Durante il colera del 1884.
del 07 dicembre 2006
Allorché  Don Bosco fece ritorno all'Oratorio, la città di Torino aveva il colera alle porte . Manifesta­tosi il 4 giugno a Tolone, il fatal morbo si apprese verso la metà di luglio a Marsiglia, le quali due città ne di­vennero il doppio focolare. I Salesiani compresero allora il misterioso significato di certe parole scritte dal Santo nelle feste natalizie a Don Ronchail, Direttore della casa di Nizza: “ Dirai ai tuoi figli che questo anno prossimo per loro è molto importante e saranno testimoni di gravi avvenimenti; che perciò siano buoni sul serio ” . Si era almanaccato molto per indovinare a che mirasse il funesto annunzio; ma, quando l'epidemia prese a serpeggiare par la Provenza, non ci fu più                dubbio. A Torino Viglietti il 2 luglio nel refettorio, presenti Don Lemoyne e Don De Barruel, aveva domandato a Don Bosco, se il morbo pestilenziale sarebbe venuto anche in Italia. - Sì, rispose, e più terribile di quello che si possa pensare.
Così accadde. Lo spavento portò l'emigrazione dalle città colpite, sicchè le frontiere e i porti italiani furono ben tosto inondati di fuggitivi. Scoppiò qualche caso a Ventimiglia e a
Saluzzo. Il Governo italiano applicò rigidamente le leggi sanitarie dirette a impedire il contagio; ma fra il luglio e l'agosto si avverarono nuovi casi a Livorno, a Rio Maggiore presso la Spezia e a Pancalieri presso Pinerolo. I colpiti erano operai che, eludendo la vigilanza, avevano fatto ritorno in Italia. Queste località vennero completamente isolate e si rafforzarono i cordoni sanitari per arrestare l'invasione se non che l'invasione si estese dal Piemonte alla Sicilia nelle province in cui era maggiore il numero dei rimpatriati. Tuttavia, sulle prime, casi e decessi non raggiunsero cifre molto alte. Invece a settembre le province invase sommavano a ventiquattro, e in due grandi città, alla Spezia e a Napoli, le vittime cadevano sempre più numerose. In tutti gli ordini dei cittadini sorse un'ammirevole gara per arrecar soccorsi, anche quando il flagello infuriava; e infuriò talmente che nello spazio di due mesi dalla metropoli partenopea furono portate a seppellire più di seimila e cinquecento vittime.
E' incredibile quanto Don Bosco abbia influito a diffondere negli animi la calma, ottimo coefficiente a scongiurare il pericolo. In privato e in pubblico, per lettere e per via del Bollettino egli dava come preservativo infallibile l'uso dei seguenti mezzi: I° Frequentare la santa comunione con le disposizioni dovute; 2° Ripetere sovente la giaculatoria Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis; 3° Portare al collo la medaglia benedetta di Maria Ausiliatrice e concorrere a qualche opera di carità e di religione in onore di lei. Alla marchesa Carmela Gargallo di Napoli in occasione del suo onomastico, il 14 luglio, scrisse categoricamente. “ Con questo antidoto vada pure a servire nei lazzaretti, che non incontrerà alcun male ”.
Naturalmente le richieste di medaglie si fecero incessanti. Il coadiutore Giuseppe Rossi scriveva a Don Bosco il 5 settembre: o Credo farle cosa grata a darle un cenno delle medaglie che dal magazzeno si sono distribuite in meno di cinque giorni. Sono sessantatrè mila ”.
Da Pinerolo Don Bosco si teneva informato su gli andamenti del morbo  mandando incoraggiamenti a benefattori italiani e francesi. Scrisse alla signora Magliano, che villeggiava a Busca:
 
Benemerita Sig. Magliano,
 
Qualcuno, anzi gli stessi giornali hanno pubblicato che in Busca avvennero alcuni casi di cholera. Ma Lei, Signora Magliano, non abbia alcun timore. Il nostro antidoto è sicuro. Tuttavia se il morbo si sviluppasse di fatto in questa città, Ella potrebbe venire a Torino dove grazie a Dio finora siamo perfettamente tranquilli e tranquilla pure sarebbe la S. V.
Ella dunque non abbia alcun timore nè per le cose dell'anima nè per le cose dei corpo.
Il povero D. Bosco, tutti i suoi figli, giovani, chierici, preti, allievi pregano per Lei: Maria ci ascolterà. Sono qui col Vescovo di Pinerolo fino al 22 del corrente mese, poi a Torino.
Maria la protegga e la conservi in sanità e santità tutti i giorni della nostra vita e mi creda in G. C.
 
