D. Bosco sorveglia maravigliosamente i suoi allievi - Consigli e parole salutari - Ammonimenti e modi paterni - Qualche avviso a sacerdoti - Efficacia delle benedizioni di D. Bosco; due giovani guariti - Due altre guarigioni - Va a Vercelli e guarisce una signora inferma - Conosce che alcuni ammalati non guariranno -Ammonisce con lepido racconto un infermo affannato pel timore della morte - La medaglia di Maria Ausiliatrice - Condizioni per chiedere ed ottenere le grazie dal Signore - Un'offerta da Parigi alla nuova chiesa.
del 04 dicembre 2006
Occupazioni tanto gravi non distoglievano dai giovani i pensieri salutiferi di Don Bosco. Abbiam visto che aveva fatto scrivere da Roma com'avesse visitato l'Oratorio, osservando ciò che si andava facendo da ciascuno; e quando fu di ritorno seppe dire in privato ai singoli quale condotta, anche morale, avessero tenuta nei due mesi della sua lontananza. Ma se li aveva sorvegliati lontano, in modo singolare li sorvegliava ora essendo vicino. Nelle nostre memorie di quest'anno troviamo notati alcuni fatti simili a quelli che erano già avvenuti negli anni antecedenti e che vedremo ripetersi ancora.
Sembra impossibile che D. Bosco avesse continuamente sott'occhio la sua numerosa comunità, sia quando radunavasi in un sol luogo, sia quando era sparsa qua e là e in modo da non perdere di vista nessun alunno. Potendo, la sera egli andava a recitare le preghiere in comune, ma bene spesso doveva trattenersi in refettorio per udire qualche rapporto e dare qualche ordine, ovvero rimanere o salire in camera per finire una lettera. Or bene: più volte disse a' preti e a' chierici che si trovavano con lui in tempo delle orazioni: - Va' a vedere là, nel tal sito del parlatorio: ci sono alcuni che invece di pregare si divertono; vicino al muro, in quell'angolo, si dorme, si chiacchiera. - E chi andava trovava che era vero ed avvertiva que' dissipati.
Altre volte, non avendo nessuno da mandare, scendeva egli stesso dalla sua camera e attraversando la folla dei giovani inginocchiati andava diffilato ad ammonire que' tali che non pregavano. Anche in altri casi, e il suo modo di parlare e la certezza con cui additava il tempo, il luogo in cui avveniva questo o quel disordine, tutto faceva credere che egli vedesse quelle cose collo spirito, come le avrebbe vedute cogli occhi del corpo.
D. Antonio Riccardi narra che, ancor giovanetto, un sabato a sera essendosi andato a confessare da D. Bosco, questi finita la confessione gli disse: -Va' sulla scala in cima del fabbricato degli artigiani; vi è il tale dei tali che fuma; chiàmalo e digli che pensi a confessarsi. - Andò: la scala era allo scuro, tuttavia salì. A un certo punto incominciò a sentire l'odore del fumo di tabacco. Egli si fermò temendo che l'artigiano, grande e robusto, si sdegnasse per essere sorpreso in aperta violazione del regolamento; e lo chiamò per nome. Tutto rimase in silenzio. Chiamò di nuovo e nessuna voce rispose. Allora, benchè a malincuore, procedette fino alla cima. L'artigiano era seduto per terra sul pianerottolo e continuava a fumare. Riccardi gli disse in fretta: - D. Bosco ti chiama perchè tu vada a confessarti! - e senz'altro scappò via, temendo di essere percosso, e si nascose dietro un pilastro per osservare che cosa avrebbe fatto quel tale. Non tardò a vederlo attraversare il cortile e andare con serietà a confessarsi.
Ma il suo mezzo favorito per far bene all'anima dei giovani era il prevenire le mancanze, coll'avvisarli continuamente, consigliarli, dir loro una parola all'orecchio, adoperando un'amorevolezza tutta paterna.
Ad un giovane che domandava in qual modo avrebbe potuto progredire nella via della perfezione, rispose: - Ubbidienza cieca; osservanza di tutte le regole della casa; dar sempre buoni consigli ai compagni; far ogni giorno un poco di meditazione; tutto a maggior gloria di Dio, sia che si mangi, che si beva, che si diverta, che si studi, che si riposi ecc. E poi un S e un T: che vuol dire: parlami sovente delle cose dell'anima e palesa sempre tutto; cioè confidenza illimitata nel Superiore. - E gli aggiungeva di conservare il silenzio, cioè a dire non perdersi in discorsi frivoli, di lamento, di mormorazione, di critiche o di lode propria.
