Capitolo 60

Accettazione di alunni nell'Oratorio - Elogi a D. Bosco Magone Michele - Un giovane condotto dalle guardie l'Agente delle tasse.

Capitolo 60

da Memorie Biografiche

del 29 novembre 2006

 Intanto coi giovani che ritornavano dalle vacanze, entravano nell'Oratorio quelli novellamente accettati, e di alcuni ci fermeremo a discorrere perchè la carità di D. Bosco sempre meglio risplenda. Il primo che ricordiamo fu lo studente Giacinto Ballesio, ora Dottore in Teologia, canonico prevosto dell'insigne collegiata di S. Maria della Scala e Vicario Foraneo in Moncalieri, dei quale già più volte abbiamo invocata la testimonianza. Egli affermò:

“ Io ho conosciuto il servo di Dio nell'autunno del 1857, quando mi presentai a lui per essere accolto nel suo Oratorio. Quel primo colloquio fu per D. Bosco e per me il principio della spirituale amicizia e della confidenza mia figliale verso di lui, che si confermò e crebbe poi nei miei otto anni di soggiorno nell'Oratorio, e anche dopo che uscii dal medesimo. L'impressione di quel primo, colloquio fu per me un vero avvenimento e non lo dimenticai più. Anche D. Bosco mi ricordò più volte quell'incontro, ed altresì negli ultimi anni di sua vita.

” Una delle qualità caratteristiche di D. Bosco fu quella di guadagnarsi l'affezione dei giovani, la quale era un felice insieme di affetto, di riconoscenza e di fiducia, come, di figli verso il padre, verso un uomo che per noi era l'autorità, il tipo della bontà e della cristiana perfezione.

   ” In quegli anni dal 1857 fino al 1860 in cui D. Bosco veniva sempre con noi, perchè non aveva ancora altre case, nell'Oratorio si viveva, la vita di famiglia, nella quale l'amore a D. Bosco, il desiderio d i contentarlo, l'ascendente che si può ricordare, ma non descrivere, facevano fiorire tra noi le più belle virtù ”. E ripeteva nella sua orazione: Vita intima di D. G. Bosco.

   “ D. Bosco, la sua vita, le sue opere sono nel dominio della storia, la quale in belle e splendide pagine dirà agli avvenire che egli fu per mezzo secolo l'apostolo del bene.... Quello che non potrà dire appieno, quello che essa non riuscirà a fare ben comprendere è la sua vita intima, il suo sacrificio continuo, calmo, dolce, invincibile ed eroico; il suo studio ed il suo grande amore per noi suoi figli, la fiducia, la stima, la riverenza, l'affetto che egli a noi inspirava; la grande autorità, l'opinione di santo, di dotto, in cui da noi era tenuto, quasi tipo, ideale di moral perfezione. Oh, la storia difficilmente potrà ritrarre e far capire e credere le soavi dolcezze che una sua parola, un suo sguardo, un cenno infondeva nei nostri cuori! Bisogna aver veduto, bisogna aver provato! La vita dei santi nei libri anche meglio scritti perde del fascino che esercitava sui contemporanei, sui famigliari. Il profumo della loro conversazione e delle loro virtù si dissipa nello spazio dei tempi. Ma noi l'abbiamo veduto, noi l'abbiamo sentito Don Bosco. Allora l'opera sua ancor ristretta a quest'Oratorio faceva sentire più intensa la sua efficacia. Egli ancor pieno d'energia, coll'ingegno, col grande affetto era tutto per noi, sempre con noi. Eccolo dal mattino per tempissimo co' suoi figli. Egli li confessa, dice la Messa, li comunica. Non è mai solo, non ha un momento per sè: o i giovani, o l'udienza dei numerosi che lo assediavano continuamente in sacrestia, sotto i portici, nel cortile, in refettorio, per le scale, in camera. Così di mattino, lungo il giorno e la sera. Oggi, domani, e sempre. Egli colla mente a tutto, conosce le centinaia de' suoi figli e li chiama per nome. S'informa, dà consigli ed ordini. Egli solo mantiene una corrispondenza, che occuperebbe più uomini di grande lavoro. Egli solo pensa e provvede ai bisogni materiali e morali dell'Oratorio ”.

