Capitolo 7

D. Bosco e il Sacramento della Penitenza - Il continuo concorso dei fedeli - Ogni parola di D. Bosco è un invito a salvare l'anima per mezzo della Confessione - Sua mirabile franchezza a Porta Nuova, in Piazza Castello, in Piazza D'armi e altrove nel ricondurre a Dio i peccatori - Gli inquilini della tettoia Visca - Ricca messe di anime fra i vetturali.

Capitolo 7

da Memorie Biografiche

del 02 novembre 2006

 Gesù Cristo ha detto agli Apostoli: “ Venite dietro a me e vi farò diventare pescatori di uomini ”. E D. Bosco era tutto compreso della dignità e del merito di questa vocazione. Abituale per lui il prorompere in sante aspirazioni che manifestavano un desiderio ardente di conseguire la beatitudine eterna per sè e per quanto gli fosse stato possibile, per tutti gli uomini. Egli aveva fatta sua la sentenza di S. Giovanni Battista dei Rossi, soprannominato in Roma il cacciatore delle anime: “ La strada più corta del Paradiso che io ho conosciuta è quella del confessare, essendo un bene grandissimo quello che ne ricava per sè un confessore ”. Perciò D. Bosco predicava per poter poi confessare pregava e faceva pregare per i poveri peccatori, ordinando che tutti i suoi giovani recitassero ogni giorno una Salve Regina per la loro, conversione.

Ed il tribunale di penitenza fu per lui luogo di riposo e di delizia, e non di fatica.

Infatti non intermise mai questo sacro ministero cui destinava d'ordinario due o tre ore al giorno, e talvolta in occasioni speciali gli accadeva di impiegarvi giorni intieri e talvolta eziandio le intere notti. Neppure durante le sue infermità cessava dal confessare. Varie chiese in Torino furono il campo, nel quale esercitò l'inesauribile suo zelo. Nelle tante sue predicazioni nei vari paesi e città del Piemonte, colla sua scienza e dolcezza, colla sua prudente perspicacia, coi doni soprannaturali dei quali la gente dicevalo fornito, attraeva a sè le moltitudini. Anche dalle prime ore del giorno e poi fino a notte avanzata stava in que' giorni ad ascoltare una folla di penitenti senza fine; e ciò per anni ed anni dal 1844 fino al 1865. Il suo nome suonava presso tutti quelli che lo conobbero come sinonimo di confessione. Quindi era continuo l'accorrere a lui di persone che volevano riconciliarsi con Dio, in qualunque luogo ei si recasse, ancorchè non salisse il pulpito; e specialmente di quelle che, essendo per cadere nel baratro della disperazione, avevano più bisogno della sua carità sacerdotale. Molti venivano in Valdocco. Quante volte, ci narrava D. Francesco Dalmazzo, mi fu detto e ho veduto io stesso, a tarda ora arrivavano nell'Oratorio uomini oscuri in volto, che avendo udito a parlare della santità di D. Bosco, venivano ai suoi piedi per confessare i loro peccati. Bene spesso entravano sfiduciati di ottenere il perdono e poi si vedevano uscire dalla stanza dell'uomo di Dio, col volto raggiante di gioia e il cuore pieno di consolazione. E D. Bosco li aveva invitati a ritornare spesso, assicurandoli che Dio nella sua infinita misericordia aveva cancellate tutte le loro colpe.

