D. Bosco predicatore - Sua preparazione alle prediche e sito metodo quando improvvisa - Predicazione continua - Sofferenze nei viaggi - Buon esempio e zelo nelle missioni spirituali al popolo - La messe raccolta, l'affetto e la stima delle moltitudini - Varie predicazioni a Quassolo, ad Ivrea, a Strambino a Villafalletto, a Lagnasco - Panegirico di genere nuovo in una chiesa di monache.
del 02 novembre 2006
 Il più vivo desiderio di D. Bosco, l'unico scopo della sua vita era la distruzione del peccato e che Dio fosse più conosciuto, servito, adorato ed amato in ogni luogo e da tutti. Ministro consacrato di Gesù Cristo, sentiva in sè tutta la forza di quel detto del suo Divino Maestro: “ Lo spirito del Signore sopra di me; per la qual cosa mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato a curare coloro che hanno il cuore contrito ”.
Perciò allo studio dei libri santi accoppiava la lettura degli oratori sacri più insigni tenendo per altro sempre per modello il Divin Salvatore, il quale essendo la sapienza incarnata, parlava con ammirabile semplicità per adattarsi all'intelligenza del popolo.
Dopo il 1844 D. Bosco aveva scritto e corretto un centinaio e pi√π di nuove prediche. Si era preparato le meditazioni e le istruzioni per diciotto giorni di missione da predicarsi al popolo, vari corsi per esercizi spirituali ai religiosi, ai chierici, alle monache, ai giovanetti; varie novene, tridui per le Quarantore, con molti panegirici e discorsi per le principali feste dell'anno.
Sul principio del suo apostolato non saliva i pulpiti, specialmente delle città e dei borghi più riguardevoli, senza aver prima scritto quanto voleva dire. Era suo assioma, ripetute, le cento volte: “ La predica che produce migliori effetti è quella che fu meglio preparata e studiata ”. Ciò attestarono d'aver udito di sua bocca Mons. Manacorda Vescovo di Fossano e D. Albino Carmagnola.
Senonchè moltiplicandosi le occupazioni, che tutto esigevano il suo tempo, ed essendo egli amantissimo di annunziare la parola di Dio, per ogni argomento nuovo si contentava di scrivere tracce in foglietti di carta, dei quali noi abbiamo la fortuna di possedere un gran numero.
In appresso non gli fu possibile prepararsi neppure le tracce: talora predicava dopo aver fatta breve riflessione su ciò che voleva esporre, e tal altra, detta un'Ave Maria mentre saliva sul pulpito, improvvisava. Ma quanto felice era la sua estemporaneità! Benchè lento nel parlare, quasi senza gesto, la sua voce argentina penetrava i cuori, e li commoveva colle ragioni le più semplici, In luoghi dove l'uditorio era composto di gente tutt'altro che dedita alle pratiche di religione e che era venuta in chiesa per curiosità, per udire un valente oratore, o per criticare un prete segnato come capo partito contro le loro opinioni, noi stessi abbiamo udito, finita la predica, ripetersi all'unisono in chiesa e in piazza: “ Ha detto bene, ha detto bene ”.
Ma eziandio in questi casi il suo parlare era perfettamente ordinato. Incominciava con un testo scritturale: nell'esordio stabiliva con esattezza la definizione dell'argomento, ovvero, enunciava con chiarezza l'oggetto della festa, o il mistero che si celebrava. Quindi svolgeva la definizione, recava una brevissima ragione teologica, esponeva un fatto storico, o un paragone, o una parabola che riuscivano la parte principale del suo discorso, e non mancava mai con alcune riflessioni di scendere alla pratica. Aggiungeremo che era sempre mirabilmente preparato a cambiare argomento nell'atto stesso che si affacciava dal pulpito, secondo gli suggerivano le circostanze o la non preveduta qualità dei suoi uditori. Ma per conseguire buoni risultati con un simile metodo non basta la scienza nel sacro oratore, bensì è necessario che, egli già prima siasi guadagnato un grande ascendente morale sopra i fedeli. D. Bosco predicando, ogni volta che gliene presentavano l'occasione e qualunque fosse il ceto delle persone che lo aspettavano con vivo desiderio, era sempre ascoltato come si ascolta un santo. Continua era la sua predicazione. È difficile numerare le popolazioni non solo del Piemonte, ma eziandio dell'Italia centrale che udirono la sua voce. Specialmente in Piemonte non vi è quasi città o paese nei quali egli non abbia predicato. Quando poteva contare sulla diligenza e vigilanza di coloro che aveva incaricati di vari uffizi nell'Oratorio, allontanavasi da Torino, mentre non mancava mai di ritornarvi nei giorni che richiedevano la sua presenza. Ove egli andava, succedevano mille aneddoti sorprendenti, uno più grazioso, dell'altro e a stento i posteri li crederebbero, se non avessero l'attestazione di seri testimoni che noi verremo citando nel corso di queste memorie. Ad Alba, Biella, Ivrea, Novara, Vercelli, Asti, Alessandria. Cuneo, Mondovì, Nizza, Monferrato, Rivoli, Racconigi, Carmagnola, Bra, Foglizzo, Pettinengo, Fenestrelle, ne è tuttora viva la fama.
