Capitolo 65

La prima messa di D. Bosco in Roma - Una predica del P. Rossi al Gesù - Il Panteon - S. Pietro in Vincoli - Visita al Card. Gaude -Il Marchese Patrizi e le Conferenze di S. Vincenzo - S. Maria Maggiore - Le reliquie di S. Galgano - Una Messa a Santa Pudenziana - Santa Prassede - Il Battistero di Costantino - La Basilica di S. Giovanni in Laterano - La Scala Santa - Prima visita alla Basilica Vaticana - L'Ospizio di Tata Giovanni - Predica del P. Curci - Udienza dal Card. Antonelli - Ospizio di S. Michele e il Cardinale Tosti - Il Campidoglio.

Capitolo 65

da Memorie Biografiche

del 29 novembre 2006

Don Bosco aveva preso alloggio in quella parte dei monte Quirinale detta le Quattro Fontane, perchè quattro fontane perenni zampillano dagli angoli di quattro contrade che ivi mettono capo. Il Conte Rodolfo De Maistre, la signora contessa e le loro buone figliuole, i loro figli Francesco, Carlo ed Eugenio uffiziale nelle truppe Pontificie lo trattavano con una attenzione ed una carità pari alla stima e all'antica amicizia che gli professavano. Non avevano cappella in casa, ma all'uopo D. Bosco poteva celebrare la Santa Messa in quella di certe suore del Belgio, le quali occupavano un appartamento nel medesimo palazzo.

   Il Ch. Rua per qualche giorno abitò con D. Bosco, ma poi andò a prendere ospizio dai Rosminiani in via Alessandrina n. 7. Il Padre Pagani, Generale della Congregazione dei Preti della Carità, lo aveva accolto volentieri e gli usava molti riguardi.. Quivi albergava eziandio il Teol. Colli Canonico della Cattedrale di Novara, che fu poi Vescovo d'Alessandria.

   Il mattino dopo il suo arrivo, 22 febbraio, D. Bosco accompagnato dal Ch. Rua e dal Conte Rodolfo De Maistre, si recò per celebrare la Santa Messa alla vicina chiesa dedicata a S. Carlo, uffiziata da religiosi tutti spagnuoli, appartenenti all'Ordine della Redenzione degli schiavi.

   Desiderando quindi di udire qualche predica, poichè si era in quaresima, ed egli fu sempre avido della parola di Dio, si recò alla chiesa del Gesù ad ascoltare il Padre Rossi, il quale prese per argomento: Le tentazioni. La gravità della persona, la voce grata e insinuante, la purezza di lingua, la grazia nell'esporre, e, quel che è più, l'unzione, gli affetti per la salute delle anime, che naturalmente sgorgavano dal cuore, erano le qualità del predicatore; e D. Bosco ne fu pienamente soddisfatto.

         Ritornato a casa, il resto del giorno lo impiegò nel disporre tutte le cane che aveva portate con sè, mandò il Ch. Rua a consegnare lettere al loro ricapito, e recossi al Convento dei Domenicani a S. Maria sopra Minerva per visitare il Card. Gaude, il quale però era uscito. Infine approfittando di un'ora che rimaneva ancora prima del tramonto, andò al Panteon, uno dei monumenti più antichi e più celebri di Roma pagana, dedicato al culto del vero Dio, di Maria SS. e di tutti i Santi dal Pontefice Bonifacio IV. Fu chiamato Sancta Maria ad Martyres perchè il detto Pontefice vi fece trasportare dalle catacombe ventotto carri di reliquie, le quali collocò sotto l'altar maggiore.

  Ritornato alla propria stanza, ordinò il suo programma che fu: mettersi in relazioni con ragguardevoli personaggi dell'alma città e colla loro scorta incominciare subito le, sue visite ai luoghi più celebri, ai santuari, alle basiliche, alle chiese che s'incontrano ad ogni passo. La sua divozione ardente aveva bisogno di uno sfogo, la sua intelligenza desiderava contemplare le opere che i Papi avevano innalzate in Roma, la sua memoria fra i ruderi maestosi dell'impero anelava ad evocare le scene mirabili dei gloriosi martirii. Era suo impegno far acquisto di esatte cognizioni per continuare a scrivere le Letture Cattoliche, specialmente quelle che trattavano della Storia Ecclesiastica e della vita dei Papi. Bramoso di visitare tutto minutamente, anche le meraviglie dell'arte antica e moderna, decise di consacrarvi un mese intero senza altre distrazioni.

