Don Bosco scrive alla Superiora delle Fedeli compagne ringraziandola delle offerte e delle carità usate ai giovanetti dell'Oratorio; e fa elogi del suo Istituto - Scrive a Don Belmonte che i suoi parenti lo vorrebbero a casa: lo incarica dell'ufficio di Prefetto a Mirabello: gli dà alcuni avvisi - D. Bonetti è incaricato della novena del Rosario ai Becchi - Voti religiosi emessi a Trofarello - Una lettera di Don Bosco a D. Domenico Curti: assicura preghiere per un'inferma: rammenta in quali limiti si sia domandata la grazia al Signore - È annunziata l'apertura del Collegio di Cherasco - Avviso ai parenti di quegli alunni dell'Oratorio che pagano pensione; una lite disgustosa risolta a danno di Don Bosco, il quale non conserva rancore - La virtù della giustizia esercitata dal Venerabile.
del 05 dicembre 2006
Don Bosco, in ogni momento libero dal sacro ministero, si metteva a tavolino. Una sua lettera, indirizzata a Suor Eudossia, Superiora dell'Istituto delle Fedeli Compagne di Ges√π in Torino, dimostra la sua umile e profonda riconoscenza per chi beneficava i suoi alunni e lo spirito di Dio di cui era ricolmo.
 
 
Rev.da Signora Madre,
 
È un ritardo indiscreto, ma è un dovere e si deve compiere. - Le dico adunque che a suo tempo ho ricevuto fr. 130, di cui f. 100 provenienti dalla casa di Torino affidata alle sollecitudini di V. S. R. ed offerti ad onore di Maria Ausiliatrice, e fr. 30 offerti per due grazie ricevute da persone, il cui bene sta molto a cuore alla pia e zelante Madre Superiora Generale.
Ringrazio Lei di tutto il bene che ci fa lungo l'anno, specialmente col rappezzare la biancheria di nostri poveri giovanetti. Creda, signora Madre, che queste opere di carità, sono gelosamente da Dio registrate nel libro della vita eterna; e queste opere, avendo la promessa di un centuplo anche in questa vita, non potranno a meno di meritare speciali favori del cielo sopra di Lei e sopra tutta la fortunata famiglia dalla divina Provvidenza a Lei affidata.
Non meno la ringrazio del danaro che mi ha mandato, e che servirà a provvedere alcune delle molte cose che tuttora mancano alla Chiesa di Maria Ausiliatrice.
Se poi ha occasione di scrivere alla Madre Generale, dica che io non ho mai omesso di raccomandare ogni giorno nella Santa Messa Lei e tutte le sue Case; che le grazie dimandate saranno per intero concesse, colla sola distinzione che talvolta Iddio, invece di una cosa, Egli la cangia e ne concede un'altra che Egli vede di sua maggior gloria. Una grazia poi tutta speciale fu concessa alle sue famiglie che si mantennero nell'osservanza religiosa, guadagnando molto in fervore e zelo per le anime. La casa poi di Torino ha questo di straordinario che, mentre gli educandati o sono sciolti dalla forza delle leggi, o per mancanza di allieve si vedono altrove abbandonati, questa casa per moralità, sanità, scienza, e tranquillità potrebbe servire di modello a qualunque casa di educazione la più soddisfacente.
Intanto prego Iddio che benedica Lei e tutto l'Istituto, affinchè ogni cosa riesca a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime Amen.
Mi creda con gratitudine di V. S. R.
 
Torino, 21 settembre 1869.
Obbl.mo Servitore
Sac. Giov. Bosco.
 
Il 22 dello stesso mese scriveva, da buon padre, una lettera a D. Domenico Belmonte, suggerendogli il modo di rispondere ai parenti che lo invitavano a casa: e insieme gli manifestava il suo divisamento di affidargli l'ufficio di Prefetto a Mirabello.
 