   Una seconda accettazione noi descriveremo colle stesse parole di D. Bosco.

   “ Una sera di autunno io ritornava da Sommariva del Bosco e, giunto a Carmagnola, dovetti attendere oltre un'ora il convoglio della ferrovia per Torino. Già suonavano le ore sette, il tempo era nuvoloso, una densa nebbia risolvevasi in minuta pioggia. Queste cose contribuivano a rendere le tenebre così dense, che a distanza di un passo non sarebbesi più conosciuto uomo vivente. Il fosco lume della stazione lanciava un pallido chiarore che a poca distanza dello scalo perdevasi nell'oscurità. Soltanto una turba di giovanetti con trastulli e schiamazzi attraevano l'attenzione, o meglio assordavano le orecchie degli spettatori. Le voci di aspetta, prendilo, corri, cogli questo, arresta quell'altro servivano ad occupare il pensiero dei viaggiatori. Ma tra quelle grida rendevasi notabile una voce che distinta alzavasi a dominare tutte le altre; era come la voce di un capitano, che ripetevasi da compagni ed era da tutti eseguita quale rigoroso comando. Tosto nacque in me vivo desiderio di conoscere colui che con tanto ardire e tanta prontezza sapeva regolare il trastullo in mezzo a così svariato schiamazzo. Colgo il destro che tutti sono radunati intorno a colui che la faceva da guida; dì poi con due salti mi lancio tra di loro. Tutti fuggirono come spaventati: uno solo si arresta; si fa avanti e appoggiando le mani sui fianchi con aria imperatoria comincia a parlare così:

     - Chi siete voi, che qui venite tra i nostri giuochi?

     - Io sono un tuo amico.

     - Che cosa volete da noi?

     - Voglio, se ne siete contenti, divertirmi e trastul­larmi con te e co' tuoi compagni.

     - Ma chi siete voi? io non vi conosco.

     - Te lo ripeto, io sono un tuo amico: desidero di fare un po' di ricreazione con te e co' tuoi compagni. Ma tu chi sei?

     -  Io? Chi sono? Io sono, soggiunse con grave e sonora voce, Magone Michele, generale della ricreazione.

” Mentre facevansi questi discorsi, gli altri ragazzi, che un panico timore aveva dispersi, uno dopo l'altro ci si avvicinarono e si raccolsero intorno a noi. Dopo aver vagamente indirizzato, il discorso ora agli uni, ora agli altri, volsi di nuovo la parola a Magone e continuai così:

     - Mio caro Magone, quanti anni hai?

     - Ho tredici anni.

     - Vai già a confessarti?

     - Oh sì, rispose ridendo.

     - Sei già promosso alla S. Comunione?

     - Si che sono già promosso e ci sono già andato.

     - Hai tu imparata qualche professione?

     - Ho imparato la professione del far niente.

     - Finora che cosa' hai fatto?

     - Sono andato a scuola.

     - Che scuola hai fatto?

     - Ho fatto la terza elementare.

     - Hai ancora tuo padre?

     - No, mio padre è già morto.

     - Hai ancora la madre?

     - Sì, mia madre è ancora viva e lavora a servizio altrui, e fa quanto può per dare del pane a me ed ai miei fratelli che la facciamo continuamente disperare,

       - Che vuoi fare per l'avvenire?

       - Bisogna che io faccia qualche cosa, ma non so quale.

   ” Questa franchezza di espressioni, unita ad una lo­quela ordinata e assennata, fecemi ravvisare un gran pericolo per quel giovane qualora fosse lasciato in quella guisa derelitto. D'altra parte sembravami che se quel brio e quell'indole intraprendente fossero stati coltivati, egli avrebbe fatto una buona riuscita; là onde ripigliai il discorso così:

        Mio caro Magone, hai tu volontà di abbandonare questa vita di monello e metterti ad apprendere qualche arte o mestiere, oppure continuare gli studi?

