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Capitolo 53

D. Bosco accetta la direzione del collegio di Giaveno - Condizioni da lui proposte e accettate dal Provicario - Elezione di un nuovo Rettore - Scelta di assistenti Conferenza di D. Bosco ai socii della Congregazione: egli è Pronto a sottomettersi al volere di Dio se non fosse approvata la pia Società: non s'introducano novità nelle consuetudini della Casa: non si abbiano sospetti che venga meno l'affezione del Superiore: annunzia che fu delegalo chi deve esaminare le Costituzioni - Lettera di Monsignor Fransoni a D. Bosco colla notizia della suddetta delegazione - Giudizi dell'esaminatore - Lettera del Card. Gaude che ha ricevuto le Costituzioni - Stato desolante del Seminario di Giaveno - Entrata nell'Oratorio del Cav. Federico Oreglia di S. Stefano - Calcoli di D. Bosco sulla spesa necessaria all'erezione di un collegio - Il nuovo programma di Giaveno e nessuna domanda d'accettazione - D. Bosco trova modo di mandarvi molti allievi - Il Sindaco deluso ne' suoi disegni - Arrivo nel piccolo Seminario di chierici e giovani - Le scuole in ordine - Lodi a D. Bosco - Avviso importante da lui dato al nuovo Rettore.


Capitolo 53

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

Rotte definitivamente le pratiche col Municipio di Giaveno, non pareva all'Autorità Ecclesiastica infondato il timore che il Sindaco si potesse risolvere ad aprire nuove negoziazioni con qualche professore più arrendevole e più gradito di D. Bosco al partito dominante. Essa pertanto decise di attenersi a Don Bosco come ad unica tavola di salvezza.

Il Provicario Can. Vogliotti e il Teol. Arduino Innocenzo Canonico prevosto di Giaveno erano venuti in agosto nell'Oratorio per supplicarlo colle più commoventi ragioni ad affrettarsi nel soccorrere quel Collegio. D. Bosco si disse pronto a fare tutto quello che fosse in suo potere, ma che prima desiderava conoscere con quali condizioni essi intendessero legarlo. Risposero: - Nessuna condizione; si dà a lei piena libertà di agire; si metta pure alla testa delle cose; faccia alto e basso come di affare tutto suo; fissi il personale; nomini il Direttore, accetti chi vuole in Collegio, stabilisca regolamenti! Riuscir nell'impresa, ecco tutto!

D. Bosco allora accettò, e, coi più sentiti ringraziamenti, i due canonici gli confermarono ogni piena autorità in quella direzione.

- Ma con quali mezzi intende riuscire nel suo scopo? - Gli domandarono ancora quei signori.

- Lascino fare a me e vedranno. Riapriremo le scuole a novembre con cento allievi, per lo meno. - Il Canonico Vogliotti esclamò che gli sembrava cosa impossibile raggiungere quel numero sul bel principio dell'anno scolastico; ma D. Bosco confermò la promessa, ed espose il suo piano. Per sè riserbava, come attesta Don Francesco Vaschetti, la direzione suprema del Seminario, non volendo però averne la veste ufficiale, che in fatto non prese mai. Quindi pose per condizione assoluta che il Rettore interno sarebbe stato indipendente dal Prevosto e da qualunque altro prete del paese; e che non avrebbe riconosciuto altro Superiore, fuorchè la suprema autorità diocesana. Chiese ancora che un decreto della Curia dichiarasse tale indipendenza.

E il Canonico accettò queste condizioni.

D. Bosco avrebbe desiderato poter mandare Rettore a Giaveno D. Alasonatti Vittorio; ma la sua presenza essendo indispensabile a Torino, propose per tale carica il suo amico D. Grassino Giovanni vice parroco a Cavallermaggiore, che aveva dimorato per sei mesi nell'Oratorio e conosceva il suo metodo di educazione.

