 18 settembre i Pontificii erano sconfitti a Castelfidardo e il 27 dopo 8 giorni di bombardamento per mare e per terra e una splendida resistenza, Ancona si arrendeva. Napoleone erasi dichiarato pel non intervento e le Marche e l'Umbria furono annesse al Piemonte. Quivi per i decreti dei commissarii regii Lorenzo Valerio e Gioachino Pepoli incominciò l'incameramento dei monasteri.

D. Bosco in quei giorni aveva dovuto regolarsi con una grande prudenza. Molti erano venuti a chiedergli, o con sincerità o per insidia, se i soldati piemontesi potessero in coscienza marciare e combattere contro i difensori del Papa; se certi coscritti avrebbero fatto bene a non presentarsi ai quartieri o a disertare dalla bandiera. E D. Bosco rispondeva: - Vadano a fare una buona confessione. È il miglior consiglio che io posso dare.

In questi trambusti gravissimi danni ed ingiurie patirono Vescovi, preti e religiosi. Il 28 settembre veniva arrestato il Cardinale De Angelis, Arcivescovo di Fermo, per essere deportato a Torino, ove giunse il 5 ottobre e fu condotto dai Lazzaristi ad occupare le stanze abbandonate dal Cardinale Corsi.

Intanto dagli Stati del Papa l'esercito piemontese passava nel regno di Napoli per soccorrere Garibaldi messo alle strette dai borbonici, i quali il 2 novembre vinti al Garigliano, e scacciati da Capua dopo breve assedio, parte si dispersero e parte si ritirarono a Gaeta presso il loro Sovrano, Francesco II, tradito da Napoleone, abbandonato dalla sua alleata, la Russia, e privo di ogni speranza sull'aiuto dell'Austria. D. Bosco aveva espressa qualche sua opinione sull'avvenire di questo ultimo Impero, ma non ci fu dato di conoscerla, per quanto interrogassimo varii antichi allievi fra i suoi più intimi. Ciò apparisce da un cenno nella cronaca di D. Ruffino, in questi termini:

“ 19 settembre. D. Bosco fece il seguente sogno:

 

Ecco una gran vittoria

Segue il valor dell'Austria;

Ma poi con essa gloria

Il trono insiem cadrà ”.

 

 

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