Capitolo 65

Don Bosco a Torino - Due defunti nell'Oratorio mentre Don Bosco era lontano - Predizione - La festa di S. Francesco di Sales - Morte del Parroco di Castelnuovo - Pio IX presenta al Concilio lo schema sull'Infallibilità Pontificia - Don Bosco tiene conferenza generale; narra di due udienze avute dal Papa, e dell'offerta della Chiesa e casa a S. Giovanni della Pigna: spera che il Concilio tratterà delle dimissorie pei Superiori degli Ordini religiosi: Vescovi che domandano i Salesiani per le loro diocesi: nuove costruzioni nelle case: cercare nuovi socii per la Pia Società; prospera condizione di questa: fedeltà alle regole - Risposta di Don Bosco a chi gli domandava che cosa accadrebbe alla sua morte - Va a Mirabello - Decreto di Pio IX che conferma in perpetuo le indulgenze già concesse all'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice - Don Bosco a Lanzo e a Cherasco - Le giaculatorie a Maria Ausiliatrice: da un ballo alla tomba: l'Angelo Custode - Conferenza di Don Bosco ai Salesiani dell'Oratorio: Dà relazione della sua visita alle Case: parla delle mormorazioni e delle facili uscite dall'Oratorio: accenna ai riguardi da usarsi nel trattare coi giovani: doveri dei Salesiani: equanimità nel punire le mancanze degli alunni - La morte di due altri cari amici.

Capitolo 65

da Memorie Biografiche

del 05 dicembre 2006

Don Bosco era partito da Roma il 22 febbraio e, fermatosi due giorni a Firenze, il 25, venerdì, giungeva a Torino, accolto, come aveva desiderato senza alcuna dimostrazione di festa.

Prima notizia che ebbe fu la morte di due cari amici dell'Oratorio. Si legge nel necrologio di D. Rua:

Valsania Felice, da Pralormo, moriva il 14 febbraio in età di 41 anno. Uomo allegro e semplice. Disimpegnava con fedeltà e diligenza tutte le incombenze che gli venivano affidate. Andò una sera a letto in piena salute, e, senza potergli dare alcun soccorso, fu trovato all'indomani morto nel suo letto. Aveva però ricevuto il giorno prima i SS. Sacramenti. Forse il non essersi slacciato le biancherie in dosso fu causa della sua morte.

Mellica Bernardo da Grugliasco, di anni 24, moriva il 20 febbraio. Fu giovane di eccellenti costumi. La pietà, l'ubbidienza, l'amore al lavoro, e la pazienza erano le sue virtù caratteristiche. Sopportò con una rassegnazione esemplarissima la sua lunga malattia senza lasciar sfuggire il menomo lamento. Fino alla vigilia di sua morte non lasciò mai di fare i suoi soliti atti di religione e di attendere quanto poteva al lavoro. Frequente ai SS. Sacramenti, ascritto alle pie associazioni, non occorreva mai correggerlo di nulla.

Il sabato, la domenica di Quinquagesima e i due giorni seguenti, Don Bosco ebbe da confessare per lunghe ore i suoi alunni, felici di potergli aprire nuovamente il cuore. In lui era sempre lo stesso spirito. A un certo Anselmo Vecchio, mentre stava confessandosi, raccomandò di essere molto buono e aggiunse: “ perchè entro l'anno ti accadrà una grave disgrazia ”. Il giovane gli domandò quale sarebbe stata quella disgrazia, ma Don Bosco gli rispose che non poteva dirglielo. E il fatto sta che dopo pochi mesi venne a morirgli il padre, che aveva goduta sempre ottima salute.

Il 6 marzo, prima Domenica di Quaresima, si celebrò la festa di S. Francesco di Sales, e D. Bosco aveva un grave dolore. Il Teologo Antonio Cinzano, Vicario di Castelnuovo, al quale egli era di tanto debitore, in età di sessanta sei anni, dopo avere esemplarmente governata la sua parrocchia per 38 anni, con generale rincrescimento cessava di vivere.