Il Provicario acconsentì, e l'antico vice Rettore ed economo il Teol. Pogolotto Alessandro, non andò molto tempo che fu nominato Canonico della Collegiata di Chieri.

D. Grassino avvisato dell'incarico onorevole, ma grave che gli si voleva affidare, venne all'Oratorio dichiarando di non accettarlo; ma si acquetò alle ragioni di D. Bosco. Questi gli promise che avrebbegli dato in aiuto alcuni chierici di specchiata virtù e un Prefetto che s'intendeva di economia d'insegnamento classico e che sarebbe stato il suo braccio forte per l'assistenza. Lo assicurò eziandio che egli lo avrebbe sempre assistito col consiglio e con l'opera.

Condotti a termine questi accordi, D. Bosco studiava chi avrebbe dovuto scegliere per gli altri ufficii inferiori del piccolo Seminario. Nell'Oratorio era un gran parlare di Giaveno e più d'uno dei chierici desiderava di andarvi e ne faceva domanda. D. Bosco però, sapendo quanto ciascuno valesse, ed anche per quale via il Signore lo chiamasse, teneva a bada quelli che non erano atti per tali occupazioni.

Uno di questi fu l'ottimo chierico Baravalle Giovanni, il quale esponeva a D. Bosco un'inquietudine intorno al suo avvenire e quindi gli manifestava il desiderio di recarsi l'anno venturo nel seminario di Giaveno. Egli nutriva piena fiducia in D. Bosco, perchè la prima volta che si era presentato a lui, che appena appena lo conosceva, avendogli esposto il desiderio di conferire su di un affare che stavagli a cuore, con sua meraviglia il servo di Dio aveagli risposto: -Anch'io da molto tempo bramava conferire  teco su questo stesso affare. - E il chierico constatò come D. Bosco conoscesse perfettamente i suoi casi.

Ora alla domanda di andare a Giaveno nell'anno venturo, Don Bosco senza dare una negativa, gli disse:

Un altr'anno! Un altr'anno! Se quest'anno andassi un pò in paradiso non saresti contento?

Il Chierico rispose che sì.

- Ebbene di che vuoi crucciarti? - e non disse di più. Il Chierico confidò quanto gli era accaduto al compagno Ruffino Domenico, il quale ne prese memoria nella sua cronaca. Baravalle era chiamato da Dio nell'Ordine Francescano, nel quale a suo tempo entrò e ne fu sostegno ed ornamento.

Mentre D. Bosco zelava l'effettuazione dei desideri del Vicario generale, il 6 settembre, si tenne la radunanza della Pia Società. D. Bosco così manifestò il suo pensiero.

Se le nostre regole, se la nostra Congregazione, non è per ridondare a maggior gloria di Dio, sono assolutamente contento che il Signore faccia uscire delle difficoltà per cui non vengano approvate nè quelle, nè questa.

Intanto vi dico: Non si introduca alcuna novità nella casa; ancorchè si veda che una cosa sarebbe migliore, non importa. Lasciamo il migliore e teniamoci semplicemente al buono. Non si faccia alcuna interpretazione, alcuna violenza alle regole; non si lascino perdere certe pratiche di pietà per stabilirne delle nuove. Per es. alcuno vorrebbe stabilire la società del Sacro Cuore di Maria: questa società mi piace, la desidero, ma siccome sarebbe in danno di quella di S. Luigi che ora a stento si sostiene, lasciamo simili progetti buonissimi in sè e procuriamo solo di eccitare la divozione verso Maria Santissima.

Aggiungo ancora un avvertimento di piccola importanza.

