Decreto del “ Tuto ”
del 12 dicembre 2006
Nella Chiesa non si fanno davvero a vapore i Santi! Neppure l'approvazione dei miracoli permette di procedere senz'altro alla beatificazione, ma ci vuole ancora una Congregazione generale detta del Tuto. Quale sia l'oggetto di quest'atto finale della procedura canonica, lo spiegò molto bene il Papa Pio XI nel suo discorso dopo la proclamazione del tuto per la beatificazione del Venerabile Pignatelli e della Ven. Caterina Labourè . Disse allora il Santo Padre:
 
Che cosa significa la parola tuto? A una paroletta latina che significa “fuori di pericolo ” ossia “ senza pericolo ” cioè con sicurezza. Tuto equivale a “ una sicurezza da ogni pericolo ”. Per comprendere di che pericolo si tratti, basta leggere quel “ dubbio ” che sta in capo al decreto, e a cui il decreto risponde: se cioè, dopo l'esame e l'approvazione dei miracoli riconosciuti come tali, dopo tutto quel complesso di atti, che tali approvazioni presuppongono (processi locali e ordinari, processi apostolici, ecc.), perchè la Santa Chiesa è davvero instancabile nelle sue ricerche e constatazioni; se dopo tutto questo, si possa procedere senza pericolo agli ulteriori atti della beatificazione e canonizzazione; senza pericolo dunque di cose meno vere e meno buone, senza pericolo per la verità e per la bontà. In queste Cause l'importanza è che quello che si è detto in favore dei Servi di Dio sia vero, e quello che è vero sia buono, egregiamente buono, eroicamente buono. Può sembrare ad alcuni che la Chiesa sia eccessiva nel suo studio di esattezza, se dopo tante ricerche vuole ancora la sicurezza, il tuto, per pronunciarsi; ma non ci vuole meno quando si tratta di verità e di bontà portate in tal campo; non ci vuole meno per una inchiesta che si spinge fino al trono di Dio per ammirarvi i frutti più squisiti della Redenzione e prendervi splendenti ed imitabili esempi da proporre; non ci vuole, per tutto ciò, meno di una tenace ricerca della sicurezza assoluta. La Chiesa vuole la sicurezza e la possiede non solo per la santità ufficiale, riconosciuta, ma anche in altri campi, che però non sono del tutto diversi, perchè si tratta ancora della santità. La Chiesa ha il privilegio, il segreto della sicurezza: essa è la sicura custode della verità e del bene. Verità e bene sono le due parole che sole rispondono pienamente all'essere, alla perfezione dell'intelligenza e della volontà dell'uomo, e perciò sono le più interessanti e le più importanti.
Quanto alla verità, è evidente per tutti quelli che sono - nati - come direbbe il Poeta - alla scuola delle celesti cose, per tutti i figli devoti della Chiesa è evidente che essa è la infallibile maestra della verità rivelata; questa fu data alla Chiesa perchè la custodisse, la insegnasse, la interpretasse. Docete omnes gentes... Ecce ego vobiscum sum usque ad consummationem saeculi. Lo Spirito Santo che da me procede, ille vos docebit omnia; e voi insegnate agli uomini servare omnia quaecumque mandavi vobis. Il divino Maestro cioè consegna alla sua Chiesa la Rivelazione non a misura, ma a corpo intero, con la promessa di una assistenza perpetua, che si potrebbe quasi dire doppiamente divina: quella del divino Redentore, che parla, e quella del divino Paraclito, che viene promesso.
Ma anche fuori della Rivelazione, anche nell'àmbito delle verità naturali, è pur tanto necessaria la sicurezza, specialmente di quelle verità, che riguardano Dio, l'anima, l'origine, la natura, la destinazione dell'uomo, i suoi rapporti col suo simile, col creato, col Creatore. Anche in questo campo la Chiesa offre la sua sicurezza: Docete omnes gentes... vobiscum sum... docebit vos omnia. Qui la Chiesa santa, maestra di verità rivelata, diventa la provvida e sicura tutrice della verità naturale; anche in questo campo di verità naturali porta la sua luce, il suo tuto. Così la Rivelazione porge la mano alla povera intelligenza umana, che nel suo affaticato pellegrinaggio in cerca della verità si era smarrita. Qual beneficio, quale provvidenziale beneficio non è mai questo!