Negli ultimi anni non parlava più di altro che di prepararsi alla morte, ed aveva già sistemata ogni cosa e convenuto di rinunciare alla parrocchia per venirsi a ritirare in Valdocco nella casa dell'Oratorio

“ per prepararmi, egli diceva, per gli ultimi momenti di vita e, sotto al manto di Maria Ausiliatrice, partirmene per l'eternità.” Ciò ripeteva anche pochi giorni prima di morire.

Al dolore succedeva per Don Bosco una grande letizia.

Il Concilio aveva gradito che si trattasse dell'infallibilità, e il 7 marzo venne distribuita ai Padri un'aggiunta allo schema de Ecclesia che diceva che il Pontefice di Roma non può errare quando definisce materia di fede o di morale. Era questo un passo decisivo. Il Papa il 23 aprile, accettando la petizione di 150 Padri, permise pure che fosse presentata alla Congregazione Generale. La discussione generale durò quattordici Congregazioni, dal 14 maggio al 3 giugno; e la discussione particolare occupò diciotto Congregazioni generali, dal 6 giugno al 4 luglio. Venne lasciata ai prelati della minoranza ogni ragionevole libertà di esporre la loro opinione e tutte le loro difficoltà e i loro dubbii. Molti Vescovi si fecero iscrivere per avere la parola. Quelli della minoranza fecero quanto poterono per impedire la definizione dommatica. Tentarono di mandare in lungo le discussioni per procurare l'aggiornamento del Concilio fino all'autunno. I loro oratori ripetevano, fino alla nausea, le stesse obiezioni già sfatate, sottoscrissero proteste contro la maggioranza, chiesero di sospendere il Concilio per causa dei calori estivi. La maggioranza però tenne fermo e la verità splendette in tutta la sua luce e risuonò ponente sulle labbra dei Padri.

Fra gli altri parlarono bene in favore i Vescovi di Mondovì e di Casale. Due volte parlò anche Mons. Gastaldi con tanta eloquenza e forza di ragioni, che apparve uno dei più validi propugnatori dell'avversata prerogativa papale, cooperando efficacemente alla riuscita della definizione. Tutti erano entusiasmati nell'udire l'energica sua arringa e un triplice applauso dei Padri salutò le sue conclusioni. Di questo trionfo ebbe merito anche Don Bosco, come abbiamo accennato, e come ripetè a Don Francesco Dalmazzo l'Em.mo Cardinale d'Avanzo. Per la Chiesa e per il Papa fu questo il maggior lavoro compiuto dal Venerabile nella sua permanenza in Roma.

Mentre incominciavano a svolgersi gli accennati avvenimenti, la sera del giorno 7 marzo, lunedì, egli tenne conferenza generale ai Salesiani, presenti i Direttori di tutte le Case, e Don Pestarino di Mornese. E così incominciò:

“ Quest'anno non vi era veramente un grave motivo di andare a Roma; tuttavia, oltre a diversi nostri speciali interessi, secondando il cortese invito di più ragguardevoli persone, si è creduta di non poca utilità una tal gita. Ed io procurai che dal tempo occupato in questo viaggio risultasse il maggior bene possibile. Quindi, mentre agli occhi altrui ero a Roma come a diporto, faceva come quelli uccelli che svolazzano qua e là, ma intanto se vedono qualche grillo a saltare, se lo beccano”.

