Innovazione nei dormitorii - Nuovo programma per l'accettazione di studenti - Presa di possesso di Casa Filippi e sua descrizione - Un ponte di legno - Varie cause dell'entrata di alcuni alunni nell'Oratorio; un'invito di D. Bosco; una preghiera esaudita; la campana dell'Ave Maria e una voce consolante - Fantasie fatidiche e confortanti di due giovani - La Madonna e il dono della memoria - Esami e voti de' Chierici - Lettura solenne del regolamento dell'Oratorio - Principio delle scuole e prolusione dei maestri - Le pagelle dei voti trimestrali - Due ammonimenti ai chierici.
del 30 novembre 2006
 Nell’Oratorio tutto si disponeva pel cominciamento dell'anno scolastico 1860-61 e con maggior dispendio degli anni trascorsi.
Nelle camerate bisognò ridurre ad uniformità tutti i letti dei giovani poichè, gli uni dormivano in un letticciuolo recato da casa, gli altri in una branda. Chi metteva il saccone o il materasso sopra assi sostenuti da cavalletti di legno o di ferro. Qualcuno si accontentava di un pagliericcio sul pavimento. “ Chi diede la spinta a tal riforma, scrisse Giuseppe Reano, fu madama Ropolo madre di un allievo. Venuta nell'Oratorio e incontrato D. Bosco, dopo aver parlato con lui del figlio e de' suoi studi, uscì francamente in queste parole: - D. Bosco, ho visto i letti ne' dormitorii e sono tutti meschini: perchè non adotta i letti in ferro?
D. Bosco le rispose: - Appena avrò vinto un quaterno al lotto provvederemo tutte le camerate di bei letti in ferro. - Quattrocento non bastavano e la spesa era grave.
Ma ecco, poche settimane dopo quel colloquio, D. Bosco dar commissione al Sig. Chiusani, che aveva la sua officina presso le fontane di Santa Barbara, di costrurre e portare ogni settimana nell'Oratorio venti letti in ferro, finchè  ogni allievo non fosse provvisto del proprio. In alcuni mesi il desiderio di madama Ropolo fu soddisfatto. D. Bosco certo non aveva vinto il quaterno al regio lotto, ma sibbene a quello della divina Provvidenza. Infatti i letti erano stati pagati.
Questa innovazione nella casa che incominciò nelle camerate degli studenti, obbligò D. Bosco a scrivere un nuovo programma di accettazione per i parenti dei giovani che domandavano l'ammissione all'Oratorio per darsi agli studii. Ma siccome le domande erano molto numerose e ci voleva una garanzia che desse tempo a conoscere lo stato e le intenzioni dei parenti e le disposizioni dei giovani colla loro morale e intellettuale condotta, impose una retta fissa per i primi due mesi di stanza nell'Oratorio. Era una misura necessaria per ovviare che fossero a carico della casa quelli, che non meritavano di goderne la beneficenza. D. Bosco però nella sua carità sapeva fare molte eccezioni.
Queste sono le condizioni stampate e distribuite:
 
PER GLI ARTIGIANI.
 
1. Siano orfani di padre e di madre.
2. Abbiano 12 anni compiuti e non oltrepassino i 18.
3. Poveri ed abbandonati.
 
 
PER GLI STUDENTI.
 
1. Abbiano compiute le classi elementari e voglian percorrere il corso ginnasiale.
2. Siano commendevoli per ingegno e per moralità.
3. Siano tenuti due mesi in prova a fr. 24 mensili e di poi si faranno le intelligenze secondo il merito.
 
DISPOSIZIONI GENERALI.
 
È rigorosamente proibito agli allievi di tenere danaro presso di sè . Chi ne ha lo consegni al Prefetto della casa, che lo ritornerà a semplice richiesta giusta il bisogno.
2. Ogni somma in qualunque limite convenuta, dovrà pagarsi a trimestri anticipati.
Lo stabilimento somministrerà agli allievi lettiera in ferro, saccone con foglie. Ogni altro oggetto di vestiario e di letto è a carico degli allievi, ad eccezione che facciano constare la loro impotenza per povertà.
 