Talvolta soleva esortare i giovani ad esporgli anche per lettera ogni loro pena, o mancanza commessa e gli stessi timori che avessero di essere in qualche maniera in poco buona vista presso i Superiori. Un giorno uno fu da lui avvisato di combattere la propensione che aveva ad irritarsi internamente per le disposizioni prese dai Superiori, e gli accennò le cause di quel suo stato inquieto; e il giovane scrisse una letterina a D. Bosco, conchiudendo con queste parole: “ Glielo dico di cuore: io non voglio più altro se non tutto quello che vuole lei, o padre amatissimo in Gesù Cristo ”. E D. Bosco dopo cena nel refettorio, vistòselo vicino gli diceva all'orecchio: - Ho letto la tua lettera e mi piacque molto. Io dal mio canto nulla risparmierò per giovarti. Si vede che io intendo te e tu intendi me. Ho indovinato?
- Sì, sì.
- Solo ti raccomando di aver cura della tua sanità.
Un giovanetto che si lasciava vincere dalla melanconia, essendo andato dopo cena a baciargli la mano: - Oh, mio caro! - gli fece D. Bosco ed abbassò il capo vicino a quello del giovane, come in attesa che gli dicesse confidenzialmente qualche cosa. E il giovane:
- Che cosa vuole le dica? Mi dica lei qualche cosa.
Ed egli: -Tu hai de' fastidii, sei malinconico, e vedendoti melanconico, divento mesto io pure. Invece, se tu sei allegro, lo sono anch'io. Io vorrei che tu fossi sempre lieto, che ridessi, che saltassi, per poterti fare felice in questo mondo e nell'altro.
Un giorno nel quale sapevasi nell'Oratorio come Don Bosco fosse impensierito per gravi contraddizioni, il Servo di Dio si avvicinò ad un tale afflitto per bazzecole di comunità, e gli disse: - Tu puoi contribuir molto a farmi stare allegro. - Allo stesso, che il giorno dopo essendo andato ad aiutarlo a svestire gli abiti sacri, dopo la messa, baciavagli la mano, diceva sorridendo: - Coraggio e sta' allegro. Dice S. Filippo Neri che la malinconia è l'ottavo peccato capitale.
Ad uno spirito altero, offeso per una disposizione dei Superiori a suo riguardo che sembravagli umiliante e contraria alle sue inclinazioni: -Pace e coraggio, ripeteva! Di certo il tuo stato presente non durerà. Tutto passa.... e facciamoci qualche merito.
Ad un altro, vessato da varie tentazioni, dava il consiglio: - Guarda sovente il Crocifisso, che deve essere lo stendardo della tua salute.
Vedendo ridere chi era di naturale serio, ma agitato dagli scrupoli, disse:
 
Temi pur, ma come figlia               Ridi pur, ma il tuo sorriso
Che osa al padre alzar le ciglia,           Gioia sia di Paradiso;
Sia un affanno pien d'amore,         Sia contento d'alma pura
Un sospiro di virtù.                         Che sta ai piedi di Gesù.
 
Avendo intorno a sè una bella corona di giovanetti, chiese ad uno:
- Ibi... ubi! che cosa vuol dire? - E spiegava: - IBI fixa sint vestra corda, UBI vera sunt gaudia: cioè camminate coi piedi per terra e col cuore abitate in cielo.
Dopo pranzo, sedendo in refettorio, estraeva talvolta dalla saccoccia il Breviario o l'Imitazione di Gesù Cristo, e facendo aprire dai giovani che lo circondavano qualche pagina a caso, invitavali a leggere la prima massima in cima del foglio. Si davano singolari combinazioni di sentenze, talora adattate all'individuo che leggevale, e talora applicate da Don Bosco stesso apertamente. Un alunno sbadato nell'adempimento de' suoi doveri, aperto il breviario lesse nella prima riga il versicolo del libro dell'Ecclesiaste: “ Tempus plangendi: tempo di duolo ”. Don Bosco lo fissò in volto, poi gli disse una parola all'orecchio e l'altro rimase tutto pensoso.