Dopo questo esordio, descrisse la sua visita al Card. Quaglia e le due prime udienze avute dal Sommo Pontefice, di cui abbiamo fatto cenno. Disse dell'Obolo di S. Pietro e delle Letture Cattoliche presentate al Papa: dei favori spirituali da lui concessi, e de' suoi ricordi ai giovani; e annunziò che nel Concilio si era parlato con lode della Congregazione Salesiana. Ma null'altro disse allora di quanto sapeva, e sapeva molto, dallo stesso Pio IX, nè di quanto aveva visto; e neppure del lavoro compiuto perchè scemassero le opposizioni alla desiderata definizione dommatica dell'infallibilità Pontificia. Passò invece ad esporre la proposta avuta e accettata di stabilire una casa Salesiana in Roma a S. Giovanni della Pigna. Disse della bella chiesa, del locale attiguo, dei vantaggi di possedere una residenza nella città dei Papi, e continuò a parlare di altro, conforme a questo riassunto:

Così in quest'anno, nel mese di agosto o di ottobre, se arriva niente in contrario, si manderanno già alcuni a Roma, oltre all'altro collegio che abbiamo da aprire sulle rive del mare, cioè ad Alassio, fra Oneglia ed Albenga. Così sono restato inteso col Sommo Pontefice.

Siccome l'anno scorso avea fatto una piccola colletta per il Collegio di Roma, l'ho lasciata là, ed ora con qualche altra cosa insieme ho assicurato sul debito Pontificio 100 (cento) franchi mensili per vestire quelli che andranno poi a Roma nel corrente anno.

Voleva ancor domandare alcune cose al Pontefice per le dimissorie, e credo che le avrebbe concedute; ma poi pensando che di queste si era parlato in Concilio e che tutti erano favorevoli, per non recar novità o inconvenienze, ho giudicato di lasciare che il Concilio stabilisca quello che ha tra mano, e se vi saranno poi domande da fare, le farò dopo il Concilio al Pontefice, il quale, potendo fare con piena autorità, concederà e farà ben volentieri ogni cosa che torni a maggior gloria di Dio.

Ho poi trattato con diversi Vescovi, che avendo sentito parlar in Concilio della nostra Società, venivano e scongiuravano affinchè si avesse pietà della loro Diocesi e vi si aprisse una casa. Ma io non ho promesso cosa alcuna, non per mancanza di beni materiali, ma per mancanza di persone.

Da Roma ho anche potuto portare qualche cosa in danaro che servirà bene per le costruzioni di quello che siamo ora per incominciare, cioè il portico di qui alla chiesa, una piazza davanti alla medesima, una fabbrica a Lanzo di non poca mole, un'altra a Mirabello, ed una chiesa a Porta Nuova. Come si vede abbiamo sempre dei progetti grandi e in apparenza presuntuosi; ma io, finchè vedo che il Signore ci dà la sua mano, vado avanti intrepido; se poi vedessi che ei ritirasse la mano, allora mi fermerei per non far brutta figura.

Sul finire accennò allo sviluppo della Pia Società, alle sue Case che andavano crescendo di numero, ai giovani alunni che si moltiplicavano, ai soccorsi generosi de' benefattori, alle grandiose speranze dell'avvenire, alla fama che dell'Oratorio narrava cose straordinarie, all'affetto del Romano Pontefice, alla stima che migliaia di persone testificavano alle Opere Salesiane, e concludeva:

Noi pertanto mettiamoci con impegno per far del bene, e ciascuno cooperi per quanto può a cercar dei soci, e li inviti ad entrare colle opere, colle parole, cogli esempi; perocchè io ho un bell'invitare, chiamare, ma, se voi non mi assecondate, sono come il soldato che batte il tamburo, senza che i soldati lo seguano.

Quindi i singoli direttori guardino se nelle loro case vi è qualche individuo che possa fare per la nostra Società, o che debba prendere qualche esame; lo facciano sapere affinchè si possa provvedere per loro. Conviene perciò che ciascuno si faccia veramente uomo di senno per portare il maggior utile alle anime dei giovani a noi affidati.

Noi, lasciando da parte tutte le profuse lodi, le adulazioni e le meraviglie degli altri, guardando la cosa sotto l'aspetto più chiaro e vero, abbiamo ben da rallegrarci che il Signore ci tenga così la sua mano sopra, ma dobbiamo anche metterci con maggior impegno per l'osservanza delle regole della Società, e guardare di dar loro il peso che meritano.