  Il Ch. Rua doveva essergli e gli fu di grande aiuto, poichè anche abitando presso i Rosminiani, recavasi quasi tutti i giorni al palazzo dai De - Maistre, e D. Bosco gli dettava molte note intorno a ciò che aveva appreso, o vedendo, o leggendo, ovvero ascoltando dalle persone bene istrutte intorno alla storia ed alle tradizioni dell'eterna città. Ne risultò una memoria tuttora inedita, ricca di preziose notizie, colla scorta della quale noi seguiremo passo passo il nostro D. Bosco, omettendo ogni descrizione che ci allontani dal nostro scopo. Il Ch. Rua accompagnavalo sovente nelle sue escursioni e gli prestava mano a sbrigare la corrispondenza. Un altro lavoro procuravagli D. Bosco, poichè nelle ore libere o nei giorni di pioggia, egli componeva un nuovo Mese di Maggio in onore di Maria SS. ed il Ch. Rua portando con sè i fogli scritti e corretti, con molte cancellature ed aggiunte, li ricopiava in nitidi caratteri per mandarli al tipografo torinese.

   Il 23 febbraio D. Bosco fu molto consolato della visita fatta a S. Pietro in Vincoli, posta al mezzodì della città, chiesa affidata ai Canonici regolari di S. Agostino. Si crede, per costante tradizione, che il primo Vicario di Gesù Cristo abbia eretta in questo sito la prima cappella cristiana. Il giorno era memorabile, perciocchè si potevano vedere le catene di S. Pietro, sorte che avviene assai di rado. D. Bosco e il suo chierico ebbero adunque la fortuna di toccarle colle loro mani, baciarle, mettersele al collo e sulla fronte.

   Usciti dalla chiesa muovevano i primi passi per ottenere una protezione necessaria nelle pratiche per l'approvazione delle regole della Pia Società. Verso le nove si portarono alla chiesa di Santa Maria sopra Minerva, così detta perchè costrutta sopra le rovine di un tempio dedicato a tale Dea. Entrati nel convento, furono accolti con somma bontà dal Card. Gaude, che quivi aveva la sua dimora e li attendeva. Quel porporato, che era in ottima relazione con D. Bosco, lo trattenne ad udienza privata circa un'ora e mezzo. Egli si compiaceva di parlare il patrio dialetto piemontese, lo interrogava intorno alle cose degli Oratorii festivi, chiedeva altre notizie più essenziali sulle condizioni della Chiesa negli stati sardi e ascoltava benignamente ciò che D. Bosco gli disse sulle Costituzioni che aveva seco portate. Colle sue parole e co' suoi modi dimostrava che l'alto grado del quale era insignito non aveva alterato punto la sua umiltà, e nemmeno gli aveva fatto diminuire l'amor patrio e l'affezione verso i suoi antichi amici. In occasione di questa visita e in tutto ciò che poi occorse a D. Bosco nel trattare col Cardinale, gli die' aiuto il Padre Marchi Domenicano, che per lui ebbe molta deferenza e si offrì pure di servirlo in tutto quello che gli sarebbe potuto occorrere durante il suo soggiorno in Roma.

   Dopo il mezzo giorno andò a fare una visita al Marchese Giovanni Patrizi, nipote del Cardinal Vicario, che dimorava nella piazza detta di S. Luigi de' Francesi. Don Bosco gli consegnò una lettera del Conte Cays e quindi tenne con lui un lungo ragionamento sulla società di S. Vincenzo in Roma, della quale il Marchese era un presidente dei più animati. Venne così a conoscere che vi erano quindici conferenze, che abbondavano tutte di mezzi pecuniari, e provò viva soddisfazione nell'apprendere che estendevano eziandio le sollecitudini dei confratelli al patronato dei giovani abbandonati, pei quali nell'anno scorso avevano spese duemila lire.

   Di fronte al palazzo Patrizi sorge la splendida chiesa di S. Luigi de' Francesi; D. Bosco dopo averla visitata, si avviava alle quattro fontane, stanco per aver anche eseguite alcune delle molte commissioni che gli erano state affidate prima di partir da Torino. Quand'ecco ode il saluto di una voce amica. Era il Padre Bresciani Gesuita, il quale lo invitò a recarsi all'ufficio della Civiltà Cattolica ove lo attendevano altri padri della Compagnia. E Don Bosco promise che avrebbe ciò fatto nei giorni seguenti.

