Progetto per la costruzione del collegio in Mirabello - Don Bosco a Casale per avere l'approvazione del Vescovo - Spiacevole incontro nel viaggio - Il Benedicite prima del pranzo - D. Bosco in Asti: propone al Vicario Capitolare di pilotare il ritiro dei suoi chierici nell'Oratorio essendo occupato il Seminario dal Governo: pratiche per iscritto: arrivo in Valdocco di quei Seminaristi: malumori dissipati: buona riuscita - D. Bosco vuole i giovani occupati anche in tempo di vacanze - Prime partenze degli alunni per i Becchi - Il Ch. Cagliero a Castelnuovo difende i diritti del Papa - Previsioni avverate di Don Bosco intorno al regno di Napoli.
del 30 novembre 2006
 Il restituire l'antica floridezza al piccolo Seminario di Giaveno, non era stato in questi mesi l'unica impresa di D. Bosco per assicurare vocazioni allo stato ecclesiastico.
Aveva eziandio rivolto il suo pensiero alla Diocesi di Casale. Il Ch. Francesco Provera dopo la visita del suo parroco a D. Bosco, non aveva cessato di pregare, perchè in Mirabello venisse aperta una casa per l'educazione cristiana della gioventù. Suo padre, di animo generoso, risolvevasi a secondare questo nobile progetto e offriva, per incominciare quella costruzione, una sua casetta posta in mezzo ad un terreno presso l'abitato, venutagli in eredità paterna. Nei tempi antichi era stata proprietà di religiosi; ed egli, aveva deciso che la Chiesa ne riprendesse in qualche modo il possesso, benchè fosse stata acquistata dalla sua famiglia col permesso dell'autorità ecclesiastica. D. Bosco meditato quel progetto, vide che si sarebbe potuto realizzarlo, innalzando presso quella casetta un ampio fabbricato; ma non volle dar parola senza prima aver chiesto il parere e la licenza del Vescovo Mons. Luigi dei Conti di Calabiana, col quale era in attinenza da ben 10 anni. Partì adunque per Casale e nell'ultimo tratto di via ebbe per compagni un prete ed un frate francescano del convento di Sant'Antonio. Questi due incominciarono a parlare di quei sacerdoti che in Piemonte segnalavansi per opere di carità, e il discorso cadde su D. Bosco. -Oh! questo poi non è quell'uomo che la fama ci narra, disse il fraticello: è un vero scroccone, un menzoniero; conosce a meraviglia l'arte di far danari per arricchire i proprii nipoti, i quali essendo una volta poveri contadini, ora vivono da signori, poichè ha fabbricato per loro un palazzo nella sua borgata.
D. Bosco senza darsi a conoscere e conservando la sua abituale pacatezza, lo interrogò se avesse mai conosciuto quel sacerdote che giudicava così severamente, e visitato il suo Istituto in Valdocco. L'altro rispose che no, ma che tutto quanto aveva detto, gli era stato riferito da persone degne di fede. E insisteva ne' suoi spropositi, mentre D. Bosco si limitava ad esortarlo di assicurarsi di presenza intorno alla veracità di quanto aveva inteso andando a visitare l'Oratorio, facendo la conoscenza di D. Bosco e intrattenendosi con lui. - Veda, gli diceva, io sono andato da quelle parti, ove lei dice che D. Bosco si è edificato un palazzo, e non ho mai udito narrare, da nessuno simili stranezze.