Villa del Vescovo, Pinerolo, 16 ag. 1884.
Umile Servitore
Sac. GIO. BOSCO.
 
Busca fu proprio uno dei luoghi maggiormente provati. Il comune, poco distante da Cuneo, è sparso in tante frazioni sopra un territorio di circa ventotto chilometri. D'inverno una buona metà della popolazione emigra in Francia, sicchè nel mese di giugno gli operai rimasti a Tolone e a Marsiglia, sfuggiti alle compagnie armate e alle quarantene, ritornavano ai patrii lari, recando seco i germi del male. Quando fu scritta la lettera surriferita, l'epidemia imperversava. Il Re Umberto, che cacciava nei pressi di Valdieri, volò sul luogo della sventura, prodigando conforti e soccorsi. Soltanto l'arrivo di cinquecento medaglie segnò un arresto e poi la fine del malore.
Quanti poveri fanciulli la falce della morte orbava dei genitori! Sollecito della loro sorte infelice, il Santo fece spedire a tutte le case salesiane la seguente circolare.
 
Carissimo Direttore,
 
Già in varie città e paesi non solo della Francia ma anche dell'Italia si verificano casi di cholera, come viene a tutti annunziato per mezzo dei giornali. In tale pericolo giudico opportuno mandare alcuni avvisi a tutte le nostre case, raccomandando ai saggi Direttori che li facciano conoscere ai loro dipendenti. Primieramente raccomando che fino a tanto che dura il pericolo si dia in ogni nostra chiesa quotidianamente la benedizione col SS. Sacramento, dando anche la comodità agli esterni di prendervi parte, dove la chiesa è aperta al pubblico.
In secondo luogo raccomando che tanto pei Salesiani quanto per gli altri del nostro personale si usino i riguardi consigliati dalla cristiana prudenza, onde evitare il morbo fatale.
Desidero per altro in terzo luogo che, occorrendo il bisogno, ci prestiamo a servizio del nostro prossimo per quanto la nostra condizione lo permette, sia nell'assistere gl'infermi, sia nel soccorrere spiritualmente ed anche accogliere nei nostri ospizii quei giovanetti poveri che rimanessero orfani ed abbandonati per causa della malattia dominante. In questo caso però converrà anzitutto attendere il giudizio della commissione sanitaria Ideale che non vi sia pericolo di comunicare agli altri l'epidemia.
Mentre ti dò comunicazione di quanto sopra, imploro sovra di te e della tua casa ogni celeste benedizione, e ti invio i più cordiali saluti per te e per tutti codesti miei cari figli.
 
Addì 26 agosto 1884.
Tuo Aff.mo Amico
Sac. GIO. BOSCO.
 
PS. L'esibizione di accogliere nei nostri ospizii i giovanetti poveri che rimanessero orfani per causa del cholera, si potrà fare alle autorità locali: al Sindaco, ed al Prefetto e Sotto-Prefetto.
 