In questa conferenza si annunziò per la prima volta l'apertura della Casa di Alassio.

Il modo col quale il Venerabile giudicava di sè e delle opere sue era sempre pieno di umiltà e confidenza in Dio, Tempo prima, Don Berto, parlando con lui, fece cadere il discorso sulla morte del Servo di Dio e gli effetti che avrebbe cagionati, ed accennò a un pianto universale. Il Venerabile con gran calma gli rispose:

 - Se morisse D. Bosco, la gente direbbe: Oh, poverino è morto anche lui! e tutto sarebbe finito. Chi farebbe festa e ghignerebbe per soddisfazione sarebbe il demonio, il quale direbbe: “ È scomparso finalmente colui che mi faceva tanta guerra e guastava le opere mie! ”

Questa parola poteva ben dirla, perchè accennava a tutto quanto egli andava facendo, non per virtù propria, ma pel potente aiuto della Madonna, come egli riconosceva e ripeteva le mille volte. Chi combatteva e sconfiggeva il nemico infernale, era la potente Regina del Cielo!

Un sabato sera Don Lasagna aspettò fino alle 11 e ½ che Don Bosco finisse di confessare e quindi lo accompagnò a cena. Seduto al suo fianco, gli diceva che fintantochè fosse stato lui in questo mondo, le cose della Pia Società sarebbero andate bene mercè il suo appoggio e consiglio; ma temeva che, mancando lui, la Pia Società si sarebbe sciolta per mancanza di mezzi e di coesione, e tutti i confratelli sarebbero stati costretti a ritornare alle loro case.

 - Tu, gli rispose Don Bosco, ti appoggi troppo a ragioni umane, mentre bisogna che confidiamo nel sopranaturale. Osserva: una delle due: o Don Bosco può nulla, o può qualche cosa. Se può qualche cosa, non dubitate che anche dopo morte saprà aiutarvi: se può nulla, oh| allora meglio ancora: farà Iddio che può tutto.

Dopo l'ultima conferenza Don Bosco andò a Mirabello, e, tornando a Torino, trovava un decreto di Pio IX, col quale erano confermate in perpetuo le indulgenze concesse lo scorso anno all'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice.

 

 

PIO PP. IX

A PERPETUA MEMORIA DEL FATTO.

 

Ci vennero fatte umili preghiere, perchè quelle Indulgenze, che con Nostre Lettere, Apostoliche, simili a queste, in data del 16 marzo 1869 avevamo concesso per dieci anni alla Pia Associazione sotto la invocazione della B. V. Maria Ausiliatrice canonicamente eretta, come Ci vien detto, nella Chiesa del medesimo titolo in Torino, volessimo benignamente concedere in perpetuo, aggiuntevi alcune altre grazie. E Noi con pietosa sollecitudine intenti ad accrescere coi celesti Tesori della Chiesa la pietà dei Fedeli e a cooperare alla salute delle anime, volendo accondiscendere a tali preghiere, concediamo alla predetta Associazione, in virtù delle presenti Lettere, di poter lucrare in perpetuo le Indulgenze sopra ricordate, purchè si adempiano puntualmente le opere di pietà, che nel primo indulto abbiamo prescritte. Inoltre pietosamente concediamo nel Signore a tutti e singoli i Fedeli dell'uno e dell'altro sesso, che per l'avvenire entreranno nella sopradetta Confraternita, che nel primo giorno del loro ingresso, se veramente pentiti e confessati avranno ricevuto il SS. Sacramento dell'Eucaristia, possano acquistare la Plenaria Indulgenza e remissione di tutti i loro peccati, applicabile anche per modo di suffragio alle anime dei fedeli, che a Dio congiunte nella carità passarono da questa vita; non ostante qualunque ordinazione in contrario, dovendo le presenti valere in perpetuo.