E riguardo al bene, quante incertezze anche qui nella vita quotidiana, nella vita vissuta! Dov'è il bene? dov'è la giustizia? dove comincia? dove finisce? Quante volte in nome della giustizia si sono compiute le ingiustizie più crudeli! Quante volte, in nome del bene, il bene è stato sacrificato! Solo la Chiesa ha detto sempre a chi lo domandava ed anche a chi non lo domandava, inviando i suoi Pastori, i suoi ministri, solo la Chiesa ha detto a tutti: Fin qui, giusto; più in là non è giusto: fin qui si può, più in là non si può. Solo la Chiesa insegna a chiamare sempre e in ogni circostanza le cose coi loro nomi: l'ultima e - suprema intimazione ch'essa fa al Vescovo nell'atto della sua consacrazione è appunto questa: Le tue labbra non dovranno dire male al bene, nè bene al male.
Anche questa inestimabile sicurezza nella verità e nel bene, sicurezza dell'intelligenza e della volontà, anche questo, anzi proprio questo è un frutto e frutto preziosissimo della Redenzione.
 
Scopo dunque dell'ultima Congregazione generale si è di decidere se con indubbia sicurezza si possa procedere alla beatificazione, ed ecco in che modo vi si arrivò per Don Bosco. Il Procuratore Melandri stese una supplica al Santo Padre, affinchè, dopo aver riconosciuto il felice risultato di tante indagini, si degnasse compier l'opera decretando potersi con sicurezza venire alla solenne beatificazione del Servo di Dio. Questa supplica, il testo dei decreti approvanti l'eroismo delle virtù e la realtà dei due miracoli e il parere ragionato di Monsignor Salotti, Promotore Generale della Fede, riuniti in un solo fascicolo a stampa, formarono la posizione per la Congregazione del Tuto. Una circostanza vi era opportunamente messa in bel rilievo dal Salotti, che, deposta ormai la penna del censore, aveva impugnata quella dell'ammiratore devoto. Nel 1929 la beatificazione di Don Bosco andava a coincidere con il giubileo d'oro sacerdotale del Papa. Ricordando sì fausto incontro di date, il Promotore della Vede si disse certo d'interpretare il pensiero del Santo Padre, asserendo che la simultaneità dei due avvenimenti doveva tornare oltremodo gradita alla Santità Sua. Che egli, così scrivendo, non andasse lungi dal vero, il Papa medesimo lo diede in seguito chiaramente a conoscere.
I Cardinali dunque e i Consultori dei sacri Riti, adunatisi per l'ultima volta il 9 aprile 1929 alla presenza del Papa, diedero voto favorevole circa il potersi tuto procedere alla solennità della beatificazione. Il Papa allora rinviò ad altro giorno la manifestazione del suo giudizio definitivo, desiderando prima implorare i lumi celesti. Finalmente fissò la cerimonia al 21 seguente. In quel giorno con le formalità già descritte per i decreti delle virtù e dei miracoli fu data pubblica lettura di quello del Tuto. Del decreto questa è la fedele versione.