Con garbo sapeva dare anche un rimprovero. Venendo a casa, incontrò per via un suo giovane prete, il quale, dopo aver discorso di molte cose, finì col criticare il modo di predicare dell'abate Bardessono. D. Bosco lo interruppe e gli domandò:
- E tu hai già predicato?
Il pretino rispose di no. E D. Bosco: - Ebbene: aspetta che tu abbia incominciato a predicare e poi, se ti basta l'animo, criticherai l'abate Bardessono!
Ai sacerdoti, tanto se allievi dell'Oratorio quanto a quelli dei seminarii, aventi cura d'anime, raccomandava che esortassero i loro fedeli alla Comunione frequente in ogni circostanza di prediche, novene, quaresimali, catechismi, fervorini, confessioni, conferenze. I buoni frutti dimostravano la bontà della raccomandazione. Un giovane, che divenuto parroco di un grosso centro, si attenne ai suoi consigli, si accinse all'opera; ebbe lotte da sostenere, dai preti e dai liberali, ma in fine potè aver più di 200 comunioni tutti i giorni e 1000 alla domenica.
Alle sue parole dava un gran valore l'efficacia delle benedizioni.
Il Chierico Carlo Giachetti era da due anni tormentato dal mal di denti; e il terzo anno nel mese di aprile i dolori si erano fatti acerbissimi. Tutto quello che l'arte medica suole suggerire in tali casi erasi usato senza alcun esito. Il povero giovane era ridotto a tal punto, che se il giorno gli pareva orrido, eterna e sciaguratissima era per lui la notte, in cui non poteva chiudere l'occhio al sonno che ad istanti interrotti e brevissimi. Da tre giorni non aveva preso alcun alimento. La sera del 29 aprile egli gemeva senza posa e mandava grida strazianti. I compagni, mossi a compassione e disturbati nel loro riposo, andarono ad avvisare D. Bosco del suo deplorevole stato. D. Bosco si recò a lui insieme con D. Francesia e D. Cagliero, e chiestogli come si sentisse ebbe in risposta:
- Non so dire quanto io soffra e non so se pur anche nell'inferno stesso si soffrano dolori pi√π crudeli di quelli che soffro io.
- Hai confidenza in Maria Ausiliatrice?
- Oh sì! se lei mi benedice, spero che la Madonna mi otterrà la guarigione. - D. Bosco, esortati gli astanti che circondavano il letto del sofferente a dire una Salve Regina, mentre tutti erano inginocchiati gli diede la benedizione. Non aveva ancor finito di pronunciare la formola che il giovane chierico ebbe calma, e rimase così profondamente addormentato che qualcuno degli astanti lo credette morto. Ma accostato il lume si vide che respirava ed allora si lasciò tranquillo. Dormì senza più svegliarsi sino alla mattina seguente all'ora della levata. Quando si alzò cogli altri compagni, era così perfettamente guarito che pareva non avesse sofferto alcun malanno. Dopo d'allora non ebbe più a soffrire per mal di denti nel corso della sua vita, che terminò circa dieci anni dopo per acuta malattia di tifo.
In questo anno un certo Patarelli divenne all'improvviso mezzo ebete, smemorato, sicchè sembrava fatuo. Durò 15 giorni questo suo stato, finchè D. Francesia, che era direttore degli studi, vedendo come non vi fosse rimedio e bisognasse condurlo a casa, pensò di presentarlo a D. Bosco e lo accompagnò in sua camera. D. Bosco lo fece inginocchiare e lo benedisse. Patarelli subito si riscosse e, come risvegliato e rivenendo in sè, esclamò: - Ove sono io?
- In mia camera, gli rispose D. Bosco; e perchè sei qui invece di andare a scuola?
- Ma non so neppur io come abbia fatto a venir qui.
- Dunque va' a scuola, perchè è già suonata.
E il giovane tutto allegro corse a scuola. Era perfettamente guarito!
