Capitolo 54

Studi dei giovani nelle vacanze - Il latino della Chiesa e dei Santi Padri Letture Cattoliche - La processione della Consolata - Riduzione del numero delle feste di precetto - Preparazione alla solennità del Santo Rosario - I giovani dell'Oratorio a Morialdo - Una guarigione insperata - Il Galantuomo.

Capitolo 54

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

 Le vacanze autunnali delle scuole duravano quattro mesi, e D. Bosco non poteva soffrire che in questo tempo i suoi alunni stessero in ozio, e studiava i modi per occuparli seriamente e con diletto. Quindi li mandava a ripassare gli studi fatti lungo l'anno, ovvero ad imparare qualche materia accessoria da alcuni sacerdoti o da qualche Fratello delle Scuole Cristiane, suoi buoni amici. Cagliero, Francesia e Turchi tre volte alla settimana salivano sulla collina alla villa di D. Picco perchè il professore facesse loro un'ora di ripetizione. Fra l'andata e il ritorno era una passeggiata di circa due ore e mezzo con gran vantaggio della loro sanità. Per molti D. Bosco variava tali studii ogni anno. Ora suggeriva gli elementi di lingua greca o francese; ora la storia antica o moderna. Un anno proponeva l'aritmetica, un altro il disegno, o gli elementi di astronomia, o lezioni di geografia, e abbozzi delle carte topografiche di varii Stati e province. Sovente li addestrava a scriver lettere ritenendo che il comporle convenientemente non è cosa delle più facili. Nello stesso tempo esortavali a cercare nei loro, scritti la semplicità di stile, ma li avvertiva che questa semplicità doveva essere frutto di lunghi studii sui classici; e loro ne proponeva alcuni perchè attentamente li meditassero. Ripeteva loro l'avviso datogli da Silvio Pellico di tener sempre sopra il tavolino il vocabolario e di non stancarsi, usandolo continuamente nei dubbi del significato di una parola o del valore di una frase e per sfuggire le inesattezze ed i gallismi. Se avessero usate tali diligenze li assicurava che avrebbero acquistata nello scrivere una chiarezza invidiabile e che, qualora il Signore li chiamasse allo stato ecclesiastico, le loro prediche da tutti sarebbero state intese e perciò sempre care al popolo.

In quanto ai chierici poi dimostravasi ancor più esigente perchè mettessero a frutto il loro tempo. La vigilia di San Giovanni i chierici avevano gli esami finali. Il giorno di S. Giovanni egli nulla diceva, e li lasciava in libertà; ma il domani incominciava a chiamare l'uno e l'altro:

- Ebbene, siamo in vacanza. Faresti saggia opera a leggere il Rohrbacher, il Salzano, il Bercastel. Vi sono tante belle cognizioni da acquistare. - E cosi praticò eziandio allorchè i chierici avevano frequentata l'università, fatta scuola di latinità nell'Oratorio e studiato teologia prendendo l'esame regolare in seminario.

Di ciò non ancora soddisfatto, mostrava sempre un vivo desiderio che studiassero i classici latini ecclesiastici. Fin dal 1851 e 1852 egli in tempo di vacanza spiegava, e tanto bene, a Rua Michele e ad altri suoi alunni varii brani di questi sacri autori, specialmente le lettere di Gerolamo, e insisteva che le traducessero, mandassero a memoria e commentassero.

Cercava di infondere negli altri il proprio entusiasmo, e provava gran pena nel sentire come alcuni professori distinti deridessero il latino della Chiesa e dei Padri, chiamandolo con disprezzo latino di sagrestia. Egli diceva che coloro i quali disprezzavano la lingua della Chiesa si mostravano ignoranti delle opere dei Santi Padri, i quali in buona sostanza formano da soli la letteratura latina di più secoli, e una splendida letteratura che per molti lati eguaglia nella forma l’età classica e per magnificenza di idee la supera infinitamente, come il cielo la terra, la virtù il vizio, Dio l'uomo. Anzi soggiungeva che per eleganza di stile, grazia di lingua, robustezza e sublimità di concetti alcuni di essi ottengono il primato sugli stessi scrittori del secolo d'Augusto; e lo dimostrava.