 
Molte e grandi e mirabili cose operò il Ven. Servo di Dio Giovanni Bosco per promuovere la gloria del Signore e provvedere alla salute eterna dell'uman genere. Quale uomo mandato da Dio a compiere questa duplice missione, incominciò dal coltivare i giovani, che ammaestrò nei precetti e nei doveri della religione, educò a buoni costumi, curandone anche alacremente l'istruzione civile, e lavorò con ogni impegno affinchè del beneficio della Redenzione approfittasse il maggior numero possibile. La sua volontà di guadagnare a Dio quante più anime potesse non conosceva confini, e si adoperava con tutte le forze per abbracciare col suo ardente zelo apostolico e attirare tutte le genti. Difetto di mezzi umani, contrarietà non poche venutegli anche da uomini investiti d'autorità, difficoltà sorte dalla natura stessa delle cose, ostacoli d'ogni genere avrebbero dovuto abbatterne l'animo; ma Giovanni non ristette un momento dalle sue sante fatiche, e con l'aiuto di Dio condusse le opere intraprese al fine desiderato e si procurò un nome immortale, degno d'ogni più ampia lode. Scrisse anche e divulgò molti libri oltremodo adatti a risvegliare nel popolo la divozione e ribadire i principii e i precetti cristiani, libri che anche oggi sono tenuti in gran pregio. Ora, se paragoniamo la mancanza, in cui spesso venne a trovarsi, d'umani sussidi con la grandezza delle cose compiute e i benefici arrecati ad ogni ordine di cittadini, ci parrà di vedere in lui un prodigio quasi nuovo. Prodigio, dico, poichè la generosità divina, gareggiando quasi con la fiducia incrollabile e la liberalità di Giovanni, parve accrescerne le forze, moltiplicarne le facoltà, fecondarne meravigliosamente le fatiche.
 Ma una cosa ancor più degna di destar meraviglia, è vedere un uomo di tal genere, occupato in ardue imprese, frequentemente esposto a più pericoli, che viveva in mezzo ai fanciulli e trattava con gente d'ogni sorta, non ristare un sol momento dall'esercizio delle virtù cristiane, raggiungere anzi in esso le altezze dell'eroicità, come fu riconosciuto e definito, dopo giuridico e severo esame, col decreto promulgato solennemente il 20 febbraio 1927. Intanto erano avvenuti, dopo la morte del Ven. Servo di Dio, molti prodigi, dei quali due, quanti erano richiesti dall'indole della Causa, giuridicamente discussi ed esaminati col consueto rigore, furono annoverati tra i miracoli col decreto del 19 dello scorso mese di marzo. Una cosa tuttavia rimaneva ancora da discutere, se cioè si possa con animo sicuro procedere alla solenne beatificazione del Ven. Giovanni Bosco. Questo fu fatto nella Congregazione Generale finale tenuta alla presenza della Santità di Nostro Signore Pio XI, nella quale il Rev.mo Card. Alessandro Verde, Relatore della Causa, propose il seguente dubbio: Se, in seguito all'approvazione delle virtù e di due miracoli, si possa procedere sicuramente alla Beatificazione del Ven. Servo di Dio. Quanti Reverendissimi Cardinali e Padri Consultori erano intervenuti, diedero, nell'ordine prescritto rituale, voto favorevole, del quale la Santità di Nostro Signore si rallegrò, ma giudicò opportuno rinviare ad altro giorno la pubblicazione della sentenza, per potere nel frattempo implorare i celesti lumi. Avendo poi stabilito di manifestare la sua deliberazione, scelse a tale scopo la giornata odierna, III Domenica dopo Pasqua, e dopo aver celebrato con fervore il divin Sacrificio, fece chiamare a sè i Reverendissimi Cardinali Camillo Laurenti, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, e Alessandro Verde, Ponente della Causa e insieme il Rev. P. Carlo Salotti, Promotore Generale della Fede, e me sottoscritto Segretario, alla cui presenza, entrato in questa augusta aula, e assisosi nel trono pontificio, dichiarò con decreto solenne: potersi procedere sicuramente alla solenne beatificazione del Ven. Giovanni Bosco. E comandò che il presente decreto fosse reso di pubblica ragione e inserito negli Atti della Sacra Congregazione dei Riti e che fossero spedite le Lettere Apostoliche in forma Brevis per la solennità della beatificazione da celebrarsi quanto prima nella Patriarcale Basilica Vaticana. - 21 Aprile, I929.