 
Carissimo Don Belmonte,
 
Un certo disse al Salvatore: Domine, sequar te quocumque ieris, sed permitte me primum ire et sepelire patrem meum. Jesus ait: Sequere me, et dimitte mortuos sepelire mortuos suos (Matt. cap. 8, 21). Tu vado, annuntia regnum Dei (Luca 9, 60). Alius ait: Domine, sequar te quocumque ieris, sed permitte mihi, renuntiare his quae domi sunt. Ait ad illum Jesus: Nemo mittens manum, etc. (luogo citato). Perciò scrivi lettera e prega; io farò altrettanto. Ora passiamo ad altro.
Tu mi aggiungi alcune parole che mi dimostrano, o meglio confermano, quella figliale affezione che tu hai sempre nutrito per me, e che io in modo assai più intenso ho sempre avuto per te. Ho sempre cercato e studiato di metterti fra le mani quelle cose che mi sembrano consentanee al tuo carattere e secondo la maggior gloria di Dio. Con questo pensiero avrei divisato di affidarti l'uffizio di Prefetto a Mirabello. Come vedi il passo è gigantesco: oggi semplice suddito, dimani superiore ed arbitro di un istituto, ove racchiudonsi quasi 200 individui! Tuttavia tu riuscirai:
1° Col cercare la gloria di Dio in quello che fai. Fare del bene a chi puoi, del male a nessuno. Vigilanza in tutto.
2° Dipendenza figliale dal Direttore, studiando di secondare le sue mire e coadiuvandolo nelle sue fatiche. Molte cose superano le tue forze, perciò alcune attribuzioni saranno riserbate al Direttore.
3° Il danaro sia presso il Direttore, i pagamenti si facciano a Lui o con suo consenso.
4° Studia di conciliare l'economia della casa col contento dei subalterni. Quanto è necessario a tutti: ma intrepido nell'opporti agli abusi e scialacqui.
Altra cosa ti consiglierei per tua tranquillità ed è che mandassi tuo fratello a Torino. Ciò ti toglierebbe da brighe e forse da dispiaceri.
Del resto abbandoniamoci nelle sante mani del Signore: Esso è con noi e diremo con S. Paolo: Omnia possum in eo qui me confortat.
Dio benedica te e le tue fatiche; saluta D. Provera e tutti gli altri nostri fratelli, e tu credimi sempre
 
Trofarello, 22 settembre 1869,
Aff.mo in G. C.
Sac. Giov. Bosco.
 
Nello stesso giorno disponeva per la novena e la festa del S. Rosario ai Becchi, e scriveva altra lettera al Vicario Generale. Aveva bisogno di svagare Don Bonetti.
 
 
Rev.mo Mons. Vicario Generale,
 
Nella novena in preparazione alla festa della B. V. sotto il titolo del Rosario, solita a farsi in Castelnuovo d'Asti, avrei bisogno di mandare predicatore il Sac. Gio. Bonetti, Rettore del piccolo Seminario di Mirabello.
Ma esso non avendo più fatta confermare la patente per le confessioni in questa Diocesi, nè ora avendola seco qui a Trofarello, dimanda per mezzo mio alla S. V. Rev.ma per questa occasione di essere autorizzato ad ascoltare le confessioni dei fedeli che ne lo richiedessero.
Persuaso del favore, reputo ad onore il potermi professare con profonda gratitudine,
Della S. V. Rev.ma,
 
Trofarello, 22 settembre 1869,
Obbl.mo Servitore
Sac. Giov. Bosco.
 
Il Vicario apponeva alla domanda il seguente rescritto:
 
V.° Ben volentieri si concede quanto ut supra si implora, cum insuper facultate ad omnia in Dioecesi Taurinensi reservata.
 
Torino, 22 settembre 1869.
ZAPPATA, Vic. Gen.
 
Il giorno 23, Don Bosco presiedeva alla cara cerimonia dell'emissione dei voti. Sette socii li professavano triennali, due perpetui. Negli esercizii di quest'anno i voti perpetui erano adunque stati sei e i triennali sedici. A questi si devono aggiungere il Sac. Francesco Dalmazzo, e D. Giovanni Garino che il 15 aprile avevano professato per tre anni.
Lo stesso giorno il Venerabile scriveva al Can. Curti.
 