Egli, come Nostro Signore Gesù Cristo, si preparava a predicare con una fervorosa preghiera. Preferiva andare fra le popolazioni della campagna. Nell'atto di mettersi in viaggio si muniva sempre del segno di santa Croce, invocava l'aiuto del Signore e recitava qualche preghiera a Maria SS. Mentre essendo in Torino si confessava regolarmente ogni otto giorni, durante queste sue peregrinazioni si umiliava più di sovente al tribunale di penitenza. Benchè non patisse di scrupoli, pure non poteva soffrire in sè la più piccola imperfezione, e quindi s'imponeva uno studio di piacere a Dio anche nelle minime cose. Ed è perciò che le sue fatiche erano sempre ricompensate con frutti copiosi.
Aveva egli inoltre il raro merito di un grande abituale spirito di sacrificio. Poche, e per brevi tratti, essendo in questi, anni costrutte le prime ferrovie, si doveva viaggiare in vettura o nella così detta diligenza; ed egli pel dondolamento del legno pativa immensamente di stomaco, e pure non passava quasi settimana senza che si assoggettasse a questo tormento. Secondo il suo costume, avrebbe voluto continuare viaggiando a scrivere o correggere i suoi opuscoli, senonchè il male sovente lo impediva, Saliva allora accanto al vetturino, ma ogni scossa gli produceva un continuo eccitamento al vomito. Il vetturino ne era preso da compassione: - Povero prete, esclamava spesso, se potessi in qualche modo aiutarlo! - E giunto ad una stazione, procuravagli qualche bibita offerta di gran cuore, che poi era cagione di peggiori conseguenze. Molte volte si percorreva a piedi un lungo e faticoso, tratto di via, ma non sempre ciò permettevano le distanze da luogo a luogo.
Giunto al campo delle sue fatiche, accolto festosamente dai parroci, presentavasi qual modello di sacerdote a coloro i quali coabitavano nella casa parrocchiale. Era osservato con attenzione e di continuo, e pi√π d'uno di coloro che gli furono compagni dissero a noi: - Vigilava talmente sovra ogni sua parola ed azione che per mancar meno di lui bisognava non essere uomini.
Infatti nulla aveva mai a dire per la stanza, talora incomoda che gli era destinata, e per il cibo che gli apprestavano a mensa. Pareva non sentisse il rigore delle stagioni, benchè talvolta l'abitazione o la chiesa fosse male riparata. Manifestava una mortificazione a tutta prova nel sostenere la prolissità delle udienze, delle confessioni o delle funzioni sacre. La sua umile pazienza era invincibile nel sopportare le contraddizioni, le mancanze di riguardi e la rusticità delle persone colle quali aveva a trattare. Indifferente in tutto che riguardava la sua persona, nulla esigeva più di quello che gli fosse dato, nulla pretendeva, accettando qualunque sito, tempo, che gli fosse assegnato; cedeva umilmente un impiego un posto più onorifico eziandio a chi a lui era inferiore per dignità o per anni, e se il demonio muoveva ostacoli al suo ministero, con una perfetta confidenza in Dio continuava calmo ed imperterrito, e non cedeva.
Sul pulpito, con un zelo senza amarezza e mai violento, ispirava una viva confidenza nei suoi uditori, ma, senza lusingarli, tutta intiera diceva la verità. In tempo di esercizi e di missioni non perdevasi in discussioni inutili. L' importanza della salvezza dell'anima, il fine dell'uomo, la brevità della vita e l'incertezza dell'ora della morte, l'enormità del peccato e le conseguenze funeste che trae seco, l' impenitenza finale, il perdono delle ingiurie, la restituzione dei maltolto, la falsa vergogna nel confessarsi, l'intemperanza, la bestemmia, il buon uso della povertà e delle afflizioni, la santificazione delle Domeniche e delle feste, la necessità e il modo di pregare, di frequentare i Sacramenti, di assistere al sacrificio della Messa, l'imitazione di Nostro Signore Gesù Cristo, la devozione verso la SS. Vergine, la felicità della perseveranza, erano i suoi argomenti ordinari. I titoli di queste prediche li abbiamo tolti da alcuni dei molti suoi autografi, che i suoi vecchi amici e condiscepoli, i quali li possedevano, a noi li consegnarono nel 1900 acciocchè non andassero perduti.
