Il piccolo Seminario di Mirabello - D. Bosco scrive il primo Regolamento de' suoi collegi: conto nel quale deve essere tenuto - Spirito di questo regole - Il programma e sua diffusione - Scelta del personale e consigli dati da D. Bosco - Il quaderno dell'esperienza - Il piccolo Seminario in ordine - Gli avvisi in iscritto per un Direttore dati da Don Bosco a D. Rua - Letture Cattoliche - Il Galantuomo: una prefazione un po' misteriosa - D. Ambrogio - Le sassate contro l'Oratorio.
del 01 dicembre 2006
 Uno e non ultimo studio di D. Bosco in quest'anno era stata la fondazione del Collegio di Mirabello. Ne aveva scritto il regolamento, mettendo per base quello dell'Oratorio, specificando tutti i doveri dei singoli superiori e degli alunni, mutando ciò che non era adattato alla natura dell'Istituto; e conservando oltre ai capitoli che riguardano i capi dormitori, e le persone di servizio, tutti interi i capitoli della seconda parte che trattano della disciplina . Questo regolamento doveva essere come lo statuto fondamentale, anche di tutte le altre case che col tempo sarebbonsi aperte.
Esigeva che se ne facesse gran conto.
Quindi stabiliva che sul principio di ogni anno scolastico, seguendo l'usanza dell'Oratorio, si leggessero queste regole ai giovani del Collegio radunati nella sala dello studio, alla presenza di tutto il corpo dirigente ed insegnante; e che non si omettessero gli articoli che riguardavano gli uffizi ed i doveri dei singoli superiori, compresi quelli dello stesso Direttore. D. Bosco affermava che gli alunni dovevano riconoscere come eziandio i superiori fossero soggetti al Regolamento, che facevano il loro dovere, e non ad arbitrio quando esigevano obbedienza, prendevano misure di sorveglianza, rimproveravano, ed anche nella necessità costringevano. Tale lettura doveva costituire gli alunni testimoni della fedeltà dei superiori ai loro doveri, sicchè questi, come modelli, potessero dir loro francamente: - Obbedisco io; obbedite anche voi.
A qualcuno non dava nel genio tale disposizione, ma Don Bosco, interrogato più tardi da noi, confermò esser questa lettura da lui voluta, e da lui praticata nell'Oratorio finchè gli fu possibile.
Ma il regolamento doveva essere interpretato secondo lo spirito delle tradizioni dell'Oratorio, le quali ponevano come fondamento dell'educazione degli alunni la frequenza de' sacramenti E perchè questa avesse il primato d'onore in un collegio, D. Bosco aveva stabilito che il direttore spirituale, nella persona del Superiore, fosse la prima dignità ed autorità. Egli doveva predicare, far scuola di Teologia, tenere il breve sermoncino alla sera dopo le orazioni. Era il confessore ordinario della Comunità. Doveva trovarsi puntualmente al confessionale ogni mattina durante la messa e alla sera di ogni vigilia di giorno festivo o dell'esercizio di buona morte, ossia ricopiare in sè lo zelo di D. Bosco per la salute delle anime.
Nello stesso tempo però ogni settimana, e in certe occasioni più sovente, dovevano essere invitati confessori esterni. Piena libertà era concessa ai giovani nella scelta del confessore, non obbligati alla santa comunione, sibbene incoraggiati a farla, porgendone loro ogni comodità. In occasione di comunioni generali non si prescriveva nessun ordine nel lasciare i banchi per accedere all'altare, sicchè non fosse notato chi non si comunicava.
L'ufficio dei Direttore era paterno e perciò atto a guadagnare il cuore e la confidenza dei giovani e per nessun motivo doveva assumersi una benchè minima incombenza odiosa. Queste spettavano agli altri superiori.
Al Prefetto era assegnata la gestione materiale, la disciplina di tutto il collegio, il ricevere e distribuire, spedire la corrispondenza postale, il congedare un alunno. Per evitare certi rapporti tra il Direttore e i parenti degli allievi, il solo Prefetto teneva ufficio presso la porteria, ove conservava tutti i registri e dava udienza.
Al Catechista era affidata la sorveglianza sulla condotta morale e religiosa; la chiesa, le camerate, l'infermeria: l'azienda scolastica, le passeggiate, il teatrino al Direttore degli studi.