D. Bosco intanto era già entrato in possesso della proprietà vendutagli dalla famiglia Filippi. Consisteva primieramente in un terreno quadrilatero irregolare, che un muro separava dal cortile dell'Oratorio. A mezzogiorno una tettoia stendevasi lungo la via della Giardiniera e all'estremità di questa, a levante, si apriva il portone per i carri. Sul lato che formava angolo con tale entrata, vedeansi le stalle coi fenili, nei quali molti vagabondi abbonati erano soliti a passare la notte; e un tratto di muro. A settentrione quasi in linea retta col corpo principale dell'Ospizio, si alzava una casa di due piani, non compreso il pian terreno destinato a setificio. Era lunga 35 metri, larga 7½ ed alta quasi 2. Due ale della stessa altezza, alle estremità, larghe ciascuna 13 metri, si protendevano parallele verso mezzogiorno per lo spazio di 8 metri e racchiudevano una piazzetta non più larga di 9 e mezzo. Si accedeva a questa per un sentiero fiancheggiato da due spesse ed alte siepi.
Del suo nuovo acquisto però D. Bosco potè  utilizzare solamente il piano superiore destinandolo a dormitorii, poichè le stanze inferiori erano ancora occupate dagli antichi inquilini e la tettoia, le stalle ed il cortile dal signor Visca, fino alla scadenza dei loro fitti. Quindi per più di un anno non fu abbattuto il muro che divideva i due stabili. Perciò all'altezza dell'ultimo piano fu costrutto per il passaggio un ponte provvisorio di travi ed assi, sotto il quale una via metteva nel prato retrostante annesso a quel podere. Siccome tra una casa e l'altra eranvi sette metri di spazio, quasi uno stretto di mare, come dicevano gli alunni, con una parola divenuta famosa l'edificio nuovo chiamavano la Sicilia, perchè separato dal corpo principale della casa, cioè dal Continente.
Molti giovani erano persuasi che Dio stesso avesse loro preparato quell'asilo colla sua amorosa misericordia, dandone loro indizio non fallace come essi credevano. Altri che la Vergine benedetta avesse loro ottenuta tanta grazia e quasi li avesse condotti per mano, onde arricchirli colle sue benedizioni. Un certo numero, si trovava nell'Oratorio attirato in modo mirabile da un invito del servo di Dio e di Maria, al quale soavemente sentivansi costretti ad acconsentire.
Incominciando da questi ultimi esporremo un fatto semplice, che in vario modo si ripetè cento e cento volte nel corso degli anni, quale ci fu raccontato da una buona madre.
La signora Rosa Rostagno nata Masino, nel 1860 veniva a Torino da Pinerolo con suo figlio quindicenne di nome Severino e, sbrigati vari affari, si presentava a Don Bosco desiderosa di farne la conoscenza. Essa rimase incantata dell'affabilità di D. Bosco, il quale preso a parte il Severino, gli disse alcune di quelle misteriose parole nell'orecchio che operavano tante meraviglie. La madre era rimasta ad una certa distanza e non poteva udire, ma stupì nel vedere l'effetto che quelle parole facevano nel suo giovanetto. Era rimasto come entusiasmato, magnetizzato. Ambedue partirono dall'Oratorio beati di aver visto D. Bosco.
Il figlio però tenne per sè il segreto delle parole di D. Bosco e non volle mai confidarle a nessuno, portando nella tomba il suo segreto. Neppure la madre potè  penetrarlo.
D. Bosco nel congedare Severino gli aveva detto: - Scrivimi qualche volta ed io ti risponderò. - Il giovinetto esitava a scrivere; essendo malaticcio era alquanto indietro nella classe ed arrossiva all'idea di non scrivere bene.
La madre esortavalo a scrivere; egli si schermiva, benchè affermasse che aveva tante cose da dire a Don Bosco. - Ebbene, la madre concludeva: fa conto di essere alla presenza di D. Bosco e scrivi tale quale come se gli parlassi. - Severino finalmente si arrese e scrisse a Don Bosco, il quale così gli rispondeva.
 
 
Figliuolo mio dilettissimo,
 
La tua lettera mi ha fatto piacere. Se tu provasti grande consolazione per un momento di tempo che fummo insieme a fare poche parole, qual gaudio non sarà per noi quando, aiutandoci Iddio, vivremo per sempre beati in cielo dove faremo una sola voce per lodare il nostro Creatore in eterno?
Coraggio adunque figliuol mio, sii fermo nella fede, cresci ogni giorno nel santo timor di Dio; guardati dai cattivi compagni come da serpenti velenosi, frequenta i Sacramenti della Confessione e Comunione; sii divoto di Maria Santissima e sarai certamente felice.
Quando ti vidi parmi aver ravvisato qualche disegno della Divina Provvidenza sopra di te; ora non tel dico ancora: se verrai altra volta a vedermi parlerò più chiaramente e conoscerai la ragione di certe parole dette allora.
Il Signore doni a te ed alla tua Madre sanità e grazia; prega per me che ti sono di cuore
Torino, 5 settembre 1860.
Aff.mo
Sac. Bosco Giovanni.
 
