Capitolo 56

D. Bosco e gli alunni occupano il nuovo edifizio - Temeraria ma sicura risoluzione - Istituzione dei laboratorii interni per calzolai e sarti - Primo Regolamento per i laboratorii - Padroni e operai di manifatture - Progetti di D. Bosco a beneficio della società e degli artigiani.

Capitolo 56

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

 I lavori di costruzione nell'Oratorio erano stati spinti talmente innanzi che, nel mese di ottobre, metà della casa era compiuta, co' suoi portici tanto necessarii nei giorni d'intemperie. Non appena resa abitabile, vi furono tosto trasferite le scuole, il refettorio e i dormitorii; la cappella antica fu destinata al solo uso di sala da studio, e il numero dei giovani ricoverati giunse ben presto a sessantacinque. D. Bosco scelse per suo alloggio quella parte che era parallela alla chiesa di S. Francesco, composta di tre stanze allineate, al secondo piano. Quella che faceva angolo colla parte principale dell'edifizio fu occupata da due o tre giovani, che ivi abitarono, e dormirono, pronti ad ogni bisogno di Don Bosco; la seconda doveva servire quasi di biblioteca, e quivi era lo scrittoio pel Ch. Rua; l'ultima, che aveva una finestra a mezzogiorno, D. Bosco la scelse per suo alloggio, ed è l'attuale anticamera. Le suppellettili di questa, che non si mutarono finchè visse, erano un letticciuolo di ferro e  mobili, in parte donati da' benefattori; alcune sedie più che ordinarie, per scrittoio uno stretto e rozzo tavolino senza tappeto e scaffali, un canapè vecchio e stravecchio, un burò scantonato per custodire le carte, un semplicissimo inginocchiatoio di pioppo, che serviva per le confessioni, un crocifisso e alcuni quadri con sacre immagini. Per molto tempo quella unica stanza servì per camera da letto, per sala di ricevimento, di aspetto e di ufficio.

In que' giorni però, essendo l'edifizio finito di fresco, quella stanza era umidissima e tutte le mattine ogni oggetto era bagnato da gocciolarne; un paio di scarpe lasciato per due giorni sotto il letto si copriva di muffa. D. Bosco ne aveva fatto coprire le mura con grosse tappezzerie di carta, perchè non avvertissero l'inconveniente coloro che venivano a visitarlo; e in poco tempo quella tappezzeria divenne tutta nera muffita, e finì con cadere a brandelli. Ma non era possibile fare altrimenti. Non bastando casa Pinardi a contenere tutti i giovani, bisognava che una parte di essi prendesse posto nell'edifizio nuovo. Per impedire che costoro si lamentassero e perchè volentieri si adattassero a quel trasloco, li aveva entusiasmati esaltando la bellezza ed i vantaggi della nuova abitazione. Quindi, avendo egli incominciato pel primo a prendervi stanza, tutti gli altri gli andarono dietro allegramente. Se D. Bosco avesse continuato ad occupare la sua camera primiera e avesse mandati i soli giovani nella casa nuova, certamente si sarebbero sollevati susurri e malcontenti. È vero che fu una determinazione temeraria, se si considera in modo umano; tanta umidità poteva essere origine di serie malattie. Ma D. Bosco non ne ebbe alcun male e tutti gli altri non ne soffrirono, come egli aveva pubblicamente annunziato. D. Bosco sapeva che la sua promessa sarebbe confermata dal fatto.

Allogata la comunità, volle subito attuare il disegno che aveva formato, di aprire, a costo di qualunque sacrificio, laboratorii interni nell'Oratorio. Quel mandare ogni giorno i giovanetti nelle officine della città, per quanto scelte, sorvegliate, mutate con ogni impegno, erano un pericolo se non un danno per la disciplina e per il profitto dei ricoverati. Il malcostume e l'irreligione purtroppo facevano progresso fra gli operai e D. Bosco si avvedeva che i motteggi a cui erano fatti segno i suoi allievi, miravano a distruggere in gran parte il frutto dell'educazione morale e religiosa che si studiava di loro impartire.