 
Trofarello, 23 settembre 1869.
 
Rev.mo Sig. Canonico,
 
La sua lettera vennemi a raggiungere in Trofarello dove sono coi miei preti e maestri a fare gli esercizi spirituali e la ringrazio ben di cuore della parte che prende a mio riguardo. Assicuri la signora Benedetti Celeste, che io l'ho sempre raccomandata al Signore nella S. Messa e spero che Dio, nella sua grande misericordia, o le concederà la perfetta guarigione o almeno le donerà la necessaria pazienza per sopportare con vantaggio dell'anima sua.
Ella per altro non dimentichi che, quando era gravemente ammalata, abbiamo limitata la nostra supplica a Dio di ottenere di potersi occupare circa le cose più necessarie della famiglia. Ad ogni modo io continuerò a raccomandarla ogni giorno all'altare di Maria Ausiliatrice, e la ringrazio della somma di fr. 50 che mi manda e che andrò ad esigere dal Cav. San Marzano appena giunto in Torino.
Dio benedica Lei e le sue fatiche; preghi anche per me che con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi,
Di V. S. Rev.ma,
aff.mo in G. C.
Sac. Giov. Bosco.
 
La domenica 26 settembre, l'Unità Cattolica dava l'annunzio che Don Bosco avrebbe aperto un nuovo Collegio a Cherasco.
 
 
Collegio - Convitto di Cherasco.
 
Nella città di Cherasco pel prossimo anno scolastico sarà aperto alla studiosa gioventù un Collegio - Convitto, che abbraccia le quattro classi elementari e le cinque ginnasiali. L'insegnamento è pareggiato; perciò gli insegnanti, la disciplina, i programmi sono in conformità agli istituti governativi. La direzione e l'amministrazione è affidata al Sacerdote Giovanni Bosco, che è rappresentato dal Sacerdote Francesia, dottore in belle lettere, che ne è Direttore locale. I buoni successi avvenuti nelle altre scuole dirette da Don Bosco sono ampia garanzia che nel novello collegio nulla mancherà di quanto potrà contribuire alla moralità, sanità e profitto scientifico degli allievi. Vi sono due qualità di pensioni: una di lire 24, l'altra di lire 35. La stazione più vicina alla ferrovia è quella di Bra, donde un pubblico servizio, in meno di mezz'ora, trasporta i viaggiatori al collegio. Le domande si fanno al Direttore del Collegio o al delegato scolastico mandamentale in Cherasco.
Così finiva il mese di settembre. Nell'Oratorio si aspettava il ritorno di que' studenti che erano andati in vacanze, conforme la seguente circolare.
 
Oratorio di S. Francesco di Sales, Torino - Valdocco
Settembre 1869.
 
Riverito Signore,
 
Mi fo dovere di notificare a V. S. che le nostre scuole in questo anno riprenderanno il loro corso regolare il 18 del prossimo ottobre e che da tal giorno si comincia a computare la pensione per tutti gli alunni che faranno ritorno.
Chi avesse qualche debito verso lo stabilimento deve nel ritorno portare il saldo unitamente all'anticipazione di un trimestre della pensione fissatagli.
Mentre le comunico queste cose La prego a gradire i scusi di profonda stima con citi godo professarmi, Di V. S.
Obbl.mo Servo
Il Direttore.
 
N.B. Il tempo stabilito per parlare agli allievi è da un'ora alle due pomeridiane tutti i giorni feriali.
 