Dato a Roma presso S. Pietro, sotto l'Anello del Pescatore, addì 11 marzo 1870, del nostro Pontificato Anno ventesimo quarto.

 

Pel Card. PARACCIANI CLARELLI

F. PROFILI Sostituto.

 

Nella seconda settimana di quaresima, cioè dopo il 14 marzo, Don Bosco si portò a Lanzo, dopo il 20 a Cherasco. Negli intervalli, tra l'una e l'altra di queste visite, alla sera dopo le orazioni intrattenne i giovani dell'Oratorio. La prima volta aveva loro riferiti gli avvisi di Pio IX. Un'altra sera li esortò caldamente ad aver famigliare la giaculatoria Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis, ricordando i 300 giorni d'indulgenza ogni volta che si pronunzia, e l'indulgenza plenaria per chi la dice per un mese una volta al giorno. Narrò, senza farne il nome, come il primogenito del Conte Callori desiderasse ardentemente di andare ai balli di Corte. Invitato, vi andò. Era la prima volta. Nel tornarsene a casa fu preso da polmonite e in pochi giorni morì. E conchiudeva: - Così passano, come lampi, le gioie di questo mondo!

Raccomandò, come sovente faceva, il pensiero dell'Angelo Custode, il quale, diceva Don Bosco, li accompagnava ovunque, vegliava presso il loro letto di notte, sedeva vicino ad essi nella scuola, li sorvegliava in ricreazione, pregava con loro in Chiesa, li difendeva, li consigliava, li consolava: e insisteva che nelle tentazioni a lui si ricorresse per aiuto. Dipinse al vivo le centinaia di angioli dei compagni che li osservavano, parlò della riverenza loro dovuta tenendo un contegno modesto in ogni occasione.

Anche confessando, dava spesso per penitenza qualche preghiera in onore dell'Angelo custode. Perciò nel Giovane Provveduto aveva inserito un divoto esercizio in suo onore, ed egli stesso, come abbiam detto, nutriva pel suo Angelo una divozione ardentissima.

Il 27 marzo radunava a conferenza i Salesiani, professi ed aspiranti, chierici e laici; ed ecco il sunto del suo discorso:

Adamo, creato da Dio innocente, viveva felice nel Paradiso terrestre. Ma S. Agostino ci dice che questa sua felicità deve esser durata poco, poichè il demonio invidioso andò a tentarlo e lo fece cadere nella disubbidienza, e con lui rovinò tutto il genere umano. Ora, venendo a noi, possiamo fare questa applicazione.

La nostra Pia Società incominciò, ed incominciò bene per quello che riguarda gli associati; ma vediamo che anche adesso, ancora sui principii, il demonio comincia ad intromettersi, ed ora colla gelosia, ora col malcontento, procura di fare guadagni.

Noi però, che conosciamo la sua malignità, non dobbiamo star inerti per vedere solamente ciò che egli sa fare, ma dobbiamo star all'erta e combattere.

È già da qualche tempo che io vedo degli inconvenienti, che devono essere arrestati. So che si tende ad una divisione, a due partiti, e questo si deve assolutamente evitare in una Congregazione.

Io sono stato a Lanzo, a Mirabello, a Cherasco, ed in queste mie visite ho procurato di interrogare, oltre i Direttori, or l'uno or l'altro dei confratelli, per vedere se avessero qualche cosa da osservare sull'andamento della Società. E come se si fossero data la parola, tutti andavano d'accordo nell'osservare che a lor parere, i membri di Torino, nella Casa maggiore, non hanno quello slancio che si dovrebbe avere e che si ha nelle Case particolari. Io ho veduto che là i medesimi maestri sono gli assistenti nella scuola, nello studio, nelle camerate e nella ricreazione; così quando escono dal far scuola, invece di andar a fare un po' di ricreazione libera, si slanciano in mezzo a quei giovani, li divertono e li assistono. Io vidi che hanno veramente molto lavoro. Mi prendeva compassione di loro e mi esibiva di mandar loro altri ad aiutarli un poco, ma essi contenti mi dicevano che non mandassi nessuno; poichè amano meglio lavorar molto in pochi e stare in pace gli uni cogli altri, che essere di più e non andar d'accordo. Io sono stato assai contento di questo e ne ringrazio il Signore. Ma replicando se non avessero altra cosa da correggere, vi fu un furbacchione che disse di aver veduto, una volta che venne qui per alcuni suoi affari, un tale a far certe carezze ad un giovane, le quali secondo lui dovevano evitarsi in una Società qual è la nostra.