Ebbe su questi argomenti a sostenere dispute con personaggi dottissimi in belle lettere, benchè sempre con prudenza e con carità. E le sue ragioni erano tali da trarli alla propria opinione. Aveva anche un argomento suo proprio diceva: - È un delitto disprezzare il latino dei Santi Padri. Noi cristiani non formiamo una vera società, gloriosa, santa, divina? Questi scrittori ecclesiastici non sono nostri e nostra gloria? E perchè disprezzare le cose che ci appartengono, e trovare solo il bello nei nostri nemici, nel Paganesimo? E questo si chiama amore alla propria bandiera, alla Chiesa, al Papa? - E non risparmiò rimproveri allo stesso Vallauri che aveva stampato qualche nota critica sullo stile e sulla lingua dei Santi Padri, dimostrandogli come avesse torto a non voler vedere il bello di que' preziosi volumi.

Quando Pio IX nel 1855 in una sua Enciclica sciolse la questione sorta tra Mons. Dupanloup e il Gaume, decidendo che si doveva unire bellamente lo studio dei classici pagani con quello dei classici cristiani, per rivestire con lingua latina, purgata ed elegante le idee cristiane, dando norme in proposito, D. Bosco ripeteva essere le sue idee in perfetto accordo con quelle del Papa.

Egli non disprezzava i classici profani latini. Li aveva studiati, ne possedeva dei lunghissimi brani nella memoria e li commentava maestrevolmente, ma vedeva eziandio come questi potevano essere pericolosi senza il correttivo degli autori ecclesiastici e dei loro insegnamenti. “La rivoluzione francese, egli osservava, ha preso le proprie massime dagli scrittori del paganesimo, anzi sono questi che formarono quella generazione di sicarii. E da ciò ne vennero le deplorabili rovine che tutti sanno. Le idee di patria, di odio agli stranieri, di gloria acquistata colla forza brutale, di vendetta encomiata, di superbia, di Dio stato, di conquiste ecc. sono quelle che guastano le menti tenerelle dei giovani, e che fanno giudicare viltà la soave mitezza del cristianesimo.

Coi sopraddetti ammaestramenti, occupazioni e studii nel 1853 erano trascorsi due mesi di vacanza.

D. Bosco pel mese di settembre aveva preparato e stampato un'operetta senza nome d'autore divisa in due fascicoli col titolo: Esempi di virtù cristiana ricavati da varii autori. Era quasi un respiro che si permetteva nel combattimento contro i Valdesi, i quali però non si lasciavano sfuggir occasione per insultare la Chiesa.

L'8 settembre solevasi fare la solenne processione colla statua della B. V. delle Consolazioni, pel voto che ricordava la liberazione di Torino da un fortissimo esercito nel 1706. Il simulacro però di argento puro, che pesava 14 Mg. essendo stato rubato il 18 aprile, e rimasti nascosti i predoni, si era sostituito una bella statua in legno. Ma la processione in quest'anno mancò della estrinseca mostra di pompa militare e fu abbandonata al ludibrio dalla ciurmaglia. La guardia nazionale e le truppe di linea non assistettero alla funzione per far parata e mantenere il buon ordine. Così aveva comandato la Gazzetta del Popolo. E i tristi che, mercè  le arti della propaganda Anglicana e Valdese, erano molti ed audaci, poterono impunemente a tutto loro agio pigliarsi il brutto spasso di gettarsi a frotte attraverso la processione, con cappello in capo e laide contumelie in bocca, dileggiando il clero e beffandosi dei sacri riti. Quel simulacro della Vergine così insultalo acquistollo più tardi il Marchese Fassati, quando il Santuario si fornì di una statua coperta di una lamina d'argento, e lo donò alla nostra chiesa di S. Francesco di Sales ove tuttora si venera,