Siccome si predicava di buon mattino, e alla sera dopo il tramonto del sole, acciocchè i contadini e gli operai potessero occuparsi lungo il giorno nei loro lavori, D. Bosco, quando avea terminato di ascoltare le confessioni, usciva per paese.
Andava ad ossequiare le autorità municipali, a visitare e consolare gli ammalati, a mettere pace nelle famiglie ove sapeva esservi dissensioni, a conciliare con buone maniere coloro che l'interesse aveva fatti nemici. Mostrava gran rispetto ai vecchi e dimestichezza coi servitori e coi poverelli. Usando ogni mezzo per trarre la gente a predica, si recava perfino nelle botteghe e nelle case per invitare i padroni ed i garzoni a venire in chiesa, e costoro si arrendevano facilmente ai suoi inviti. Folle immense accorrevano ad ascoltarlo, e i fanciulli stessi che facilmente si annoiano dei seri ragionamenti, erano avidi di udire la sua parola. E a questi, allorchè era invitato, si prestava volentieri a fare il catechismo, e se li rendeva tanto amici, che ogni volta che potevano si stringevano intorno a lui e non sapevano distaccarsene; e più d'uno fu visto piangere quando D. Bosco lasciava il paese. Nè meno tenera e profonda era la riconoscenza degli adulti al giungere del momento di congedarsi da un prete che con tanto affetto loro aveva ridonata la pace del cuore la grazia di Dio, la speranza fondata del paradiso, la gioia nelle famiglie e la carità nel paese verso i poveri e le opere di religione. In queste sue peregrinazioni apostoliche egli diffuse in tutto il Piemonte la pratica devota dei tre gloria Patri da recitarsi dopo l'Angelus.
Abbiamo detto che D. Bosco dal pulpito non amava disputare; tuttavia sapeva da pari suo sostenere la causa della religione quando vi era costretto dalle circostanze del luogo o dall'invito di un Superiore Ecclesiastico. A Quassolo sopra Ivrea avevano fissata la loro dimora alcune persone, che i paesani, per la poco cristiana condotta, indicavano coll'epiteto di protestanti. Noncuranti delle leggi ecclesiastiche, erano d'imbarazzo al parroco, D. Giacoletti Giacomo, per lo scandalo che ne poteva derivare alla popolazione, mentre coi discorsi spargevano errori gravi contro le verità della fede. I settari qua e là in vari paesi contavano già i loro adepti Mons. Luigi Moreno pensò dunque di scrivere a D. Bosco, perchè venisse a Quassolo per dettare una sacra Missione. D. Bosco annuì: la fama del suo nome lo precedette e al suo comparire gli oppositori si ritirarono. D. Bosco nelle prediche della sera prese ad esporre il catechismo, intrattenendosi specialmente a spiegare e provare quei punti sui quali l'errore aveva tentato spargere il veleno de' suoi dubbi e delle sue negazioni. Egli però, umile e prudente, non uscì in invettive, non fece allusioni odiose, cercando solamente che i semplici restassero convinti della verità in modo che nessuno potesse ingannarti. Gli avversari, sorpresi di questa sua mitezza d'animo, ritornarono in paese, ma nulla osarono dire o fare contro chi li combatteva trionfalmente, applaudito da tutti i terrazzani. Il suo dire era di tanta unzione e di tanta persuasione, che trasfondeva agli uditori la propria fede
Realmente era infaticabile. Basti un esempio. Ad Ivrea dava gli esercizi spirituali al popolo, nella parrocchia di S. Salvatore, facendo quattro prediche al giorno. Nello stesso tempo fu invitato a farne due nel Seminario ai chierici; ed egli accettò. Intanto venne ammalato il predicatore che in que' giorni dettava gli esercizi nel Collegio Civico ai convittori ed egli pregato di supplirlo, andò, predicando eziandio qui due volte al giorno. Erano quindi otto prediche al giorno, e nel tempo rimanente e gran parte della notte tutti lo volevano per confessarsi.
Quando rientrava in casa, quasi contraffatto per la stanchezza, sua madre lo rimproverava amorosamente di quegli strapazzi eccessivi; ma egli rispondevale sempre: - In paradiso avrò tempo per riposarmi.