 
Subito dopo la lettura di questo decreto il Segretario dei Riti Monsignor Mariani ne lesse un secondo, che riconosceva il martirio del Ven. Cosma da Carboniano, ucciso per la fede il 5 novembre 1707. Quando i decreti sono più di uno, la Congregazione dei Riti designa colui che deve rivolgere al Santo Padre l'indirizzo di ringraziamento. Allora la scelta cadde su Monsignor Der - Abrahamian, che parlò a nome della Gerarchia, del Clero e del popolo armeno. Naturalmente ringraziò pure a nome dei Salesiani per la beatificazione del loro fondatore, dicendo: “ Non è ancor spenta l'eco della vostra voce sovrana, con cui in altra recente occasione per l'approvazione dei miracoli del detto Servo di Dio, la medesima Santità Vostra rendeva i meritati elogi a questo singolare e santo educatore di giovani e di anime. Mi passo quindi dal parlarne di nuovo. Solo mi piace ricordare un fatto personale, ed è che ancora vive in me la soave figura di quell'uomo di Dio e l'impressione lasciatavi allorchè ebbi la consolazione di baciargli la veneranda mano e riceverne la patema benedizione, impressione che non si è mai cancellata dalla mia mente ”. Infine prese la parola il Santo Padre, che seppe intrecciare magnificamente le lodi del Martire e del Confessore.
 
Avete udito, dilettissimi figli, e con noi accolto con pietà e giubilo, con intimo senso delle cose sante, i due decreti or ora letti, il primo per la proclamazione del martirio di Cosma da Carboniano, gloria dell'Armenia, e l'altro per il potersi con sicuro animo procedere alla solenne beatificazione del Ven. Servo di Dio sacerdote Giovanni Bosco, gloria d'Italia, e cosa immensamente più grande, gloria di tutta la Chiesa cattolica.
In queste due enunciazioni è già tanto splendore, tanta altezza, tanta edificazione di grandi e sante cose che veramente la tentazione sarebbe di lasciarle parlare tutte sole con il loro inimitabile significato. Ma è pur delle grandi cose richiedere un qualche commento, un commento che corrisponda al dovere di aggiungere alle cose stesse qualche cosa per la maggiore fruttificazione spirituale di esse. E qui dobbiamo anche aggiungere il bisogno del cuor nostro, vogliamo dire della nostra personale, profonda, cordiale simpatia verso i due temi del duplice decreto. La diremo dunque questa parola, anche, lo sappiamo bene, per rispondere al desiderio vostro, o dilettissimi figli e sarà una sola fulgente parola, in una grande ricchezza e varietà di cose; una parola sulla divina fedeltà, e sulla incomparabile saviezza di quella grande Madre e Maestra che è la Chiesa; una parola di ammirazione e adorazione per tutte quelle finezze di infinita bontà e, stavamo per dire, infinita eleganza onde la divina Provvidenza sa impreziosire le cose già per se tesse infinitamente preziose.