Quando qualcuno è avvisato dai Superiori per qualche suo difetto o mancanza, non consideri questo fatto come una diminuzione di stima per parte del Superiore verso di lui. Ciò non è, nè può essere. Tutti possono fallire ma l'avvertimento proviene da un amico, che ama sinceramente; e chi ama, stima. Così pure non argomentiamo dallo sguardo del Superiore se siamo o no nelle sue grazie. Talora perchè ci sembra che il Superiore non ci abbia fatto quel solito sorriso, oppure non ci abbia volta la parola, o fatto un saluto, subito ci rattristiamo e si va cercando un perchè. Ciò può accadere per tutt'altro motivo che quello dell'essere egli poco soddisfatto della vostra condotta. Può essere inavvertenza, preoccupazione di mente, che distragga il Superiore dall'osservarvi. Ma non è mai che abbia qualche cosa contro di voi. Quando non si fa alcuna ammonizione è segno che c'è nulla di male sul vostro conto. Noi non abbiamo per metodo che quando c'è qualche rimprovero da fare, si aspetti una seconda mancanza, perchè la correzione abbia maggior forza. No! quando c'è qualche cosa da dire si dice subito.

Da qui innanzi desidero che occorrendo le feste della Madonna, noi facciamo in queste le nostre Conferenze. Intanto vi annunzio che fu eletto il Sig. Durando prete della Missione per esaminare le nostre regole e farne ottenere l'approvazione dall'Arcivescovo.

 

Di questo incarico dato al Sig. Durando, e già conosciuto da D. Bosco per confidenze di amici, gli dava notizia Monsignor Fransoni colla risposta ad una sua lettera.

Ginevra, 12 settembre 1860.

 

Carissimo D. Bosco,

 

La sua lettera, che porta la data del 7 luglio, credo che sia stata scritta il 7 agosto, ma anche in tal caso mi è giunta bene in ritardo, giacchè l'ho ricevuta ieri soltanto da Lione, dove deve essere stata rimessa assai poco prima, giacchè nella settimana precedente, me ne erano state inviate altre. Mi spiace che, atteso la mia assenza, non ho potuto vedere la Signora Losanna, che credo di conoscere, e non ho avuto luogo di conoscere quali sieno le nuove facoltà che desidera, in ampliazione del Rescritto Pontificio per l'Oratorio privato. Circa il Regolamento, aspetto risposta da Torino, giacchè, come credo averle scritto, ne ho fatto commettere l'esame ad Ecclesiastici pratici di Comunità, non avendo del resto io fatto, che un piccolo rilievo. Ella poi se avesse delle osservazioni a fare sulle variazioni che si facessero, me le potrà proporre liberamente.

Godo che gli Oratorii procedano bene, e spero che il Signore non permetterà quanto teme, sebbene ne abbia pur troppo fondamento.

La prego di salutarmi i tre Ecclesiastici che mi ha nominato, e mi creda quale di tutto cuore godo di ripetermi

Suo devot.mo ed aff.mo servo

LUIGI Arciv. di Torino.

 

Società. Iddio metteva alla prova l'umiltà di D. Bosco facendo uscire le prime difficoltà per l'approvazione di queste regole.

Regole o Costituzioni proposte ad osservarsi dalla Congregazione di S. Francesco di Sales.

Se fosse il caso di esaminare in particolare gli articoli delle Regole, dovrebbero farsi molte osservazioni, giacchè alcuni sono inesatti, altri abbisognano di maggior sviluppo ed alcuni altresì sono inconvenienti allo scopo. Ma in generale si può dire:

I. La Congregazione di S. Francesco di Sales può e potrà essere approvata dalla Chiesa, ma stante le leggi attuali del Governo e lo spirito del mondo avverso a tutto ciò, che ha apparenza di corporazione religiosa, non avrà mai sanzione civile che le dia esistenza; eppure secondo queste Regole e Costituzioni la Congregazione di S. Francesco di Sales possiede case, mobili, e può possedere beni. Ora come può la Congregazione possedere non avendo esistenza civile? Come ed in qual modo conservarli? Il tutto è a nome del M. R. D. Bosco; e dopo la morte di taluno che egli possa fare suo erede, che ne sarà?