Le stesse vie che dovevano percorrere erano ingombre dai venditori di una moltitudine di giornali che erano banditori perpetui e sistematici di licenza e di empietà. Nelle vetrine dei librai e mercivendoli facevano scandalosa mostra di sè  una colluvie di sconce incisioni, di laide statuette, di romanzacci, di altre produzioni schifose ed anche di libri eretici.

Per tutti questi incentivi, correva eziandio rischio la loro fede, benchè D. Bosco, oltre a varie prescrizioni, e ammonimenti, loro indirizzasse il sermoncino della sera, colto scopo appunto di esporre e confermare qualche verità che per avventura fosse stata contraddetta nel corso della giornata. E non solo in pubblico, ma anche in privato parlava continuamente degli errori dei protestanti e delle tristi loro conseguenze, esortandoli a starne in guardia.

D. Bosco adunque volle sottrarre la parte che potè  de' suoi artigiani ai lamentati inconvenienti. Perciò, col soccorso dei benefattori, comprati alcuni deschetti e gli attrezzi necessarii, collocò il laboratorio dei calzolai in un piccolo corridoio di casa Pinardi presso il campanile della chiesa.

Contemporaneamente destinava alcuni giovani al mestiere di sarto e avendo trasportata la cucina nel locale nuovo a pianterreno in fondo all'attuale parlatorio invernale verso il giardino, l'antica cucina diventò sartoria. Il Crocifisso e la statua della Madonna presero possesso dei due laboratorii. Subito apparve un gran vantaggio spirituale, morale e materiale per quegli allievi. D. Bosco fu il primo maestro dei sarti, avendo già esercitata quell'arte quando era studente; così pure di quando in quando, allorchè gli studenti erano a scuola in città, andava a sedersi al deschetto per insegnare ai giovani il maneggio della lesina e dello spago impeciato per rattoppare le scarpe. Così provvedeva ai bisogni dei giovani con minor spesa, poichè per le calzature e per i vestiti in breve non si sarebbe più dovuto richiedere l'opera di estranei. Per questo fine a mano a mano che nascerà in casa un nuovo bisogno, noi lo vedremo aprire un laboratorio nuovo.

Il Teol. Savio Ascanio diceva: “Io visitai questi laboratorii fin dal principio allorchè furono aperti nel 1853. Don Bosco aveva visto che l'Ospizio non poteva portare il suo vero frutto senza le arti e i mestieri in casa. La sua Istituzione, per vivere, bisognava che fosse completa nella sua cerchia, sviluppata in tutte le sue membra come un corpo organico: bisognava che bastasse a se medesima”.

D. Bosco fece subito la scelta dei capi d'arte: Goffi Domenico, che era anche portinaio, fu preposto ai calzolai; un certo Papino ai sarti. I capi mentre insegnavano il mestiere, dovevano vigilare attentamente i giovani ed impedire il menomo disordine. Nello stesso tempo D. Bosco a tutela della disciplina, della moralità e del profitto, componeva un regolamento, che si doveva praticare in ogni laboratorio.

 

 

REGOLAMENTO.

 

Maestri d'arte.

 

1. I Maestri d'arte hanno incarico di ammaestrare i giovani della Casa nell'arte cui sono destinati dai Superiori. Il loro principale dovere è la puntualità nel trovarsi a tempo debito nel laboratorio, di dare lavoro ai loro allievi di mano in mano che entrano.

2. Si mostrino premurosi per tutto ciò che riguarda il bene della Casa; e si ricordino che è loro essenziale dovere istruire gli apprendisti e far sì che loro non manchi il lavoro. Osservino e per quanto è possibile, facciano osservare il silenzio durante il lavoro, nè  permetteranno che alcuno si metta a parlare, ridere, scherzare o cantare fuori del tempo di ricreazione. Non permettano mai ai loro allievi di uscire per recarsi a far commissioni. Essendone il caso, se ne domandi al Prefetto l'opportuno permesso.