   Il 24 febbraio egli entrava nella famosa basilica di Santa Maria Maggiore costrutta per comando della Madonna sul monte Esquilino, ove il 4 agosto del 352 cadde miracolosamente e abbondante l'annunziata neve. Qui venerò la santa culla del Salvatore, il teschio dell'Apostolo Mattia esposto nella cappella sotto l'altare papale, essendo tempo di stazione; e un dipinto attribuito a S. Luca che rappresenta la S. Vergine.

  Alla sera, dopo il pranzo di magro stretto, come era prescritto in Roma in tutti i mercoledì di quaresima, si venne a parlare da' suoi nobili ospiti di questa legge rigorosamente osservata da ogni classe di persone, a segno che nelle pubbliche piazze e nelle botteghe neppur troverebbesi a comperare carne, uova, butirro. Ne venne per conseguenza il riflettere l'abborrimento che nutrono i protestanti contro la mortificazione cristiana, le reliquie dei santi, ricordo di eroiche sofferenze e a tutto ciò che sa di penitenza e di soprannaturale.

  La Signora Francesca De - Maistre raccontò allora un fatto degno di memoria.

     - L'anno scorso fu qua il Vicario Generale di Siena. Fra le altre cose che egli soleva raccontare fu quella che riguarda S. Galgano soldato. Questo Santo è morto da più secoli, e il suo corpo si conserva intatto; ma la meraviglia si è che ogni anno gli si tagliano i capelli, i quali crescono insensibilmente e tornano della stessa lunghezza nell'anno seguente. Un protestante, udito un tal prodigio, prese a ridere e disse: - Lascino sigillare a me l'urna del capo, e se i capelli crescono ugualmente, io riconosco il dito di Dio nel prodigio e mi faccio cattolico. Riferita la cosa al Vescovo: -Sì, tosto rispose; io metterò i sigilli vescovili per l'autenticità della reliquia, egli metta i suoi per assicurarsi del fatto. Così fu. Ma il protestante impaziente di vedere se il prodigio incominciava ad operarsi, dopo alcuni mesi chiese di aprire l'urna del Santo. Ma quale non fu la sua meraviglia quando vide i capelli di S. Galgano cresciuti già ad una considerevole lunghezza con quella stessa proporzione che se egli fosse ancora vivente!? - Verità, verità! egli esclamò; io sono cattolico! - Difatti l'anno seguente, al giorno della festa del Santo, egli colla sua famiglia abiurò gli errori di Calvino e di Lutero, ed abbracciò la religione cattolica, che al presente professa con esemplarità.

Il 25 febbraio D. Bosco andò alla chiesa di Santa Pudenziana, costrutta alle radici del Viminale, sul luogo ove fu alloggiato S. Pietro, quando venne a Roma, nella casa del Senatore Pudente. Nella chiesa vi è un pozzo, in fondo al quale si vede una quantità di sacre reliquie, e la storia narra che ivi furono nascosti, per essere seppelliti, i corpi di tremila martiri. Don Bosco celebrò la santa messa, con grande divozione, ad un altare sopra il quale si crede aver offerto, S. Pietro il divino sacrifizio, posto in una cappella di forma molto oblunga a fianco dell'altar maggiore. In un'altra cappella si conserva il testimonio di un miracolo del SS. Sacramento. Dubitando un Sacerdote celebrante dell'esistenza di Gesú nell'ostia consacrata, questa gli sfuggì dalle mani e cadendo sul pavimento fece due balzi sui gradini di marmo. Il primo gradino fu quasi forato, e nel secondo si formò una cavità assai profonda avente la forma di un'ostia. Questi due marmi sono conservati nel luogo medesimo e custoditi con appositi cancelli.

Da Santa Pudenziana D. Bosco saliva il colle Esquilino ed entrava nella chiesa di Santa Prassede che, sorge a poca distanza di S. Maria Maggiore. Quivi nelle terme di Novato, fratello di Prassede, si rifugiavano gli antichi fedeli in tempo di persecuzione. La Santa si adoperava a fornir loro quanto occorreva: trafugava i corpi dei martiri che seppelliva, e il loro sangue colle spugne e le zolle che lo avevano raccolto lo riponeva nel pozzo che ora sta in mezzo alla chiesa. In una cappella si conserva una colonna di diaspro, alta circa tre palmi, che si ritiene per quella a cui fu legato il divin Salvatore nel tempo della flagellazione.