Intanto l'addolorato Pontefice dava prova di accondiscendere a quelle domande che non erano contrarie alla sua coscienza, e toglieva l'occasione di molti peccati. Vittorio Emanuele gli aveva esposto il bisogno del popolo ed il desiderio del Governo che fosse diminuito pel Piemonte il numero dei giorni festivi di precetto a fine di provvedere col lavoro alle necessità dei sudditi. Il Papa acconsentiva e con Breve del 6 settembre toglieva dal numero delle feste di precetto la Circoncisione, S. Maurizio, la Purificazione, l'Annunziazione di Maria SS., S. Giuseppe, i lunedì dopo Pasqua e dopo Pentecoste, e Santo Stefano: in tutto otto giorni festivi In questi però nulla dovevasi cambiare in quanto a liturgia, officiatura o funzioni.

A D. Bosco rincrebbe che la festa di S. Maurizio e dei martiri della legione Tebea perdesse di sua importanza presso il popolo, e fece stampare dalla litografia Doyen un'immagine di questo glorioso Santo che era il protettore di tante opere buone in Piemonte. La commemorazione del suo martirio ricorreva il 22 settembre, ed egli distribuì molte copie di quell'immagine. I santi della legione di questo martire c'entravano per qualche cosa nel custodire l'Oratorio, come assicurava D. Bosco.

Anche la sua divozione verso la Beata Vergine egli volle affermare in modo speciale. Mandava quindi la seguente supplica alla Curia Arcivescovile di Torino.

 

 

Ill.mo e Rev.mo Sig. Vicario Generale,

 

Il Sacerdote Bosco Giovanni in una chiesa di sua proprietà posta nel borgo di Morialdo appartenente alla parrocchia di Castelnuovo d'Asti suole celebrare da tre anni la festa del Santo Rosario facendo precedere la novena. Di più si faceva ogni sera un breve discorso e si dava la benedizione col SS. Sacramento. La medesima facoltà di dare la benedizione si estendeva alle altre feste della B. Vergine e di S. Giuseppe. - E questo tutto nelle ore che non disturbano le funzioni parrocchiali, e di pieno consenso col Prevosto del luogo.

Ora il ricorrente desiderando procurare il medesimo spirituale vantaggio a que' popolani (avendo il regnante Pio IX conceduta l'indulgenza plenaria nel giorno della festa del Rosario, e trecento giorni ciascun giorno della novena) supplica V. S. Ill. e Rev. a voler concedere e rinnovare la medesima facoltà con un decreto da durare altri tre anni.

Nella fiducia del favore

Il Sac. Bosco Giovanni

Supplicante”.

 

 

 

Risposta del Vicario Generale.

 

“Si concede permesso annuo riservandoci di dare un apposito decreto per gli anni futuri ricorrendosi più per tempo.

Torino, 20 Settembre 1853.

 

Filippo Ravina Vic. Gen.”.

 

In questo mentre D. Bosco faceva spedire agli associati pel mese di ottobre il fascicolo anonimo: Trattenimenti famigliari sopra i comandamenti della Chiesa. Un Curato nella bottega di un sarto, il cui figlio apprese massime cattive nella sua dimora alla Capitale, confuta le obbiezioni di questi, provando come la Chiesa abbia diritto di far leggi e quanto grandi siano i vantaggi che provengono all'umana società dai cinque comandamenti registrati dal catechismo.

D. Bosco, sbrigato questo negozio, sul finir di settembre partiva per la passeggiata autunnale, e giunto a Chieri col giovane Francesia e varii altri, nello scendere dalla vettura, s'imbattè  in un signore che lo salutò e gli domandò se ancora lo riconoscesse. D. Bosco lo fissò e poi rispose: - Sì; ci siamo incontrati sette od otto anni fa in Torino sopra il Ponte di Po. - Quel signore rimase meravigliato, perchè la cosa era proprio così. D. Bosco continuava ad avere una ritentiva, diremo, miracolosa. Egli infatti non solo de' suoi giovani, che erano usciti dall'Oratorio, ma anche dei loro parenti, riteneva il nome e la fisonomia anche dopo una lunga serie di anni. La sua mente non era mai stanca.