Questo ed altri documenti di simil genere si giudicheranno di poca o nessuna importanza per le nostre memorie ma noi non vogliamo trascurarli perchè ciò che facevano i nostri maggiori sia quasi scuola d'esperienza e di norma a coloro che verranno dopo di noi.
In Torino intanto si poneva fine a una questione che aveva cagionato a Don Bosco gravi dispiaceri.
Due fratelli, Cesare e Domenico Bongiovanni, rimasero orfani in tenera età. Certa signora Domenica Bongiovanni vedova Musso, loro zia, si prese cura di essi, e conoscendo Don Bosco, verso cui aveva tutta la stima, volle affidarli a lui affinchè facesse loro insegnare una professione, con cui potessero col tempo provvedere ai bisogni della vita onoratamente e da buoni cristiani.
La zia suddetta, morendo, lasciava un testamento, in cui nominava Don Bosco erede universale di tutte le sue sostanze, coll'obbligo verso i suoi nipoti - “ di far loro insegnare una professione, così essa scriveva, perchè possano col tempo provvedere ai bisogni della vita onoratamente e da buoni cristiani, raccomandando caldamente ai medesimi di rispettarlo ed amarlo e di stare nel suo istituto il più che sarà possibile, od almeno fino all'età di venticinque anni. Qualora però (essa soggiungeva) giunti alla maggiore età, non volessero assolutamente rimanervi, allora il sig. Don Bosco sarà obbligato di corrispondere, a quello che sortirà, la pensione di lire cento (100) annue, pagabili a semestri. Giunti poi all'età di venticinque anni, pagherà ai medesimi il capitale di lire duemila per caduno e con ciò s'intenderà cessata la pensione. Potrà anche il sig. Don Bosco pagare anticipatamente le dette lire duemila od anche differirle sino all'età degli anni 30, qualora nella sua prudenza creda che ciò possa esser di utilità o convenienza ai detti miei nipoti ”.
Don Bosco si prese cura degli orfani, e vedendoli dotati d'ingegno svegliato e di buone qualità morali, ed anche per secondare le loro istanze, li applicò agli studi per la carriera ecclesiastica, a cui mostravano inclinazione. Domenico fece formale domanda a Don Bosco di essere avviato agli studi, dicendo che rinunziava ad ogni futuro compenso che avrebbe potuto esigere.
Pertanto il Venerabile mantenne i due fratelli durante tutto il corso ginnasiale, filosofico e teologico, senza aver da loro nessun profitto. Fatti poi sacerdoti, il fratello maggiore Cesare rimase con noi sino alla morte. Il pi√π giovane Domenico, resosi insubordinato, chiese egli stesso di uscire; e Don Bosco, che l'aveva fatto provvedere, prima delle ordinazioni, di un patrimonio ecclesiastico, gli permise di aggregarsi al Clero della Diocesi.
Uscito il D. Domenico pochi giorni prima che compisse i 25 anni, richiese le cento lire di annua pensione e il capitale di lire duemila, e Don Bosco non annuì alla dimanda, sperando che venisse a migliori consigli.
È da notare che la sostanza lasciata in eredità a Don Bosco consisteva in umili casette del valore complessivo di non più di cinquemila lire, quantunque molti anni dopo siensi alienate ad un prezzo discreto, essendo state espropriate dal Governo per la fabbrica di un arsenale. Ma stava il fatto che il Venerabile aveva speso assai di più per l'educazione dei due fratelli, ed anche solo per questo egli riteneva esorbitanti quelle pretese.
Il disgusto pel modo di procedere di Don Bongiovanni fu condiviso cordialmente da quanti conoscevano bene la cosa. Anche Mons. Gastaldi, in una lettera al Teol. Golzio, Rettore del Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi dove il Domenico si trovava per lo studio della Morale pratica, fece gravi rimostranze perchè si fosse permessa una lite contro una persona così rispettabile quale era Don Bosco.