 - Vi fu qualcosa di male, chiesi io?

Ed egli:

 - No, - rispose, ma tuttavia io non posso sopportar questo.

Io non dissi niente; ma frattanto conobbi che anche questa sarebbe una cosa da correggersi. Da tutto poi essi conchiusero esservi difetti da togliere, massimamente qui in Torino. Dunque facciamo ora qualche riflessione su noi, e vediamo se vi è qualche cosa da evitare ed evitiamola.

Io vedo, per esempio, qualche volta, qui a tavola, qualcuno che quando si serve, o a pranzo o a cena, fa le smorfie e poi allontana con disprezzo quello che gli è posto d'innanzi, Saranno, tanto per dire, mele, ed egli si lamenta o che sono piccole o che sono poche o tarlate. Vi sono poi lamenti e sul vino, e sulla minestra, e sulle pietanze: tutte cose che in una Congregazione portano danno e dispiaceri immensi, mettendo anche il malcontento. Oh! dunque venendo su questo punto pensi un po' ciascuno in particolare: se si avesse da cercare il gusto di tutti, non si finirebbe più di far cucina. Noi però, per quanto ci è possibile, procureremo sempre che tutti abbiano il necessario sì pel mangiare e sì pel bere, come per gli altri bisogni della vita comune. Ma, alcuno dirà, e se questo mi fa male, dovrò mangiarlo lo stesso? - - Io rispondo che in cinquant'anni circa che faccio vita comune, ora nel Seminario, ora nel Convitto, ed ora qui nell'Oratorio, non ho mai trovato cibo che mangiandolo fossi sicuro che mi avrebbe fatto male. Quello che ho trovato si è che quando lui cibo è meno appetibile, se ne prende più poco e si mangia più di un altro.

Badate bene, che tutte queste cose le dico per coloro che sono sani e che non hanno bisogno di particolarità; se uno fosse indisposto, tutte queste regole cessano ed allora egli può prendere, lasciare, o farsi portare altro.

Oltre alla tavola, vi è ancora questo, e l'ho sentito da quelli stessi che sono nelle altre case, che si esce dall'Oratorio con troppa facilità e senza bisogno.

Ma veniamo al più importante, cioè a quelle carezze troppo avanzate che si fanno da taluni ai giovani.

Su questo punto io non transigo per nulla, e desidero ardentissimamente che nessuno ponga le mani sulla persona di altri, desidero che nessuno discenda a confidenze speciali coi giovani, chiunque essi sieno; poichè soli pochi giorni che uno corse pericolo di rovinar un giovane, di rovinar se stesso, e di infamar tutta la casa solo per questi motivi. Quindi d'or innanzi proibisco assolutamente d'introdure giovani nella propria camera sotto qualunque pretesto. Poichè so che alcune volte si chiama uno, e: - Vienimi, gli si dice, a scoparmi la camera; fammi il letto; vammi a prender dell'acqua; recami que' libri che ho lasciati nello studio. - Questo non lo voglio. Così anche non voglio assolutamente che si introducano giovani di un dormitorio, in un altro dormitorio qualunque. Nè voglio che si introducano giovani anche dello stesso dormitorio nella propria cella.