     - Ma sì, che ho volontà, rispose commosso; questa vita da dannato non mi piace più; alcuni miei compagni sono già in prigione; io temo altrettanto per me; ma che cosa devo fare? Mio padre è morto, mia madre è povera; chi mi aiuterà?

   - Questa sera fa una preghiera fervorosa al Padre nostro che è nei cieli; prega di cuore, spera in lui; Egli provvederà per me, per te e per tutti.

   ” In quel momento la campanella della stazione dava gli ultimi tocchi, ed io doveva partire senza dilazione.

- Prendi, gli dissi, prendi questa medaglia, domani va da D. Ariccio tuo Viceparroco; digli che il prete il quale te l'ha donata desidera delle informazioni sulla tua condotta.

   ” Prese egli con rispetto la medaglia: - Ma quale è il vostro nome, di qual paese siete? D. Ariccio vi conosce? - queste ed altre cose andava domandando il buon Magone; ma non ho più potuto rispondere, perchè essendo giunto il convoglio della ferrovia, dovetti montare in vagone alla volta di Torino.

   ” Il giovanetto allora, curioso di sapere chi fosse quel prete con cui aveva parlato, si recò immediatamente dal Can. D. Ariccio e gli raccontò con enfasi le cose udite. Il viceparroco comprese di che si trattasse e il giorno seguente mi scrisse le chieste informazioni: Magone aver ingegno non ordinario, essere volubile, sbadato, disturbatore in chiesa ed in iscuola, difficile a domarsi, ma buono di cuore e semplice di costumi. Fu dunque spedita a Magone la lettera d'accettazione.

   ” Pochi giorni dopo me lo vedo comparire avanti. - Eccomi, disse, correndomi incontro, eccomi, io sono quel Magone Michele che avete incontrato alla stazione della ferrovia a Carmagnola.

     - So tutto, mio caro; sei venuto di buona volontà?

     - Sì, sì, la buona volontà non mi manca.

     - Se hai buona volontà, io ti raccomando di non mettermi sossopra tutta la casa.

     - Oh state pure tranquillo che non vi darò dispiacere. Pel passato mi sono regolato male; per l'avvenire non voglio più che sia così. Due miei compagni sono già in prigione ed io .....

     - Sta di buon animo, dimmi soltanto se ami meglio di studiare, o intraprendere un mestiere?

     - Sono disposto di fare come volete; se però mi lasciate la scelta, preferirei di studiare.

     - Posto che ti metta allo studio, che cosa ti sembra di avere in animo di fare terminate le tue classi?

     - Se un birbante…..ciò disse e poi chinò il capo ridendo.

     - Continua pure: che vuoi dire, se un birbante...

     - Se un birbante potesse diventare abbastanza buono per ancora farsi prete, io mi farei volentieri prete.

     - Vedremo dunque che cosa saprà fare un birbante. Ti metterò allo studio: in quanto poi al farti prete od altro, ciò dipenderà dal tuo progresso nello studio, dalla tua condotta morale e dai segni che darai di essere chiamato allo stato ecclesiastico.

      - Se gli sforzi di una buona volontà potranno riuscire a qualche cosa, vi assicuro che non avrete ad essere malcontento di me.

   ” Magone fu presentato al prefetto D. Alasanotti, e senza che egli se ne accorgesse, gli venne assegnato un compagno dei più anziani della casa e sicuro nella moralità che a lui facesse da angelo custode e non lo perdesse mai di vista. Tale era la consuetudine dell'Oratorio quando, si riceveva qualche alunno di moralità sospetta o non abbastanza conosciuta, acciocchè fosse assistito e corretto secondo il bisogno. E l'amico di Magone ad ogni momento aveva un'osservazione da fargli: - Non proseguire in questo discorso, che è cattivo, non dire quella parola, non nominare il nome di Dio invano, non essere così focoso nelle questioni coi compagni. - Magone, sebbene spesso gli apparisse l'impazienza sul volto, non altro rispondeva che: Bravo, hai fatto bene ad avvisarmi. Si sforzava di correggersi, ed era puntuale alla scuola, allo studio ed alla preghiera.