  Dal monte Esquilino D. Bosco passava al colle detto Celio. Visitato il Battistero di Costantino, che è una vasca di gran larghezza lavorata di marmi preziosi collocata in mezzo alla chiesa di S. Giovanni in fonte, traversata una vasta piazza, salutato l'obelisco egiziano, sormontato da un'alta croce, D. Bosco s'innoltrava nella celeberrima prima e principale chiesa del mondo Cattolico, la basilica di S. Giovanni in Laterano. Questa è la sede del Romano Pontefice come Vescovo di Roma, e dopo la sua esaltazione ne prendeva solennemente possesso. Qui è custodito, sotto l'altar maggiore, il capo dei due principi degli apostoli S. Pietro e S. Paolo, e conservasi una tavola, quella medesima su cui Gesù Cristo celebrò l'ultima cena co' suoi Apostoli.

  Uscito da questa immensa basilica a cinque navate, attraversò la piazza e si recò all'edifizio costrutto da Sisto V per la Scala Santa. È  formata di ventotto gradini di marmo bianco, gli stessi che erano alla casa di Pilato in Gerusalemme e pei quali il divin Salvatore salì e discese più volte in tempo della sua passione, lasciandovi le vestigia de' suoi piedi sanguinosi. Queste si veggono per mezzo di fori aperti ne' grossi tavoloni di legno che ricoprono i gradini, incavati pel gran numero di Cristiani che li hanno saliti in ginocchio. Si discende per una delle quattro scale laterali e alla sommità vi è la celebre cappella domestica dei Papi, ripiena delle più insigni reliquie. Il 26 febbraio D. Bosco, accompagnato dal signor Carlo De Maistre e dal Ch. Rua, si diresse al Vaticano, colle il quale contiene quanto vi ha di più memorabile nella religione, di più eccellente nelle arti. Passando sopra il ponte Sant'Angelo recitarono il Credo per acquistare i cinquanta giorni d'indulgenza concessi dai Sommi Pontefici; e salutata la statua di S. Michele, dominante la mole Adriana ridotta a fortezza, eccoli sulla gran piazza della Basilica. In questo spazio fu il circo nel quale Nerone condannava i cristiani al supplizio del fuoco. Ora è circondato da 284 colonne con 88 pilastri disposti in semicerchio da ambo i lati in quattro file che dividono il porticato in tre ambulacri, dei quali il più ampio nel mezzo può dar transito a due carrozze; sopra il colonnato campeggiano 96 statue di santi. In fondo alla piazza una magnifica gradinata mette al vestibolo del tempio, tutto adorno di marmi, di pitture statue ed altri ornamenti. Superiormente è la gran loggia per la benedizione papale. Tutta quella facciata maestosa ed imponente regge tredici statue colossali, rappresentanti il Salvatore con a destra S. Giovanni Battista, e gli Apostoli, meno S. Pietro, disposti ai lati. Nel centro della piazza fiancheggiato da due meravigliose fontane, che gettano continuamente a grande altezza torrenti di acqua, s'innalza un obelisco egiziano, sormontato da una croce, nel mezzo della quale è incassato un pezzo del Santo Legno. Don Bosco e i suoi compagni si levarono il cappello e gli fecero riverenza, lucrando con quest'atto altri cinquanta giorni d'indulgenza.

  La Basilica ha cinque porte; chiunque la visita in qualsiasi giorno dell'anno, può guadagnare l'indulgenza plenaria, purchè abbia premessa la Confessione e la Comunione.

D. Bosco appena vi entrò, a tanta magnificenza ed immensità rimase buon tratto di tempo come estatico, senza proferir parola; e la prima cosa che lo colpì furono le statue in marmo dei fondatori degli Ordini religiosi, intorno ai pilastri della navata maggiore. Gli parve di vedere la celeste Gerusalemme. La lunghezza della Basilica nella nave maggiore, dalla porta di bronzo alla cattedra di S. Pietro, è di metri 185,37 el'altezza fino alla volta di 46. È  il maggior tempio di tutta la cristianità. Dopo S. Pietro, il più vasto è quello di S. Paolo in Londra. - Se a questo, diceva D. Bosco scherzando, aggiungiamo la chiesa del nostro Oratorio si forma la precisa lunghezza della Basilica Vaticana. - Ciascuna cappella ha le dimensioni di una chiesa ordinaria.