Queste visite erano causa di gaudio ineffabile a D. Bosco, tanto più che egli si preoccupava con perenne sollecitudine della salute eterna di quanti incontrava sulla sua via, ed eziandio di coloro che prima non aveva mai conosciuti. Non riusciva a parlar di altro che di cose spirituali e aveva grandissima facilità nell'introdurre questi discorsi in qualunque occasione, suggerendo pensieri efficaci per il conforto dei buoni e per la conversione dei peccatori. Questi non solo attendeva, accogliendoli con festa, ma spesso ne andava in traccia, e li sollecitava, ora con un consiglio, ora con un invito, ora con una parola alla sfuggita ma penetrante, ad assestare le cose della coscienza. Era in questo di una sorprendente franchezza: - Avete fatto Pasqua? Come stiamo in quanto alle cose dell'anima? Quanto tempo è che non vi siete confessato? - Queste e consimili uscite dirette o indirette, adattate però alle varie specie di persone con cui trattava, erano sempre sulle sue labbra. Noi l'abbiamo udito far domande od insinuazioni di questo genere non solo ad uomini del volgo, a negozianti, a letterati, a nobili signori, ma ancora a principi, a duchi, a senatori, a deputati, a generali d'esercito, a ministri di Stato, e ad altri potenti personaggi noti per opinioni, scritti ed opere contrarie alla Chiesa; ed abbiamo sempre constatato, con grande meraviglia, come nessuno si sia mai offeso per questa sua apostolica libertà, che andava però sempre del pari ad una squisita gentilezza di modi, ad una protesta di stima e riverenza, ad una espressione di sentito affetto e talora ad una opportuna e spiritosa facezia. D. Bosco più tardi era solito a dire ai suoi Salesiani: - Un prete è sempre prete, e tale deve manifestarsi in ogni sua parola. Ora esser prete vuol dire aver per obbligo, continuamente di mira il grande interesse di Dio, cioè la salute delle anime. Un sacerdote non deve mai permettere che chiunque si avvicini a lui ne parta senza aver udita una parola, che manifesti il desiderio della salute eterna della sua anima.

E D. Bosco riusciva all'intento con grande abilità e frutto. Conversando, sapeva bellamente investigare lo stato morale di certe persone, qualunque ne fosse la condizione, il grado o sapere, persone le quali ordinariamente hanno poco tempo e poca volontà di accostarsi ai SS. Sacramenti. Quindi colla sua amabilità le andava disponendo in modo, che quasi senza avvedersene svelavano le loro interne miserie e così gli davano il destro di essere ricondotti con facilità sul buon sentiero. Incontrando facchini, operai od altri che abitualmente con bestemmie e turpiloqui o imprecazioni offendevano il Signore, egli sapeva loro accostarsi e colla sua gran dolcezza a poco a poco li induceva a dichiararsi in colpa e ben sovente ancora a confessarsi da lui stesso. Citiamo i fatti.

Verso il 1847, così narra un signore di Cambiano, D. Bosco un mattino camminava fuori di Porta Nuova fra mucchi di rottami,

fossi, terreni sterili, che poi scomparvero quando venne fabbricato il Borgo Nuovo. Ritornava dalla parrocchia della Crocetta. Ivi si incontrò con quattro giovani dai 22 ai 26 anni, dalle facce tutt'altro che piacevoli. Questi lo fermarono con finta affabilità e gli dissero: - Ascolti, di grazia, signor abate: costui dice che io ho torto ed io dico che ho ragione: decida dunque Lei chi ha torto e chi ha ragione. - D. Bosco dato uno sguardo attorno e non vedendo nessun altro cittadino comparire in quel deserto quantunque si fosse già a due ore di sole, temette qualche affronto. Quindi si raccomandò a Dio, mentre or questo or quello, raccontando di strane fanfaluche, e senza mai esporre qual fosse la questione da giudicarsi, ripeteva insistendo: - Decida dunque chi ha ragione e chi ha torto.

D. Bosco, vedendo che lo avevano preso per loro zimbello, pensò: Qui bisogna giocare d'astuzia per cavarsela liscia; e disse loro: - Sentano signori; qui su due piedi non posso decidere: andiamo tutti a prendere una tazza di caffè al San Carlo e colà io deciderò. - D. Bosco pensava: Purchè possa entrare in Torino, e allora non avrò più timore di nulla.

A quell'invito uno disse: - Lo paga Lei?

 - Certo che pago io, perchè sono io che faccio l'invito.

 - Bene! andiamo! - E si incamminarono verso le abitazioni, discorrendo come se fossero antichi amici. Giunti vicino alla chiesa di S. Carlo, D. Bosco prese a dire: - Sentano, signori: io promisi di pagar loro una tazza di caffè e sono di parola e la pago; ma io prete voglio pagarla da prete; entriamo perciò primi qui in chiesa a dire una sola Ave Maria.

 - Ah cerca delle scuse Lei! per....

 - No, non cerco scuse; la pago, ma voglio prima che, diciamo una sola Ave Maria.

 - E poi tirerà fuori il rosario....

