Vita intima e regime dell'Oratorio - Bontà degli alunni - D. Antonio Grella - Lettera del Card. Antonelli -Progetto di una tipografia dell'Abate Rosmini - Sacerdoti accusati di ribellione -Inaugurazione del tempio valdese - Articolo del Rogantino e predizione di D. Bosco - Un pranzo agli operai - Lettera di D. Bosco al Card. Arcivescovo di Ferrara - Una disputa tra un avvocato e un ministro protestante: Dramma - Le galline di Mamma Margherita.
del 27 novembre 2006
 Ora ci invita a sè  la vita intima degli alunni di Valdocco. Fino al 1858 D. Bosco governò e diresse l'Oratorio come un padre regola la propria famiglia, e i giovani non sentivano che vi fosse differenza tra l'Oratorio e la loro casa paterna. Non si andava in file ordinate da un luogo all'altro, non rigore di assistenti, non coercizione di regole minute. Basti dire che al mattino, per conoscere chi non si fosse alzato da letto, nell'entrare in chiesa ciascuno doveva mettere nella tabella, posta vicino alla porta, un piccolo cavicchio di legno in un foro a fianco del proprio nome. Ciò bastava senz'altro controllo: perchè la coscienza era la prima regola.
Nei giorni feriali assistevano alla santa messa, durante la quale recitavano le orazioni, così dette quotidiane, col santo rosario e si finiva con una meditazione, ossia lettura di un quarto d'ora. Tutti i giorni vi era un certo numero che si accostava liberamente alla S. Comunione e la maggior parte tutte le settimane.
A mezzogiorno, ritornati gli studenti dalle scuole e gli operai dalle officine, sedevano alla stessa mensa, e quindi dopo un'ora di ricreazione si recavano alla scuola ed al lavoro. Verso le quattro pomeridiane i soli studenti ritornavano a casa a prendere la merenda ed a ricrearsi per un'ora. Gli artigiani avevano portata con sè  la loro porzione di pane.
D. Bosco, che non poteva stare senza i suoi giovani e ne investigava con pazienza le indoli, assisteva e prendeva parte ai loro divertimenti e ai loro canti in ogni ricreazione. Era uno spettacolo edificante ed ammirabile il vedere gli alunni che nel cortile andavano a gara nel circondarlo e godere della sua istruttiva e semplice conversazione. Stimavano un grande onore e una grande felicità trovarsi in compagnia di D. Bosco; e non solo lo amavano, ma lo veneravano e consideravano quale un santo. Egli raccontava loro qualche fatterello o ameno o edificante, e si approfittava di queste occasioni per avvertire o correggere secondo le circostanze e le sue parole erano raccolte come venute dal cielo.
Alle 5 gli studenti si ritiravano nella sala di studio, fino all'ora di cena: ma perchè due ore e mezzo di occupazione mentale sarebbero riuscite un peso soverchio negli ultimi venti minuti era destinato uno a far lettura di qualche bel racconto edificante che destasse vivo interesse. Dopo cena eravi per tutti la scuola di canto.
Alle 9 si recitavano le orazioni della sera: d'estate, sotto il porticato; d'inverno, nell'antica cappella tettoia, perchè il sermoncino famigliare che tenevasi dopo, D. Bosco non voleva che si facesse in chiesa a modo di predica. Qui egli aveva buon giuoco a dare un avvertimento, a rimediare a qualche piccolo disordine colle sue maniere così soavi e colle sue parole così insinuanti; e talvolta con una severità così paterna, che provocava in tutti la più salutare impressione.
Mentre si recitavano le orazioni, stando tutti genuflessi per terra, D. Bosco era sempre in mezzo ad essi; e finito un brevissimo esame di coscienza, saliva sopra una sedia, o sopra un'apposita cattedra per fare il detto breve ma efficace sermoncino.