” Per un mese egli in ricreazione si era abbandonato appassionatamente ai giuochi e in specie a quelli che richiedevano destrezza personale, quando ad un tratto più non si vide a ridere, divenne melanconico, il divertimento tornavagli di peso; si ritirava in qualche angolo a pensare, a riflettere e talvolta a piangere. La vista dei compagni che andavano con festa ai sacramenti, certe prediche e parlate gli avevano fatta profonda impressione; sentiva grande inquietudine e il bisogno di confessarsi, ma non sapeva risolversi.

” Io teneva dietro a quanto accadeva di lui; perciò un giorno lo mandai a chiamare e gli parlai così:

     - Caro Magone, io avrei bisogno che mi facessi un piacere; ma non vorrei un rifiuto.

     - Dite pure, rispose arditamente, dite pure, sono disposto a fare qualunque cosa mi comandiate.

     - Io avrei bisogno che tu mi lasciassi un momento padrone del tuo cuore e mi manifestassi la cagione di quella malinconia che da alcuni giorni ti va travagliando.

     - Sì, è vero quanto mi dite, ma... ma io sono disperato e non so come fare. - Proferite queste parole, diede in un dirotto pianto. Lo lasciai disfogare alquanto; quindi a modo di scherzo gli dissi: -Come! tu sei quel generale Magone Michele capo di tutta la banda di Carmagnola? Che generale tu sei! non sei più in grado di esprimere colle parole quanto ti duole nell'animo?

     - Vorrei farlo, ma non so come cominciare; non so esprimermi.

     - Dimmi una sola parola, il rimanente lo dirò io.

     - Ho la coscienza imbrogliata.

     - Questo mi basta; ho capito tutto. Aveva bisogno che tu dicessi questa parola affinchè io potessi dirti il resto. Non voglio per ora entrare in cose di coscienza; ti darò solamente le norme per aggiustare ogni cosa. Ascolta dunque: se le cose di tua coscienza sono aggiustate nel passato, preparati soltanto a fare una buona confessione esponendo quanto ti è accaduto di male dall'ultima volta che ti sei confessato. Che se per timore o per altro motivo hai omesso di confessare qualche cosa; oppure conosci qualche tua confessione mancante di alcuna delle condizioni necessarie, in questo caso ripiglia la confessione da quel tempo in cui sei certo di averla fatta bene, e confessa qualunque cosa ti possa dare pena sulla coscienza.

     - Qui sta la mia difficoltà. Come mai potrò ricordarmi di quanto mi è avvenuto in più anni addietro?

     - Tu puoi aggiustare tutto colla massima facilità. Di' solo al confessore che hai qualche cosa da rivedere nella tua vita passata: dipoi egli prenderà il filo delle cose tue, di maniera che a te non rimarrà più altro se non dire un sì o un no, quante volte questa o quelle cosa ti sia accaduta.

   ” A queste parole il giovanetto sentissi così incoraggiato, che la stessa sera non volle andarsi a coricare senza prima confessarsi; e quindi, assicurato dal confessore che Dio gli aveva perdonate tutte le sue colpe, esclamò: - Oh quanto mai io son felice! - E rompendo in lacrime di consolazione, andava a prendere riposo. Da quel punto il giovane fu interamente cambiato, e colla frequenza dei sacramenti si vide in lui il trionfo della grazia. La difficoltà maggiore che provò fu quella di frenare il suo naturale ardente, che non di rado trasportavalo ad involontari impeti di collera; ma giunse in breve a vincere se stesso e a divenire pacificatore de' suoi compagni medesimi ”. Fin qui D. Bosco.

Quanto fosse impetuosa la sua indole lo dimostra il seguente fatto.