 
All'Ornatissimo giovane il Sig. Rostagno Severino studente. Via del Pino, casa Valetti. Pinerolo.
 
Severino ricevuta questa lettera era impaziente di andare a vedere D. Bosco, ma la mamma per i suoi affari temporeggiava a condurlo. Finalmente la vigilia della festa di S. Severino il giovanetto disse alla madre. - Pagami la festa del mio onomastico col condurmi a veder D. Bosco. - La madre lo consolò. All'indomani fu a Torino, parlò lungamente a D. Bosco e concluse instando presso la madre, perchè volesse affidare a D. Bosco la sua educazione. Vi erano difficoltà, ma furono superate colla seguente lettera:
 
Carissimo nel Signore,
 
Se da buon militare ti senti reggere alla pensione ordinaria, ove era Muriana, te la darò gratuita, rimanendo però a carico di tua madre le minute spese dei libri e del vestito; per quanto occorre di corredo dimandane a quelli che sono già stati tra noi.
Se va bene così, vieni presto e lavoreremo di tutto cuore pel bene dell'anima.
Dio ti benedica; credimi tuo
Torino, 29 ottobre 1860.
Aff.mo in G. C.
Sac. Bosco Giovanni.
 
 
Il giovine volò all'Oratorio. A questi inviti si univano le ispirazioni della Madonna.
Enrico Bonetti di 24 anni nato in Caprino provincia di Bergamo, vestito l'abito clericale, dovette poi deporlo avendogli una gravissima difficoltà attraversata la via al sacerdozio. Dovette perciò cercarsi il vitto col frutto delle sue fatiche, e venne a Torino ove trovò un impiego. Ma le antiche aspirazioni che erano in lui sempre vive, la compagnia di miscredenti e viziosi nella casa in cui abitava, l'essere costretto ad assistere al suo ufficio anche nei giorni festivi, le difficoltà che incontrava per l'esercizio delle pratiche di pietà, gli rendevano penosa la vita. Occupatissimo anche tutta la settimana, qualora gli fosse avvenuto di avere qualche mezz'ora di libertà, recavasi al Santuario della Consolata, per supplicare la dolcissima sua madre perchè presto gli fosse concesso di ritirarsi dai pericoli del mondo.
E la Madonna ascoltò i fervidi suoi voti. Una Domenica a sera, nella quale era più mesto del solito, prese que' viali che fiancheggiano il corso vicino all'Oratorio. A un certo punto venne al suo orecchio, un alto, giulivo e confuso gridare di giovanetti. Si fermò un istante innanzi alla Chiesa di S. Francesco di Sales, chinò la testa profondamente commosso e disse piangendo: - Oh quanto debbono essere felici quei giovani! - In quel mentre domandò ad una persona che passava per colà, quale casa fosse quella da cui partiva tanta festa: e gli fu risposto: - L'Oratorio di D. Bosco. - Egli senz'altro vi si fece condurre, si presentò a D. Bosco, aperse all'uomo di Dio tutto il suo cuore, e gli palesò che le strettezze della sua famiglia non gli permettevano di pagare la pensione nel Seminario. Fu accettato, dopo qualche tempo entrò a far parte de' felici abitanti dell'Ospizio e passati alcuni mesi espresse il desiderio di consacrarsi interamente e per tutta la sua vita all'opera dell'Oratorio.
D. Bosco che lo conobbe per giovane di virtù, d'ingegno e di scienza, non solo gli condonò l'intera pensione, ma a carico della casa gli provvide quanto era necessario pel vestito, libri ed altro.
Enrico Bonetti fu un vero tesoro per l'Oratorio, venne ordinato sacerdote, ed egli raccontava sempre pieno di gratitudine la misericordia usatagli dalla Madonna.
Un altro giovanotto della stessa età del suddetto Enrico, appartenente ad altra provincia, un giorno manifestava ad un sacerdote confidente la sua propensione ad ascriversi a qualche Ordine ovvero Congregazione religiosa, ma soggiungeva che per un motivo o per un altro non ne trovava una che gli andasse a genio.
- Ebbene, gli rispose quel sacerdote; la Madonna ti ama tanto, che se non troverai un Ordine o Congregazione che ti piaccia, ne inventerà una per te, che sia di tuo gradimento. Vedrai quello che io ti dico.-
Un giorno di festa quel giovane, che era sinceramente desideroso di sapere qual fosse la volontà di Dio intorno al suo avvenire, andava a recitare il santo Rosario davanti all'altare della Madonna nella chiesa del suo villaggio. Chiedeva a Maria SS. che gli desse lume per conoscere la sua vocazione.