 - Se dico una sola Ave Maria....

 - Ebbene, andiamo.

Entrarono, s'inginocchiarono, e recitata quella preghiera, D. Bosco disse: - Orsù andiamo. - Furono al caffè, tutti bevettero la loro tazza. D. Bosco pagò, e uscito dalla bottega fece loro un altro invito. - Giacchè ebbi il piacere di far la conoscenza di loro signori, ora voglio che vengano a prendere un rinfresco in casa mia.

Accettarono, e D. Bosco, condottili in Valdocco, siccome era già entrato in famigliarità con loro, prese a dire: - Mi dicano un po' in confidenza: quanto tempo è che non si sono confessati? E colla vita che fanno, se la morte li sorprendesse in questo stato, che ne sarebbe di loro?

Si guardarono l'un l'altro in viso, e poi guardavano Don Bosco che continuava il suo predicozzo. Uno di quelli finalmente esclamò:

 - Se trovassimo un prete come Lei, oh! sì che andremmo a confessarci, ma .....

 - In quanto a questo io ci sono.

 - Ma ora non siamo preparati.

 - Ci penserò io a prepararli. E presone uno per mano e trattolo verso un inginocchiatoio: Qui, qui, gli disse; non tante chiacchere cogli amici, e intanto loro tre si preparino che io sono qui per tutti.

Così tre di loro si confessarono con sentimenti di vera compunzione, mentre il quarto non si piegò, dicendo che pel momento non si sentiva disposto. Quando partirono promisero tutti e quattro a D. Bosco che sarebbero ritornati a visitarlo. Un Ave Maria recitata da D. Bosco produceva sempre effetti sorprendenti.

Altra volta a notte fatta venendo egli dai portici di Po, verso piazza Castello, gli si avvicinò uno sconosciuto, il quale senz'altro gli chiese danari. D. Bosco lo intrattenne con le sue amabili maniere, gli trasse di bocca ogni segreto, gli fece vedere la conseguenza della sua vita cattiva; poi sedutosi sopra il parapetto del fosso dietro al palazzo Madama, luogo, in quei tempi piuttosto solitario e oscuro perchè rari vi erano i lampioni, confessò quell'amico di un'ora, inginocchiato al suo fianco. Il canonico Borzarelli, zio del canonico Antonio Nasi, in quel mentre traversava l'immensa piazza e gli cadde sott'occhi quello spettacolo strano in un luogo pubblico. Egli per l'oscurità non riconosceva D. Bosco, ed avvicinatosi ad alcuni i quali da lontano osservavano pure il fatto, chiese chi fosse quel prete. Gli fu risposto: - È D. Bosco! – Il canonico aspettò che D. Bosco finisse, e quando quel tale si allontanò, accostatosi al buon sacerdote, lo accompagnò all'Oratorio e finchè visse restò suo benefattore ed amico.

Avvenne pure che, trovatosi un giorno D. Bosco in piazza d'armi, s'incontrasse in vari farabutti, uomini già d'età matura, i quali, non essendovi in quell'ora altra gente che vedesse, tolsero ad insultarlo apertamente. D. Bosco con aria gioviale prese a discorrere con loro. Ammansati dalle sue parole e riconoscendo il loro torto, alcuni se ne partirono per le loro faccende. Rimasero solo due, uno dei quali, arrabbiato con D. Bosco stesso ed eccitatore di quella scena disgustosa, voleva farsi dar ragione di non so che. Costui però finì per stancarsi, sorpreso dalla calma del prete, e si allontanò. Quell'unico rimasto continuava ad inveire contro i sacerdoti ed i religiosi, e a dirne ogni peggior male.

 - Veda, lo interruppe D. Bosco, Ella parla male dei preti, e perciò di me che pure sono suo amico; ma questo è solo perchè non mi conosce; se mi conoscesse, parlerebbe in modo diverso.

Quel tale, stupito, squadrava bene D. Bosco da capo a piedi per ricordarsi se realmente e quando già si fosse in lui incontrato; e D. Bosco proseguiva: - Io sono uno de' suoi più grandi amici; ed ha una prova del mio affetto perchè, mentre Ella mi rimprovera, io non mi offendo, e se potessi farle qualunque servizio, glielo farei volentieri, e immediatamente. Così potessi colmarla come vorrei di ogni felicità e in questa terra e nell'altra vita.