I Salesiani assecondarono i desideri del loro Padre. Così a Marsiglia il Prefetto del Dipartimento accolse con riconoscenza la proposta fattagli dal Direttore dell'oratorio di San Leone, inviando e facendo inviare parecchi giovanetti, rimasti orfani. Alla Spezia avvenne il medesimo. Anche le Figlie di Maria Ausiliatrice fecero la parte loro; poichè a Nizza Monferrato, con il pieno consenso di Don Bosco, cedettero a quel municipio la propria villeggiatura, affinchè servisse come luogo di quarantena per coloro che provenissero dalla Francia, e le Suore si offersero per l'assistenza. Il municipio accolse con gratitudine la generosità, ricoverando ivi persone giunte da paesi infetti, provvedute di biancheria e di vitto dalle Suore stesse. Ci spiace di non poter moltiplicare gli esempi, Noi sappiamo che anche negli altri istituti si spiegò opera benefica; ma per difetto di cronache, o trascurate o smarrite, ce ne manca la documentazione.
Dei Salesiani della Spezia si leggevano magnifici elogi in una corrispondenza dell'Unità Cattolica del 30 settembre., Descritta la desolazione della città, che, cinta per terra e per mare da milizie armate, aveva l'aspetto di un'immensa prigione aperta solo alla morte, e lodata l'abnegazione del clero cittadino, il corrispondente continuava: “ Mi è caro di segnalare alla pubblica ammirazione i sacerdoti della Casa Salesiana, i quali gareggiarono e gareggiano tuttora coi più caritatevoli e generosi della città. Essi non solo offersero alle civili autorità la propria casa per ricoverarvi i giovanetti, che rimanessero orfani ed abbandonati, come fecero i loro confratelli a Marsiglia ed altrove, ma esposero a pericolo la propria vita, gli uni nell'assistere giorno e notte i malati, gli altri a consigliare ed animare i sani impauriti e tremebondi; anzi, sebbene viventi ancor eglino di limosina e carità, seppero trovar modo di provvedere a varie famiglie bisognose soccorsi materiali, oggetti di vestiario, biancheria e danaro. La loro chiesa poi, nella quale si venera una miracolosa immagine della Madonna della Neve, fu ed è frequentatissima, ed assiepati di penitenti vi sono ad ogni ora i confessionali ”.
Nella stessa corrispondenza si lamentava pure l'ostinatezza provocatrice di alcuni miscredenti; anzi l'articolo giungeva opportuno per rintuzzare l'improntitudine di un organo settario intitolato Il muratore, Quel comune aveva consegnato al collegio salesiano un gruppo di orfani, pagando una sovvenzione. Parve al giornale massonico una sì grande enormità il far passare quei fanciulli “ alla cura di Don Bosco ”, che, fingendo di non voler prestar fede alla voce còrsane in città, bollava d'infamia quel cadere nelle “ unghie delle cattoliche arpie, che decoro e carità di patria vorrebbe sbandite per sempre dall'umana mensa e dai civili costumi ”; la scuola dover essere “palestra di istruzione, non di favole scandalose, non di oltraggi alla scienza, non di aberrazioni ”; l'Italia chiedere, volere, imporre che le si preparino giovani magnanimi, “ cittadini onesti, laboriosi, pronti ed atti ad impugnare un fucile per abbattere i privilegi e per guadagnar libertà, non conigli, non talpe, non creature inebetite nella superstizione cattolica, non buone se non a recitare le sciocchezze puerili della Dottrinella, il calepino del cretinismo ”; gl'istituti cattolici essere “letamai ove il sole della libertà e della verità non splende ” e donde “non possono uscire che coscienze frolle, piene d'ascetismo e d'ignoranza ”. Qui concetto e forma si accordano a rivelarci uno stato d'animo durato purtroppo a lungo in Italia; ma la finale è quella che scopre il movente della guerra accanita che l'anticlericalismo massonico moveva specialmente sul terreno scolastico contro le iniziative dei buoni e quindi contro l'opera di Don Bosco. In quel momento tragico il Governo, la Regina Margherita, il Re Umberto rendevano pubblicamente onore all'eroismo del clero, e di lì sotto si temeva di veder spuntare lo spauracchio di quella che oggi si saluta col nome di Conciliazione. Questo dava sempre il rimescolo alla fazione imperante, il cui portavoce spezzino con fare da epilettico sbraitava: “ La brutale violenza onde in questi giorni sorgono per tutto a imporsi i nemici della patria, trova solo una sufficiente scusa nei civetteschi amorazzi onde s'imbrattano (auspice Depretis ed una bionda chioma graziosa)  Vaticano e Quirinale; e se il popolo non vigila, vedremo presto ristabilito il Santo Uffizio ”. Ecco un nuovo documento che aiuta a comprendere in che mare procelloso e pieno di scogli dovette Don Bosco timoneggiare la sua nave, e quale esperto nocchiero egli abbia saputo essere per guidarla sana e salva in porto.
Sembrava che una mano invisibile tenesse il morbo lon­tano da Torino; tuttavia poteva irrompere da un giorno al­l'altro. Perciò Don Bosco offerse per la luttuosa evenienza i suoi servigi al conte di Sambuy,  Sindaco della città.
 