Tanto più che ogni dodici anni scambia il Rettore maggiore. Questo punto è della massima importanza e vuole essere inteso, spiegato o nelle stesse regole o in qualche costituzione a parte.

II. Lo scopo principale, almeno uno dei fini della congregazione si è l'istruzione del clero giovane, e formarlo alla virtù e alla scienza; ma non si spiega abbastanza la dipendenza dall'Ordinario e la giurisdizione che vi deve esercitare; siccome non si parla di rapporti che necessariamente devono aver luogo fra il Rettore e l'Ordinario, sia per accettare i giovani o per rimandarli, sia per la necessaria relazione che si dovrebbe fare sul profitto, sulla condotta ecc. Nulla poi delle classi, scienza e nulla del metodo, o piano da tenersi per formarli alla pietà. Non vi sono nelle regole che parole generali, le quali lasciano tutto a desiderare, e non danno alcuna garanzia per il presente e per l'avvenire molto meno.

III. Si accennano nelle Regole Collegi per l'istruzione di giovani poveri, di chierici, e si direbbe, a giudicarne dalle medesime che abbiano una educazione comune, e che vivano tutti insieme; mentre è di tutta importanza che siano separati, che abbiano direttori speciali, regolamenti convenienti alla vocazione e al decoro dello stato Ecclesiastico. Cosa mai aspettarsi da chierici che non hanno nè direzione, nè regole speciali, e che vivono amalgamati ad un gran numero di giovani poveri, senza educazione, e che non hanno altro scopo se non di imparare qualche arte o mestiere? La cosa non solo sembra tale nelle Regole, ma tale nel fatto e nell'atto pratico.

IV. Non avendo che voti triennali, e farli perpetui essendo in libertà di ciascuno, non possono essere ordinati se non hanno patrimonio Ecclesiastico, accordandosi l'ordinazione titulo paupertatis o titulo mensae comunis a quelle congregazioni che hanno voti perpetui. Con questo metodo avrà molti giovani, che entreranno nella congregazione unicamente per farvi gli studi e ricevervi l'ordinazione e tutto ciò gratuitamente, e poi uscirne ed essere d'imbarazzo ai Vescovi e fors'anche di poca edificazione al popolo.

V. Il successo o, a meglio dire, l'avvenire di una congregazione, qualunque ella siasi, dipende dai suoi principii. Se al presente nel fatto non si vede una separazione dei giovani chierici dal rimanente, se non vi sono norme fisse per gli uni e per gli altri, se la stessa congregazione non ha il suo Noviziato e studio separato dal rimanente e non ha norme e regole speciali per essere formati nello spirito dell'Istituto, non si può sperare nè una durevole esistenza, nè un esito felice.

VI. Quanto poi è accennato sopra i voti non è bastante, specialmente sulla povertà, per la quale naturalmente nasceranno dubbiezze.

In quanto poi al Regime della Congregazione, alle attribuzioni del Rettore Maggiore, de Superiori locali, Consiglieri, Prefetti ecc. noti si vede la cosa chiara, ed è difficile di bene intendere l'armonia, l'unione, la dipendenza, il genere di amministrazione ecc: siccome non è abbastanza chiaro il metodo di elezione del Rettore Maggiore e degli altri che devono dirigere, e governare le case, ossia collegi.

 

Sac. MARIA ANTONIO DURANDO

Visitatore della Missione.