3. Non devono mai fare contratti coi giovani della Casa, nè  assumersi per loro conto particolare alcun lavoro di lor professione. Tengano esatto registro di ogni sorta di lavoro che si compie nel laboratorio.

4. I capi d'arte sono strettamente obbligati d'impedire ogni sorta di cattivi discorsi, e conosciuto qualcuno che ne sia colpevole, dovranno immediatamente darne avviso al Superiore.

5. Ogni maestro, ogni allievo stia nel proprio laboratorio, nè  mai alcuno si rechi in quello degli altri senza assoluto bisogno.

6. È proibito il fumare tabacco, giuocare, bere vino nei laboratorii, dovendosi in questi lavorare e non divertirsi.

7. Il lavoro comincerà coll'Actiones e coll'Ave Maria. A mezzodì si dirà sempre l'Angelus Domini prima di uscire dal laboratorio.

8. Gli apprendisti debbono essere docili e sottomessi ai loro maestri, come loro superiori, mostrando grande diligenza per compiacerli e somma attenzione per imparare quelle cose che loro sono insegnate.

9. Si leggeranno questi articoli dal Capo o da chi per esso ogni quindici giorni a chiara voce e se ne terrà sempre copia esposta nel laboratorio.

 

In questo Regolamento non si parla ancora di Assistente. Altra autorità non eravi fuorchè D. Bosco, alla quale nell'anno seguente si aggiunse quella del Prefetto.

D. Bosco avrebbe voluto poter fin d'allora aver tutti i suoi artigiani continuamente sotto gli occhi, ma era costretto a mandarne un certo numero in Torino, mancandogli i locali opportuni. Raddoppiava pertanto le sollecitudini e le sue visite alle officine; replicava le sue raccomandazioni ai padroni perchè assistessero i suoi protetti. Ma non era senza grandi angustie e grandi diligenze che doveva cercare laboratorii veramente cristiani. Per certi mestieri si rendeva sempre più difficile il trovare capifabbrica di provata religione. Questi, unicamente preoccupati del lavoro materiale o della rendita finanziaria, si sarebbero meravigliati se loro si fosse fatto osservare che Dio domanderà ad essi conto delle anime dei loro operai. E gli operai, non avendo chi loro ricordasse la dignità dell'anima propria, la necessità di santificare il peso del duro lavoro, i loro immortali destini, e le divine speranze; non avendo chi desse loro il buon esempio, un avviso a tempo opportuno, che imponesse ai discoli l'osservanza della legge di Dio, si lasciavano corrompere lo spirito e il cuore da tutte le influenze malvagie.

D. Bosco così stampava in una delle prime Letture Cattoliche.

“Io entro in una manifattura, o in una gran bottega fitta zeppa di operai. Che parole mi feriscono tosto l'orecchio? Il nome adorabile di Gesù Cristo pronunziato malamente di qua e di là; ed imprecazioni e rabbie e bestemmie, che mi par d'essere in una bolgia d'inferno. Mi avvicino ad alcuni giovani garzoni, e la licenza e la sfrontatezza dei loro discorsi mi fanno rabbrividire. Mi volgo ad altre parti; e qui è un uomo maturo che scredita la religione e i suoi ministri; là è un altro che maledice la Provvidenza; e non manca persino il vecchione, senza pudore e senza fede, che si fa maestro di corruzione e di empietà ad una turba di apprendisti che curiosi lo stanno ascoltando e improvvidi bevono il veleno.

”Tale è pur troppo il tristo quadro che presentano ai giorni nostri, una parte delle nostre botteghe, e delle nostre manifatture. Si chieda a questi uomini perchè sudano tanto, e tanto si logorano dal levarsi del sole sino a notte. Tutti rispondono: - Per guadagnarci il pane. - Benissimo, questo è pel corpo; ma sapete voi che avete un'anima? - Si ride. - Quest'anima pensate voi a salvarla? Pensate voi a guadagnarvi il cielo? - Si ride. - Ma, povera gente, non temete di tirarvi addosso un'eterna sventura? - Noi non paventiamo altro in questo mondo che di cader malati, di trovarci senza lavoro, di stentare e di perir di fame. - E quando sarete morti? - Si ride. - Insomma: Tutto pel corpo, niente per l'anima”.