Illustrissimo Sig. Sindaco,
 
Secondo varie notizie, sembra che il cholera morbus, penetrato già in alcuni paesi della Provincia, vada ogni giorno avvicinandosi e stringendo la città di Torino: quindi non ostante le lodevoli ed utili precauzioni prese dalle Autorità, vi ha da temere che venga ad affliggere altresì i nostri concittadini.
Nutriamo fiducia, che ciò non succeda, ma qualora le comuni speranze andassero fallite, io giudico di fare cosa gradita alla S. V. Ill.ma offerendomi disposto a ricoverare nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, tutti quei poveri giovanetti dai 12 ai 16 anni, i quali per cagione dell'epidemia rimanessero orfani dei genitori ed abbandonati, e fossero nelle fisiche condizioni volute dal Regolamento dell'Istituto.
Nell'invasione del cholera del 1854 e 55 una simile offerta veniva pur fatta al Sindaco di allora, e questa medesima io ripeto pur volentieri alla S. V. lieto di poter concorrere in qualche modo al sollievo delle umane miserie.
L'unica condizione che appongo si è che i giovani ricoverandi siano prima visitati dal medico, che attesti non presentare essi alcun sintomo del morbo, a fine di non mettere a rischio la salute dei compagni.
Confidiamo che Iddio nella sua misericordia terrà lontano da Torino ogni sventura. In ogni caso prego il Cielo che conservi a lungo la S. V. a Sindaco di questa grande ed illustre città, preservi la di lei persona e tutti i membri del Municipio dal temuto flagello, e ci conceda forza e coraggio a fare del bene a tutti.
Pieno di fiducia che la S. V. vorrà conservare la preziosa sua benevolenza ai giovanetti di questa casa, godo dell'onore di professarmi con alta stima
Di V. S. Ill.ma
 
Torino, 24 sett. 84.
Obblig.mo Servitore
Sac. GIO. BOSCO,
 
Il Sindaco, a giro di posta, nobilmente gli rispose:
 
Reverendissimo Signore,
 
Sono molti anni che la S. V. Rev.ma inspirandosi a sentimenti di evangelica pietà, raccoglie presso di sè i figli del popolo sprovvisti di mezzi di sussistenza e privi di consiglio e di conforti, e con costanti ed amorevoli cure li mantiene nella via del dovere, ed educandoli nella scuola del lavoro che nobilita ed è fonte di moralità e di benessere materiale, ne fa dei buoni cittadini utili a se stessi ed al Paese.
Ai molti titoli di alta benemerenza acquistati e che sono cotanto apprezzati da quanti si interessano alla sorte della classe lavoratrice, altro degno di ammirazione vivissima, e di plauso la S. V. Rev.ma volle aggiungere, offrendo con tanta spontaneità di ammettere gratuitamente nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, di cui Ella ne è Fondatore e Direttore solerte ed intelligente, i giovani da 12 a 16 anni che in caso di un'invasione in questa nostra diletta Città dell'asiatico morbo, fossero per rimanere orfani di genitori ed abbandonati.
L'Amministrazione Municipale conscia de' suoi doveri, nulla ha ommesso e ommette, affine di guarentire in ogni miglior modo possibile l'immunità della Cittadinanza dal fatale morbo, che da assai tempo semina il lutto in tanti Comuni Italiani, ma quando fosse destino inesorabile che il cholera debba anche qui mietere vittime, niun dubbio che l'Autorità Comunale si varrà della generosa offerta fatta dalla S. V. Rev.ma.
Io porgo pertanto, anche a nome della Giunta, alla quale rassegnai il foglio a margine ricordato, parole di meritata lode, e di verace riconoscenza a Lei, Reverendissimo Signore, per il nuovo suo atto di filantropia, e La prego di permettere che io mi valga dell'occasione per esternarle i sentimenti della perfettissima mia stima e pari obbligazione.
 
Torino, addì 25 settembre 1884.
Il Sindaco
DI  SAMBUY.
 