 

Non era adunque troppo favorevole il voto del signor D. Durando. L'Arcivescovo aveva trovato un solo appunto, mentre egli non approvava il complesso stesso delle Regole. Ma il santo e dotto Lazzarista non comprendeva lo spirito, il pensiero, e l'azione di D. Bosco. Non si trattava di un Ordine religioso, ma di una Congregazione la quale secondo i bisogni dei nuovi tempi doveva avere una forma speciale. Pio IX aveva riconosciuto questa necessità. D. Bosco ammetteva l'importanza di un noviziato, ma dentro a limiti del possibile. L'educazione religiosa però che s'impartiva ai chierici non era tale da dirsi inferiore a quella che si dà in un fervente noviziato, quindi quelli che allora uscirono dall'Oratorio per entrare in diocesi, non erano di peso, ma di aiuto ai vescovi. Anzi le virtù e l'esercizio che acquistavano stando in mezzo ai giovani li rendevano abili a reggere una popolazione. Altre ragioni e spiegazioni le daremo nel processo dei racconti. Certamente D. Bosco doveva ancor fare qualche aggiunta o correzione agli articoli, ed egli tornava spesso a meditare questo suo lavoro. Il suo ideale era quello descritto dall'Ecclesiastico al Capo, primo: “ I figliuoli della Sapienza sono congregazione di giusti e la loro stirpe è obbedienza e amore ”.

Intanto egli aspettava sulle Costituzioni una risposta da Roma che venne in ottobre.

 

Preg. Sig. D. Bosco,

 

Mi è pervenuto il suo piego contenente lo scritto sulla Società di S. Francesco di Sales unitamente al suo foglio, e a quello del Ch. Boggero. Ben volentieri io mi prendo l'incarico di leggere il piano di Regolamento di detta Società, e di farvi, occorrendo, quelle osservazioni secondo il modo da lei accennatomi, ma per ora non potrei adempierlo, mentre non solo non mi sono mai ristabilito dal male accadutomi nel passato Luglio; ma me ne è sopraggiunto un altro, per cui mi sono già dovuto fare 5 sanguigne. E quantunque io stia alquanto meglio, ciò nondimeno per ordine dei medici devo avermi una somma cura e sopratutto astenermi da qualunque occupazione e ciò - sarà per qualche mese. Quindi se l'esame del lodato scritto acclusomi potrà senza loro danno differirsi, allora farò quando mi sarà possibile; in caso diverso potrà dirigersi a chi meglio crederà nel Signore. Tanto le scrivo per sua regola e norma.

Mi farà poi grazia di far sapere al nominato Ch. Boggero mio conterraneo, che io lo ringrazio di cuore della sua lettera, e della premura che addimostra di sapere le mie notizie e vedere i miei caratteri. Quando mi sarò rimesso e potrò occuparmi a scrivere, non mancherò di compiacerlo: intanto che mi raccomandi al Signore e continui per me le sue preghiere, come spero farà pur Ella coi suoi addetti alla lodata Società.

E nell'esternarle i sensi della mia stima, passo a rassegnarmi

Di Lei

Roma, li 14 ottobre 1806.

Aff. di cuore

F. Card. GAUDE.

 

Fu l'ultima lettera del Cardinale a D. Bosco. Questo suo fido consigliere e alto protettore cessava di vivere il 14 dicembre del 1860, e la sua morte fu causa che si differisse oltre l'occorrente l'approvazione della Pia Società e delle regole.

Ma l'affare che più in questi mesi occupava D. Bosco era quello di far rivivere il piccolo Seminario dì Giaveno. Noi andremo narrando questo fatto dal principio alla fine colle stesse parole che ci dettò D. Vaschetti alla presenza di D. Giulio Barberis. Qualche altra notizia ci fu comunicata da D. Rua, da D. Bonetti, da D. Durando, dal Canonico Anfossi, dal signor Tamone di Giaveno e da varii altri testimoni contemporanei.

Il 25 settembre D. Bosco fece partire per Giaveno il Chierico Vaschetti incaricato dell'ufficio di Prefetto. Questi trovò le sole e nude muraglie del Seminario, essendo stato spogliato di tutto. Non un quadro, non un pezzo di legna, non un cucchiaio. La cappella era così piccola e miserabile da essere poco adattata al culto divino. Di allievi rimaneva un solo giovanetto, certo Peracchione di Collegno, orfano, ma molto ricco, che il tutore non aveva condotto a casa.