Il Venerabile difese, a mezzo di procuratore, ciò che era persuaso fosse suo diritto, tanto più che Buzzetti, tutore degli orfani, conosceva e gli aveva chiaramente indicate le intenzioni della testatrice; e, finita la questione, coll'animo suo mite e tranquillo, perdonò di cuore a chi gli aveva cagionato danni e dispiaceri. Il Bongiovanni non fu contento di veder obbligato il Venerabile a dargli 2000 lire, ma ne pretendeva per via legale altre 2000, come eredità del piissimo suo fratello Don Cesare Giuseppe, morto salesiano nell'Oratorio, come abbiamo narrato nel Capo XXIII di questo volume. E il generoso Comm. Dupraz, amico di Don Bosco, s'interpose e tacitò il Bongiovanni con L. 1400
“ Dopo questa lite, attestò con giuramento lo stesso litigante, Don Bosco mi trattò sempre bene e direi quasi affabilmente, ed io sempre lo trattai con grande rispetto e venerazione e presi sempre parte a quella dimostrazione filiale che si faceva e si fa ogni anno in onore di Don Bosco concorrendo anche all'offerta per un regalo a Don Bosco ed intervenendo al pranzo che egli dava ai suoi antichi allievi. Da questo posso arguire che Don Bosco non ha conservato verso di me alcun rancore o freddezza, il che per la mia debolezza io non ho fatto”.
Don Albera ci assicurava che D. Bongiovanni negli ultimi anni manifestò più volte acerbo dolore di aver così disgustato Don Bosco e che, ricordando questo fatto, andava anche ripetendo:
 - Chi sa, se mi salverò io? !
Ma anche dopo morte, Don Bosco die' prova del suo perdono a questo suo ex - allievo, che fu il primo Curato di S. Alfonso in Torino, perchè trovandosi in disperate condizioni
finanziarie nel costrurre la nuova chiesa parrocchiale di S. Alfonso, fu più volte a pregare dinnanzi alla tomba del Servo di Dio in Valsalice, e non tardò a trovare le somme necessarie. Egli stesso ci raccontava prima le sue distrette, poi la grazia ottenuta.
A noi qui piace constatare come Don Bosco possedesse la virtù della giustizia in grado eroico, e con l'ordine voluto, verso il prossimo, dando unicuique suum. Omnibus omnia factus, non aveva per se stesso bisogno di sorta e tutto gli bastava, poichè rifuggiva dall'aversi il menomo riguardo. Non poteva essere ingiusto chi spendeva tutto se medesimo a vantaggio degli altri.
Non ostante la sua povertà e le difficoltà che dovette superare per tante sue opere, il Venerabile pagò sempre gli operai e i provveditori, e non si udì mai a dire che alcuno abbia patito danno per lui. Ciò è comprovato da molti, ad es. dai fratelli Buzzetti, capimastri e impresari, i quali cominciarono la loro fortuna nei lavori affidati loro da Don Bosco.
Carlo Buzzetti, che lavorò lunghi anni per Don Bosco e fu il costruttore del Santuario di Maria Ausiliatrice, e poi attese alla costruzione di un'altra chiesa in Torino, lagnandosi delle difficoltà che incontrava per quest'ultima, ricordava con piacere Don Bosco esclamando:
 - Una parola di Don Bosco per me vale più di una cambiale! Io, per lui, sarei pronto ad assumermi la costruzione di dieci chiese contemporaneamente!
Nell'ordinare lavori o provviste il Venerabile avvisava che probabilmente non avrebbe potuto tosto soddisfare alla spesa, perchè, vivendo di carità, doveva pur egli attenderla dalla Provvidenza; ma di mano in mano che era in grado, pagava anche senza esserne richiesto, e, non potendo in una volta, soddisfaceva a più riprese. Talora, avendo debiti rilevanti, si umiliava, richiedendo se potevasi condonargliene una parte a titolo di carità in favore dei suoi ricoverati. Non riuscendovi, pagava fino all'ultimo centesimo. Similmente dovendo soddisfare a più creditori, se non poteva pagarli tutti, sempre preferiva quelli che sapeva trovarsi in maggiore bisogno e ne avevano diritto.
Insomma fece sempre fronte ai suoi impegni, quantunque con suo dispiacere non potesse tal volta sdebitarsi alle scadenze volute, e tal altra dovesse chiedere nuove more per fare i pagamenti.