Egli sapeva eccitare meravigliosamente l'amore a Dio ed a Maria SS., istillando ora una virtù ora l'altra secondo il bisogno e l'opportunità, e dando norme per il progresso nella via del bene. Talora riempiva i giovani di sacro orrore parlando della comunione sacrilega, talora li commoveva raccomandandosi alle loro preghiere con grande umiltà, perchè ne cum aliis praedicaverim, diceva, ipse reprobus efficiar. Non tutte le sere però trattava di argomenti di somma importanza, e quando non aveva cose da esporre per l'ordine della casa, spiegava il significato o di un nome di veste sacra per es. Dalmatica, Amitto, Pianeta ecc.; ovvero dava ragione di una frase rituale o del suo uso, Dominus vobiscum, Kirie eleison, Alleluia, Amen ecc.; come pure parlava di qualche arte, o invenzione moderna; ma intanto coglieva sempre occasione di dire quel che voleva e che gli stava a cuore. Non tralasciava eziandio di narrare l'origine di ogni festa istituita in onore della Madre di Dio e molte volte raccontava la vita del Santo del quale la Chiesa faceva memoria nel giorno seguente. Gli antichi alunni rammentarono come egli descrivesse al vivo S. Isidoro contadino, che mentre pregando arava i campi, con due altri aratri gli angeli lo aiutavano nel suo lavoro, sicchè abbondantissimi prosperavano i raccolti; e del fanciullo S. Cirillo di Cesarea di Cappadocia, il quale perchè cristiano, schernito dai compagni, scacciato dalla casa paterna, consegnato ai giudici che invano tentano impaurirlo con una finta condanna al fuoco, finalmente riceve la palma del martirio, dicendo agli astanti: “Rallegratevi del mio trionfo. Voi non sapete qual regno mi sia aperto e quale felicità mi aspetti!”
Disceso D. Bosco dal sermoncino, diceva una parola di confidenza all'orecchio di un gran numero di giovani, che andavano ad augurargli la buona notte e a domandargli consigli. D. Bosco per far del bene alle anime loro, avrebbe vegliato volentieri anche fino all'alba. E gli alunni si ritiravano nei loro dormitorii pieni di santi pensieri, e finivano la giornata con un po' di lettura spirituale, che si faceva da un compagno mentre gli altri si coricavano. Così tutto l'avvicendarsi della giornata li portava a non essere che buoni.
La loro bontà era tanto più soda, dacchè crescevano convinti delle verità della religione. D. Bosco alla domenica narrava dal pulpito con mirabile semplicità e naturalezza la Storia Ecclesiastica e la vita dei Papi, sentita e gustata molto dai giovani, i quali ne ricavavano sempre moralità adattata ad essi e relativa a que' tempi. E tanto si dilettavano di tali istruzioni, che desideravano ritornasse presto la domenica per udirne la continuazione e le spiegazioni.
La virtù poi manteneasi costante colla frequenza de' Sacramenti. D. Bosco godeva l'illimitata fiducia di quasi tutti i suoi alunni, e non si rifiutava mai di confessarli in qualunque tempo ne lo avessero richiesto. A garanzia però della maggior libertà il Teol. Marengo veniva a confessare ogni sabato sera e vi si fermava fino ad ora tarda e talvolta fino alle 11, e con lui alcuni altri sacerdoti invitati da D. Bosco.
Gli alunni vivevano alla presenza di Dio, e su tutte le mura leggevasi scritto a grossi caratteri: DIO TI VEDE. Con tale importantissimo ricordo D. Bosco sapeva loro ispirare un grande raccoglimento durante le preghiere, di cui rilevava l'efficacia dimostrandole un colloquio faccia a faccia con Dio stesso. Quindi anche le brevi orazioni, che precedevano e seguivano tutte le occupazioni di studio e di lavoro, e il pranzo e la cena, si recitavano con molta divozione. E non poteva essere diversamente, perchè tutti vedevano l'assiduità e la compostezza di D. Bosco alla chiesa, alle preghiere comuni, alla meditazione, ed alla recita del suo breviario, anche in tempo di gravi incomodi, per quanto poteva.
Perciò tutti ammiravano in molti giovani dell'Oratorio, come sempre ammirarono, un profondo sentimento di pietà, per cui riuscivano veri modelli di virtù; e tutte le volte che D. Bosco incontrava qualche difficoltà nelle sue imprese, faceva pregare dai giovani in modo particolare, ed otteneva le grazie domandate.
Molte volte vennero a lui sacerdoti direttori di istituti per la gioventù, e gli chiedevano quali erano le pratiche di pietà che compievano regolarmente gli alunni dell'Oratorio. Venne anche un tale che quasi lo rimproverava di trattenere i giovanetti in eccessive orazioni. D. Bosco rispondeva: Io non esigo di più di quanto si fa da ogni buon cristiano, ma procuro che queste preghiere siano fatte bene.