Diciamo divina fedeltà. E ci sembra davvero che sia questa l'idea che s'impone all'udire (come abbiamo udito nel Decreto e nell'eloquente calda parola del suo interprete, nel quale ci piace di vedere quasi tutta l'Armenia qui presente) la rievocazione del Servo di Dio Cosma da Carboniano risalente fino alla lontana data della sua nascita nel 1658 ed a quella, di poco meno lontana, della sua morte nel 1707. Siamo a distanza di secoli, dilettissimi figli, ma anche a distanza di secoli la divina Bontà, la divina Fedeltà non ha dimenticato quel Servo fedele, generoso, eroico fino alla morte. Si direbbe che si è data essa medesima la cura di andare a riaprire la sua tomba gloriosa e che sembrava quasi dimenticata, e di chinarsi a far quasi rivivere quelle ossa, proclamando la loro gloria al cospetto degli uomini, coram Ecclesia e chiamando l'antico martire agli splendori dei più alti onori. È costume di Dio questo, è il costume della sua divina volontà. Può sembrare talvolta che Iddio non pensi più a noi, come talvolta dice qualche anima caduta nel fondo della tristezza, che Dio di noi non si curi. Ma è proprio allora che il Signore dimostra nei modi più evidenti la cura costante che ha delle cose sue. Fidelis Deus, è questa la parola che il martire ci grida dal suo sepolcro glorioso, E noi, dilettissimi figli, avremo sempre torto, sempre, inevitabilmente, in ogni circostanza di cose, quando la nostra fiducia in Dio anche per poco vacilli. Ed è proprio questo che un santo sacerdote, un umile Servo di Dio ci diceva nei primordi del nostro sacerdozio oramai arrivato ai suoi 50 anni: “ badate bene, quello che più spesso ci manca è la fiducia nella fedeltà di Dio, così come essa è veramente, vale a dire senza limiti e senza misura ”.
Dilettissimi figli, vi lasciamo con la memoria che ci viene dalla tomba del martire e delle parole del buono ed umile Servo di Dio, perchè non è soltanto un'utile lezione che spesso ci viene in tanta amara lezione di cose, in tanto buio del presente e in tanta tenebria di avvenire, ma diventa anche in questi casi una grande consolazione e un grande conforto. E poi dobbiamo aggiungere che è precisamente questa fiducia immensa, inesauribile, salita fino alla grandezza di un continuo miracolo morale, quella che ha lasciato un giorno ai suoi figli ed ora, può ben dirsi, a tutto il mondo cattolico, il Ven. Don Giovanni Bosco. Basta confrontare gli umili inizi dell'opera sua con gli splendori che essa oggi ci offre, basta riflettere sulle difficoltà di ogni genere, materiali e morali, da nemici e talvolta anche da amici, alle infinite difficoltà che egli dovette superare e poi alla magnificenza e all'eleganza del trionfo mondiale, ancor lui vivente, per comprendere quanto possa la fiducia in Dio, la fiducia nella fedeltà di Dio, allorchè un'anima sa dire veramente: scio cui credidi.
É proprio questa l'impressione che abbiamo ancor viva nell'animo e che riportammo negli anni nostri giovanili dalla conoscenza che per divina Bontà e disposizione potemmo avere col Ven. Servo di Dio, un uomo che parve allora e poi sempre invincibile, insuperabile, appunto perchè fermamente, solidamente fondato in una fiducia piena, assoluta nella divina fedeltà.
Accennammo poi all'insuperabile sapienza di questa grande Madre e Maestra che è la Chiesa, poichè è essa che viene come Madre benigna, riconoscente al figlio che l'ha glorificata, viene a deporre questa grande corona del proclamato martirio sulla tomba di Cosma da Carboniano; è essa, la grande maestra che viene a proporlo all'ammirazione e all'imitazione di tutti. Grande onore, grande gesto questo della Chiesa, ma veramente e sapientemente proporzionato alla grandezza del merito. É sapiente la Chiesa quando, trattandosi di un martire non cerca altro: dixi martyrem, satis est. Riconosciuto il martirio non occorrono più altri miracoli, perchè basta questo che la miseria umana, con l'appoggio della grazia divina, ha saputo produrre. E la Chiesa se ne accontenta, gloriosa nella sua sapienza, anche in questa sobrietà di esigenze che in altri eroi di santità, come fu testè udito per Don Bosco, è così scrupolosa ricercatrice non solo della verità, ma anche delle prove della verità discussa, controllata, dimostrata non Solo con qualunque certezza, ma con la certezza giuridica e piena, piena anche nelle prove. Davanti al martirio invece, la constatazione di questo basta, perchè la Chiesa nella sua sapienza sa che veramente una grande e straordinaria cosa è il martirio, Fu ben detto con parola veramente degna del genio che la debolezza umana, anzi l'umana grandezza non potrebbe, non potrà mai fare gesto più fastoso di quello che fa avvolgere un pover'uomo nella porpora del proprio sangue e assidersi così come testimone, difensore, assertore della verità e della giustizia, di quella verità e di quella giustizia che tutto giudica e tutto misura e di cui il martire sorge a difesa e riprova. È questo il magnifico spettacolo che ci dà l'umile sacerdote armeno.