Da Tortona il Can. Arciprete Giuseppe Maria Cant√π Cancelli il 15 aprile 1867 scriveva al Ven.mo e Car.mo Don Bosco:
“ Io la ringrazio con tutta l'anima dell'affettuosa lettera che sì degnò di indirizzarmi li 6 del corrente mese... Il caro Vic. Remotti da alcuni giorni prova notabile miglioramento dai gravi e lunghi suoi malori. Giovedì scorso ebbe la consolazione di poter fare la S. Pasqua co' suoi colleghi capitolari alla Messa Pontificale del Venerato nostro Vescovo. Oh quanto efficace e pronto fu mai l'effetto della preghiera pel detto infermo, di V. S. carissima e dei suoi giovani! Ai caldi ringraziamenti beneficato aggiungo anche i miei vivissimi e ci raccomandiamo entrambi a Lei, perchè ci continui la bella e sì fiorita carità di sue orazioni, e le presentiamo i nostri più affettuosi rispetti, baciandole con amor figliale la mano... Non dimenticherà certamente la costruzione della sua chiesa e così V. S. mi otterrà dalla cara Mamma celeste di veder me e la numerosa mia famiglia allogati con sicurezza sotto il pietoso suo manto e preservati dall'irruente diabolica influenza “.
Un antico allievo nel 1888 scriveva a D. G. Bonetti: “ La figlia che tengo oggidì vivente era spedita dai medici, i quali anzi avevano detto non rimanerle più che poche ore di vita. Mia moglie a tale annunzio esterrefatta mandò sul momento a chiamare D. Bosco, perchè venisse a benedire l'inferma e a pregare per lei. Oh prodigio delle preghiere di D. Bosco! Mia figlia guarì sul momento e il medico, dopo averla esaminata, esclamò pieno di meraviglia: - Questo è un miracolo! ”
Sul finire del mese di aprile o in principio di maggio del 1867, D. Bosco fu chiamato a Vercelli per visitare una Marchesa ammalata, la quale chiedevagli la sua benedizione pronta a dare 500 lire per la Chiesa se fosse guarita. Da più mesi, presa dal male, era divenuta quasi incurabile, stremata di forze, giacente in un letto. D. Bosco andò, benedisse l'inferma e quindi uscì per la città a sbrigare alcune faccende. Non era ancor molto lontano dall'abitazione della Marchesa, quando ode una voce che lo chiama e sente una mano che lo tocca sulla spalla. Si volge e vede il Marchese il quale, estremamente commosso, gli dice come la sua signora lo pregasse a ritornare in casa.
- Sta forse peggio? - chiede D. Bosco.
- No! rispose il Marchese.
Rientrato, trova una signora la quale aspettavalo in sala, che gli chiede se cercasse della Marchesa. Don Bosco rispose di si: - Ebbene, quella soggiunse, andiamola a vedere sul suo letto.
Don Bosco giunge nella camera e con grande sua sorpresa vede il letto vuoto. Quella signora, che era la Marchesa in persona: - Conosce la Marchesa? gli disse:
D. Bosco capi ed esclamò:
- È forse lei?
- Proprio io: ecco i 500 franchi per la sua Chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice!
D. Rua ne fece testimonianza; e D. Bosco stesso, esaltando la Madonna, narrava pi√π volte il fatto miracoloso.
Ma non meno sorprendente era in lui l'intuito col quale giudicava se un infermo sarebbe guarito o meno. Racconta Giovanni Bisio: “Accompagnai D. Bosco a visitare una signora ammalata, la quale però non era così grave da far temere la morte. Dopo che l'ebbe confortata e benedetta, la famiglia lo interrogò per sapere se la madre sarebbe guarita. - Preghiamo, preghiamo! -rispose semplicemente il Servo di Dio. A queste parole e al modo col quale furono pronunciate, tanto io che la famiglia rimanemmo persuasi che l'inferma dovesse morire. E infatti morì dopo otto o dieci giorni ”.
Giuseppe Brosio, il bersagliere, ricordava: “ Io nel 1867 aveva in casa una figlia inferma, che non era ancor stata cresimata. Io desiderava tanto che gli fosse amministrato questo sacramento; ma il curato asseriva non essere ciò necessario perchè la ragazza era troppo giovane. Esposi allora il mio desiderio a D. Bosco e il domani aveva già Mons. Balma in casa mia, che amministrava il sacramento alla piccolina. Se D. Bosco non avesse prevista la sua morte, non si sarebbe affrettato a soddisfare la mia preghiera ”.