La loro divozione spiccava in modo sorprendente quando, al primo giovedì di ogni mese, facevasi l'esercizio di buona morte, pratica cui D. Bosco annetteva tanta importanza. Era solito a dire: - Io penso che si possa affermare assicurata la salvezza dell'anima di un giovane, che fa ogni mese la sua confessione e comunione come se fosse l'ultima della sua vita. - I giovani erano avvertiti qualche giorno prima di prepararsi, e si disponevano con profitto e con una serietà superiore alla loro età, tanto era il desiderio che aveva saputo ispirar loro D. Bosco, di far bene questo esercizio. Alla cara funzione per molti anni intervenivano personaggi insigni della città. Dopo la comunione generale e le note preghiere, pronunciate a voce chiara e adagio, D. Bosco non tralasciava mai di far recitare un Pater ed Ave per colui fra i presenti che sarebbe il primo a morire. I giovani ne ritraevano una grande impressione, ed in essi eccitavasi sempre nuovo e incredibile fervore. Per dare un'aria festiva a quel giovedì, si distribuiva il companatico a colazione. Quante volte D. Bosco in quei momenti venuto in ricreazione, esclamava in mezzo ad una folta corona di giovani - Oh se morissimo oggi, come saremmo contenti!
A quando a quando nella bella stagione egli soleva condurli a far questo esercizio in qualche chiesa nei sobborghi della città, con grande edificazione di quanti li osservavano.
Ed i giovani non solo mettevano in esecuzione esattamente le pratiche ingiunte, ma consideravano realmente quel giorno come l'ultimo della loro vita; e fin nell'andare a letto si componevano come sogliono essere composti i defunti. Bramavano addormentarsi col crocifisso tra le mani; anzi alcuni avrebbero proprio desiderato che Dio li chiamasse a sè  in tale notte siccome meglio preparati al terribile passo.
D. Bosco disse un giorno a D. Giacomelli: “Se l'Oratorio va bene, debbo attribuirlo specialmente all'esercizio della buona morte”.
Ci raccontava il Teol. Leonardo Murialdo: “Avendo Don Bosco condotto alla mia villeggiatura una sessantina de' suoi giovani per farvi una merenda, discorrendo famigliarmente tra noi, egli mi dichiarava che ove qualcuno di loro avesse avuto a morire nella notte improvvisamente, egli sarebbe stato tranquillo per la salute dell'anima sua. Il che provava il frutto della sua educazione”. E lo spirito di preghiera, oltre alla santificazione degli individui, faceva intervenire il Divino Pastore a proteggere il suo gregge. Infatti in tutte le novene principali dell'anno, specialmente in quella di Maria SS., se qualche lupo, fosse pur vestito colla pelle d'agnello, s'introduceva in casa, veniva scoperto e fatto fuggire.
Intanto per assicurare viemeglio il buon andamento dell'Oratorio, D. Bosco aveva chiamato in Valdocco D. Antonio Grella, perchè assumesse l'ufficio di catechista. D. Antonio che fin dai primordi dell'Opera ne era stato zelante cooperatore e che era favorito di tutta la fiducia di D. Bosco, acconsentì, e negli anni 1853 e 1854 attese con grande amore al non leggero incarico. Andato poi cappellano alla Borgata della Gorra presso Carignano, vi stette fino alla morte, venerato da tutti e chiamato il Santo della Gorra, specialmente per l'efficacia provata delle sue incessanti preghiere.
Ed appunto le sue preghiere e quelle dei giovani non erano per certo estranee allo sviluppo di quell'opera che già aveva e doveva ancor sortire tanto bene, le Letture Cattoliche e loro avevano meritata la benedizione del Sommo Pontefice.
D. Bosco compiuto il primo semestre delle Letture Cattoliche, ne aveva fatto legare pulitamente i dodici primi fascicoli che formavano sei volumetti, e per mezzo dell'Eminentissimo Cardinale Antonelli Segretario di Stato umiliavali al Santo Padre Pio IX. Il glorioso Pontefice gradì altamente quel dono, e diede incarico al medesimo Cardinale di scrivergli la seguente lettera.
 