Questo discorso condusse quel povero uomo a parlare con moderazione, e D. Bosco venne a dirgli schietto: Creda pure, mio signore, che la felicità non si trova in questo mondo, se non si ha la pace con Dio; se Ella è così malcontenta ed arrabbiata, è perchè non pensa guari alla salute dell'anima sua. Se la morte venisse a colpirla in questo istante, certo che non ne sarebbe contenta.

L'amico si fece prima pensieroso e poi commosso. Don Bosco di parola in parola lo persuase ad andarsi a confessare, essendo che da molto tempo non aveva più saldate le partite di sua coscienza. Temendo però che quella buona disposizione fosse fuoco di paglia e che appena lontano non eseguisse più l'attuale proponimento, lo invitò a confessarsi subito.

 - Son pronto, rispose, ma dove? Qui, in questo stesso luogo.

 - Ma si può?

 - Certo che si può!

Parlando, avevano continuato a camminare, e benchè sempre in Piazza D'armi erano giunti ove non eravi persona e vari alberi servivano loro di schermo. Ivi D. Dosco confessò quel poveretto che poi fuori di sè dalla contentezza, non sapeva più staccarsi da chi aveagli procurata la pace del cuore.

Altri fatti gli occorsero di simil genere che sarebbe soverchio qui addurre. Anche un buon signore confidava a noi aver egli fatta la sua confessione a D. Bosco vicino alle torri presso la piazza Emanuele Filiberto.

In quei primi anni dell'Oratorio, lungo la via della Giardiniera, eravi, come abbiamo già detto, una vasta tettoia dei signori Filippi appigionata all'appaltatore Visca, ove si ritiravano i carri del Municipio. Quivi, oltre i carrettieri, andava a rifugiarsi alla sera una poveraglia di ogni specie, ubriaconi, bestemmiatori; e sovente all'aria aperta nella mite stagione, ballonzolavano sguaiatamente. Erano vicini che non ispiravano troppa fiducia.

Un giorno Mamma Margherita stava sulla loggia ripulendo una veste nuova del figlio e dopo averla stesa sulla ringhiera di legno, si ritirava nella stanza per brevi momenti. Quella loggia era poco alta da terra e Margherita ritornando trova che la veste non c'è più. Era stata rubata. La buona donna va in cerca di D. Bosco, e si lamenta con lui di quella cattiva sorpresa fattale: Senz'altro dicevagli, è qualcuno di coloro che stanno oziando in quella tettoia

 - E con questo?

 - Bisognerebbe andar là per ricuperare ciò che mi fu tolto.

 - Solo per questo volete esporvi forse ad una brutta figura?

 - E ti lascieresti portar via una veste nuova, la sola che hai?

 - Che cosa volete farci?

 - Sempre lo stesso tu! Di nulla t'importa.

 - Lasciate un po' andare queste melanconie. Non inquietatevi. La persona che ha presa quella veste ne aveva forse più bisogno di me. Per parte mia, guardate, se chi me l'ha rubata venisse a confessarsi da me, io mi accerterei del suo fermo proponimento di non rubare mai più e poi gli regalerei la veste, e gli darci l'assoluzione in lungo e in largo.

E realmente sotto quella tettoia si era acquistati molti amici. Nel tempo pasquale per vari anni soleva recarsi tra quella ciurmaglia e colle sue caritatevoli maniere invitarla a confessarsi: - Venite, miei cari, diceva loro; venite quando vi piace, a qualunque ora vi comodi di mattina, di sera, ad ora tarda, anche tardissima, ed io sarò sempre pronto ad Ascoltarvi. Non prendetevi soggezione di me; siamo amici, e cogli amici si trattano le cose con tutta confidenza. Anzi guardate, vi preparerò alcune buone bottiglie, e aggiustatele cose dell'anima, berremo una volta alla nostra salute.