  D. Bosco incominciò a visitare la navata minore a diritta entrando, ed esaminò in ogni sua parte cappella per cappella, altare per altare, quadro per quadro. Osservò ogni statua, ogni bassorilievo, ogni mosaico; contemplò le tombe così splendide di vari Papi. Fra queste notò quella della famosa Matilde contessa di Canossa, la quale sostenne l'autorità Pontificia contro Enrico IV imperatore di Germania; e l'altra di Cristina Alessandra regina di Svezia, che, essendo protestante, conosciuta la falsità di quella setta, rinunziò al trono per farsi cattolica, morendo in Roma nel 1655. D. Bosco di ogni cosa prendeva e scriveva memoria, con dati storici; ma sopratutto appagava la sua devozione.

  Entrò nella cappella detta della colonna santa, ove si conserva una colonna qui trasportata dal tempio di Gerusalemme a cui si appoggiò Gesù Cristo allorchè predicava alle turbe. Si ammira che la parte toccata dalle sacre spalle del Salvatore non è mai coperta di polvere.

  Si mise in adorazione nella cappella del SS. Sacramento, il cui altare è dedicato a S. Maurizio e a' suoi compagni martiri che sono i protettori principali del Piemonte. Accanto a questo altare avvi uno scalone per cui si ascende al palazzo pontificio.

   Nella cappella gregoriana osservò venerata sull'altare un'antica immagine di Maria SS., opera dei tempi di Pasquale II eletto nel 1099.

   L'ultima stazione in quella chiesa la fece innanzi alla tribuna principale detta della Cattedra, posta in fondo allo spazio che forma come il coro dell'altare papale. Sono quattro statue gigantesche di metallo, sopra un altare che sorreggono una gran sede pontificale della stessa materia. Le due anteriori rappresentano S. Ambrogio e S. Agostino; le due posteriori S. Atanasio e S. Giovanni Grisostomo. Incassata nella sedia di bronzo se ne conserva, come preziosa reliquia, una di legno intarsiata d'avorio a vari bossorilievi. Questa sedia appartenne al Senatore Pudente, e servì all'Apostolo San Pietro e a molti altri Pontefici dopo di lui.

   Venerato quel simbolo dell'infallibile magistero della Chiesa, D. Bosco ritornò a prostrarsi innanzi alla Confessione  di S. Pietro; quindi si recò a piegare il capo dinanzi alla statua in bronzo del Principe degli Apostoli collocata presso un pilone a destra, e a baciarne rispettosamente il piede, che sporge alquanto fuori del piedestallo, in gran parte consumato dalle labbra dei fedeli. È  una statua fatta gettare da S. Leone Magno, servendosi del bronzo di quella di Giove Capitolino, in memoria della pace ottenuta da Attila.

   Scoccavano le cinque pomeridiane, e D. Bosco sentivasi molto stanco, poichè dalle undici del mattino egli, sempre in piedi, erasi aggirato per quella navata della Basilica. Perciò ritornava alle Quattro Fontane.

Il sabato, 27 febbraio, essendo tempio piovoso D. Bosco non potè proseguire la visita al Vaticano, essendo molto distante; ed impiegò col Ch. Rua gran parte del giorno a scrivere. Dopo mezzodì fu da Mons. Vicario per farsi segnare A celebret, non potendosi altrimenti celebrare nelle varie chiese di Roma. Di qui risolse di recarsi in alcuni Istituti dì beneficenza, a pro dei giovani, dove sperava di aver lume e conforto a zelare viemaggiormente lo spirituale e materiale vantaggio dell'Oratorio.

   Si recò pertanto a visitare l'Ospizio di Tata Giovanni, posto nella via detta di Sant'Anna de' Falegnami, che fu per lui oggetto di vera compiacenza e per l'origine e per lo scopo, non che pel suo andamento. - Sul finire del secolo XVIII, un povero muratore di nome Giovanni Burgi, vedendo ogni giorno tanti poveri fanciulli orfani andar vagando per Roma cenciosi e scalzi, ne fu tocco di compassione e provò di raccoglierne alcuni in una piccola casa presa a pigione. Benedicendo Iddio quest'opera, il numero dei giovanetti andò aumentando; fu ampliato il locale, e i fanciulli pieni di riconoscenza e di affetto presero a chiamare il loro benefattore col nome di Tata, che nella favella del volgo romano significa padre. Di qui derivò all'Istituto il titolo di Tata Giovanni, che conserva tuttora. Il Burgi aveva pochi mezzi dì fortuna, ma possedeva un gran cuore, onde pei suoi figliuoli adottivi non si adontava punto dì andare questuando. Papa Pio VI, che vide sorgere sotto il suo Pontificato quell'Istituto, gli comprò una casa, se ne fece insigne benefattore, e i suoi successori ne imitarono l'esempio.