 
 
“Ill.mo e Rev.mo Signore,
 
Mi diedi la grata premura di rassegnare al S. Padre in nome di V. S. i volumetti costituenti il primo semestrale prodotto della nuova pubblicazione periodica da Lei istituita, col titolo di Letture Cattoliche, in vantaggio della classe men colta, a fine di premunirla dalle seduzioni, che insistono a promuovere e diffondere i nemici della fede e della verità. La Santità Sua ebbe molto a rallegrarsi insieme con me dell'industrioso zelo, onde Ella è costantemente applicata in somministrare ai fedeli quegli speciali soccorsi di direzione che corrispondono ai bisogni dei tempi. E molto pur si compiacque in apprendere come l'indicato lavoro abbia tosto riscosso un'accoglienza non inferiore alle salutari viste della S. V. e degli altri, che lodevolmente impresero a coadiuvarla.
Nel tempo stesso il S. Padre, secondando ben volentieri il pio desiderio che Ella manifestava in fine della relativa sua lettera, degnossi compartire all'ottima di Lei persona ed a quanti Le prestano concorso ed assistenza nelle Letture Cattoliche l'apostolica benedizione, la quale contribuisca al progressivo prosperamento delle edificanti loro cure.
Ringraziandola della parte per me destinata nel cortese invio, torno con piacere a confermarle i sensi della mia distinta stima.
Di V. S. Ill.ma
 
Roma, 30 Novembre 1853.
 
Servitor vero
G. C. Antonelli”.
 
 
 
La lettera del Cardinale aveagli infuso nuovo vigore; e benchè mancasse di mezzi, stava meditando l'impianto di una tipografia sua propria, quando ricevette un foglio da Stresa.
 
Stresa, 7 dicembre 1853.
 
Mio Reverendo Signore ed Amico,
 
Pensando alla sua bell'opera dei poveri artigianelli, mi rammemorai un Istituto in parte simile, fondato da uno zelante canonico che conobbi e che mi pare si chiamasse Bellati, il quale per dar lavoro ad alcuni poveri giovani e qualche guadagno allo stabilimento ci aveva introdotta l'arte tipografica. Mi venne adunque il pensiero di proporre a Lei questo esempio di Brescia, acciocchè Ella consideri se una tale arte potesse essere utilmente introdotta nella sua istituzione di Valdocco. Quando Ella trovasse la cosa possibile ed opportuna, io sarei disposto a somministrare un moderato capitale per le spese di primo impianto. Le maggiori difficoltà ch'ìo ci vedessi sarebbero quelle di trovare un proto valente ed onesto e un amministratore attivo e integro per tenere la corrispondenza e dirigere l'economia.
Mediante una tale tipografia si potrebbero diffondere fogli, opuscoli ed opere utili, e il lavoro non mancherebbe, somministrandone una parte anche l'Istituto della Carità.
Voglia Ella considerare la cosa, e scrivermene, e baciando la mano ho l'onore di essere
Suo servo e fratello in Cristo
A. Rosmini.
 
 
 
 
Grande fu il piacere che recò a D. Bosco questa lettera, ma siccome non era l'uomo dei facili entusiasmi, rispondeva:
 
All'Ill.mo e Rev.mo Signore il sig. Cav. Ab. D. Antonio Rosmini. - Stresa.
 
Direzione centrale delle Letture Cattoliche (Caldamente raccomandate al Sig. Abate Rosmini).
 