Giunto ai Becchi, aspettato dal fratello Giuseppe, da sua madre, incominciò la novena della Madonna del Rosario che per lui era occasione di ascoltare al tribunale di penitenza molti fedeli. Non tardarono a sopraggiungere altri giovani insieme coi cantori. Nel loro viaggio rimanevano sempre incantati nell'udire ovunque andassero ripetersi da tutti le lodi di Don Bosco, specialmente quando era giovanetto. Seppero a Chieri che le madri dicevano ai loro figli: - Ti permetto di andare con Bosco, ma con altri assolutamente non voglio. E allo stesso Bosco: - Rendi buoni i miei figli come lo sei tu.

Era ammirabile in ogni virtù, ma sopratutto angelico nella pratica della castità. Era attento a schivare i condiscepoli ed altri poco riserbati nel parlare e nell'operare. Il signor Bertinetti Carlo residente in Chieri spesso parlava al giovane Savio Angelo molto favorevolmente di Bosco e per lo studio e per la pietà in cui si distingueva fra tutti.

Il Dottor Allora, D. Luzerna, D. Oddenino Francesco narravano loro che in seminario il Ch. Bosco era di una condotta così esemplare che i condiscepoli solevano chiamarlo il santo, perchè come tale lo tenevano; e vedendo qualche seminarista di condotta non abbastanza edificante egli si faceva a questi buon consigliere: che i Superiori del Seminario lo proponevano per modello di pietà e di temperanza; e che in nessun modo ei cercava di procacciarsi danaro per sè , ed era sempre consultato dai compagni intorno agli studii.

A Castelnuovo era vivo il ricordo della sua vestizione clericale, della sua prima messa celebrata in paese, del suo modo di stare all'altare, del suo straordinario raccoglimento e della turba di giovani che gli correvano incontro. Ripetevano il suo elogio dei tempi quando era fanciullo, come fosse riservato ne' suoi atti, castigato nelle sue parole e come anche qui i parenti consigliassero i loro figliuoli ad accompagnarsi con Bosco persuasi della sua morigeratezza. Lo conoscevano assai circospetto nel fuggir coloro che parlavano male.

A Morialdo poi il fratello Giuseppe lo descriveva minutamente, dicendo ai giovani che lo interrogavano: - D. Giovanni, ancor prima che vestisse l'abito Ecclesiastico coglieva ogni occasione per discorrere di religione e di atti di pietà coi giovanetti suoi compagni. Raccontava esempi di santi. Pregava molto durante i lavori campestri, e le madri lo additavano ai loro figli come modello di preghiera; era molto dato alla frequenza dei Sacramenti. Crescendo in età, cresceva in lui il desiderio di amare Dio e di farlo amare dagli altri. Con vero trasporto accorreva ai catechismi e alle prediche, e poi le ripeteva alla famiglia ed ai compagni. Era innamorato della castità fino dalla sua fanciullezza; puro e casto appariva in ogni sua azione e riservato ne' suoi divertimenti. Non proferì mai una parola che avesse la minima allusione a cose meno oneste; mai si vide divertirsi colle fanciulle che abitavano le case vicine. - E questa testimonianza era confermata dal Vicario Teol. Cinzano.

Non è a dire quanto gli alunni godessero nell'ascoltare le lodi del loro buon padre, e la felicità che provavano nel trovarsi con lui; ed egli sapeva da tutto ricavare motivi per ragionare del Signore. Ora dai fiorellini di un prato, altre volte dalle messi dei campi, tal altra dall'abbondanza e ricchezza dei frutti che pendevano dagli alberi e dai vigneti, talvolta dalle scoperte operate nelle viscere della terra conduceva il discorso a parlare della divina bontà e provvidenza. Talvolta ad ora tarda sull'aia innanzi alla sua casetta stava contemplando il cielo stellato, e immemore della stanchezza per aver ascoltate molte confessioni, intratteneva i giovani a discorrere dell'immensità, onnipotenza e sapienza divina. In tutte le circostanze sollevava il suo animo e quello degli altri alla contemplazione di Dio e della sua infinita misericordia, dimodochè ben sovente, asserisce D. Rua, avveniva ai giovani di esclamare coi discepoli di Emaus: - Nonne cor nostrum ardens erat in nobis, dum loqueretur nobis in via?