E numerosi accorrevano quei poveretti con fine sincero, e trovarono sempre buona accoglienza. Finite le confessioni Mamma Margherita doveva dare fondo alle sue provviste di vino, poichè ce ne voleva a togliere la sete a quella brava gente. D. Bosco però era contento, perchè egli sapeva colle sue efficaci parole come accendere facilmente in simili cuori, anche nei più insensibili, un po' d'amor di Dio. Fu questo un dono speciale di cui avevalo il Signore favorito. In qualunque luogo si recasse D. Bosco, succedevano fatti di vario genere, che gli porgevano occasione di confessare: nelle carrozze, nelle case private, negli alberghi, nei campi, nelle vie, e sempre con persone a ciò indotte dalle sue amorevoli esortazioni. Potremmo compilare un grosso volume col solo narrare questi aneddoti. Qui ci contenteremo di accennare come D. Bosco diportossi coi vetturini.

Per questa classe di persone egli ebbe sempre un gran riguardo, dovendo per i suoi viaggi servirsi di vetture pubbliche. Terminata la corsa, dava sempre al carrozziere qualche soldo di più oltre la pattuita mercede, dicendogli con buona grazia: - Questo è per voi. - A chi non sapeva darsi ragione della sua larghezza, diceva Io colgo l'occasione per fare un po' di elemosina a questa povera gente, e dir loro qualche buona parola di cui hanno tanto bisogno.

Avveniva qualche volta che costoro si abusassero nel domandare la mercede, ed egli la dava sempre quale era domandata, perchè non avvenissero alterchi o bestemmie, e così non fosse oltraggiato il Signore. Anzi voleva che lo stesso facessero i suoi dipendenti. Di questa sua generosità fu testimonio per più di vent’anni D. Gioachino Berto suo segretario.

D. Bosco dunque colla sua carità si faceva benvolere da tutti quegli uomini poco educati. Ne' suoi viaggi a Novara, a Vercelli, a Casale, ad Asti, e in cento altre città e luoghi, studiavasi di avere un posto in cassetta col carrozziere e quindi aspettava il momento opportuno per guadagnare quell'anima. Il vetturino non tardava a lasciarsi sfuggire di bocca qualche bestemmia e allora D. Bosco, scherzando: - Che cosa avete detto! Son persuaso che proferite simili parole senza riflettere. Voi nel vostro cuore non siete cattivo. Si vede alla faccia che siete un bravo uomo.

 - Ha ragione, sa; rispondeva il vetturino: è un'abitudine che ho presa. Detesto questa maniera di parlare; ma quando non ci penso, son da capo. Specialmente quando sono con i preti, mi rincresce tanto che mi scappino queste parolacce.

 - Dunque state attento a correggervi

 - Sì, sì, voglio proprio, sa; lo voglio! ripeteva. Ma dopo qualche tempo o per un intoppo, o per una bizzarria del cavallo, o per intercalare, ecco una nuova bestemmia. Don Bosco lo guardava; l'altro rimaneva confuso e ascoltava con attenzione ciò che il buon prete andava dicendogli sulla bontà e sui castighi di Dio, sull'importanza di emendarsi e salvar l'anima. Il ragionamento finiva sempre con un invito alla confessione. Quelle esortazioni erano così bene condotte, che i vetturini si arrendevano sempre. Molti si confessarono stando in cassetta e guidando il legno; altri mentre si faceva lo scambio dei cavalli, nelle stalle, nelle osterie, o nei dintorni.

Un giorno D. Bosco andava a Carignano, e discorrendo col conduttore del calesse, fra le altre cose uscì a dirgli

Credo che avrà già fatta la sua Pasqua!

Il vetturino: - Non ancora; è già molto tempo che non sono più andato a confessarmi: mi confesserei però volentieri da quel prete dal quale ho fatta l'ultima mia confessione; se potessi incontrarlo!

Costui si era confessato da D. Bosco trovandosi nelle carceri di Torino, ma in quel momento non lo aveva riconosciuto; mentre anche D. Bosco più non si ricordava d'averlo visto. D. Bosco continuò ad interrogarlo: - E chi prete dal quale sareste contento di confessarvi? - D. Bosco! Non so se Lei lo conosca. - Se lo conosco! Io sono D. Bosco!

Il vetturino lo fissò, richiamò le sue rimembranze, lo riconobbe e pieno di contentezza esclamò: - Ma come fare adesso a confessarmi?

 - Lasciate a me le briglie del cavallo e mettetevi in ginocchio: - gli disse D. Bosco.