 
Torino, 29 dicembre 1853.
Ill.mo e Rev.mo Signore,
 
Prima di rispondere alla venerata lettera di V. S. Ill.ma e Rev.ma ho voluto fare un calcolo sul mio presente stato finanziario e sulle difficoltà che si potrebbero incontrare per mettere in opera una tipografia nel senso che noi intendiamo.
Comincio per dirle che tale idea forma un oggetto principale de' miei pensieri da più anni, e la sola mancanza di mezzi e di locale me ne ha fatto sospendere l'esecuzione. Perciocchè manchiamo difatti di una tipografia in cui ci siano confidenza, economia e perfezione. Non ci sarebbero difficoltà da parte del proto, e credo nemmeno di un buono ed attivo direttore: ciò che mi si oppone sono le spese che dovrei fare per ridurre una parte del locale in costruzione a questo uso e le spese di primo impianto. Tuttavia, poichè Ella sarebbe disposta di somministrare un discreto capitale, io mi metterei quando che sia all'opera; ma mi fa mestieri che V. S. voglia degnarsi di significarmi fino a qual somma Ella possa e intenda far montare questo capitale e con quali condizioni mi sarebbe somministrato. Se queste due ultime clausole saranno compatibili col mio stato presente di cose, credo che la cosa si potrà effettuare e che il lavoro non mancherà, e che io potrò procacciar lavoro ad un buon numero de' miei ragazzi; ben inteso che m'è  indispensabile il suo aiuto morale forse più del materiale.
La ringrazio, di tutto cuore della bontà e della memoria che nutre per me e per questi miei poveretti, e non potendole altrimenti dimostrare la mia gratitudine, prego il Signore Iddio a voler colmare di sue celesti benedizioni Lei e tutto il benemerito Istituto della Carità.
Baciandole rispettosamente le mani mi dico colla massima venerazione
Di V. S. Ill.ma e Rev.ma
Obb.mo ed aff.mo servitore
Sac. Bosco Giovanni.
 
 
Mentre D. Bosco vagheggiava una tipografia, che sarebbe stata fra qualche anno una delle glorie dell'Oratorio, accadevano in Piemonte nuovi oltraggi ai Cattolici.
Nella seconda metà del 1853, per la gravezza delle tasse e il caro del pane, in Torino e in varie provincie eransi levate sedizioni, facilmente represse; ma le sette ed i giornali, a partito preso, accusavano il clero di averle eccitate. Ed ecco in dicembre una turba di montanari, della Valle d'Aosta, per gli stessi motivi, tumultuare armati. Invano il Vescovo Jourdan andò loro incontro cercando di calmarli, invano parlò, chè i furiosi spargendo il terrore scesero fino ad Aosta. Quivi però si erano dispersi gettando le armi, vedendo le porte ben custodite dalla milizia. Così finiva l'insurrezione; ma una delle sue conseguenze fu la prigionia di undici sacerdoti, dei quali nove erano parroci, i quali, con pericolo della vita, avevano seguito l'esempio del loro Vescovo, cercando di pacificare gli animi. Come Dio volle però dopo un lungo processo furono tutti dal tribunale dichiarati senza colpa.
Mentre il clero calunniato gemeva, i Valdesi godevano un'ora di trionfo. Il 15 dicembre essi inauguravano pubblicamente il loro tempio col concorso della Guardia Nazionale. Il ministro Amedeo Bert nell'orazione inaugurale aveva parlato degli antichi roghi e patiboli, spacciando i reali di Savoia come altrettanti manigoldi; ma la polizia nulla ebbe da osservare. Più tardi, nel 1855, sebbene si togliessero gli assegni al clero del Piemonte, il governo confermava quelli già prima stabiliti pel culto valdese; e fra altre dimostrazioni di benevolenza dispensava dall'esame i professori eretici del Collegio di Torre di Luserna.
Ma intanto, cosa singolare, prima ancora dell'inaugurazione del tempio, i Valdesi contro D. Bosco rivolgevano la punta dei loro scherni, riconoscendolo per uno dei primi avversarii. Infatti il Rogantino Piemontese, nel numero dei 2 ottobre 1853, in un articolo intitolato Fra Omero, dopo aver vilipesi i cattolici coi modi più insulsi, così scriveva: “Comincio a persuadermi che il nuovo tempio valdese non servirà più al culto evangelico, ma verrà consacrato a qualche madonna di nuovo titolo da prete Bosco. Dovevasi infatti aprire pel 20 ottobre, ma qualcuno dei muratori che vi lavorano intorno ha detto che sarà difficile. Basta: il tempo è galantuomo e Fra Omero.... si sta forse apparecchiando a cantare una messa in musica pel giorno dell'apertura e gliela serviranno da accoliti e cantori gli stessi protestanti e valdesi convertiti da lui”.
Sembra che fosse giunta all'orecchio dei Valdesi la parola detta da D. Bosco, e poi da lui ripetuta varie volte nel corso degli anni, fino al 1886: “Il tempio dei protestanti sarà cambiato in chiesa cattolica in onore di Maria SS.Immacolata. In quanto al tempo e al modo sta nelle mani di Dio, ma ciò avverrà certamente”.
Così D. Bosco continuava le sue battaglie, come uno che è sicuro della vittoria, e la sua tranquillità si manifestava dalla seguente letterina, mandata al suo Professore Teol. Appendino in Villa Stellone.
 