Le sue predicazioni continuarono fino al 1860, anno nel quale essendo la sua presenza necessaria all'Oratorio, per il cresciuto numero dei giovani ricoverati, dovette diminuire a poco a poco le sue assenze dalla casa. Verso il 1865 pi√π non partiva che per fare qualche triduo, panegirico, predica o conferenza.
Chi legge sarà curioso di conoscere qualche fatto riguardante questo periodo di vita del nostro D. Bosco, per farsi un'idea della potenza della sua parola: ed eccoci a soddisfarlo.
Tra l'anno 1850 e il 1855 era andato a Strambino il giorno dell'Assunta. Nei paesi vicini saputosi che predicava D. Bosco, vi fu un'affluenza straordinaria di popolo. Quando venne l'ora di salire, in pulpito, benchè la chiesa fosse piena e zeppa, pure gran parte degli accorsi rimaneva fuori. Fu d'uopo pertanto predicare in piazza, ove si eresse in tutta fretta una specie di palco. Il sole batteva con forza sulle teste, scoperte; eppure tutti stavano così attenti, che non si muovevano punto, e neppure coi fazzoletti si tergevano il sudore che si vedeva scorrere a rivoletti sui loro volti. La predica durò un'ora sana. Molte persone però non erano arrivate in tempo per udirlo, ed espressero il desiderio che il domani facesse il panegirico di S. Rocco. Questa festa si celebrava in una cappella, un po' fuori del paese, in mezzo ai campi ed ai prati. Il parroco, D. Comola Gaudenzio vicario foraneo invitò dunque D. Bosco in nome della popolazione, e D. Bosco volentieri accondiscese. L’indomani sebbene giorno di lavoro, convennero più migliaia di persone nella spianata innanzi alla cappella, vicino alla cui porta all'aria aperta era collocato il pulpito. Ma appena D. Bosco ebbe proferite le prime parole, il cielo, che da molte settimane era stato sereno, anzi di fuoco incominciò a rannuvolarsi, a lampeggiare e tuonare che parea un finimondo, ed in un istante cadde tal rovescio torrenziale di acqua, che era un diluvio. Quei contadini osservavano, se D. Bosco discendesse per andare al coperto, ma visto che non si muoveva, neppure essi si mossero. Il predicato sostò un istante, e passato il temporale, che non durava lungamente, continuò come se nulla fosse stato. Nè l'attenzione del popolo fu sminuita da quel contrattempo, che anzi più e più crebbe, perchè tutti, nel colmo della gioia, ringraziavano il Signore, per l'abbondanza di pioggia mandata in tempo cotanto opportuno. Infatti le campagne erano fino a quel punto arse da un'ostinata siccità, la quale per ottenere che cessasse, eransi fatte molte preghiere e processioni di penitenza. Quindi poco mancò che il popolo non gridasse al miracolo.
Altra volta era invitato a fare il discorso in lode di S. Anna in Villafalletto, diocesi di Fossano. Essendosi sparsa la voce che veniva D. Bosco, si radunò una calca così grande, che la moltitudine rimasta fuori di chiesa era dieci volte più numerosa di quella che si pigiava in chiesa. I maggiorenti avrebbero voluto contentare il popolo. Gli uni dicevano: - Bisognerebbe predicare in piazza.