Ritiratosi a riposo, sull'alba, non essendo ancora ben svegliato, mentre suonava la campana dell'alba, sentì una voce distinta che gli diceva all'orecchio: - Va a L... e troverai D. Bosco. - Il giovane si destò, ma con quell'annunzio ben scolpito nella mente. Egli aveva sentito parlare di D. Bosco più di una volta; un giorno era andato a Torino per chiedergli consiglio senza incontrarlo, lo conosceva per fondatore dell'Oratorio, ma nulla sapeva della Pia Società di S. Francesco di Sales. Non aveva conoscenza di amici di D. Bosco dalle sue parti; pareagli più facile da vedere nei suoi paesi il Papa che D. Bosco, tanto erano fuori di mano.
Egli andò tosto a confidare quello strano fenomeno di voce udita, a tre suoi buoni amici, i quali gli dissero - Il paese di L... è distante un'ora sola di qui e puoi facilmente levarti questa fantasia.
Il giovane acconsentì recandosi il giorno dopo a L... accompagnato da uno di quei tre amici.
Non conoscendo il parroco volse i suoi primi passi alla casa di un vecchio cappellano che era stato maestro comunale in sua patria. Ricevuto con grande cordialità gli chiese se avesse notizie di D. Bosco. Il cappellano rispose che no, ma l'arciprete essere in attinenza col fondatore dell'Oratorio di Torino. Fu allora a visitare il parroco e avendogli detto come a Torino non avesse egli trovato D. Bosco in casa, con sua estrema meraviglia sentissi annunziare: - D. Bosco sarà qui fra otto giorni.
Pieno di gioia ritornava al paese, quando incontrati i due amici, che gli venivano incontro, ridendo per la supposta sua disilusione, questi ancor lontani: - Ebbene, gli gridarono, D. Bosco viene? - E il giovane trionfando rispose a una voce con quegli che avealo accompagnato:
- Viene, viene! - Il fatto mise poi il colmo ai loro stupori. Appena giunse D. Bosco, il giovane gli si presentò. Il servo di Dio fissatolo in volto, lo interrogò: - Come ti chiami? - Il giovane gli disse il suo nome.
- Qual è la tua patria? - e gli fu detta.
Successe un breve colloquio e quindi concluse: - Vieni adunque con me a Torino.
E il giovane senz'altro lo seguì. Si noti che nè allora nè poi egli svelò ad altri quella voce misteriosa, che aveva udita mentre suonava la campana del mattino. E giunto all'Oratorio vi trovò quella Congregazione, che la Madonna avea preparata anche per lui secondo le sue inclinazioni, e vi dimora felice.
Varii giovanetti ricevettero un gran conforto e stimolo a far bene da certe fantasie grandemente consolanti, che senza aver nesso con idee prima concepite, all'improvviso si spiegarono innanzi a loro.
Un giovanetto di grande ingegno e memoria, andava alle scuole pubbliche. Con difficoltà assogettavasi alla disciplina ed era negligente nell'adempimento dei propri doveri. Una sera suo padre parlando con alcuni amici dei portamenti del figlio poco voglioso di studiare, di sue strettezze finanziarie che non permettevangli di fargli dare in qualche collegio una completa educazione ed istruzione, quelli gli parlarono di un certo prete che aveva aperto un ospizio in Valdocco ove con poca spesa gli alunni facevano buona riuscita. Il padre opponeva loro che il figlio non si sarebbe accomodato a tale decisione; ma questi saltò su a dire: - Papà, mettetemi in quel luogo e vedrete che ci starò.-
Il giovanetto però dopo aver riflettuto alla sua promessa e impressionato dalla perdita imminente della sua libertà, stando rinchiuso fra quattro mura, andò a dormire. Ma nella notte ei fece un sogno. Gli parve di essere in un cortile tenendo delle carte in mano, e di vedere molti giovani che applaudivano un prete che stava sul poggiuolo di una casa; ed egli salire le scale e andar a baciare la mano a quel prete.