Direzione centrale delle Letture Cattoliche.
 
Torino, 18 dicembre 1853.
 
Car.mo Sig. Teologo,
 
La lettera del Sig. D. Chiattellino mi giunse troppo tardi e non mi fu più possibile concertare la partita dei cantori per Villastellone, secondo che V. S. amat.ma desiderava: moltiplicava le difficoltà un pranzo celebrato oggi dalla Società degli operai in questo Oratorio, della quale Società fanno parte essenziale i cantori.
Se questa volta mio malgrado non ho potuto appagare questo mio e suo desiderio, spero che mi porgerà altre occasioni in cui potrò dare a lei un segno sensibile della mia rispettosa gratitudine, con cui augurandole ogni benedizione dal Signore mi dico con tutta effusione di cuore
Di V. S. Car.ma
Aff.mo allievo
Sac. Bosco Giovanni
 
 
Il suo affetto per la classe degli operai era uno dei moventi a fargli scrivere i suoi libretti, dei quali la maggior parte avevano per fondamento un fatto vero disonorevole per l'eresia, del quale egli stesso era stato testimonio. E per diffonderli largamente nelle popolazioni, scriveva continuamente lettere a distinti personaggi, a sacerdoti e a Vescovi di varie diocesi. Ne conserviamo una indirizzata al Cardinale Vannicelli Cossoni Luigi, Arcivescovo di Ferrara.
 
Direzione Centrale delle Letture Cattoliche.
 
Torino, 19 dicembre 1853.
 
Eminenza Reverendissima,
 
Nella favorevole congiuntura che il Rev.mo Padre Novelli parte da questa capitale per recarsi a Ferrara, mi prendo la libertà di raccomandare al conosciuto zelo di V. E. R.ma la diffusione delle Letture Cattoliche; non già che dubiti del concorso di Lei, che si mostra sempre pronta alle opere di zelo, ma per farne tener copia direttamente a Lei, e così possa essere in grado di farle ad altri vedere. Quest'associazione è assai bene avviata, e contiamo già diciottomila associati.
Il Rev.mo Mons. Luigi Moreno Vescovo d'Ivrea, Direttore in capo di queste Letture, mi ha egli stesso dato onorevole incarico di scrivere su tale affare a V. E. e vi unirebbe una sua lettera se la partenza del prefato P. Novelli avesse dato campo a rendernelo avvertito.
Persuaso che voglia accogliere in buona parte questa mia lettera, mi raccomando di tutto cuore onde si degni supplicare il Signore Iddio ad aver pietà del povero Piemonte per cui corrono tempi veramente calamitosi per la nostra Santa Cattolica Religione: preghi eziandio per me e per un numero di poveri giovani, che umilmente domandano la santa e pastorale sua benedizione.
Il Signore colmi V. E. di sue celesti benedizioni, e la conservi lungo tempo a bene di Santa Chiesa.
Colla massima venerazione mi dico
Di V. E. Rev.ma
Obblig. Servitore
Sac. Giovanni Bosco
 
 
Ma oltre ai libretti, un'altra arma aveva adoperato Don Bosco contro i protestanti, col fine di premunire i suoi giovani dai loro errori: questa fu un dramma che egli scrisse in due atti, col titolo: Una disputa tra un avvocato e un ministro protestante. Molte volte fu rappresentato sul teatrino dell'Oratorio, e nel mese di dicembre era dato alle stampe. D. Bosco vi poneva in fronte la seguente prefazione:
 
“Al Lettore.
 