Così ragionando arrivavano a Casale, ove alcuni ecclesiastici aspettavano l'arrivo di D. Bosco. Ed ecco D. Provera Oclerio istitutore dei figli della Contessa Callori, aprire lo sportello della vettura, salire e aiutare D. Bosco a discendere mentre anche gli altri preti, appena lo videro, lo chiamavano per nome salutandolo festosamente. Il fraticello si avvide allora che il suo compagno di viaggio era proprio quel desso, del quale egli aveva tanto sparlato; e tutto confuso gli tenne dietro. Raggiuntolo gli chiedeva perdono scusandosi col dire che non aveva inteso di offenderlo, poichè non sapeva chi egli fosse. D. Bosco occupato nel rispondere alle cortesi accoglienze degli amici, parve che subito non badasse alle sue parole, ma non tardò a rivolgersi a lui con una certa serietà, dicendogli: - Va bene: ma un'altra volta non parli di ciò che non conosce, e non si permetta mai di sparlare del prossimo: glielo raccomando. -
Giunto in Episcopio, ove eragli preparata la stanza, fu accolto con grandi feste dal Vescovo e dal Teol. Alvigini Giambattista, Canonico Penitenziere nella Cattedrale e Rettore del Seminario, suo vecchio amico. Dopo aver discorso di varie cose riguardanti la Diocesi, D. Bosco espose il progetto dell'erezione di un collegio in Mirabello, ove si potessero coltivare specialmente le vocazioni ecclesiastiche, le quali scarseggiavano. Monsignore fu lietissimo di quella proposta, l'approvò, la benedisse e ne ringraziò il Signore. D. Bosco che si riservava di esporre a suo tempo la convenienza e l'utilità di dare a quel collegio il carattere di piccolo Seminario diocesano, si fermò qualche giorno a Casale.
Ora accadde che fu invitato ad un gran pranzo al quale doveva trovarsi il Vescovo con molti preti e signori secolari costituiti in dignità. D. Bosco, che era amico e confidente colla maggior parte di quei commensali, venne informato, che in simili occasioni non solevasi benedire la tavola e come ciò cagionasse ammirazione a qualche pia persona. D. Bosco, che di nulla prendevasi fastidio o timore quando si trattava della maggior gloria di Dio, pensò ad uno scherzo che servisse di avviso. Suona l'ora del pranzo; i convitati siedono a mensa e senz'altro è servito l'antipasto. In questo mentre D. Bosco, che a bello studio entrava per l'ultimo, in atto di scusare un ritardo increscevole, va al suo posto, recita il Benedicite a voce sommessa ma chiara, e in fine rivolto al Monsignore e inchinando il capo, conclude: Iube Domne benedicere. In quella sala regnò per un istante un profondo silenzio; e Monsignore sorridendo, gli disse: Questa ancora ci andava, signor D. Bosco! - Il buon Vescovo essendo poi rimasto solo con lui gli diceva: - È stata una buona lezione quella che ci ha data, e non cadrà dalla mia memoria.
Di questo fatto tenne ricordo D. Bonetti nelle sue cronache, aggiungendo che D. Bosco esortando i giovani ad essere franchi, ma rispettosi e misurati nelle parole in ogni circostanza, soleva dire: - Bisogna farsi coraggio e ciò basta!
Dato ragguaglio al parroco di Mirabello D. Coppo Felice, e al padre del chierico Francesco Provera della piena approvazione di Monsignor di Calabiana ai loro disegni, lasciava Casale standogli eziandio a cuore la Diocesi di Asti. Essa era vacante per la morte di Mons. Filippo Artico avvenuta in Roma il 21 dicembre 1859. Il seminario era stato occupato dal Governo e quindi i pochi chierici studenti di teologia e filosofia, non vi si potevano più riunire per applicarsi in pace a loro studii. Quelli che appartenevano alle scuole superiori di latinità si trovavano in più grave pericolo di perdere la loro vocazione. La Curia aveva procurato loro scuole e maestri, ma non sapeva a qual partito appigliarsi per scongiurare gravi inconvenienti. Alcuni avevano già abbandonata la carriera intrapresa. D. Bosco pertanto conosciuti gli imbarazzi di quella Curia aveva scritto al Vicario Capitolare proponendogli l'Oratorio come rifugio de' suoi seminaristi. Il Vicario gli rispondeva invitandolo a recarsi in Asti per esporre a voce la sua intenzione.