   Vi è un direttore, che sceglie un compagno coadiutore; morendo quello, succedegli il coadiutore.

I giovanetti vi sono accolti dai nove ai quattordici anni, e vi si tengono sino ai venti. I più maturi e virtuosi presiedono alle camerate, ed i meglio istruiti insegnano agli altri gli elementi del leggere e dello scrivere e dell'aritmetica. Alcuni chierici e laici fanno scuola alla sera. La maggior parte dei ricoverati imparano un mestiere, scegliendo quello che loro talenta. Non avendo i laboratorii interni, uscivano ad imparare il mestiere in vari laboratorii della città, come da principio facevasi anche tra noi. A taluni si permette l'apprendimento delle arti belle e lo studio delle lettere, ma dopo lunghe e sicure prove di una eminente pietà e di perspicace ingegno. 1 fondi di sussistenza erano centocinquanta lire al mese che dava Pio IX, qualche elemosina e una parte di ciò che guadagnavano gli orfani stessi. Questi di lor guadagno rilasciavano all'Opera fino a quindici baiocchi della loro paga giornaliera, cioè sedici soldi; e il sopra più era tenuto in cassa per loro conto.

  L'Istituto, che dipende direttamente dal Papa, è posto sotto la protezione di Maria Vergine Assunta in Cielo e di 5. Francesco di Sales. L'ora della levata e del riposo, i dormitori e l'assistenza, un Santo per protettore a ciascuna camera, tutto insomma portava l'impronta del nostro Ospizio, e D. Bosco apprese con soddisfazione di aver piantata in Torino l'opera di Tata Giovanni senza neppure conoscerla. Le opere di carità, quali più quali meno, si assomigliano tutte, perchè hanno per autore Iddio, e per ispiratrice la Chiesa che non mutano mai nè per mutar di tempo nè per mutar di luogo.

  Pio IX da semplice Sacerdote fu sette anni Direttore di quell'Ospizio, e lo considerava sempre come cosa sua, e vi si conservava ancora la medesima camera da lui occupata. In quell'anno i giovani erano circa 150.

 “ La Domenica, 28 febbraio, scrisse D. Bosco, fu giorno pure piovoso e abbiamo potuto uscire poto di casa. Dopo mezzodì siamo andati al Gesù alla predica del P. Curci, il quale faceva l'esposizione della Bibbia, descrivendo Giuseppe al cospetto di Faraone. La popolarità e la chiarezza del predicatore ci diedero ragione della numerosa udienza che lo ascoltava.

   ” Alle cinque era a casa per andare a far visita all'Eminentissimo Cardinale Giacomo Antonelli Segretario di Stato, che due giorni prima ci aveva fissata udienza privata alle sei di domenica a sera. Il Conte Rodolfo De Maistre fu cortese di provvedermi la vettura e di accompagnarmi fino al palazzo Vaticano. Io era in mantelletta quando smontai dalla vettura ed entrai per le maestose scale del palazzo Papale. Al primo piano vi è l'appartamento del S. Padre e nel piano superiore quello del Segretario di Stato. Fui immediatamente introdotto nel gabinetto di quell'illustre porporato. Il Card. Antonelli è una persona cui bisogna avvicinarsi per conoscerne la bontà, la prudenza, la vastità delle sue cognizioni e l'affetto particolare che egli dimostra pei nostri paesi.

   ” Il trattargli insieme è un divenirgli affezionatissimo. Questa fu una delle belle giornate di mia vita ”

   La stessa favorevole impressione provò nel suo animo il Cardinale fin dal primo istante che vide D. Bosco, il quale trattava con tutti senza accettazione di persone. Di qui la libertà di spirito nel conversare alla buona coi principi, coi ministri, coi più eminenti prelati e poi coi Re e colla stesso Romano Pontefice, senza però venir meno all'ossequio, e rispetto dovuto al loro grado e autorità. Sempre compito, semplice ed umile, operando o parlando, era per i grandi, come per i piccoli, quel D. Bosco medesimo così scherzevole, tranquillo ed amabile che piaceva tanto ai giovanetti dell'Oratorio.