Vaschetti vista quella desolazione il 26 settembre ritornò in Torino, parlò col Canonico Fissore Vicario Generale, il quale, udito lo stato delle cose, gli diede 400 lire per le provviste più necessarie. E il Can. Vogliotti gli portò 300 lire per il primo mantenimento.

Tutto mancava e tutto si provvide. D. Bosco incominciò a mandare a Giaveno gli arnesi necessarii per le cucine, i refettorii e le scuole; i pagliericci, lenzuola, coperte, tovaglie, sedie per i suoi; e faceva rifornire il magazzeno della cartoleria e della libreria, la dispensa, la cantina, la legnaia.

Di ciò fu incaricato il Cav. Federico Oreglia di S. Stefano.

Questo signore era noto in tutta Torino, per ingegno, scioltezza di modi, nobiltà di animo e di tale tempra da non aver timore di alcuno. Agli esercizii di Sant'Ignazio si era incontrato con D. Bosco, e talmente era stato preso dai suoi ragionamenti, che aveva risolto di consacrarsi al Signore con una vita cristianamente perfetta.

Era già stato ospite circa un mese, dopo gli esercizi, a Stresa presso i Padri Rosminiani, ma trovate discrepanti, le sue idee colle opinioni di alcuni di essi, determinò di ritirarsi nell'Oratorio di S. Francesco di Sales per studiarvi la sua vocazione, prestando intanto quei migliori servigi che avrebbe potuto. Egli infatti assoggettavasi volenteroso a tutti i sacrifizii con piena abnegazione e fu tosto per tutta la casa un esemplare di umiltà e di pazienza. La sua risoluzione di far vita nel sodalizio di Valdocco ebbe il plauso di molti, anche per lettere, fra le quali ne scegliamo due.

 

Ill.mo Sig. Cavaliere,

 

Ritornato da Stresa mi venne consegnata la pregiatissima della S. V. Ill.ma e Car.ma dei 14 settembre. Mi consolò assai la determinazione presa dalla S. V. di rimanere coll'egregio signor D. Bosco, poichè non potrebbe essere in migliori mani.

Ringraziamo il S. N. Gesù Cristo e Maria SS. Quivi ella ha ogni mezzo per farsi santo e gran santo. Non mancherò nella mia miseria di tenerla presente nelle orazioni, massimamente nel Santo Sacrificio della Messa: confido che Ella avrà la carità di aiutarmi colle sue.

Le sono grato per la cordialità che esprime nella sua. Sarà sempre un onore e piacere che procurerà alla casa di S. Michele ogni qualvolta ci favorirà della sua visita.

Pregandola dei miei rispetti al caro Sig. D. Bosco mi pregio di professarmi col pi√π cordiale rispetto

Della S. V. Ill.ma

Dalla Sacra di S. Michele, 20 settembre 1860.

Umil.mo Devot.mo. servo

GIUSEPPE GIOACHINO CAPPA Rett.

 

Il Conte Vittorio di Camburzano gli scriveva da l'Ermitage presso Nizza Marittima:

“ Io non chiuderò questa lettera senza offrirle le mie felicitazioni per aver trovato modo di convivere col nostro redivivo S. Vincenzo de' Paoli ed è questa una fortuna che molti, e noi fra i primi, le invidiamo sinceramente. Voglia chiederle, ottimo sig. Cavaliere, una benedizione su di noi e ci raccomandi alle sue preghiere ”.

Mentre il Cavaliere era a Giaveno per la disposizione dei locali, D. Bosco faceva il calcolo approssimativo della somma necessaria per impiantare e costituire un collegio nuovo, calcoli che ancora esistono fra le nostre carte. Questi studii dovevano servirgli mirabilmente per quando avrebbe fondate le numerose case destinategli dalla Provvidenza.