Questi tre superiori con alcuni altri consiglieri davano i voti di condotta; e a tale radunanza il Direttore della Casa non interveniva mai, essendo ciò constatato dagli alunni, che lo vedevano in quel tempo in mezzo a loro.
Tale sistema appariva ottimo, e frutto speciale e continuo furono una meravigliosa e incontestabile confidenza degli alunni nel Direttore, una frequenza consolantissima ai sacramenti e le numerose vocazioni ecclesiastiche e religiose. Ma ciò che era necessario per stabilire la Pia Società, non fu giudicato più conveniente dopo la morte di D. Bosco alla podestà suprema della Chiesa, e siccome la parola del Pontefice è parola di Gesù Cristo, i suoi decreti furono obbediti.
D. Bosco, preparato il Regolamento, che per varii anni rimase manoscritto, si occupò nello stendere il programma del nuovo collegio. Datolo alle stampe ne mandava copia a tutti i parroci della Diocesi di Casale e confinanti. Su questo furono poi modellati quelli di molti altri suoi collegi.
Dopo questi preliminari, D. Bosco, ritornato dal santuario d'Oropa, sceglieva coloro che dovevano reggere il piccolo Seminario, dopo averne studiati i caratteri e le abilità, per assegnare a ciascuno gli uffizi convenienti. In ciò aveva un tatto finissimo e infatti le persone destinate risposero all'aspettazione di tutti.
Non ostante però la giustezza delle sue vedute, volle consigliarsi col suo Capitolo, come fece sempre in simili occasioni.
E fu nominato Direttore D. Rua Michele, Prefetto il Ch. Provera Francesco, Catechista il ch. Bonetti Giovanni, Direttore degli studi il ch. Cerruti Francesco.
Furono destinati per loro compagni i chierici Albera Paolo, Dalmazzo Francesco, Cuffia Francesco, e i giovani aspiranti allo stato ecclesiastico Belmonte Domenico, Nasi Angelo e Alessio Felice.
A questi suoi diletti figliuoli D. Bosco inculcava di aver particolarmente di mira le vocazioni ecclesiastiche. Ricordava loro di essere ossequenti ed affezionati al Vescovo, di prestarsi volentieri a quanto fossero da esso richiesti, e che si adoperassero per conciliargli il rispetto e l'obbedienza de' diocesani. Raccomandava una piena deferenza all'autorità del parroco, invitandolo p. e. a venire o mandare qualche suo prete a confessare, a celebrare la messa; ad assistere a qualche funzione, alle istruzioni catechistiche, alle accademie, ai teatrini: se richiesti, di concedere i cantori alla parrocchia nella festa titolare, e anche i preti in servigio dell'altare o delle anime. Che insomma facessero quanto era compatibile coll'ordine del collegio, e che si guardassero bene da ogni puntiglio. Indicava eziandio ai Superiori il dovere appena giunti di presentarsi per prima cosa al Vescovo ed al parroco per ossequiarli; ed eziandio di trattare col dovuto rispetto le autorità civili.
A D. Rua e a' suoi compagni dava ancora un altro importante consiglio da lui messo continuamente in pratica. Farsi cioè un quaderno intitolato: l'Esperienza e in questo registrare tutti gli inconvenienti, i disordini, gli sbagli mano a mano che occorrono; nelle scuole, nelle camerate, nel passeggio, nelle relazioni tra giovani e giovani, tra superiori e inferiori, tra i superiori stessi; nei rapporti del Collegio coi parenti dei giovani, colle persone estranee, colle autorità scolastiche, o civili, o ecclesiastiche. Notare eziandio le disposizioni che si videro necessarie per ovviare a molti sconcerti nelle feste straordinarie; e così via discorrendo. Come pure tener conto dei motivi di cambiamenti o d'orario, o di funzioni, o di vacanze, o di scuole in certe circostanze. Quindi leggere a quando a quando e studiare le proprie note; e specialmente, ricorrendo eguali circostanze, riandare quanto altra volta si fece per regolare con prudenti misure ogni cosa, e gli errori nei quali si era incorsi, e la maniera di rimediarvi. Raccomandò pure che per gli inviti a feste o teatrini si tenesse scritta la nota dei nomi di quelle persone che è necessario o conveniente invitare.
A D. Rua poi in particolare dava norme sapientissime per riuscir bene nell'importante ufficio di Direttore: promettendogli che dopo qualche settimana gliele manderebbe scritte di sua mano. Presentiamo al lettore questo importante documento.
 