Il vetturino ubbidì all'istante e mentre il cavallo lentamente procedeva, si confessò. D. Chiatellino ci narrava questo fatto, accaduto come la maggior parte dei già esposti, prima del 1850.

D. Bosco stesso ci raccontò quest'altro fatto: “ Veniva da Ivrea a Torino in omnibus, non essendo allora ancora stata costrutta la ferrovia, e sentii che il cocchiere ogniqualvolta sferzava i cavalli, pronunciava una o due bestemmie. Io allora lo pregai di lasciarmi salir con lui in cassetta. Egli di buon grado accondiscese, e mi sedei al suo fianco. Quindi

gli dissi: - Vorrei da voi un piacere …… - Egli m'interruppe dicendo: - Vuole arrivar presto a Torino? Bene! -

E qui si mise a sferzare con tutta lena i cavalli ed alle sferzate frammischiava bestemmie.

 - Non è questo che voglio, io ripresi; poco m' importa d'arrivare a Torino un quarto d'ora prima o un quarto d'ora dopo. Quello che io voglio, è questo: che non bestemmiate più. Me lo promettete?

- Oh, se è solamente questo, stia pur sicuro che non bestemmierò più: e sono uomo di parola io!

- Ebbene, se ciò farete, che cosa volete per premio?

 - Niente, rispondeva colui; sono obbligato a non bestemmiare.

 ” lo insisteva, ed egli domandò la mancia di quattro soldi: io gliene promisi venti. E qui una sferzata ai cavalli ed una bestemmia. Io lo avvisai ed egli: - Oh! il bestione che sono io: ho perduta la testa.

 - Non vi rattristate per questo, io soggiunsi; guardate vi darò egualmente venti soldi: ma ogni volta che direte ancora una bestemmia, i venti soldi diminuiranno di quattro.

Va bene, rispose egli; stia certo che li guadagnerò tutti.

 ” Dopo un bel tratto di via i cavalli rallentavano già il passo, ed il cocchiere sferza e giù una bestemmia Sedici soldi, amico mio, gli dissi.

 ” Ed il povero uomo si vergognava e diceva: - Davvero che le abitudini cattive non possono più togliersi. E così continuava a rammaricarsi borbottando.

 ” Dopo un altro pezzo di strada, una sferzata e due bestemmie.

 - Otto, amico mio; siamo ad otto soldi.

 - Possibile, gridava stizzito colui; possibile che siano così tenaci e dannose le male abitudini: lo sono avvilito. Possibile che io non sia più padrone di me stesso? E poi questo maledetto vizio mi ha fatto già perdere dodici soldi.

 - Ma, amico, non dovete rattristarvi per così poco, ma piuttosto pel male che vi fate all'anima.

 - il suo nome?

 - Oh! sì, rispose egli; è vero, gran male faccio io; ma, sabato voglio andarmi a confessare. È qui di Torino Lei?

Sì; sono dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

Bene; voglio venirmi a confessare da Lei. Di grazia, il suo nome?

 - D. Bosco.

 - Va bene: ci rivedremo dunque ancora. - E viaggiando fino a Torino pronunciò ancora una bestemmia. Perciò io gli doveva soli quattro soldi, ma gliene feci accettare venti, allegando che lo sforzo di non bestemmiare l'aveva fatto. Licenziatici, io ritornai a casa, ed aspettandolo di sabato in sabato, eccolo finalmente venire nel quarto dopo quell'incontro. Lo vidi mescolarsi coi giovani, ma io subito non lo riconobbi le quando venne il suo turno mi disse: - Non mi conosce?: Sono quel tal cocchiere…… ha già inteso…..: e sappia che io, nei giorni scorsi, in un istante di inavvertenza, pronunciai il santo nome di Dio, ma poi non ho più bestemmiato. Mi son prefisso di stare a pane ed acqua ogni volta che avessi detto una bestemmia; e ci sono stato una volta sola e non, ci voglio più stare ”.

Parecchi di costoro raccontavano molti anni dopo a Don Michele Rua il bello e fortunato incontro avuto con D. Bosco, mostrando ancora la loro riconoscenza a chi li aveva rimessi nella grazia di Dio.

 

 

 

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