Dopo qualche mese entrava nell'Oratorio avendo dimenticato pienamente il sogno, e si adattava con qualche difficoltà alla vita di Collegio. Non aveva ancor visto Don Bosco, il quale era partito da Torino e doveva star fuori più settimane. Un giorno chiamato dal maestro in iscuola, nel tempo della ricreazione ebbe da lui un fascio di carte da recare ad uno dei superiori. Mentre scendeva le scale ode vivi e prolungati applausi e corre nel cortile, applaudendo e gridando esso pure: evviva! D. Bosco ritornato dal suo viaggio era sul poggiuolo. Avveravasi il sogno. Lo stesso cortile, la stessa folla di giovani, la stessa casa, lo stesso sacerdote che gli era apparso; ed egli colle carte in mano. Ricordossi allora di tutte le particolarità del sogno e volendo che fosse interamente avverato, salì sul poggiuolo e baciò la mano a D. Bosco. Fu questo bacio come una protesta di perpetua figliale affezione, come egli stesso nella sua tarda età, raccontandoci il sogno, ci affermava grandemente commosso.
Un altro fatto di simile genere appartiene a questi tempi. Così ci scrisse quegli stesso che ne provò grande consolazione. “ Poteva io avere circa un dieci anni. Da più giorni ero preoccupato dal pensiero di quello che avrei dovuto fare nella mia vita. Dormendo io vidi un prete che stava sulla porta di un magnifico giardino. Mi accosto al cancello ed il prete mi piglia per un braccio e mi fa dolce invito ad entrare: - Sii savio, mi disse: qui passerai la tua vita. - A me fece tanta impressione quel sogno, che per più dì, ricordo, vissi raccolto, divoto e più assiduo alla Chiesa. Trascorsero anni parecchi e ho tuttavia presente al pensiero tale scena. Quando venni poi all'Oratorio, io vidi in colui che mi accolse paternamente il prete del sogno e intesi ben presto essere il giardino la nostra Pia Società”.
Saranno queste semplici fantasie, che si producevano nella mente dei giovani nati e vissuti in provincie diverse e cospiranti a loro indicare una stessa via, che doveva condurli al conseguimento della loro vocazione? Essi tali non le credettero e confortati da que' ricordi, ricevute le sacre ordinazioni, perseverano risoluti da anni ed anni, nel lavorare in mezzo alla giovent√π loro affidata dallo stesso D. Bosco.
Compagno di questi fu Rollini Giuseppe venuto nell'Oratorio per continuare i suoi studi di pittura nell'Accademia Albertina, e che ebbe poi la fortuna di ornare col suo pennello le cappelle e la cupola della chiesa di Maria SS. Ausiliatrice.
Con Rollini prendeva pur stanza nell'Ospizio il 6 novembre 1860 Pietro Racca di Volvera in età di 17 anni. Portava con sè quella semplicità propria di chi ha passati i primi anni in campagna e veniva alcune volte motteggiato per i suoi modi da qualche condiscepolo certamente meno virtuoso di lui. Ma non fu mai che il giovine Racca movesse lamento; che anzi tutto soffriva; e la costante ilarità del suo volto ben dimostrava come egli non solo non sentisse alcun risentimento contro i derisori, ma li amasse, ad essi proferendosi in ogni cosa che potesse loro tornare gradita. Egli però aveva sortito da natura mediocre ingegno e memoria poco felice; e non avendo bene appreso dal suo maestro al paese i primi elementi della lingua latina, avveniva non di rado che alla scuola non sapesse la lezione, quantunque vi si fosse applicato per molto tempo. Egli ne era dolente, perchè tale difetto poteva impedirgli di proseguire gli studii intrapresi e di giungere al sacerdozio. Perciò egli pregava e ricorreva spesso alla Madonna della quale era tenerissimo, perchè l'aiutasse. Nè fu vana la sua preghiera.
Difatti un mattino mentre nella scuola si attendeva il Professore e gli scolari recitavano le loro lezioni, ecco entrare Racca più allegro del solito, sicchè pareva essergli successo qualche cosa di lieto. Interrogato da un compagno qual fosse la causa della sua gioia, si pose con tutta semplicità a raccontargli come nella notte precedente gli fosse apparsa la Madonna e gli avesse concesso il dono della memoria. A queste parole alcuni lo ammirarono, altri risero come se tenesse per vero ciò che era puro sogno ed effetto di immaginazione. Non si offese il giovine, nè replicò; e chiamato alla cattedra dal Professore Francesia Giovanni, recitò la lezione, e la seppe