Il medesimo Sindaco, dovette rivolgersi a Don Bosco per un altro affare. Da Napoli la contessa Sanseverino Vimercati e la principessa Strongoli avevano pregato il Sindaco di Torino che volesse far ricoverare in qualche collegio della stia città un certo numero di orfanelli napolitani, i cui genitori erano morti di colera, e ricevutane risposta affermativa, s'erano affrettate a inviare i primi due, che vennero affidati all'Oratorio. Ma, quando si rientrò laggiù nella normalità, certi parenti dei due fanciulli ne reclamarono il ritorno in patria; onde le predette gentildonne deliberarono di non mandare più nessuno a Torino. Comunicata la cosa al Sindaco, questi, rammaricandosi che non si fossero scrutate prima le intenzioni dei par enti, si scagionò molto cortesemente con Don Bosco .
La carità di Don Bosco avrebbe voluto abbracciare tutto il mondo. Nell'autunno avanzato giunsero notizie dall'India che il colei a menava strage in quei paesi e che in ogni parte si abbandonavano a se stessi i miseri orfanelli. Ciò udendo, il primo moto del suo animo fu di dire a Don Lemoyne: - Sei ivi subito a quei Vescovi, che Don Bosco è pronto a ricevere e a mantenere quei giovanetti che da loro gli saranno mandati. - La carità non consce diversità di razze nè distanza di luoghi.
Alla riapertura delle scuole vi fu nell'Oratorio una sola novità. Regolarmente gli alunni che facevano domanda per venir a cominciare le classi ginnasiali, entravano in agosto e intraprendevano un corso preparatorio; ma in quell'estate la prudenza voleva che non si ricevessero così presto. Ne fu dunque rimandato l'ingresso alla metà di ottobre, e dopo una prova di quindici giorni, diedero un esame corrispondente alla quarta elementare, non esclusi coloro che presentavano gli attestati di promozione da quella classe, ultima allora delle scuole inferiori. Gl'insufficienti vennero consegnati a chi li aveva affidati, affinchè continuassero altrove il corso elementare.
Il gran problema da risolvere era sempre quello di trovare i mezzi finanziari; allora poi la difficoltà della soluzione cresceva a più doppi. Noi comprendiamo appieno che cosa Don Bosco volesse dire quando scriveva al conte Colle : “ Il colera ha perturbato molti luoghi della Francia ed ora travaglia spaventosamente l'Italia. Le nostre case e i nostri giovani fino al presente sono stati preservati; ma la beneficenza ci vien meno seriamente e noi versiamo in serie difficoltà per sostenere le spese di costruzione e di manutenzione delle nostre opere ”. Eppure si era soltanto sul principio di settembre. Pernon lasciar nulla d'intentato, Don Bosco si rivolse a quanti più sacerdoti potè, pregandoli di aiutarlo con la gratuita celebrazione di Messe. Diede quindi la massima diffusione alla seguente circolare.
 
Molto Rev. e caritatevole Sacerdote,
 
Le dolorose vicende che in quest'anno colpirono i nostri paesi hanno cagionato molte miserie specialmente nelle nostre case di beneficenza. Molti giovanetti gettati nell'abbandono dal pubblico flagello andavano chiedendo ricovero. Ed ora a fine di provvedere a questi orfanelli e venire in loro soccorso io mi sono risoluto di ricorrere alla carità del clero che tante volte e in tanti modi mi venne in aiuto.
Per giovare alla beneficenza alcune pie persone mi hanno affidata la celebrazione di un discreto numero di messe, supplicando caritatevoli sacerdoti a venirmi in aiuto coi celebrarne o col procurare che altri ne celebri quel numero che suggerirà la possibilità del loro cuore.
Quei sacerdoti pertanto che possono concorrere a quest'opera caritatevole sono pregati di farlo noto al Sac. D. Luigi Deppert prefetto della sagrestia di Maria Ausiliatrice in Torino.
Prego pertanto la S. V. di voler indicare al medesimo sacerdote il numero delle messe che nello spazio di un anno intende di celebrare e cederne l'elemosina per l'opera proposta.
Questi giovanetti beneficati ascolteranno ogni mattina la santa messa, faranno ogni giorno speciali preghiere con frequenti comunioni pei loro benefattori.
Io mi unirò ai giovani beneficati per invocare le benedizioni del cielo sopra questi benemeriti oblatori e sopra le loro famiglie.
Con profonda gratitudine vi sono in G. C.
 