Le madri angosciate venivano da D. Bosco per poter togliere da quelle officine corruttrici i loro figliuoli, pregandolo a cercar per essi un luogo ove potessero apprendere la maniera di guadagnarsi il pane, senza la triste certezza di perdere l'anima. E D. Bosco si affannava a collocarli, anche fuori di città per le tante attinenze che aveva, risoluto nello stesso tempo a non darsi riposo fino al giorno nel quale avrebbe potuto ritenere a centinaia gli artigiani nell'Oratorio sotto la sua cura immediata.

Ma ciò non era tutto. Egli, di mente profonda e perspicace vedeva i pericoli che sovrastavano alle nazioni e la necessità di sciogliere la grande questione operaia in senso cristiano. Il socialismo si era già manifestato nei regni vicini e minacciava anche l'Italia. I partigiani delle malvagie dottrine, i capi delle società segrete, convinti che l'avvenire sarebbe stato certamente di coloro che avrebbero saputo impadronirsi dello spirito e del cuore dell'operaio, incominciavano a spiegare uno zelo veramente satanico, per abbrutire le masse, per averle pronte ad ogni eccesso e per poter essi salire sulle loro spalle in alto. D. Bosco adunque si era prefisso eziandio di impedire da parte sua tanti disastri per mezzo degli stessi giovani operai, conducendoli a quella Religione che sola, additando la via della carità e del sacrificio, li fa contenti del proprio stato. Rappresentava loro come il lavoro manuale sia stato personalmente onorato e glorificato dal Nostro Signor Gesù Cristo, il quale nella sua vita mortale volle essere come essi appunto un semplice operaio, e descriveva sovente la loro entrata trionfale in cielo e il premio senza fine che li aspetta quando saranno usciti dalle pene e dalle fatiche di questo mondo.

Senonchè da solo non poteva effettuare il suo disegno di officine cristiane, soggiorno della pace, della gioia, di un'attività cara e benedetta; e dalle quali poi si spargessero nel mondo i loro allievi, pronti ad affrontare con valore le difficoltà della vita, a seguire inflessibili la linea diritta loro

tracciata da Dio, ad essere soldati della Chiesa e quindi dell'ordine pubblico, nelle società cattoliche operaie. L'esperienza gli dimostrava che le opere individuali cadono generalmente cogli uomini che le hanno create. Perciò D. Bosco non cessava un istante di vagheggiare una Congregazione religiosa organizzata eziandio a questo fine. Era la divina Provvidenza che a lui ispirava questa idea, come aveala ispirata a centinaia a centinaia di altri fondatori e fondatrici contemporanei di Pie Società, le quali dovevano in mille modi soccorrere l'operaio in ogni sua necessità. L'odio alla loro salutare e potente influenza nel popolo, lo crediamo una delle cause della guerra atroce colla quale si cerca di sterminarle.

D. Bosco adunque nel 1853, senza strombazzare, come per un nonnulla si usa oggidì, dava principio a quest'altra sua gigantesca impresa in così sottile misura, che sembrava, e non era, un puro esperimento. Parve che gli fosse detto: “Spera con tutto il cuor tuo nel Signore, e non appoggiarti alla tua prudenza. In tutte le tue circostanze ripensa a Lui, ed Egli reggerà i tuoi passi”.

E infatti anche quest'opera si vedrà abbracciare i due mondi. Nel corso di cinquant'anni più di 300.000 operai uscirono da' suoi laboratorii educati cristianamente, e si sparsero dovunque. E migliaia di ragazzi, che sarebbero stati abbandonati ai pericoli delle strade, divenendo istrumenti ciechi della tirannide settaria, si trasformano continuamente, in utili ed onesti cittadini, in uomini per bene e di merito.

 

 

 

 

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