Aveva anche preparato il programma desunto in parte da quello che era già in vigore nel piccolo Seminario. Si stabilivano però due pensioni: la prima di franchi 30, la seconda di franchi 22 al mese da pagarsi a trimestri anticipati, oltre a 6 franchi annuali per le spese di cappella; e 2,50 al mese per chi desiderasse affidare al Seminario il bucato, il soppressamento e rappezzatura della biancheria. Il Seminario doveva rimanere aperto in tutto il tempo delle vacanze autunnali per maggior vantaggio degli allievi, che volessero approffittare della scuola che avrebbe avuto luogo in quei mesi. L'insegnamento per quest'anno 1860-61 comprendeva le sole tre prime ginnasiali oltre le classi elementari.

D. Bosco presentò questo programma, e, il Provicario lo fece stampare da Paravia e lo pubblicò, mandandone copia a tutti i parroci dell'Archidiocesi. Le domande per le accettazioni degli allievi dovevano dirigersi solamente o al Rettore del Seminario Metropolitano, o al Superiore locale in Giaveno, cioè D. Grassino. Questo invito non ebbe ascolto. Dopo venti giorni che era stato diffuso non si ebbe nessuna domanda.

Allora D. Bosco, avendo centinaia di richieste per alunni da collocarsi nel suo Oratorio, decise di mandare un bel numero di questi giovanetti a Giaveno. Quindi a tutte le domande faceva rispondere affermativamente. Quando poi venivano in Valdocco i genitori accompagnando i loro figli, ne esortava un buon numero a volerli collocare a Giaveno. Costoro sulle prime si rifiutavano risolutamente. Ma D. Bosco assicuravali, che lo spirito del piccolo Seminario da qui innanzi sarebbe il medesimo che quello dell'Oratorio, il vitto ancor migliore e l'aria buonissima. I parenti sentendo come quel Collegio fosse diretto da D. Bosco, acconsentivano e si mostravano contenti, tanta era la fiducia che ispirava il suo nome. E tali proposte ci le faceva ai più agiati, sicchè tutti pagavano l'intiera pensione, con non leggero scapito delle finanze dell'Oratorio, che riteneva per sè i più meschinelli.

D. Bosco alcun tempo prima erasi condotto a Giaveno. Il sindaco essendo persuaso che per mancanza di alunni il Collegio fosse chiuso e senza alcuna speranza che potesse ancora riaprirsi, venne in Seminario per conferire col Teologo Pogolotto, nulla sapendo delle ultime decisioni della Curia. Ei recava con sè una lettera Ministeriale nella quale si riconosceva il diritto del Municipio al possesso di quell'edifizio scolastico. Incontratosi con D. Bosco gli chiese:

- Il Rettore dove si trova? Debbo comunicargli cosa di grande importanza.

- Dica pure; il Rettore sono io.

-              Lei D. Bosco? Ma il collegio non venne chiuso definitivamente?

-              Il Collegio non fu chiuso e continuerà a servire alla scopo pel quale venne fondato.

- Ma non è vuoto di giovani da molto tempo?

- Vuoto? Il Collegio è pieno di giovani. Molti debbono giungere in questa settimana che sono già accettati. Venga fra qualche giorno ad osservare e ne vedrà venir fuori da tutte le parti.

Il sindaco restò muto; osservò i preparativi che si facevano per dar principio alle scuole e ritirossi. Non si attendeva una simile sorpresa.

Infatti oltre il Ch. Vaschetti, Prefetto per la disciplina e per l'amministrazione economica, giunsero i chierici Boggero Giovanni e Turletti Filippo, destinati all'ufficio di assistenti e scelti per trapiantare in quella comunità lo spirito dell'Oratorio. Don Rocchietti doveva esercitare l'ufficio di Direttore spirituale venendo a quando a quando da Torino. Così D. Bosco con grande sacrificio pel bene della Diocesi si privava di un ottimo personale che gli sarebbe stato di grande aiuto per l'ognora crescente suo Oratorio.