Torino, 31 ottobre 1884.
Obbl.mo servitore
Sac. GIO. BOSCO.
 
dovendo partire da Pinerolo per andare ad assistere i colerosi, vollero prima ricevere da Don Bosco la medaglia e la benedizione. Egli promise loro che sarebbero tornate tutte incolumi, e così fu. Il Vescovo attribuiva alla venuta di Don Bosco nella sua diocesi la preservazione di questa dal contagio.
Relazioni giunte a Don Bosco o all'Oratorio da mille luoghi attestavano di fatti individuali e collettivi, che dimostravano la portentosa efficacia della medaglia. A Torino Don Trione aveva amministrato l'Olio Santo a un coleroso, la cui famiglia per le solite paure non voleva sentire di medici. Il poveretto era agli estremi. Eppure, fattagli mettere al collo la medaglia, cessarono subito i vomiti scomparendo in breve ogni sintomo allarmante.
Una larga distribuzione di medaglie si fece dai Salesiani il 23 agosto ai giovanetti interni ed esterni della Spezia; orbene di tutti quelli che, docili ai suggerimenti, indossarono la benedetta immagine, neppur uno fu tocco. Morirono, è vero, alcuni alunni esterni; ma si scoperse che non avevano fatto nessun conto della medaglia. E che l'immunità non fosse dovuta ad altro che alla bontà di Maria, lo confermò un tragico fatto. Una povera donna, udite le meraviglie della medaglia, corse a procurarsela e la pose al collo della figlia di sei anni, che si dibatteva nelle spire del male. La piccina migliorava a vista d'occhio, quando, sopraggiunto il padre e scorto quell'oggetto sacro, glielo strappò e lo buttò via, vomitando bestemmie. E morbo allora, ripigliata la sua violenza, più non s'arrestò. Il forsennato genitore, allorchè la bimba, vicina a morire, giunse le manine in atto di preghiera, la costrinse a distenderle, non volendo vederla far ricorso a Dio. Più giudizioso si mostrò il presidente del circolo anticlericale, che sull'asta della bandiera ostentava la figura di Satana. Preso dai crampi e trasportato al lazzaretto, benchè non si volesse confessare e non si confessasse, mandò in cerca della medaglia, se la mise al collo e guarì. In città era così evidente l'incolumità di quanti portavano la medaglia, che i radicali, per frastornare l'attenzione del pubblico, si diedero a spacciare tra il volgo essere i cattolici gli spargitori del colera.
E' interessante quello che accadde a Genova. La massoneria aveva organizzato in ogni quartiere squadre d'infermieri, che cercassero di allontanare il sacerdote dal letto dei colerosi. Un coraggioso cittadino, Franco De Amicis, con la benedizione dell'Arcivescovo organizzò squadre di cattolici e, presentatosi al sindaco per dargliene notizia, questi gli chiese quale segno adottassero i suoi per essere riconosciuti. - La medaglia di Maria Ausiliatrice, - fu la risposta. Scoppiò fra i presenti una risata; ma il fatto è che in una lettera del 22 Ottobre a Don Bosco il signor De Amicis scriveva: “ La Madonna sua amabilissima ha preservato dal male tutti i membri delle mie squadre e la mia povera persona ”. Or si noti che per circa cinquanta giorni si alternarono nel servizio fra uomini e suore parecchie centinaia di persone .
Anche in Francia le medaglie di Maria Ausiliatrice benedette da Don Bosco furono apportatrici di salvezza. L'Ispettore Don Albera riferiva a Don Bosco da Marsiglia : “ La città è quasi spopolata. Oltre centomila abitanti fuggirono: molte strade sono affatto deserte. Malgrado questa diminuzione, i morti sono sempre in media da novanta a cento al giorno. Si dice bene che, di questi, due terzi solamente sono morti di colera, ma è sempre un gran flagello, una grande mortalità in Marsiglia ove la media dei morti, quando vi sono tutti gli abitanti, è appena di trentatrè o di trentacinque. I colerosi muoiono alcuni in poche ore, altri durano un po' più. Si riuscì a salvarne vari. Nella nostra casa pelò, in grazia della protezione di Maria Ausiliatrice, che V. S. ci ha promesso, in grazia delle precauzioni che si presero, non abbiamo ancora avuto neppure un caso. Dirò meglio: quattro volte vedemmo in qualche povero giovane tutti i sintomi del colera; ma poi abbiamo avuto la consolazione dì vederli in poche ore interamente spariti. È un miracolo della Madonna! In casa abbiamo ancora oltre a centocinquanta giovani, che da quanto pare non saranno ritirati, nemmeno se il colera infierisse maggiormente, sia perchè sono della città stessa di Marsiglia, sia perchè i parenti non possono ritirarli. Anche di quelli che partirono per le case loro, lo stato di sanità è ottimo e nessuno fu ancora colpito dal terribile morbo. Ciascun giovane ha la medaglia di Maria Ausiliatrice al collo, e fa quanto può per metter in pratica il rimedio che Lei ha suggerito. Un'altra consolante notizia: nessuno dei nostri benefattori ed amici finora cadde ammalato ”.
Don Albera accenna alla promessa fatta da Don Bosco.
  È davvero sorprendente il tono di sicurezza, con cui dal Santo si prometteva anche ai Francesi la preservazione. A Don Ronchail, Direttore della casa di Nizza aveva scritto il 1° luglio: “Pare che Dio voglia farci una visita, Fa' che i nostri giovani ed i nostri amici abbiamo seco l'antidoto sicuro del colera. Una medaglia di Maria Ausiliatrice, recitando: Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis ”. Orbene il 18 agosto poteva scrivere alla signorina Louvet: “ Ho una gran bella notizia da darle. Tutte le case di Francia, tutti i benefattori dei nostri giovanetti, grazie a Maria Ausiliatrice, sono stati preservati dal flagello che affligge la Francia”.
Invece, parole di color oscuro indirizzò per l'anno vegnente a Don Albera nel mese di novembre.
 