- In piazza no - dicevano gli altri: fa troppo caldo, e si resterebbe in ogni parte sotto il sollione; andiamo nel prato. Detto, fatto. Improvvisarono un pulpito all'apostolica in un prato, al quale facevano ombra alberi altissimi e quivi si recarono le confraternite in divisa, e gli altri a migliaia. D. Bosco incomincia la predica, ma la voce era dispersa dall'aria e si perdeva tra le foglie ed il bisbiglio della moltitudine. Benchè gridasse a tutta possa non poteva essere udito neppure dalla metà dei fedeli. Allora una voce stentorea si leva tra la folla: - È impossibile udir la predica; andiamo in piazza; si sentirà meglio. - Tutti i lontani allora, come un sol uomo: - In piazza, in piazza. - I più vicini al pulpito si opponevano alla proposta. Fu una scena difficile a descriversi. Gli uni gridavano, si, gli altri urlavano, no; chi va, chi viene. Questi guardano ciò che il predicatore sta per fare; quelli gli si avvicinano a persuaderlo a discendere, e quasi lo spingono perchè si muova. Il predicatore discende, e i confratelli detti i Battuti si prendono in spalla quella specie di pulpito e lo portano come in processione fino alla piazza. La moltitudine lo circonda e fa tal massa compatta che per gridare che si gridasse - Fate luogo, fate luogo il predicatore non poteva assolutamente avanzarsi. Finalmente come a Dio piacque D. Bosco giunse presso il pulpito. Ma qui alla prima succede altra scena. Nel trasporto si erano rotti i gradini del pulpito, il quale era abbastanza alto da non potervisi salire senza questi. I più vicini sciolgono ogni difficoltà. Chi fa scala a D. Bosco colle mani, chi con le spalle, chi lo spinge in su, chi lo tiene saldo perchè non precipiti. Ed eccolo sul pulpito. Il bisbiglio continuava tale, che D. Bosco non potea essere udito che dai più vicini. Allora egli gridò: - Ma se desiderate che io predichi, fate tutti silenzio. - Fu quella una parola magica. In meno di un minuto non si sentì più un zitto. Si era al 26 di luglio, tutti avevano il capo scoperto, il sole batteva sulle loro teste tanto cocente, che sembrava dovesse abbrustolirlo. Eppure, sebbene quella non fosse una delle prediche più brevi, non si vide un solo a mostrarsi stanco, o far atto d'impazienza. Finite le funzioni, non cessavano di encomiare le magnifiche cose esposte da D. Bosco. Il parroco teologo ed avvocato Mandillo Giovanni ricordava sempre con amore la visita di D. Bosco.
Prova ancora dell'incanto che D. Bosco esercitava sulle moltitudini fu il suo panegirico di S. Candido e di San Severo nella parrocchiale di Lagnasco, diocesi di Saluzzo, presso Savigliano. Era giunto tardi, e per la premura non aveva ancora pranzato. Il popolo in chiesa attendeva l'oratore essendo finito il vespro. Il parroco già aveva indossato il roccetto per salire egli stesso in pulpito, quand'ecco D. Bosco entrare in sagrestia. Senz'altro indugio, benchè sfinito dal digiuno, incomincia la predica. Avea già parlato per un'ora del solo S. Candido, ma vedendo il tempo trascorso disse esservi ancora la seconda parte del sermone riguardante S. Severo, ma che a quel punto finiva la predica per non stancare l'uditorio. Il popolo ad una voce gli gridò che continuasse. D. Bosco riflettè un istante; il parroco teologo Giuseppe Eaudi dall'altar maggiore gli disse con tono solenne di voce: - Vox populi, vox Dei! E D. Bosco continuò per un'altra buona ora rimanendo tutti stupiti e in gran diletto nell'averlo udito.
Era un diletto che lasciava sempre nei cuori una salutare impressione, poichè qualunque fosse il suo uditorio, presenti eziandio Vescovi, dotti sacerdoti, nobili, scienziati, qualunque argomento trattasse, l'idea dominante, era quella della necessità di salvar l'anima. Anzi più di una volta, contro l'aspettazione di tutti, in feste solennissime, invece di tessere le lodi del Santo Titolare della chiesa, finito l'esordio, svolgeva alcuni punti sui novissimi oppure su qualche comandamento della legge di Dio.
Un giorno fu invitato a predicare alle religiose di un illustre monastero. Era la festa di una Santa martire loro principale Patrona. Sapendo come possedesse bene la storia ecclesiastica, speravano che descrivesse la loro Santa sotto qualche aspetto nuovo o facesse risaltare circostanze da esse non ancor conosciute di sua vita, e con riflessioni ascetiche e mistiche che dessero prova della sua scienza.
Invece tutto all'opposto D. Bosco, essendo la chiesa piena eziandio di cospicui signori e di nobili dame, incominciò a dire che da tanti anni, anzi da più di un secolo, i sacri oratori in quel giorno e in quel luogo avevano sempre narrata la vita e fatto gli elogi di quella Santa martire: quindi chiedeva a se stesso qual vantaggio poteasi ricavare dal ripetere fatti che tutti sapevano. Poscia domandando licenza alla Santa martire, l'interrogava se non sarebbe stato conveniente cambiare, almeno per la varietà, il tema della predica per quell'anno; e senz'altro fissò la proposizione che voleva dimostrare, cioè: “ Tendere alla perfezione e salvar l'anima per mezzo delle confessioni ben fatte ”. Pensate voi come rimase l'udienza!
D. Bosco parlò così per umiltà, oppure fu spinto da lume superiore a trattare quell'argomento? Comunque sia uno fu sempre il fine delle sue predicazioni: conquistare anime al signore.
 
 
 
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