   Il Cardinale adunque, ricevuti da D. Bosco i plichi confidenziali recati da Torino, gli concesse un'udienza di quasi due ore. Sua Eminenza si compiacque di discorrere delle Letture Cattoliche, della Storia d'Italia, degli Oratorii festivi, dei giovani della Casa e delle varie loro categorie; passò indi a parlare del Santo Padre, di sua fuga da Roma nel 1848, della sua dimora a Gaeta, della offerta di 33 lire de' fanciulli torinesi, e delle corone benedette, che in segno di gradimento Pio IX aveva loro regalate. In fine D. Bosco manifestò all'Eminentissimo lo scopo principale per cui era venuto a Roma e il bisogno che aveva di comunicare le sue idee al glorioso Pio IX, e di averne gli alti consigli; e il Cardinale promise che lo avrebbe annunziato a Sua Santità, e procuratagli l'udienza privata.

   Poco lungi dalla strada di Porta Pia trovasi la chiesa detta di S. Maria della Vittoria ed una immagine miracolosa di Lei conservasi sull'altare maggiore. D. Bosco il primo di marzo fu a venerarla, perchè quel titolo rispondeva troppo bene a quell'altro di Aiuto de' Cristiani, che egli doveva rendere popolare in tutto il mondo. Quanto dovette rimaner commosso nel vedere i trofei della potente protezione di Maria. Sopra i cornicioni sono issate molte bandiere tolte ai nemici dal Duca Massimiliano di Baviera nella grande vittoria da lui riportata contro i protestanti, che con esercito numerosissimo avevano messo sossopra il regno d'Austria. Parimenti si vedevano pendere altre bandiere strappate ai Turchi, nella liberazione di Vienna e nella battaglia di Lepanto.

In quel mattino non ebbe altro a visitare e nel pomeriggio si decise di portarsi col Conte Rodolfo al grande Ospizio di S. Michele in Ripa posto di là del Tevere, per ossequiare il Cardinale Antonio Tosti che ne era il Presidente. Sua Eminenza era stato in Torino, incaricato d'affari presso il Governo di Piemonte dal 1822 sino al 1829 acquistandosi l'affettuosa stima del fiore dei nobili e dei dotti.

   Don Bosco e il Conte passato il fiume, dopo aver prestato ossequio nell'Isola Tiberina alla chiesa di San Bartolomeo, che conserva sotto l'altar maggiore le ossa dell'Apostolo; vista pure la chiesa di S. Cecilia edificata nel sito medesimo ove fu la casa di questa Santa, veneratone il corpo, che dopo tanti secoli conservasi incorrotto, giunsero all'Istituto di S. Michele.

   La facciata principale dell'edifizio si estende per ben 345 metri, avendone 80 di profondità e 23 nella massima sua altezza: il suo circuito è di circa un chilometro. Albergava oltre ad 800 persone, la maggior parte giovanetti.

   D. Bosco e il suo nobile compagno ebbero tosto una graziosa accoglienza dal Cardinale, che raccontò ad essi varii episodii accaduti a lui nel tempo della repubblica e come fosse stato costretto a vivere alcun tempo lontano dall'Ospizio per non restare la vittima di qualche assassinio.

   Mentre si congedavano, l'illustre porporato li invitò a visitare l'Ospizio, pregandoli ad avvertirlo del giorno e dell'ora nella quale avrebbe avuto il piacere di rivederli.

   Ritornando al Quirinale, D. Bosco e il Conte salirono il Campidoglio dove osservati il palazzo senatorio e quello dei conservatori, i musei, la pinacoteca, entrarono a pregare nella maestosa chiesa di S. Maria in Ara Coeli, costrutta nel terreno sul quale una volta esisteva il famoso tempio di Giove Capitolino. Sovra l'altar maggiore si venera un'immagine della Madonna creduta di S. Luca, e in una stanza vicino alla sagrestia conservasi una statua di Gesù bambino assai miracolosa. Le sue fasce sono arricchite di moltissime pietre preziose. Uscendo da Ara Coeli incontrarono, nella parte occidentale del Campidoglio, la rocca Tarpeja dalla quale, nel fondo sottoposto, furono precipitati molti martiri in odio alla fede.

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