Ma si direbbe che questa Madre santa, la Chiesa, venisse meno alla sua saggezza allorchè propone tale grandezza e fastosità di cose all'imitazione. Come si proporrebbe cose così grandi ed eroiche all'imitazione comune? Eppure la Chiesa sa, che questi esempi sono sufficienti, al momento necessario, a suscitare gli eroi, una vera folla di eroi, una vera folla di eletti: parole che potrebbero sembrare una contraddizione in termini, ma che corrispondono perfettamente alla realtà, a quella realtà, che è una delle prove più divinamente splendide nella storia della santità della Chiesa.
Ma c'è pure un'altra imitazione che la sapienza della Chiesa Madre suggerisce nel proporre i martiri all'imitazione dei fedeli; giacchè non c'è soltanto il martirio cruento del sangue, ma c'è anche il martirio incruento, anzi c'è un'infinità di incruenti martirii attraverso le diverse condizioni e tutti i diversi gradi della scala sociale. Ed anche qui c'è una bella parola di un antico Santo e dottore che dice che le celebrationes martyrum sunt exhortationes martyriorum, le celebrazioni dei martiri sono esortazione ai martirii. Ci sono infatti le anime, le vite cristiane che, infiammate dagli esempi del martirio, volontariamente si consacrano al prezioso martirio incruento, necessario per custodire inviolata la castità. C'è il martirio incruento di tante anime che volontariamente, anche quando tutto è loro offerto e tutto sta nelle loro mani, tutto abbandonano e a tutto rinunciano per abbracciare tutte le privazioni della povertà. C'è il martirio incruento di tante volontà che nella piena consapevolezza dei propri diritti e della propria dignità, rinunciano alla propria libertà per sottoporsi interamente, inviolabilmente all'ubbidienza, anche quando questa viene avvolta nelle tenebre di consigli non bene conosciuti e non bene Potuti comprendere. Ci sono infine tanti e tanti altri martirii incruenti nella semplicità delle più umili case e famiglie cristiane. Quanti veri martirii affrontati per custodire la purezza e la dignità delle famiglie! Quante lotte talvolta veramente sanguinose, di quel sangue morale che sono le privazioni e le lacrime per non acquistare a prezzo di onestà dei vantaggi troppo cari! Quanti martirii incruenti per mantenersi puri, illibati, degni del nome di uomini e di cristiani in mezzo a così profonda depravazione, per conservarsi giusti in mezzo a tanta e così sfrenata corsa al danaro, per conservarsi umili, di vera, cristiana umiltà di spirito e di cuore in mezzo a tanta superbia di vita e a tanta sfrenata corsa al potere e al prepotere! E la Chiesa da tutti i suoi figli si aspetta l'eroismo del martirio, perchè davvero chi può sottrarsi a tali martirii incruenti? Giacchè dovunque sono doveri da compiere, dovunque sorgono difficoltà ed ostacoli al compimento del dovere è lì che il martirio incruento delle anime deve generosamente affrontarsi in modo degno della gloria di Dio e della sua Chiesa.