E gli ammaestramenti e gli esempi di D. Bosco facevano anche molto bene alle popolazioni circostanti. Le frequenti comunioni de' suoi allievi le eccitavano alla frequenza delle chiese e dei Sacramenti, perchè mentre erano così vispi ed allegri, sapevano a suo tempo stare raccolti e fervorosi nell'onorare Dio colle pratiche religiose. D. Bosco conduceva eziandio la sua brigata a portare l'allegria e l'edificazione della pietà in qualche parrocchia vicina, per rendere colla musica più solenne una festa. Molta gente e specialmente i fanciulli si radunavano intorno a lui, ed egli, anche lungo le strade, non lasciava mai di dare a tutti qualche istruzione o di consigliare qualche esercizio divoto, che poi era praticato. Queste passeggiate furono uno dei mezzi per cui l'Oratorio crebbe in numero e in tanta fama.

Nel giorno della festa del Santo Rosario, D. Bosco benediceva la veste clericale del giovane Francesia Giovanni, il quale, come i chierici Rua e Buzzetti, era deciso di fermarsi nell'Oratorio ed aiutare il suo Direttore per tutta la vita. D. Bosco sperava da costoro un grande aiuto, che si riprometteva eziandio da tre altri giovani, Germano Giovanni, Marchisio, Ferrero, che avevano finiti gli studii di latinità; se non che un solo, poche settimane dopo, vestiva l'abito ecclesiastico e gli altri per varie cagioni rinunciavano ad uno stato che prima erano decisi di abbracciare.

In questi giorni era avvenuto un fatto che sempre più accresceva in tutti la stima che avevano per D. Bosco. Così lo narra il prof. D. Turchi Giovanni.

“Nel 1853 nelle vacanze andando con altri compagni a prendere lezioni di rettorica dal Prof. D. Picco alla sua villa sui colli di Torino, e noi imprudentemente fermandoci, benchè sudati, sotto ombra fresca e nociva, io mi presi una forte costipazione. D. Bosco, vedendo che io non mangiava e deperiva, mi mandò a casa ove il medico mi praticò cinque salassi. Il male era vinto, ma io seguitava a stare in letto senza forze, e questo stato si prolungava, minacciando, credo, etisia.

”Dopo qualche settimana D. Bosco, giunto a Castelnuovo per la festa del Rosario, mi venne a visitare, e sentito e visto lo stato in cui mi trovava, m'incoraggiò e mi diede la sua benedizione, dicendomi che doveva alzarmi, guarir presto e tornare all'Oratorio. Non ricordo se tosto al domani, ma certo cominciai presto ad alzarmi, compii bene e presto la mia convalescenza, e quindi ritornai all'Oratorio.

”D'allora in poi ringraziando Iddio, non ho più avuto malattie. Io attribuisco la mia guarigione alla benedizione di D. Bosco, tanto più che dopo questa io non presi rimedii di sorta.”

I giovani intanto finivano allegramente le loro vacanze ai Becchi. D. Bosco era sempre con loro, tutto intento nel dare l'ultima revisione ad un suo almanacco. Fin dall'anno precedente aveva visto con grande dispiacere che i protestanti, per meglio introdursi nelle famiglie degli operai e spargere l'eresia con meno rumore e maggiore facilità, avevano dato alle stampe un almanacco, dove erano più numerosi gli errori che le parole. Essi lo chiamavano l'Amico di Casa; ma di amico non aveva che il nome, perchè portava a' suoi lettori il più gran male che si abbia qua in terra, qual è l'irreligione e l'empietà. Lo regalavano a chi lo voleva ed a chi non lo voleva. Lo trovavi sugli usci di casa: se lasciavi la finestra aperta, una mano maligna te lo gittava nella camera; nei laboratorii c'era chi veniva a regalarlo, e per le vie c'era chi lo dava gratuitamente. Acquistato questo libercolo, con sì poca fatica, si leggeva dalla gente senza timore od inquietudine, e più d'uno s'immaginava d'aver tra le mani un libro di pietà. S'invocava il nome di Dio, si riferiva la pia conversione di questo e di quello, la rassegnazione che deve avere il peccatore e la confidenza nei frutti della redenzione; ma non si accennava mai alla Confessione, all'Eucaristia, alla divozione per Maria SS., e l'errore difficilmente si scopriva, oppure quando era troppo tardi. Ora D. Bosco, per disturbarli dall'opera tenebrosa, che questi eretici compivano a danno delle anime in Torino e pel Piemonte, pensò di metter mano anche ad un lunario, che prendesse il posto a quel falso Amico, istruendo e dilettando.