Car.mo D. Albera,
 
Ho scritto le lettere alle persone e nel senso indicato. Spero sortiranno buon effetto.
Mi farai piacere di salutare caramente i nostri confratelli ed in modo particolare i nostri giovanetti. Dirai a tutti che quest'anno l'abbiamo passata bene e dobbiamo ben di cuore ringraziare il Signore. Io temo che l'anno venturo siamo di nuovo visitati dallo stesso flagello; ma io non mi sento dì promettere che il colera non venga a molestarci ad eccezione che voi mi veniate in aiuto. Ma come? Mi veniate in aiuto colla buona condotta, colla frequente comunione e particolarmente col fuggire rigorosamente le cose che sono contro alla modestia.
Dio ci benedica tutti e prega per la mia sempre cagionevole salute.
 
Torino, 15 novembre 1884.
Aff.mo amico
Sac. GIO. BOSCO.
 
Difatti il contagio ricomparve a Marsiglia nell'estate del 1885. Però fino dal 31 gennaio Don Bosco, parlandosi di colera, aveva detto: -L'anno scorso poteva assicurare con certezza che le medaglie di Maria Ausiliatrice portate indosso con le condizioni prescritte avrebbero preservate le persone dal morbo asiatico. Ma quest'anno non so ancora se la Vergine vorrà dimostrarsi egualmente pietosa in tale circostanza.
Sono parole che dànno il diritto di pensare che la, passata sicurezza del Santo avesse il suo fondamento in una indubbia ispirazione o rivelazione celeste; tanto più che nella circolare del gennaio 1885 ai Cooperatori e alle Cooperatrici potè con tutta semplicità e asseveranza formulare la seguente affermazione: “ Vi è noto che per alcuni mesi molte città e borgate d'Italia e di Francia furono infestate dal terribile morbo asiatico, il colera, e migliaia e migliaia di vite furono mietute dalla morte. Ma Iddio benedetto per sua bontà volle preservare dal temuto flagello tutte le case salesiane e le persone che le abitavano; anzi mi è dolce il credere che abbia usata la stessa misericordia a voi ed ai vostri cari ”. Non sarebbe davvero mancata, specialmente i; certi pubblicisti, la mala volontà d'infliggere una smentita alla sua asserzione; ma nessuno da nessuna parte si levò a contraddire.
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