ottimamente con stupore di tutta la scolaresca. D'allora in poi non ebbe a lamentarsi di provare difficoltà nell'imparare le lezioni assegnate; anzi incominciò a segnalarsi tra i compagni per felice ritentiva e più che ordinaria. Questo improvviso suo mutamento crediamo non debba ascriversi ad altro che ad una grazia singolare, di cui volle favorirlo la Madonna, la cui divozione non tralasciava d'infondere e di raccomandare caldamente a tutti quelli che lo praticavano. Tanto più che quel dono perseverò per tutto il tempo della sua vita, come lo provano i posteriori studii cui d'allora in poi si applicò indefessamente e con buon esito; e ne fanno testimonianza quanti ebbero occasione di conoscerlo da vicino e fra gli altri il Professore Don Garino Giovanni.
Di altre grazie meravigliose della Madonna a giovanetti, che invocavano il suo aiuto materno, avremo occasione di parlarne pi√π e pi√π volte; ed ora ricondurremo il lettore al principio dell'anno scolastico 1860-61.
I chierici il 3 novembre si presentavano all'esame in Seminario. Erano ventidue e dall'elenco dei voti consta che due ebbero egregie, sedici optime, tre fere optime, un solo bene. I maestri regolari dei giovani vennero giudicati fra gli ottimi, segno che gli studi letterari non avevano recato danno agli studi teologici; e si accinsero a principiare le scuole. Il Regolamento della casa, non ancor stampato, venne letto con solennità di apparato agli alunni, presenti tutti i superiori con D. Bosco. Nelle singole classi poi l'ora della prima lezione era consacrata ad esporre una specie di prolusione sull'importanza degli studi, sui mezzi per fare vantaggiosi e duraturi progressi, sulla necessità e la gloria di una morale condotta, sull'obbedienza per corrispondere alle cure degli insegnanti, non dimenticando i punti principali cioè la salute eterna dell'anima, l'affetto alla Chiesa, l'obbedienza al Papa, e la vocazione allo stato ecclesiastico. Qualunque argomento trattassero parlavano pieni dello spirito di Don Bosco. E di lui facevano sempre degna commemorazione. Il Ch. Anfossi sul conchiudere esclamava innanzi ai suoi discepoli di seconda ginnasiale; - Voi, o giovani, siete radunati per buona vostra ventura nell'Arca di preservazione. In questa casa il Signore vi preparò un padre, un suo servo a vostro custode. Col lume divino egli vi ritrarrà dal male, dall'abisso della perdizione; colla sua santità egli vi farà innamorare di Dio e della immacolata sua Madre, egli vi renderà angioli in terra degni del trionfo che vi attende in cielo. O voi fortunati! Ma a questa benedizione deve concorrere la vostra risoluta volontà.
Con queste parole egli riassumeva l'opinione di tutti quelli dell'Oratorio, sulle virt√π di Don Bosco, il quale metteva sotto gli occhi dei giovani un conciso programma sul modo di impiegare con merito e con frutto l'anno scolastico.
Le pagelle destinate per render conto alle famiglie i voti trimestrali meritati dai loro figli, e che da lui erano sottoscritte recavano in fronte due versicoli della Sacra Scrittura. Dalla parte destra si leggeva: - Initium sapientiae timor Domini: Il principio di ogni sapienza è il timor del Signore (Salmo 110). - E dall'altra parte: - Quae in juventute tua non congregasti, quomodo in senectute tua invenies?” Ciò che non hai raccolto in gioventù come potrai goderlo nella vecchiaia? (Eccl. XXXV, 5).
Due avvertimenti dava D. Bosco anche ai Chierici perchè si conservasse lo spirito buono nella Casa. Il primo s'esponeva con questa sentenza di S. Vincenzo de' Paoli: Una comunità che osserva con esattezza il silenzio nei tempi stabiliti, è certamente fedele a tutte le altre sue costituzioni; se invece in quella ognuno parla a suo talento, d'ordinario non si osservano nè regole, nè ordine.
Il secondo lo ripeteva raccomandando l'assistenza dei giovani: - Non avendo speciale occupazione fate ogni giorno in tempo di ricreazione il giro delle scale e dei corridoi, e avrete il merito come se aveste salvata un'anima.
 
 
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