 Al suo amatissimo figlio D. Rua Michele
il Sacerdote Bosco Giovanni salute nel Signore.
 
Poichè la Divina Provvidenza dispose di poter aprire una casa destinata a promuovere il bene della gioventù in Mirabello, ho pensato, tornare a maggior gloria di Dio il fidarne a te la direzione.
Ma siccome non posso trovarmi sempre al tuo fianco per darti o, meglio ripeterti quelle cose che tu forse avrai già veduto praticarsi, così stimo farti cosa grata scrivendoti qui alcuni avvisi che potranno, servirti di norma nell'operare.
Ti parlo colla voce di un tenero padre che apre il cuore ad uno de' pi√π cari suoi figliuoli.
Ricevili adunque scritti di mia mano come pegno dell'affetto che io ti porto, e come atto esterno del mio vivo desiderio che tu guadagni molte anime al Signore.
 
I.
 
Con te stesso.
 
I° Niente ti turbi.
2° A te raccomando di evitare le mortificazioni nel cibo e in ciascuna notte non fare meno di sei ore di riposo. Questo è necessario per conservare la sanità e promuovere il bene delle anime.
3° Celebra la Santa Messa e recita il breviario pie, devote, attente. Questo procura di praticarlo tu ed insinuarlo anche nei tuoi dipendenti.
4° Ogni mattina un poco di meditazione, lungo il giorno una visita al SS. Sacramento. Il rimanente come è disposto dalle regole della Società.
5° Studia di farti amare prima di farti temere; nel comandare e correggere fa sempre conoscere che tu desideri il bene e non mai il tuo capriccio. Tollera ogni cosa quando si tratta di impedire il peccato, ogni tuo sforzo sia diretto al bene delle anime de' giovanetti a te affidati.
6° Pensaci alquanto prima di deliberare in cose d'importanza e ne' dubbi appigliati sempre a quelle cose che sembrano di maggior gloria di Dio.
7° Quando ti è fatto rapporto intorno a qualcheduno, procura di rischiarare bene il fatto prima di giudicare. Spesso ti saranno dette cose che sembrano travi e sono soltanto paglie.
 
Coi Maestri.
 
I° Procura che ai maestri nulla manchi di quanto loro è necessario pel vitto e per il riposo. Tien conto delle loro fatiche; ed essendo ammalati o semplicemente incomodati, manda tosto un supplente nella loro classe.
2° Procura di parlare spesso con loro o separatamente o simultaneamente; osserva se non hanno troppe occupazioni, se loro mancano abiti, libri; se hanno qualche pena morale o fisica; oppure trovansi in classe allievi che abbiano bisogno di correzione odi speciale riguardo nel grado o nel modo d'insegnamento. - Conosciuto qualche bisogno fa quanto puoi per provvedervi.
3° In conferenza apposita raccomanda che interroghino indistintamente tutti i giovani della classe, leggano per turno qualche lavoro di ciascuno; fuggano L’amicizia particolare e la parzialità fra i loro allievi; quando occorre solennità, novena od anche semplice festa in onore di Maria SS. se ne dia cenno in classe con un semplice annunzio.
 
Cogli assistenti o capi di camerata.
 
I° Quanto si è detto pei maestri si può in gran parte applicare agli assistenti e capi di camerata.
2° Procura che loro nulla manchi perchè possano continuare i loro studi; perciò fa in modo che qualcuno faccia loro scuola ed abbiano tempo per studiare.
3° Procura di trattenerti con essi per udirne il parere sulla condotta dei giovani loro affidati. Si trovino puntuali al loro dovere: facciano la loro ricreazione coi giovani.
4° Se tu scorgerai che taluno di essi formi amicizia particolare o te ne accorgi anche di lontano la sua moralità essere in pericolo, con prudenza lo cangerai di sito, se occorre gli darai altra occupazione; e se mettesse in pericolo la moralità di qualche compagno o di qualche giovane lo toglierai tosto dall'impiego e mi parteciperai tosto la cosa.
5° Radunerai qualche volta i maestri, gli assistenti, i capi di camerata e passeggiata e a tutti dirai che si sforzino per impedire i cattivi discorsi, allontanare ogni libro, scritto, immagine, hic scientia est, e qualsiasi cosa che metta in pericolo la regina della virtù, la purità. Diano dei buoni consigli, usino carità coi giovani, conoscendo qualche allievo pericoloso ai compagni, te lo dicano e se ne faccia oggetto delle comuni sollecitudini.
 
Colle persone di servizio.
 