Dopo i chierici, sul cominciare dell'ottobre, non tardarono ad arrivare gli alunni.

Il Ch. Vaschetti conduceva da Torino la prima schiera composta di 22 giovani, fra i quali alcuni dei più buoni, scelti fra quelli che da qualche anno erano educati nell'Oratorio, perchè continuassero i loro studi in quel Collegio. Tutte le settimane o Rossi Giuseppe, o Buzzetti, o il Chierico Anfossi si mettevano in viaggio per Giaveno accompagnando ora 15, ora 20 ora 30 nuovi allievi per volta. A metà di novembre il numero degli allievi era di 110. Da quel punto essendosi saputo che D. Bosco assumeva la cura di quel Seminario, le domande per collocarvi giovani allo studio incominciarono a piovere da tutte le parti. Prima che finisse l'anno scolastico gli accettati erano 150.

Avvicinandosi l'incominciamento dell'anno scolastico 1860-1861, tre professori furono scelti d'accordo con Don Bosco fra gli antichi insegnanti. Cinque giovani avevano presentata supplica alla Curia di poter avere un corso di Rettorica a Giaveno chiedendo un'eccezione al programma; e il Vicario Generale Fissore dava l'incarico al Ch. Vaschetti di far quella scuola: e quei giovani riuscirono eccellenti Sacerdoti.

I corsi si apersero al tempo stabilito cioè il 4 novembre. Regnava perfetta disciplina, moralità, studio e religione. D. Grassino fu udito dal Sig. Bargetto, impiegato al Convitto ecclesiastico, esclamare più volte: - Se non era per Don Bosco il Collegio di Giaveno non si sarebbe mai più rialzato. - Fu questo il primo esperimento del suo sistema di educazione fatto da D. Bosco fuori di Torino. Il Chierico Cagliero da lui mandato sul finir di novembre a visitare ufficialmente il piccolo Seminario, dopo aver esaminato ogni cosa, fece un rapporto il più consolante.

Il Vicario Generale, il Provicario, i canonici del Duomo di Torino, il clero della parrocchia di Giaveno, il paese intero erano meravigliati. Non bastavano le parole per levare alle stelle D. Bosco.

Fra quelli che di cotale risultato ebbero a goderne fu il Prevosto Arduino, il quale negli anni decorsi aveva deplorato altamente il deperimento di quell'Istituto. Ora non ostante la stima che aveva di D Bosco, giudicava così difficile una ristorazione completa da ripetere che se questi fosse riuscito a portare fino a 50 il numero degli alunni, gli avrebbe fatto collocare il ritratto tra quello de' più insigni benefattori del Seminario e del paese. Vedendo poi come l'evento superasse la sua e l'altrui aspettazione, esclamò: Non solo un ritratto, via una statua si deve a D. Bosco!

Il Canonico Vogliotti venne anche a visitare il Seminario, essendo già l'anno inoltrato e fu grandemente contento e stupito di quella riforma: sè visto in cortile l'altalena, il passo del gigante, le parallele e altri attrezzi di ginnastica - Si vede, disse, che qui entrò D. Bosco!

Ma D. Bosco, desiderando che l'ordine entrato con lui non fosse più turbato da nessuno, prescriveva a Don Grassino e al Chierico Vaschetti: - Non cedete di un punto solo la vostra autorità, che deve essere piena, assoluta, perchè altrimenti non farete nulla. - E raccomandava al chierico che assistesse e consigliasse il Rettore, qualora in qualche maniera tendesse a piegarsi alle insistenze di certi personaggi influenti del paese. Nello stesso tempo gli faceva premura di insistere perchè la Curia mantenesse la sua promessa di stendere il decreto col quale si conferisce al Rettore interno un'autorità indipendente da qualunque indebita ingerenza.

Vaschetti obbedì; D. Bosco a Torino fece le sue parti; ma la Curia per sei mesi fece aspettare quel decreto.

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