D. Bosco era andato in Asti, aveva presentato il suo programma per la buona educazione ed istruzione di quel giovane clero, e ritornava in Torino colla gioia di aver fatto un'opera eccellente per la Chiesa. Ma egli in Torino aveva fra i varii alunni di Asti, tre chierici i quali compiuti nell'Oratorio i corsi ginnasiali e messo qui l'abito talare, continuavano gli studi nel seminario metropolitano. Erano questi Molino Giovanni, Merlone Secondo, Viale Carlo che erano andati alle case loro in vacanza.
Egli prevedendo che le loro inclinazioni non li portavano ad occuparsi in cose scolastiche, o ad aggregarsi alla Pia Società; considerando che avrebbero giovato molto ai giovanetti loro compatrioti aspettati da Asti coll'assistenza e col buon esempio; sicuro che formando con essi come un sol corpo, li avrebbero istradati nelle regole e consuetudini dell'Oratorio con grande facilità, scriveva al Canonico Penitenziere Cerutti Giovanni, perchè ottenesse a costoro licenza di ritornare per un anno all'Oratorio, ed il favore di una pensione come erasi pattuito per gli altri.
Il Canonico rispondevagli:
 
Rev. Sig. D. Bosco,
 
Ben volontieri mi sono impegnato presso questo Rev. Signor Vicario Generale a favore dei chierici raccomandati da V. S. Rev. Non si è perduta ogni speranza per riavere il Seminario; ma ad ogni modo il Superiore è ben contento che i nominati chierici passino il loro anno scolastico in codesto suo Stabilimento, dove non potranno a meno di ricevere continui esempi di virtù. In quanto alla pensione da concedersi ai chierici predetti, il prefato sig. Vicario Generale mostrò delle ottime disposizioni e mi incaricò di dirle che prima d'Ognissanti si abboccherà in proposito con V. S. Rev. in Torino.
Riguardo poi alla circolare in favore delle Letture Cattoliche, che fu preparata prima d'ora come le aveva annunziato, se ne differì soltanto la pubblicazione per dar luogo ad altre di maggior urgenza. Si persuada Ella però che la cosa non sarà dimenticata.
Mi raccomando alle sue preghiere e mi protesto di cuore Di V. S. R.
Dalla Curia Capitolare di Asti il dì 2 ottobre 1860.
Dev. servo
Canonico G. Cerutti
 
 
Ma il Vicario generale tardava alquanto a notificargli le sue decisioni, perchè forse vi era qualche opposizione da superare, difficoltà finanziarie da riconoscere, e certamente la proposta ai parenti e il loro consenso, perchè i chierici venissero trasferiti in Torino. Finalmente venne l'aspettata risposta.
 
Mio caro sig. D. Bosco,
 
In seguito ai concerti presi già da gran tempo con Lei allorchè Le parlai qui in Asti, ed alla lettera ultimamente da Lei scritta a questo egregio mio amico e collega il Canonico Penitenziere, ho stabilito di chiudere qui le scuole di Rettorica e di mandare a V. S. Carissima gli allievi delle medesime. Essi saranno una dozzina circa; alcuni possono pagare la pensione ma sono pochi; alla maggior parte il Seminario fisserà un sussidio per cadun mese a testa. Abbia la bontà di dirmi quale sarebbe il prezzo ristretto della pensione, affinchè io possa dare le convenienti disposizioni; e mi faccia di questi giovani dei bravi e zelanti Ecclesiastici.
Preghi Dio per me e mi consideri sempre per quello che sono e voglio essere
Asti, 22 ottobre 1860.
Suo aff.mo servitore ed amico
A. V.Sossi Vic. Gen. Capit.
 
Entrarono finalmente nell'Oratorio i chierici del Seminario di Asti in numero di 17, ma non tutti appartenevano alla classe di rettorica. Li conducevano i tre alunni già nominati, sicchè fra tutti erano 20. Ebbero festose accoglienze e D. Bosco dando notizia del loro arrivo al Vicario Capitolare gli mandava l'elenco dei cari e nuovi alunni.