I° Non abbiano molta famigliarità coi giovani e fa in modo che possano ogni mattina ascoltare la S. Messa ed accostarsi ai Santi Sacramenti ogni quindici giorni od una volta al mese.
2° Usa sempre carità nel comandare ed in ogni circostanza fa sempre conoscere che desideri il bene dell'anima loro. Non si permetta che entrino donne ne' dormitori de' giovani od in cucina, nè trattino con alcuno della casa se non per cose di carità o di necessità.
3° Nascendo dissensioni tra le persone di servizio ed i giovani od altri del Seminario, ascolta ognuno con bontà; ma per via ordinaria dirai separatamente il tuo parere in modo che uno non sappia quanto si dice all'altro, ad eccezione che intervengano circostanze che persuadano diversamente.
4° Sia stabilito un capo alle persone di servizio di probità conosciuta; costui invigili specialmente sul lavoro e sulla moralità dei subalterni e si adoperi con zelo, affinchè non succedano furti e non si facciano cattivi discorsi.
 
Coi giovani studenti.
 
I° Per nissun motivo non mai accettare un giovane che sia stato cacciato da altri collegi o che ti consti altrimenti essere di mali costumi. Se malgrado la debita precauzione accadrà di accettarne qualcheduno di tal genere, dagli subito un compagno sicuro che non lo abbandoni mai. Qualora egli manchi, sia appena una volta, corretto e la seconda immediatamente mandato via dal Seminario.
2° Fa quanto puoi per passare in mezzo ai giovani tutto il tempo della ricreazione; e procura di dire all'orecchio qualche affettuosa parola, che tu sai, di mano in mano si presenta l'occasione e tu ne scorgerai il bisogno. Questo è il gran segreto per renderti padrone del cuore dei giovani.
3° Offriti pronto ad ascoltare le confessioni dei giovani, ma dà loro libertà di confessarsi da altri se lo desiderano. Procura di allontanare fin l'ombra di sospetto che ricordi quanto fu detto in confessione. Nè siavi ombra di parzialità a chi si confessa da uno a preferenza di un altro.
4° Procura d'iniziare la Società dell'Immacolata Concezione, ma ne sarai soltanto promotore e non direttore; considera tal cosa come opera dei giovani.
 
Cogli esterni.
 
I° La carità e la cortesia siano le note caratteristiche di un Direttore tanto verso gli interni quanto verso gli esterni.
2° In caso di questioni intorno a cose materiali accondiscendi in tutto quello che è possibile anche con qualche danno, purchè si conservi la carità.
3° Se poi trattasi di cose spirituali o semplicemente morali, allora le dissenzioni devono sempre risolversi nel senso che tornano a maggior gloria di Dio e bene delle anime. Impegni, puntigli, spirito di vendetta, amor proprio, ragione, pretensioni ed anche l'onore, tutto deve sacrificarsi in questo caso.
4° Se per altro la cosa fosse di grave importanza è bene di chiedere tempo per pregare e domandare consiglio a qualche pia e prudente persona.
D. Rua doveva partire per Mirabello dopo la festa del S. Rosario, accompagnato dalla sua buona e generosa madre che avrebbe avuta cura della biancheria degli alunni. Intanto D. Provera nel mese di settembre erasi occupato nel disporre tutte le masserizie necessarie, mandate da Torino per quel vasto locale, fare i contratti coi provveditori, accettare e iscrivere gli allievi. Il paese aspettava D. Bosco che aveva deciso di visitarlo, facendo la passeggiata autunnale. Egli però prima di partire disponeva per le Letture Cattoliche.
I tipografi lavoravano a preparare i fascicoli per gli ultimi due mesi dell'anno.
Pel novembre: Dialoghetti sui comandamenti della Chiesa del Sac. Giuseppe Frassinetti, Priore di S. Sabina in Genova.
Pel dicembre: L'uomo propone e Dio dispone. Versione Italiana del Sacerdote Pietro Bazetti. Si narra la restituzione di una eredità usurpata, causa prima dei castighi di Dio sopra una famiglia; e poi di pace e di consolazione al colpevole, che adempie al suo dovere. In appendice D. Bosco aggiungeva due guarigioni meravigliose, ottenute ad intercessione di Savio Domenico. Egli aveva grande fiducia in questo santo giovinetto: esortava coloro che volevano a lui raccomandarsi, di fare una novena recitando ogni sera un Pater ed un Ave in onore del SS. Sacramento ed una Salve regina alla Beata Vergine, di cui Savio era grandemente devoto; e li confortava a sperare nella bontà del Signore.
Con questi due fascicoli veniva edito: Il Galantuomo, strenna offerta ai Cattolici Italiani: Almanacco per l'anno bisestile 1864. Eccone la prefazione:
 