Lo stesso Brosio narrava ancora:
“ Un giorno accompagnai D. Bosco che andava a fare visita ad un prete infermo, che abitava in via Carlo Alberto vicino alla Madonna degli Angioli. Giunti che fummo nella camera dell'infermo, le sorelle del prete supplicarono D. Bosco acciocchè lo facesse guarire. Don Bosco, dopo aver recitata una preghiera e data la benedizione all'infermo, che si affannava molto per timore della morte, incominciava una scherzevole conversazione. Raccontò come un giorno fosse andato a visitare un ragazzo, che stava molto male e che tremava in tutta la persona pel timore di dover morire. Per confortarlo gli aveva detto che lasciasse da banda ogni paura, poichè se moriva sarebbe andato in Paradiso, ove aspettavalo ogni sorta di godimenti, di felicità, di ricchezze, ecc. Il ragazzo, tranquillizzato, gli aveva chiesto se in Paradiso vi erano anche dei pomi d'oro da mangiare. - E sì, gli aveva risposto D. Bosco: - In Paradiso vi è da godere ogni sorta di beni, e vi saranno anche dei pomi d'oro, purchè vi si vada… e per andarvi bisogna star tranquilli, non affannarsi, è rassegnarsi alla santa volontà di Dio.
” Si rise per i pomi d'oro, ma D. Bosco nel raccontar questo fatto aveva il fine di far intendere all'infermo come l'affannarsi in quel modo per timor di morire non era cosa profittevole per un cristiano.
Usciti di là, non avevamo ancora disceso le scale che D. Bosco si arrestò, dicendomi: - Domani questo infermo sarà morto! - E così fu: eppure non sembrava che il suo male dovesse portarlo così presto alla tomba ”.
La Madonna, oltre al rendere efficaci le benedizioni di D. Bosco, operava pur molte grazie colle medaglie. Il Servo di Dio scriveva a Suor Maria Filomena Cravosio, Domenicana, a Mondovì Piazza.
 
Rev.da Signora,
 
Le benedizioni del Signore scendano copiose sopra di Lei, sopra la signora M. Maria Mantundini e sopra tutte le loro fatiche. Amen. Le mando alcune medaglie benedette dal Santo Padre sotto l'invocazione di Maria Ausiliatrice. Le distribuisca con fede e speriamo molto da chi molto può. La chiesa a questa celeste Madre dedicata va avanti e se Ella continua come ora a concedere straordinari favori, chi noti vorrà approfittarne?
Dio ci conservi tutti per la via del Paradiso. Amen.
Con gratitudine sono
Torino, 13 aprite 1867,
Obbl.mo Servitore
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
Gli effetti salutari della medaglia li sperimentò la stessa madre della Suora, la Contessa Cravosio, la quale scrisse a D. Rua dopo la morte di D. Bosco:
Nell'anno 1867 D. Bosco mi diede una medaglia benedetta con parole rassicuranti: appena messa quella al collo di una mia figlia ammalata, essa ricuperò istantaneamente la salute. Quantunque non tenesse il letto, non poteva nè mangiare, nè digerire, nè camminare, perchè priva di forze. Io stessa le posi al collo la medaglia benedetta ed essendo ambedue piene di fede nella Madonna e nella preghiera di D. Bosco, ho visto la mia figlia acquistare i suoi bei colori, mangiare a pranzo con piacere, digerire senza difficoltà: abbiamo fatto insieme una lunga passeggiata senza soffrirne.
Ma perchè le benedizioni e le medaglie operassero il desiderato effetto, di regola ordinaria D. Bosco esigeva, come altrove è notato, la cooperazione di chi domandava la sanità:
1° Col mettersi in grazia di Dio colla Confessione e Comunione. Gesù prima di guarire il paralitico gli disse: O uomo, sono a te rimessi i tuoi peccati.
2° Col fare qualche opera di carità perchè “ allora, dice Isaia, al capo 58, tu invocherai il Signore ed egli ti esaudirà, alzerai la tua voce ed ei dirà: Eccomi a te, quando tu aprirai le tue viscere all'affamato e consolerai l'anima afflitta. ”
3° Coll'orazione fiduciosa e perseverante: Petite et accipietis.
L'opera di carità che la Madonna aveva chiaramente fatto intendere di volere era la misericordia verso i giovanetti ricoverati da D. Bosco e la costruzione della sua Chiesa in Valdocco. Anche fuori d'Italia incominciava ad essere noto il volere della Regina degli Angioli e degli uomini, e la signora Maria de Lorette Guttierrez de Estrada, scriveva a D. Bosco da Parigi il 26 aprile 1867:
“ ... avendo saputo che si fabbrica in Torino un Santuario dedicato a Maria SS. Ausiliatrice gli manda 50 lire e raccomanda alle sue preghiere il padre, infermo gravissimo da tre mesi ”.
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