I giovani chierici mandati dal Seminario di Asti furono: Molino Giovanni di S. Damiano del 2° anno di Teologia; Merlone Secondo da S. Damiano del 1° anno di filosofia; Viale Carlo da Montechiaro; Vespa Antonio da Agliano; Fagnano Giuseppe da Rocchetta Tanaro; Delaude Stefano pur della Rocchetta; Sartoris Giacinto da Montegrasso; Riccio Giuseppe da Agliano; Barbero Giuseppe da Albugnano; Messidonio Stefano da Villafranca; Ricca Giuseppe da Camerano; Gay Giacomo da Costiglione; Canta Carlo da Villanova; Fasolis Gian Pietro da Asti; Ponte Giuseppe da Rocchetta; Borio Alberto da Costigliole; Fagiani Antonio da Rocchetta Tanaro; Gaddo Stefano da Viarigi; Damiasso Giuseppe da S. Damiano; Crosetti.
Il Vicario generale gliene dava riscontro:
 
Carissimo Sig. D. Bosco
 
La ringrazio della sua lettera del 16 corrente e dell'elenco dei chierici che passai al Teologo Mussa . Siccome eravamo rimasti d'accordo, tutti quei chierici che hanno il posto gratuito nel Seminario, o ne ricevono un sussidio mensile, dovranno intendersela con questo sig. Economo, il quale pagherà la pensione intera di lire 37 al mese per ciascheduno di essi a V. S. Car. E appena il prefato signor Economo, sarà reduce qui da una festa che fece alla sua patria, gli dirò che mandi costì un acconto.
Le raccomando istantemente codesti chierici: me li faccia buoni e pii, che questa diocesi ne ha necessità estrema. Dio La benedica e La rimeriti colla grazia sua del gran bene che Ella opera per la Chiesa. Mi conservi la sua benevolenza e preghi per me. Tutto suo
Curia Capitolare - Asti 19 novembre 1860.
                                                                             Dev.mo e aff.mo servo ed amico
                                                                                A. V. Can. Sossi Vic. Gen. Cap
 
 
I chierici di Asti corrisposero alle premure amorevoli di D. Bosco, benchè nei primi due mesi qualche malintesa paresse minacciare la loro tranquillità. Era cosa da prevedersi. Il trovarsi molti insieme di una stessa regione, che costituivano quasi un ente morale a sè, in una casa estranea, nuovi venuti tra quelli più numerosi che avevano una precedenza di abitazione, cagionava un po' di malumore, quasi fossero tenuti per inferiori agli altri e meno stimati. Comunicandosi a vicenda qualche propria malinconia, davano corpo alle ombre.
Ma buon per loro che avevano una gran stima dell'equità di D. Bosco, il quale, conoscitore del cuore umano, sapeva compatirli e consolarli. Il 27 gennaio 1861 si presentavano a lui, lamentandosi di non essere trattati con giustizia nei voti di condotta e di studio. D. Bosco li acquetò con poche parole. - Fate il vostro dovere, disse loro; poi qualunque voto vi si dia, non turbatevi; io vi conosco tutti non solo esternamente ma ancora internamente. - Questa ragione era perentoria, avendo quei chierici prove incontrastabili, e in que' stessi giorni, di ciò che egli asseriva, come fra poco vedremo. Essi avevan preso ad amare D. Bosco che loro prodigava ogni cura a costo anche di gravi sacrifizi, e non cessarono a dimostrargli il loro affetto in ogni tempo. Era deciso che dimorassero nell'Oratorio l'anno scolastico 1860 1861 per ritornare quindi al proprio Seminario, qualora fosse restituito alla Curia. Ma questi seminaristi però non fecero tutti la stessa riuscita. Tre di essi presi da infermità furono costretti ad interrompere gli studii; due altri essendo privi delle virtù necessarie allo stato ecclesiastico deposero la veste talare; gli altri riportarono buoni voti all'esame finale e, ritornati nel Seminario, ricevettero poi i sacri Ordini. Varii di loro divenuti parroci lavorarono con buon successo nel sacro ministero. Due rimasero nell'Oratorio: uno affezionatissimo a D. Bosco e amante della vita di comunità, vi stette più anni anche da prete, finchè  non ebbe deciso di accettare un ufficio in Diocesi. Il secondo, D. Fagnano Giuseppe, si ascrisse alla pia Società di S. Francesco di Sales, ed è il Prefetto Apostolico della Patagonia Meridionale e della Terra del Fuoco.