Il Galantuomo si presenta quest'anno vestito di nuovo e paffuto che è una delizia e spera che non gli verrà fatta sgarbata accoglienza. Quantunque da undici anni abbia fatto conoscenza col rispettabile pubblico, egli è non ostante tuttora timido, assai e facile a spaventarsi. Se qualcuno gli venisse a fare dei visacci ei ne potrebbe impaurire e, poverino! morirsene di dolore. Invece se non lo si avrà a male che il Galantuomo continui a sedersi al banchetto delle strenne, (e chi potrebbe guardar di mal occhio un galantuomo? ) egli promette che ritornerà l'anno venturo ad attestare la sua riconoscenza e, se non gli verrà data ragione di corruccio, assicura di venir tutto festoso e ridente. A: lui non piace per niun conto altercare e vorrebbe stringere la mano a tutti in segno di mutua comunanza d'idee e di affetti. Faccia Iddio che ei si possa avere l'anno venturo una sì dolce consolazione.
Amici cari, statemi sani, allegri con ogni ben di Dio. Leggetemi, fatemi leggere e vivete felici.
 
Da questa prefazione facilmente si intende come fosse ognor viva la questione sulla proprietà delle Letture Cattoliche. La Direzione sempre in mano a quelli d'Ivrea amministrava le entrate senza controllo, e non poteva rassegnarsi che la stampa dei fascicoli si facesse nell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Di qui certe voci che si facevano correre su questi dissidii, reputati dannosi alla continuazione di quelle buone opere.
Ma il Galantuomo non badando a tali miserie, dopo la prefazione, con varii bellissimi racconti e massime importanti, una raccomandazione ai fedeli per l'opera delle lampade da tenersi accese innanzi agli altari ove sta il SS. Sacramento, con dodici riflessioni una per mese, che esponevano verità osteggiate dagli eretici e dai mondani, pubblicava un solenne appello al popolo.
Convien sapere che in quel tempo dava e diede poi per molti anni triste spettacolo di sè, sulle piazze e ne' trivii, un sacerdote della Diocesi di Mondovì, D. Giuseppe. Ambrogio. Vestito mezzo da prete e mezzo da secolare, colla barba ispida e lunga, con aria da spiritato, vagava impunemente di città in città ed anche ne' paesi di campagna a riscaldare il popolazzo contro la religione e a screditare il sacerdozio. In qualche luogo ebbe le accoglienze che si meritava e venne fatto fuggire ignominiosamente. I carabinieri, che erano incaricati della sua difesa, molte volte dovettero condurlo in carcere per metterlo al sicuro dalle ire del popolo, stomacato della sua sfrontatezza e delle sue bestemmie. Egli aveva intenzione di andar a Castelnuovo, ma non ebbe il coraggio di penetrarvi. I Castelnovesi appena seppero che l'apostata dirigevasi al loro paese per appestarlo colle sue dottrine, si ricordarono opportunamente della scena del 1857 contro i Protestanti. Perciò gli fecero dire che pensasse a prendere un'altra direzione, se non voleva vedersi ripetere le accoglienze toccate altrove e se amava la sua pelle. Non si parlò a' sordi; il messaggero del demonio mutò consiglio e portò altrove le sue sciocche invettive contro la Chiesa.
Ma nelle città popolose, spalleggiato dai settarii, che lo retribuivano con cinque lire al giorno, e dai piazzaiuoli, la durava a lungo. In Torino fu lasciato debaccare per molti anni contro l'autorità Pontificia, il purgatorio, la confessione e la Messa. Quando vi era qualche festa solennissima, o una pubblica processione si era certi che o sulla piazza della Chiesa o nelle adiacenze compariva D. Ambrogio. Qualche volta però un ricorso alla polizia lo faceva tacere ed allontanare.
Il Galantuomo adunque, per ribattere le tante bestemmie di quel disgraziato, faceva un quesito circa la vita di Don Ambrogio, dicendo che non era certamente quella di un santo prete, perchè sospeso da lungo tempo dal suo Vescovo per gravissime ragioni; dava alcuni cenni intorno alla sua dottrina e notava che i suoi errori, frutto di superbia e di ignoranza, non erano nuovi e già erano stati combattuti vittoriosamente dagli scrittori cattolici. Svelava la stupidaggine di certe sue diatribe contro il Papa, e conchiudeva con una magnifica apologia del prete cattolico da lui calunniato, ricordando specialmente le opere mirabili del Can. Cottolengo.
Tale appello dovette saper ostico ai patroni di D. Ambrogio e un'accozzaglia dell'infima plebe, a cui egli colla sua condotta erasi accomunato, per questo o altri motivi, scendeva di notte nei pressi della Giardiniera e la Camerata posta sulla tipografia era l'obbiettivo dei loro sassi. Questa infestazione durò quasi un mese. Una delle prime notti i vetri andarono quasi tutti in frantumi e perciò le finestre si dovettero difendere da ingraticolate.
 
 
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