Adunque sul principio dell'anno una sera ad alcuni di quelli che si erano offerti ad aiutarlo nella composizione e diffusione delle Letture Cattoliche, aveva presentato il suo disegno, che piacque immensamente, ed esclamarono ad una sola voce: Bene! Bene!

- Ma come lo chiameremo il nostro almanacco? disse D. Bosco. Si sa che la gente va presa all'amo della novità. Spesso si lascia vincere da un solo nome un po' specioso. È come l'insegna di una bottega.

Qui i pareri furono molti e contrarii. Chi voleva che si chiamasse il Vero Amico di Casa. Ma D. Bosco fece subito osservare, che si correva pericolo di far la parte del gatto, che tira i marroni dalla cenere a servizio altrui. “Bisogna, diceva, che il nostro titolo abbia nulla da fare con quello de' nostri avversarii”.

Chi propose che si chiamasse l'Almanacco del Popolo chi della Gioventù; chi dell'Operaio; e chi anche con altri moltissimi nomi. Ma D. Bosco, dopo averli lasciati dire, venne fuori con il suo titolo bell'e preparato. Si fece perciò da tutti profondo silenzio ed egli poi, toccando del merito dell'uno e dell'altro nome, disse che l'almanacco, a cui si doveva pensare, era da chiamarsi senz'altro: Il Galantuomo: strenna offerta agli associati delle Letture Cattoliche. - E così fu. Quei due o tre sacerdoti promisero l'opera loro.

Ora questo almanacco in ottobre era pronto, perchè bisognava furar le mosse all'Amico di casa. Il suo titolo e la sua orditura esporremo in poche parole.

Il Galantuomo - Almanacco Nazionale pel 1854 coll'aggiunta di varie utili curiosità. Dopo la prefazione metteva l'elenco dei membri della famiglia reale, annunziava gli ecclissi, dava una breve regola per gli orologi a tempo medio secondo il servizio delle strade ferrate e i numeri dell'anno. Veniva quindi il lunario con le indicazioni delle fiere dello Stato e le principali dell'estero a norma de' nuovi stabilimenti, la nuova tariffa delle monete e il valore delle monete estere del pari. Quindi ricette per l'economia domestica, riflessioni morali e religiose, esempi ed aneddoti interessanti per esaltare le virtù sublimi del clero e per combattere qualche errore de' Valdesi. Infine alcune poesie in lingua italiana, e in dialetto piemontese.

Di questo almanacco fece dono a tutti gli associati delle Letture Cattoliche, e poi ogni anno rinnovandolo e stampandolo in sedicimila e più copie si continuò fino ai giorni nostri.

“E’ veramente ammirabile D. Bosco, esclamava D. Rua, nel vederlo sostenere da solo e per lungo tempo una pubblicazione, che era una vera lotta contro gli errori degli eretici, e da lui continuata poi, coll'aiuto di altri zelanti scrittori, per tutta la sua vita”.

E in questo stesso autunno, come se ciò non bastasse alla sua attività, ritornato a Torino curava la pubblicazione commessa a Giacinto Marietti di 2000 elementi di grammatica greca, componendosi ogni opuscolo di cinque fogli, di cui il 10 febbraio 1854 il tipografo Marietti mandava la fattura a D. Bosco.

 

 

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