E vogliamo finire nel ricordo delle finissime ed elegantissime combinazioni e disposizioni della Provvidenza divina. Questo umile martire già così glorioso che dopo tante difficoltà e contrarietà di uomini, di tempi, di cose, viene, per così dire, alla ribalta della storia proprio oggi, viene dalla disunione di prima, all'unione voluta, cercata, effettuata nell'unità della Chiesa cattolica e confermata col sangue, viene a direi tutte queste cose proprio in un momento nel quale per tutta la Chiesa cattolica vige tanto studio, con zelo superiore ad ogni elogio, per l'unità. Ed ancora questa nostra antica conoscenza di Don Bosco e (possiamo pur dirlo) antica amicizia, benchè noi fossimo al principio del nostro sacerdozio ed egli fosse oramai vicino al suo luminoso tramonto, questa nostra amicizia sacerdotale che ce lo fa rivivere nel cuor nostro con tutta la letizia, la giocondità, l'edificazione della sua memoria, si ravviva proprio in questi giorni e in queste ore, mentre la figura del gran Servo di Dio si profila all'orizzonte non solo di tutto il suo paese, ma anche di tutto il mondo, proprio mentre avvenimenti di così particolare e solenne importanza sono stati registrati nella storia della Santa Sede, della Chiesa, del Paese. Poichè è bene ricordare quelle che già abbiamo ricordato con qualche cognizione di causa come Don Bosco fosse proprio uno dei primi e più autorevoli e più considerati a deplorare quello che un giorno avveniva, a deplorare tanta manomissione dei diritti della Chiesa e della Santa Sede, a deplorare che quelli che allora reggevano le sorti del Paese non fossero rifuggiti tanto spesso da cammini che non si potevano percorrere che calpestando i più sacri diritti. Ed era anche tra i primi lo stesso Don Giovanni Bosco ad implorare da Dio e dagli uomini un qualche possibile rimedio a tanti guai, una qualche possibile sistemazione di cose, cosicchè tornasse a splendere col sole della giustizia la serenità della pace negli spiriti. La divina Provvidenza lo conduce, lo propone alla pienezza dei sacri onori proprio in quest'ora, e la beatificazione di Don Bosco sarà la prima che avremo la consolazione di proclamare in faccia al Mondo dopo la conclusione degli avvenimenti già da lui auspicati. Non resta che ringraziare ed ammirare. Quando abbiamo da fare con un Signore così fedele, con la Provvidenza così squisitamente ed elegantemente generosa nelle sue disposizioni, che cosa possiamo temere o che cosa non possiamo sperare, confidare, nella certezza di essere esauditi?
É con questi sentimenti che vi impartiamo la Benedizione Apostolica anche per rispondere alla filiale richiesta che ce ne è stata fatta. La impartiamo a tutti e singoli i presenti e a tutto ciò che ognuno di essi rappresenta: in modo tutto particolare alla grande famiglia di Don Bosco, a tutti i suoi figli e a tutte le sue figlie, a tutte le loro case ed istituti, tanto largamente diffusi in tutto il mondo, che ben può dirsi che per mezzo di loro a tutto il mondo giunga questa nostra stessa benedizione.
E poi una benedizione veramente paterna ed affettuosa è quella che diamo a tutta questa cara Armenia nostra, a tutti questi cari figli armeni, dovunque li abbia dispersi la bufera, la tempesta sanguinosa della guerra, una benedizione piena di desiderio paterno, pastorale, di vedere finalmente sollevati e consolati da tante loro pene e sacrifici e sangue, tanti dilettissimi figli, e di vedere altresì (come il venerabile martire ce ne dà sì bello auspicio) anche i dissidenti tornare all'ovile e realizzarsi, nel giorno che egli ha segnato, il voto e la profezia del divino Pastore, che si farà un solo ovile ed un solo pastore. Questa benedizione che diamo a tutta l'Armenia, vada innanzi tutto alla veneranda gerarchia, ai Vescovi, ai sacerdoti, dovunque essi siano insieme ai loro fedeli. Ed è una benedizione piena di patema ammirazione e fierezza, quale si conviene a tutte quelle grandi e preziose cose che si ricordano nell'onore che oggi si tributa al santo martire Gaumida.
 
La benedizione apostolica, che pose termine alla cerimonia, chiuse pure definitivamente la Causa della beatificazione di Don Bosco.
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