   Accompagnando un giorno D. Bosco per la città di Torino, giunse in mezzo a Piazza Castello, dove udì un monello a bestemmiare il santo nome di Dio. A quelle parole parve tratto fuori di senno; più non riflettendo nè al luogo nè al pericolo, con due salti vola sul bestemmiatore e gli dà due sonori schiaffi dicendo: - È  questo il modo di trattare il santo nome del Signore? - Ma il monello, che era più alto di lui, senza badare al riflesso morale, irritato dalla baia dei compagni, dall'insulto pubblico e dal sangue che in copia gli colava dal naso, si avventa arrabbiato sopra Magone; e qui calci, pugni e schiaffi non lasciavano tempo nè all'uno nè all'altro da respirare. Fortunatamente corse D. Bosco, e postosi paciere tra le parti belligeranti, riuscì, non senza difficoltà a stabilire la pace con vicendevole soddisfazione. Quando Michele fu padrone di sè medesimo, si accorse dell'imprudenza fatta nel correggere in cotal guisa quello sconsiderato. Si pentì del trasporto e assicurò che per l'avvenire avrebbe usato maggior cautela, limitandosi ad amichevoli avvisi.

   Di un terzo giovane ci tramandò memoria Pietro Enria col seguente scritto: “ Grande fu la pazienza che D. Bosco usava verso i suoi figli, ed in modo particolare verso i più disgraziati. Nel 1857 accettò nell'Oratorio un garzoncello, di cui non ricordo il nome, che le guardie della città trovarono abbandonato in un angolo della Piazza Castello tutto intirizzito dal freddo. Dopo qualche giorno D. Bosco stesso lo condusse in Torino presso un fabbro, onesto cristiano, raccomandandolo alle sue cure, che furono promesse volentieri. Il giovane per due settimane circa si conservò buono, ma poi per la sua indisciplinatezza quel padrone fu costretto a congedarlo. D. Bosco pazientò e lo condusse da un altro capo d'arte; ma anche questi dopo appena una settimana dovette licenziarlo. D. Bosco così continuò a raccomandarlo in più officine per circa due anni, e si può dire che quel capriccioso abbia provato, ossia fatta perdere la pazienza a tutti i padroni di bottega della città.

   ” Quando fu congedato dall'ultimo padrone, se ne tornò all'Oratorio e andò difilato in refettorio dove si trovava D. Bosco a pranzare e gli disse che il padrone non lo voleva più in bottega e quindi gliene cercasse un altro. D. Bosco gli rispose: - Abbi pazienza; aspetta che abbia finito di pranzare, poi ci parleremo: E tu hai pranzato? - Sì, rispose il giovane. - Allora aspettami, soggiunse D. Bosco. - Ma il giovane impazientito insistette ed esclamò: - lo voglio che lei venga subito. - Allora D. Bosco, nonostante così sgarbata insistenza, tranquillamente dissegli: - Non vedi che non c'è più nessuno che ti voglia accettare nel suo laboratorio, perchè sei la disperazione di tutti? Non vedi quanti padroni hai già stancato? Se continui di questo passo non diverrai capace a guadagnarti un pezzo di pane.

   ” Il giovane uscì dal refettorio indispettito, e dopo breve tempo, senza dire parola ad alcuno, se ne andò e più non fece ritorno nell'Oratorio. Ei si aggiustò il meglio che seppe per vivere: fece il commesso da caffè, il soldato, ed esercitò poscia vari altri mestieri girando pel mondo. Finalmente ritornato in Torino cadde infermo e, durante qualche giorno di miglioramento, si recò all'Oratorio, si presentò a D. Bosco e gli domandò perdono dei dispiaceri che gli aveva dato. D. Bosco, lieto di rivederlo dopo tanti anni, lo confortò, gli disse che gli voleva sempre bene e che aveva sempre pregato per lui. Gli soggiunse ancora:

     - Guarda, l'Oratorio è sempre casa tua; quando starai meglio, se tu vuoi venire, D. Bosco è sempre il tuo buon amico, che altro non cerca che la salvezza dell'anima tua.