Altre cose mi tocca ancora osservare, e sono che ciascuno ha degli obblighi da adempiere nella posizione in cui si trova: e di questi obblighi o doveri, alcuni sono di giustizia, altri sono di carità. I doveri di giustizia li ha ciascheduno in particolare per quell'uffizio che gli fu affidato: e quindi nel suo ufficio, come un maestro nella scuola, come un assistente in laboratorio, come un capo di dormitorio, ciascuno ha pieni poteri di far eseguir le regole, ma coi mezzi leciti; e perciò non mai percuotere, non mai cacciar via nessuno, non mai dar castighi che non si possano subire. So che alcuni si lascian domare dalla collera e percuotono, e non pensano che certe volte anche fra i giovani ve ne sono di quelli che hanno il sangue caldo; e quindi si rivoltano e ci tocca stare a contendere con grave scandalo e con gran perdita della nostra autorità.

Così anche, per spiegarci con un esempio chiaro, un maestro nella scuola deve impartire l'istruzione per giustizia. Può fare alto e basso co' suoi allievi; deve però ricordarsi di far le cose per carità e quindi usar molta tolleranza. Ma non deve credersi che la sua autorità di maestro co' suoi allievi si estenda anche fuori di scuola. Fuori di scuola i giovani dell'Oratorio per lui devono essere tutti eguali, a qualunque classe appartengano, perchè allora ha soltanto più gli uffizi di carità da adempiere, i quali non devono estendersi solo ad alcuni, ma a tutti. Dico questo perchè vedo che spesso un uffizio cozza coll'altro, quel di un maestro con quello di un assistente, e quindi ne nascono anche delle gelosie; e gli uffizi non si compiono più come si dovrebbero compiere. Accade che un giovane commette una mancanza sotto la custodia di uno, e l'altro, offeso, lo aspetta quando sia sotto di lui per vendicarsi, e questo non si può. Per esempio: nel cortile vi sarà uno che fa un'insolenza ed in tal caso il maestro non è autorizzato di castigarlo nella scuola, ma, se vuole, da fratello, da padre, da amico, può avvisarlo. Così anche, uno non è autorizzato di proibire ai suoi dipendenti di andare or coll'uno or coll'altro dei suoi compagni, se non è mosso da carità, ma dal suo capriccio.

Del resto, facciamoci coraggio a lavorare sempre, poichè le nostre fatiche sono molto benedette dal Signore e lo saranno ancor più per l'avvenire, se procuriamo di farle col solo spirito di piacere a Lui.

Di quei giorni Don Bosco assisteva due cari figli, gravemente infermi, che morivano nell'Oratorio nei primi di aprile.

Leggiamo nel necrologio; Croserio D. Augusto da Condove moriva il 1° aprile 1870 in età di 26 anni. I cenni della sua vita trovansi nel discorso funebre pronunziato dal professore D. Francesco Cerruti. La vigilia della morte di D. Croserio Don Bosco lo vide in sogno nell'atto che andava a dare la benedizione. Aveva un bellissimo aspetto e sulle spalle portava un magnifico piviale, ricco di oro e gemme, e tempestato di stelle lucenti: - Come va? diceva fra sè Don Bosco. Croserio qui? Non è desso ammalato? Ah! ho inteso. È questo il segnale che egli è sulle mosse per andare in paradiso! - Infatti moriva all'indomani.

Baltera Giovanni da Masserano moriva il 12 aprile 1870, in età di 15 anni. Giovane vispo ed allegro. Amava lo studio in cui riusciva assai bene. Obbediva volentieri ed allegramente a quanto venivagli comandato. Ebbe qualche incomodo al capo e lo sopportò con molta pazienza, non lagnandosi neppure di alcuni compagni che usando poca carità lo disprezzavano pel suo male. Malgrado l'età giovanile amava molto le pratiche di pietà e frequente si vedeva ai Sacramenti. Lasciò vivo desiderio di sè ne' superiori e ne' compagni.

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