Il Canon. Anfossi, per citare un testimonio, conferma quanto abbiamo detto, avendo conosiuti tutti questi chierici.
D. Bosco adunque aveva consecrata la seconda metà del 1860 ad assicurare le vocazioni ecclesiastiche di tre diocesi, mentre non trascurava in nessun modo i suoi alunni anche nel tempo delle vacanze. Scriveva D. Bonetti: “ Abborriva dall'ozio ed insegnava coll'esempio che le nostre giornate si dovevano impiegare per il Signore. Sulla porta della sua camera stava scritto: - Ogni momento di tempo è un tesoro. - Ed egli non fu mai visto perdere un istante sia che fosse in casa, sia che fosse fuori. Uscendo quasi ogni giorno per visitare infermi o per cercare elemosine, si approfittava di quel tempo per condurre con sè preti, chierici, o laici della casa e dar loro udienza. Se qualche volta andava solo, come avveniva nei viaggi, leggeva lettere, correggeva colla matita bozze di stampa, continuava a comporre qualche libro, oppure pregava. Lo stesso metodo teneva nelle passeggiate autunnali accompagnando i giovani ”.
E dai giovani stessi che egli mandava al Becchi qualche settimana prima della festa del Santo Rosario, esigeva che non stessero oziosi. Era contento che facessero passeggiate a Mondonio, a Capriglio, ad Albugnano ed altrove; che prendessero parte alle vendemmie di suo fratello Giuseppe: ma voleva che oltre all'esatta osservanza del regolamento giornaliero dell'Oratorio riguardo alle pratiche di pietà, impiegassero qualche ora tutti i giorni nel ripassare materie scolastiche dell'anno trascorso, ovvero nel prendere cognizioni di ciò che avrebbero studiato nella classe alla quale erano stati promossi. Era sempre con loro qualche chierico o professore a cui potevano rivolgersi per sciogliere le difficoltà. Ed ebbero talvolta anche un po' di scuola di lingua francese.
Ora nel 1860 si avvicinavano i giorni nei quali solevasi disporre quanto era necessario per la grande passeggiata. Il 15 di settembre partiva per i Becchi una prima squadra di alunni, ma tre giorni dopo giungeva la notizia della battaglia di Castelfidardo. Alcuni dell'Oratorio temevano che in quest'anno D. Bosco rinunziasse alle escurzioni autunnali; ma tale non era il suo pensiero, quantunque apparisse afflitto per le angustie che travagliavano il sommo Pontefice. Ei deplorava quegli avvenimenti e con lui ne sentivano dolore i suoi discepoli.
Infatti il Ch. Cagliero Giovanni il 27 settembre condotta un'altra piccola brigata di allievi ai Becchi, si recava a Castelnuovo per visitare sua madre. Qui gli accadde ciò che egli stesso ci descrisse. “Un mio antico maestro sacerdote, in una conversazione sosteneva e difendeva l'operato del Governo per l'invasione delle Marche e dell'Umbria; aggiungendo che il Papa poteva benissimo, e senza scapito della religione, lasciare Roma e andare a fissare dimora a Gerusalemme o in altro luogo. Così l'Italia sarebbe stata una e indipendente. Io non rimasi silenzioso, ma la mia opposizione fu tanto accalorata, che credetti avergli perduto il rispetto; quindi all'indomani pensai di chiedergliene scusa. Egli senza farne caso, disse: - Ti compatisco; D. Bosco a riguardo del Papa vi scalda tanto la testa che sareste capaci a farvi martiri per la sua causa ”.