Quel giovane ringraziò D. Bosco piangendo e disse: Ora io ritorno all'ospedale, e se Dio mi fa la grazia di guarire, ritornerò qui per riparare il mal fatto con una condotta irreprensibile. - D. Bosco lo benedisse e quella fu l'ultima benedizione che da lui ricevette quel giovane. Visse ancora poche settimane e poi rassegnato e pentito de' suoi falli fece una buona morte. - Mi fu narrato questo fatto dal giovane stesso, quando venne dall'ospedale all'Oratorio ”.

  Mentre D. Bosco era tutto occupato a ricoverare nuovi giovani, il Governo faceva, per i suoi fini, eseguire una inchiesta su tutte le Opere Pie, volendo notizie esatte sulla loro fondazione, il loro scopo, i redditi, le dotazioni e il numero delle persone beneficate. Due mesi prima D. Bosco aveva ricevuto dall'Intendenza generale della Divisione amministrativa di Torino il seguente foglio:

 

N. 1534.

 

Torino, addì 28 agosto 1857.

 

  Allo scopo di completare una estesa statistica sulle Opere Pie richiesta dal Ministero dell'Interno il sottoscritto prega il Sig. Presidente di cotesto Pio Istituto (D. Bosco) di riempire con tutta la precisione le qui unite tabelle, corredandole di tutte quelle osservazioni che egli ravviserà opportune per dare un giusto criterio dell'essere dell'Opera Pia negli anni cui le tabelle si riferiscono, aggiungendovi un cenno sui mezzi con cui l'Istituto si mantiene.

L'intendente Generale

Farcito.

 

 

 

D. Bosco aveva ritardato a far riscontro a questa circolare volendo prima conoscere i motivi di tali inchieste, che l'esperienza ormai dimostrava aver esse sempre viste fiscali. D'altra parte l'Oratorio non era riconosciuto legalmente come Opera Pia.

   Ma ecco essergli consegnato un secondo foglio dell'Intendenza Generale.

 

N. 2021.

 

 Torino, addì 26 ottobre 1857.

 

Il sottoscritto già da qualche tempo rivolgevasi al Sig. Direttore di codesto Pio Istituto pregandolo di alcuni dati statistici da comprendersi in un lavoro generale relativo a tutte le Pie Istituzioni della Provincia.

  Privo finora di riscontro, gli rinnova la sua preghiera, di fargli pervenire le desiderate nozioni oppure fargli conoscere i motivi che vi si oppongono.

Persuaso del favore ne anticipa i suoi ringraziamenti.

 

L'intendente Generale

Farcito.

 

 

D. Bosco incaricava D. Alasonatti della risposta.

 

   Ill.mo Signore,

 

Rassegno a V. S. Ill.ma i moduli colla innata di Lei bontà accompagnati e poi richiesti per lettera 28 agosto e 26 ottobre ultimi. Si è differito di tanto la trasmissione a motivo che non trovavasi come conciliare coll'andamento e scopo della casa varie domande ivi formolate. Assecondando però nel miglior modo lo spirito di esse domande, tengo ordine dal Sig. Direttore Sacerdote Bosco Giovanni di accertare a nome suo V. S. Ill.ma che egli si offerisce a dargli quegli ultimi schiarimenti che saranno compossibili ove richiesto.

Le umilio infine i complimenti di riconoscenza ben sentita per Lui e per parte mia; facendole umile riverenza passo all'onore di sottoscrivermi con ogni pi√π verace ed alto ossequio Di V. S. Ill.ma

 

Oss. Servitore

Sac. Vittorio Alasonatti.

 

 

Nei moduli D. Alasanotti aveva notate le segue indicazioni:

 

     I. Questa casa è privata, nè ha ricevuto alcun casato, nè è gravata da peso alcuno se non dalle varie imposte cui è sottoposta.

     2. Il numero dei giovani ricoverati varia secondo la gravezza ed il numero dei casi di bisogno e di urgenza. Attualmente sono circa cento ottanta.