Le prove fatte dai figli che intervengono all'Oratorio di S. Francesco di Sales per rappresentare questo dramma e la soddisfazione dimostrata da quelli che trovavansi presenti, fanno sperare che non debba riuscire discaro ai nostri lettori, l'inserirlo in una dispensa delle Letture Cattoliche.
I fatti che riguardano alla famiglia di Alessandro (un apostata) sono storici; la disputa poi è un tessuto di fatti egualmente storici, ma altrove avvenuti, ed ivi collocati per uniformarmi alle regole del dramma.
In tutto quello che ivi si dice dei protestanti, intendo di escludere ogni allusione personale, avendo unicamente di mira la loro dottrina e gli errori in essa contenuti.
Credo che sia facile il rappresentare questo dramma tanto nelle città quanto nei paesi di campagna, e che mentre la verità e l'intreccio delle cose renderanno piacevole il trattenimento, l'errore verrà pure manifestato e la verità conosciuta a maggior gloria di Dio, a vantaggio delle anime e a decoro della nostra Santa Cattolica Religione.
 
Sac. Bosco Giovanni”.
 
 
Questa recita, oltre all'istruire i giovani dell'Oratorio procurò loro un'amena ricreazione.
Margherita nel mese di ottobre era andata a Castelnuovo per qualche settimana, chiamatavi dai varii affari. Una sera, verso le 6 e ½ essendosi già le galline ritirate nel pollaio, mentre i giovani dell'Oratorio erano occupati nei loro studi e lavori, ecco ritornare Margherita con la sorella di D. Giacomelli. Si sparge come un baleno la notizia, le grida di viva mamma risuonano da ogni parte, i giovani le corrono incontro nel cortile, la circondano battendo le mani, mentre essa ridendo si sforzava di ripetere quieti, quieti. Ma la sua voce produsse un altro effetto, non pensato. Le galline nel pollaio si svegliarono a tanto fracasso e udendo quella voce nota, che da più giorni non le chiamava, cominciarono a cantare, quindi uscirono tutte dal pollaio e corsero esse pure intorno a Margherita. I giovani a quello spettacolo morivano dalle risa e fecero passaggio alle galline, alle quali Margherita prese a distribuire briciole di pane.
Il pollaio infatti era il suo regno e le galline i suoi sudditi, prestandosi a lei così obbedienti, che, quando voleva prenderne una, chiamavala, le si accostava, le metteva sopra la mano senza che quella facesse nessun atto di sfuggire. Questa sua affezione per le galline era cagione di molta ilarità nell'Oratorio. Quando adunque si recitò per la prima volta la sullodata azione drammatica Mamma Margherita andò cogli altri. Un attore, descrivendo come i protestanti confusi e vinti dalle ragioni dell'Avvocato si fossero dileguati, diceva
“Fu proprio un bel giuoco: un bel giuoco propriamente. Uno per volta, uno per volta se ne andarono tutti e tre. Mi pare che abbiano fatto come fanno le volpi alle galline. Le volpi girano attorno alle galline, e se non le vedono ben custodite, si avventano, e, se possono addentarne una, la pigliano, se la portano via con festa. Ma se vedono il padrone che le adocchi con un bastone, oh! no, no, non vanno più oltre a fiutare, ma subito, gambe, aiuto. Questi signori ministri si pensavano di trovare le galline abbandonate, ma trovarono chi le difendeva con un buon bastone, cioè con buone ragioni”.
Finita la rappresentazione, congedati gli spettatori, Don Bosco diceva agli alunni che gli stavano tutti intorno: - Ciò che più di tutto avrà colpito la fantasia di mia mamma sarà certamente il paragone della volpe e delle galline.
Infatti essendo essa sopraggiunta ed avendole i giovani fatta intorno corona, D. Bosco la interrogò:
- Anche voi siete venuta al teatro. E che cosa ne dite?
- Tutto bello, rispose Margherita; ma quella volpe e quelle galline mi hanno toccato il cuore.
E tutti a ridere.
Ma non ne risero i Valdesi, i quali conoscevano come veramente fossero state svolte con loro vergogna quelle dispute tra essi e D. Bosco. Questo dramma fu considerato come un nuovo guanto di sfida, levò un immenso rumore nel loro campo, e D. Bosco alle loro recriminazioni rispondeva con articoli stampati sull'Armonia, che per vari anni annunziava il titolo di ciascun opuscolo delle Letture Cattoliche. Ma la guerra dei settari non era di sole parole; D. Bosco però era difeso in modo meraviglioso dalla Provvidenza divina.
 
 
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