Nell'Oratorio intanto dopo il pranzo o dopo la cena i chierici si avvicinavano a D. Bosco parlando degli avvenimenti che agitavano l'Italia; e siccome il maggior sforzo della guerra era contro il regno di Napoli gli chiedevano con ansiosa curiosità quale ne sarebbe il risultato. Nella Cronaca di D. Ruffino abbiamo la risposta. “ Il 1° ottobre Don Bosco disse: Le cose politiche di quelle regioni saranno tutte aggiustate nel 1862: nel 1861 finirà la crisi”. Le previsioni di D. Bosco non fallivano. Si consulti la storia; e prima la crisi, ossia il cambiamento di Governo. Il 21 settembre 1860 a Napoli e in Sicilia si era fatto il plebiscito per l'unione col Piemonte. Il 5 ottobre Vittorio Emanuele entrava solennemente in Napoli e un mese dopo in Palermo. Il 13 febbraio 1861 dopo tre mesi e mezzo di eroica resistenza, Gaeta si arrende ai Piemontesi e Re Francesco II ripara in Roma colla Regina Sofia ospite di Pio IX nel Quirinale. Il 26 febbraio Vittorio Emanuele II è proclamato dal Parlamento Re d'Italia e sono presenti tutti i deputati delle provincie Italiane meno quelli di Roma e di Venezia. Il 13 Marzo 1861 dopo quattro giorni di bombardamento alza la bandiera bianca la cittadella di Messina, e la medesima sorte tocca a Civitella del Tronto negli Abruzzi il 20 marzo. Così compievasi la conquista delle due Sicilie e veniva disperso l'esercito borbonico. Il principio del Non intervento bandito dalla Francia e dall'Inghilterra assicuravano il Piemonte da ogni nemico esterno.
Finita la crisi monarchica, bisognava conservare e ordinare la conquista; ma ciò non riuscì senza incredibili violenze. Nelle province continentali continue erano le rivolte. I soldati borbonici, affezionati ai loro primi sovrani, si ordinarono in bande contro gli invasori, i quali dovevano continuamente ributtare i loro assalti e correre a scovarli nelle montagne e foreste. Feroci oltre ogni dire furono le loro vendette e sovente ingiuste. Basti dire, essere risultato in modo certissimo che, dal principio delle sommosse, sino all'agosto 1861, in quelle province si erano fucilate 8968 persone, ferite 10604, arse 918 case, incendiati oltre otto paesi, imprigionate presso a ventimila persone. Tali macelli duravano incessanti per due anni, cadendo anche uccisi in gran numero i soldati piemontesi. Verso la metà del 1862 era cessata la insurrezione dinastica. Le bande brigantesche non avendo più aspetto e indirizzo politico, continuavano però a combattere ferocemente per disperazione. I sospetti e gl'indicati dagli spioni come loro complici certi di essere fucilati senza processo, correvano ad accrescere il loro numero. Questa gente però mancava di tutto: quindi ricatti, imboscate, rapine, invasioni nei villaggi e rappresaglie.
Ma 120.000 soldati piemontesi il cui numero andava sempre crescendo, custodivano la conquista. Alcuni reggimenti francesi stanziavano in Roma e nel Patrimonio di S. Pietro poichè Napoleone temeva che ritirandoli, l'Austria fosse chiamata a sostituirli.
La Francia, poi l'Inghilterra, il Belgio, il Portogallo, la Svizzera, l'Olanda, gli Stati Uniti d'America, la Grecia, la Prussia, la Turchia avevano riconosciuto il Regno d'Italia. Ultima in questo riconoscimento fu la Russia il 6 agosto dell'anno 1862.
Giuste erano dunque le previsioni di D. Bosco.
 
 
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