     3. La Casa vive di Provvidenza e di oblazioni, perciò non si dossono dare più specificati dettagli.

 

Era questo il principio di nuove corrispondenze colle Autorità amministrative, che non dovevano più cessare, obbligando il servo di Dio a continue e ingrate preoccupazioni. D. Alasonatti aveva notato nel modulo suesposto: La casa (dell'Oratorio) non è aggravata da peso alcuno se non dalle varie imposte cui è sottoposta. Da una sola Don Bosco potè esimersi. Era comparso all'Oratorio un messo dell'Esattore delle contribuzioni, colla polizza della ricchezza mobile, il quale la consegnò a D. Bosco, avvisandolo di presentarsi a pagarla con puntualità nel termine prescritto. D. Bosco, senza turbarsi, prese quella polizza, si portò all'ufficio delle imposte, ove abboccatosi col Direttore chiese spiegazione di tale intimazione. - Oh bella! esclamò quel signore; con tanto reddito che ricava dalle pensioni di quella turba di giovani che tiene in sua casa, crede lei di andare esente dall'imposta? qui non si fanno eccezioni. Se lei non vuole cadere in multa, deve pagare quanto è qui prescritto. Tanto più che lei trascurò di consegnare all'agente delle tasse i suoi redditi.

     - Bene! replicò D. Bosco; facciamo un patto: io cedo il capitale, ed essi pagheranno l'imposta. - A questa risposta tacque il Direttore, ascoltò le ragioni di D. Bosco, esaminò la cosa, ritirò la polizza e non parlò più di questa imposta. Brosio Giuseppe il bersagliere fu testimonio di questo abboccamento.

   Ma dalle altre molteplici contribuzioni non potè essere esonerato, quantunque ad onore del vero, bisogna dire che più volte gli fu usato dalle Commissioni qualche riguardo. Ciò non ostante, il peso di queste andò aumentandosi sino a divenire enorme. Si dia uno sguardo ai cinque grandiosi istituti che D. Bosco innalzò nella sola Torino. Ad ogni nuova costruzione, che non dava alcun reddito, abitata da giovani che nella quasi totalità erano mantenuti, educati e istrutti gratuitamente, ecco una nuova tassa. Queste, nel complesso non tardarono ad ascendere a migliaia e migliaia di lire ogni anno. Quindi D. Bosco, il quale non possedeva mai alcun capitale messo a frutto, anzi non tenne mai in serbo alcuna somma, adoperandosi in tutti i modi per ottenere soccorsi dalla pubblica carità, una parte di questi, bastante per il ricovero di molti giovani, doveva prelevarla per darla in mano all'esattore, il quale per forza di legge era inesorabile. Dagli altri creditori potevasi sperare qualche mora, ma non da lui. Iddio infatti per bocca di Mosè accennava a tale flagello: Si penuriam mutuam dederis populo meo pauperi, qui habitat tecum, non urgebis eum quasi exactor .

Ma più ancora dei pagamenti a rate fisse erano le continue angustie per le chiamate agli uffizi, verifiche, aumenti arbitrari, prove richieste dei passaggi di possesso, ricevute contestate, revisioni di crediti già estinti, contestazione di denunzie, sequestri minacciati, mancanza di forma legale in certi atti, richiami per contratti di molti anni prima, multe talora incredibili e via via: operazioni tutte che per lo meno recavano noie infinite, poichè toccava sempre al contribuente dimostrare il suo buon diritto. Diceva D. Rua: - Dobbiamo difenderci dai disturbi cagionati dall'Agente delle tasse, come gli ebrei si difendevano dai popoli vicini, quando riedificavano la città e il tempio di Gerusalemme dopo la schiavitù di Babilonia. Essi con una mano dovevano lavorare e coll'altra brandivano la spada. Così noi dobbiamo lavorare per edificazione ed istruzione dei nostri allievi, ed in pari tempo dobbiamo tenerci sempre sulle difese contro gli assalti dell'Agente delle tasse.

   E anche questa difficoltà dei tempi doveva essere superata dalla carità di D. Bosco.

 

 

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