Ma la Madonna non mancava di aiutarlo. Le offerte arrivavano, giungeva il corriere della posta ed egli diceva poi a Don Rua: - Quanto è ammirabile la Divina Provvidenza: gli oblatori sono quasi tutte persone che non ci conoscono, non ci hanno mai veduti ed il Signore manda loro l'ispirazione di venirci in soccorso: ed ecco qui biglietti dalla Francia, dal Belgio, dall'Austria, dalla Germania, dalle Russie. Quanto dobbiamo essere riconoscenti alla Divina Provvidenza!
Egli aspettava tutto da Lei. Tranquillo, quando era privo di ogni mezzo materiale, non ricorreva a speculazioni. Il sig. Bisio un giorno gli fece proposta di un acquisto vantaggioso, di compra e di rivendita, ed egli lo riprese, assicurandolo che la Provvidenza l'avrebbe aiutato in altro modo.
Quando poteva, era scrupoloso nell'affrettare i pagamenti, temendo che qualcuno avesse a soffrir danno per qualche ritardo. Una volta Giuseppe Rossi gli disse come fosse entrata una somma e che si dovevano pagare delle provviste fatte per l'Oratorio:
 - Ebbene, gli rispose Don Bosco, va' subito a pagare quel debito con questo danaro, perchè questo danaro non è più nostro, ma è di chi ci ha fatte le provviste.
Altre volte, avendo ricevuto qualche offerta verso sera, disse allo stesso:
 - Se fosse conveniente andar a bussare a quest'ora alle porte dei creditori, fin di stanotte mi disferei di questo danaro.
“ Era tale il suo distacco dalle cose terrene, conferma il succitato Giuseppe Rossi, che egli era contento tanto quando aveva danari, come quando non ne aveva. Mi chiedeva tal volta: - A quanto ascendono i tuoi debiti? - E rispondendogli talora che eran di cento e più mila lire, rispondevami:
” - Pagheremo, pagheremo! Ho già fatto tanti calcoli e tutti saranno soddisfatti ”.
Noi poi abbiamo ammirato più volte la sua sollecitudine nel raccomandare ai dipendenti di esercitare col massimo scrupolo di coscienza la virtù della giustizia: ciò egli ripeteva continuamente nelle prediche.
Per questa sua Virt√π e per la costante attenzione e premura a soddisfare i debiti, ogni suo fornitore od impresario era disposto a somministrargli qualunque merce, o a fargli qualunque lavoro. Non pochi gli dicevano:
 - Noi siamo più sicuri del fatto nostro lavorando e provvedendo per lei che non per qualunque altro committente, sia pure un gran negoziante. - E ripetevano a Rossi Giuseppe: - Oh se facessero tutti, come loro dell'Oratorio, sì, che farebbe piacere mandar provviste! Quando veniamo all'Oratorio, non torniamo mai a casa senza ricevere qualche somma o acconto, e tosto o tardi il saldo.
Altri asserivano: - Don Bosco è un buon pagatore. Avessimo molti avventori, dei quali potessimo essere sicuri come di lui. Tarderà talvolta a pagare, ma pazienza! Siamo però certi di essere pagati.
Perfino gli Ebrei avevan piena fiducia di essere soddisfatti da Don Bosco a tempo debito, e volentieri aprivano con lui conti correnti e facevano contratti, fidandosi della sua parola.
In fine era tanta la fama della sua giustizia che molti dei suoi creditori ricorrevano a lui anche per risolvere pacificamente le loro questioni e ne avevano sempre consigli di buona riuscita per la pace e concordia delle famiglie.
Tutta questa fiducia veniva anche ricompensata in altro modo. Pareva che il Signore si compiacesse di benedire in modo affatto particolare coloro che facevano credito al suo Servo. Sta il fatto che essi stessi attribuivano la loro agiatezza o la buona piega che prendevano i loro pericolanti affari ai servizi che rendevano al Servo di Dio.
Non altrimenti il Signore benediceva in modo particolare tutti i suoi benefattori. Da molti noi abbiamo udito questa dichiarazione:
 - Più io do a Don Bosco, più i miei affari vanno prosperando.
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